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Autore: Ian Is A Fucker    03/03/2014    3 recensioni
Uno studente universitario divide il suo appartamento con Jason, il suo amico omosessuale, fidanzato con un affascinante ragazzo dai capelli ricci, gli occhi color cioccolato e di nome Michael. Sarà amore a prima vista? Riusciranno a capire cosa provano e a prendere la decisione giusta?
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
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“Marco...Marco dai svegliati!” Quella voce diventava giorno dopo giorno sempre più fastidiosa, soprattutto se rimbombava nelle mie orecchie di prima mattina.
Con gli occhi chiusi tastai il letto e appena trovai un cuscino lo lanciai in direzione della voce, bofonchiando insulti.
“Smettila di fare il bambino viziato ed alzati, farai tardi a lavoro” Niente da fare, non aveva intenzione di zittirsi e lasciarmi in pace.
“Fatti gli affari tuoi” brontolo, rifiutandomi di aprire gli occhi e di alzarmi.
“Sono affari miei, se non vai a lavoro non ti pagano e mi tocca pagare l'affitto da solo.”
Spazientito, aprii lentamente gli occhi e subito un paio di braccia mi tirarono su, mettendomi a sedere sul letto.
“Cristo Marco hai 22 anni, impara a prenderti cura di te stesso” mi rimproverò il mio coinquilino, incrociando le braccia, guardandomi con aria dolcemente rassegnata.
Io sbadigliai e scrollai le spalle.
“Nessuno ti ha chiesto di farmi da balia Jason.” replicai cercando qualcosa da mettermi.
“Se non ci fossi io non saresti riuscito nemmeno a passare il primo anno di università” mi ricordò ed io alzai gli occhi al cielo.
“Vuoi un applauso?” mugugnai infilandomi un paio di jeans e una camicia stropicciata.
“Cresci un po' e poi ne riparliamo.” sospirò prendendo la borsa da sopra il tavolo.
“Ti ricordi vero che stasera viene il mio ragazzo a cena?” chiese ed io lo guardai con aria confusa.
“Chi?” Jason sospirò e roteò gli occhi.
“Lo sapevo... Te l'ho detto anche ieri, Mika vuole conoscerti, quindi l'ho invitato a cena.” ripetè.
“Mika...che razza di nome è?” mi lamentai.
“...è un diminutivo deficiente. Si chiama Michael.”
“Ah...beh è un nome di merda comunque.”
“Pensa quello che ti pare, basta che tieni chiusa quella bocca che ti ritrovi.” mi minacciò ed io alzai le mani.
“Tranquillo, non rovinerò il vostro piccolo Paradiso.” lo rassicurai.
“Guarda che...” iniziò ma io gli lanciai le chiavi di casa.
“Non fai tardi a lezione? Ecco, ciao.” lo zittii ma lui doveva continuare con la sua manfrina.
“E mi raccomando...”
“Vestiti decentemente. Sisi me lo hai già detto, ciao.” tagliai corto spingendolo fuori e chiudendo la porta dietro di lui con un sospiro soddisfatto.
“Cristo, e dopo sono io quello che parla tanto!” mi lamentai. Odiavo dovergli dar ragione ma...avevo tipo 3 minuti per presentarmi a lavoro.
In fretta prensi le chiavi e con un ultimo sguardo di rimpianto verso la colazione, uscii dall'appartamento.
Sul pianerottolo una signora anziana, la stessa che vedevo tutte le mattine, con i capelli biondi platino e la dentiera che si teneva per miracolo, mi sorrise.
“Oh vai a lavoro?” domandò ed io annuii.
“Sìsì giorno.” tagliai corto volando fuori e salendo sulla macchina ma appena girai la chiave, la spia della benzina iniziò a lampeggiare.
“Ma porca puttana...” ringhiai, lanciando imprecazioni mentali a Jason.
"Mi rubi la macchina per andartela a spassare con il tuo bel principe azzurro e non mi metti nemmeno la benzina? Oh vedrai che bella accoglienza che riceverete stasera” sibilai, rassegnandomi a camminare.
Dato che ormai era sicuro che sarei arrivato in ritardo, tanto valeva prendersela con calma: se fossi arrivato tutto sudato e stanco non sarei riuscito a combinare nulla e non sarebbe stato giusto verso i clienti.
Circa 10 minuti dopo arrivai al bel negozio di abbigliamento “Coltorti” e come al solito mi chiesi come cavolo avessi fatto ad essere preso in quel luogo che trasudava ricchezza ed eleganza: la cosa più elegante che avevo mai indossato era stata una cravatta al matrimonio di mio cugino.
Entrai con circospezione, per poi sgattaiolare velocemente in bagno ed indossare la divisa, ovvero pantaloni e camicia nera con una cravatta bianca.
“Sono curioso di sentire la tua scusa Marco” mi apostrofò il mio capo ed io mi irrigidii, rivolgendo un sorriso smagliante all'uomo che mi fissava con un sopracciglio alzato.
“Avevo la macchina a secco Luca...oh avanti non dirmi che sei arrabbiato!” spiegai e lui sospirò.
“Suppongo che non posso aspettarmi di meglio da te... c'è un ragazzo in camerino, te lo affido.” disse brevemente, scomparendo in ufficio.
Tirai un sospiro di sollievo e bussai sulla porta del camerino.
“Serve una mano?” domandai.
“Ho quasi fatto” risponse una voce ovattata ed io mi appoggiai al muro lì vicino, allentandomi la cravatta con un grugnito infastidito.
Quando la porta si aprì escì un ragazzo altissimo, il fisico magro ricoperto da un completo nero che gli donava un'aria sofisticata, il viso ricoperto da una rada barba intorno alle labbra sensuali, con un'espressione timida negli occhi color cioccolato, leggermente coperti da degli incolti ricci marrone scuri.
Le labbra rosate si aprirono in una piccola “O” di sorpresa, per poi tendersi in un sorriso affascinante.
“Dovrei prendere una taglia più grande secondo te?” mi chiese con un melodico accento inglese, mordicchiandosi distrattamente il labbro inferiore.
Io deglutii e mi schiarii la gola, scuotendo la testa.
“Naah ti sta bene. Devi andare ad un ricevimento?”
“Uhm è un'occasione speciale.” risponse misteriosamente, sorridendo tra sé e sé con un'aria così felice che non si poteva fare a meno di sorridere guardando quel viso da bambino.
“Allora vai tranquillo, basta che non lo indossi ad un matrimonio, probabilmente guarderebbero più te che lo sposo” scherzai, strappandogli una risata divertita.
Il ragazzo mi guardò con le guance lievemente arrossite e mi sorrise.
“Sei troppo gentile.” Scrollai le spalle e sorrisi a mia volta, lasciandogli il tempo di ricambiarsi.
“Ci vediamo allora...Marco” mi salutò, sporgendosi per leggere sul mio cartellino e con una strizzata d'occhio se ne andò, il pacchetto che sbatteva contro le sue gambe lunghe.
Come imbambolato rimasi a guardare per un attimo la porta da dove era appena uscito, per poi scuotere la testa e tornare a lavoro, ma non riuscivo a cancellarmi dalla testa quel sorriso: passavo decisamente troppo tempo con Jason, stava iniziando ad influenzarmi il bastardo!
  
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