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Autore: cant_hold_us    04/03/2014    4 recensioni
"Scusa..." dissi. Lui si alzò e mi guardò dritta negli occhi.
"Scusa di cosa?" domandò con voce gentile. Aveva ragione, per cosa doveva scusarmi? Ero un disastro in queste situazioni e non dissi nulla.
"Sei tu che devi perdonare me, non dovrei essere qui." concluse.
"No, non ti preoccupare." lo rassicurai.
"Tu sei la figlia, giusto?" domandò. Io non riuscii a rispondere, mi limitai ad annuire con la testa. "Io sono Wesley, il figlio del vicino." continuò, allungando la mano per stringere la mia.
"Kristal. Solo, ti prego, non dire quella parola." lo supplicai, stringendogli la mano.
"Tranquilla, è una parola troppo odiosa da dire." mi disse, accennando un sorriso.
"Grazie."
"Vado, così ti lascio in pace." mi fece sapere. Avrei voluto fermarlo, chiedergli di restare per parlare un po', ma non ci riuscii.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                     -Capitolo 1-
 
 
All'età di diciotto anni decisi di trasferirmi. Ero grande abbastanza e i miei genitori non potevano obbiettare. Le mie motivazioni erano le solite, non riuscivo a essere me stessa. Pensavo che, andando in un altra città, avrei fatto emergere quella parte di me che ad  Huntington  non riusciva ad uscire. Mi sbagliavo, i posti cambiano ma le persone rimangono le stesse. Io, Kristal, ero sempre la stessa, timida ed impacciata. 
Una mattina, mentre stavo andando al lavoro, ricevetti una telefonata da mia zia. Lei non mi chiamava mai e cominciai a preoccuparmi. L'ultima volte che mi aveva cercata al cellulare era per dirmi che mio fratello era morto.
"Che cosa è successo?" domandai, rispondendo al telefono.
"Kristal, i tuoi genitori..." singhiozzava.
"Cosa? I miei genitori cosa?" chiesi, anche se pensavo di aver compreso tutto. Passarono pochi secondi, ma per causa di quel silenzio così assordante, sembrarono ore.
"Hanno avuto un incidente. Sono morti sul colpo." confessò. 
Io scivolai lentamente per terra, mi sedetti sul marciapiede e riattaccai. Non riuscivo a sopportare il pianto di mia zia, ero io quella che aveva perso la famiglia. Cercai di trattenere le lacrime e mi alzai. Presi il primo treno per casa. Quando arrivai davanti alla porta d'ingresso non riuscii a bussare, non riuscii ad entrare. L'idea di non vedere mamma e papà mi distruggeva. Rimasi immobile, fino a quando qualcuno aprì la porta e mi fece cenno di entrare. Non conoscevo quest'uomo e molto probabilmente lui non conosceva me, perché mi trattò come se fossi una persona venuta a farle le condoglianze. Casa nostra era piena di persone e io non ne conoscevo nemmeno la metà.
Improvvisamente vidi una donna che mi correva incontro. Io ero rimasta ferma nell'atrio e non riuscivo a muovermi a casa mia.
"Cara, come stai?" chiese, stringendomi in un abbraccio. Non riuscivo a comprendere la sua domanda, come dovevo stare? Decisi di non rispondere per non essere scortese con lei. Ricambiai l'abbraccio e fu in quel momento che scoppiai a piangere. Il suo odore era come quello della mamma. Pensai che non avrei più potuto abbracciarla e non avrei potuto vederla, chiederle consiglio, non avrei più potuto fare niente. Odiavo piangere in pubblico, mi sentivo debole e indifesa, così appena mi liberai dall'abbraccio di mia zia mi asciugai le lacrime.
 
Passai ore intere a stingere mani di persone vestite di nero e ad ascoltare sempre la stessa domanda. "Come è successo?" ma io non lo sapevo e quindi arrivati a questo punto lasciavo gli ospiti da soli, senza dargli una risposta. Erano le quattro del pomeriggio, io mi ero stufata di vedere facce nuove che mi dicevano tutti la stessa cosa. Andai nello studio di mio padre. Era buio ed era tutto in ordine come sempre. Chiusi la porta alle mie spalle e una lacrima scivolò lungo la mia guancia. Non la asciugai, perché ero sola e perché piangere era l'unico modo che conoscevo per sfogare le mie emozioni. Andai verso la scrivania e vidi una cornice. La presi e la girai, era la nostra famiglia, quella famiglia che non c'era più. Noi quattro sorridenti e felici. Accarezzai quella foto come se stessi accarezzando ognuno di loro, poi la misi di nuovo al suo posto. Solo in quel momento mi accorsi che c'era qualcuno seduto sulla poltrona. Alzai lo sguardo e mi asciugai in fretta le lacrime.
"Scusa..." dissi. Lui si alzò e mi guardò dritta negli occhi.
"Scusa di cosa?" domandò con voce gentile. Aveva ragione, per cosa doveva scusarmi? Ero un disastro in queste situazioni e non dissi nulla.
"Sei tu che devi perdonare me, non dovrei essere qui." concluse.
"No, non ti preoccupare." lo rassicurai.
"Tu sei la figlia, giusto?" domandò. Io non riuscii a rispondere, mi limitai ad annuire con la testa. "Io sono Wesley, il figlio del vicino." continuò, allungando la mano per stringere la mia. 
"Kristal. Solo, ti prego, non dire quella parola." lo supplicai, stringendogli la mano.
"Tranquilla, è una parola troppo odiosa da dire." mi disse, accennando un sorriso.
"Grazie." 
"Vado, così ti lascio in pace." mi fece sapere. Avrei voluto fermarlo, chiedergli di restare per parlare un po', ma non ci riuscii. 
 
Il resto della giornata passò molto lentamente e arrivò la sera. Erano andati tutti via, tranne la zia.
"Sei sicura di farcela? " chiese preoccupata.
"Si, vai tranquilla. Ci vedremo tra qualche giorno." la rassicurai.
"Per qualunque cosa chiamami." si raccomandò. Si avvicinò per abbracciarmi, ma io la respinsi. "Va bene, vengo a trovarti tra qualche giorno." 
Uscì dalla porta. Io chiusi a chiave e andai in camera mia. Tolsi il vestito nero e lo riposi nell'armadio. Mi misi un vecchio pigiama che era rimasto ancora qui e poi uscii fuori nella terrazza. Non era cambiato niente da quando me ne ero andata via. Mi sedetti sul dondolo e guardai le onde del mare che arrivavano sulla spiaggia davanti a casa. Feci un lungo respiro e poi mi rannicchiai. Non riuscivo a stare dentro casa, perché quella non era la stessa casa. Con un piede mi diedi una spinta e cominciai a dondolare. Chiusi gli occhi e mi addormentai. 
 
Il sole mi svegliò, un raggio mi colpì dritto in faccia. Aprii gli occhi e vidi una coperta. Non riuscii a capire, ero confusa. 
"Spero non le dispiaccia, ho detto a mio figlio di coprirla." disse un uomo anziano dal balcone dei vicini. Non mi ero mai accorta che i due balconi fossero così vicini, eppure ero nata e cresciuta in questa casa.
"No, anzi, grazie." risposi. Mi alzai e piegai la coperta. Mi avvicinai al signore e gli porsi la coperta.
"Con chi stai... Capisco. Buongiorno." disse quel ragazzo, Wesley. Ora riuscivo a capire tutto. Loro erano i vicini di cui mamma parlava tanto.
"Buongiorno." risposi, mentre lui prese la coperta.
"Venga a fare colazione con noi, è da tanto che non ho l'occasione di invitare una bella ragazza." mi invitò il signore.
"Oh, io non voglio disturbare." cercai di rifiutare.
"Ma quale disturbo! Vengo a prenderti giù." obbiettò il ragazzo.
Corsi in bagno per darmi una sistemata. Mi pettinai i miei lunghi capelli e li raccolsi in una coda alta. Mi lavai i denti e la faccia. Suonò il campanello. Andai alla porta e lo vidi. Aveva un aria amichevole e mi fece sentire a mio agio. 
"Per di qua!"indicò la strada con la mano e mi fece passare davanti come un gentiluomo.
Passando per casa loro mi accorsi che era uguale alla nostra, stessi spazi. L'uomo mi stava aspettando in piedi e appena mi vide andò vicino alla sedia e la sistemò. Io mi sedetti. Per un attimo mi sentii bene. 
"Grazie..." volevo chiamarlo per nome, ma non lo sapevo " Io non so il suo nome, mi dispiace." 
"Mi chiami Mark." rispose sorridente.
"Possiamo darci del tu?" domandai.
"Certo signorina..." rispose
"Kristal" aggiunse il figlio.
Wesley andò a prendere qualcosa in cucina e poi cominciammo a mangiare. Ci fu silenzio, ma non era uno di quei silenzi imbarazzanti. Sembrava che tutto fosse al suo posto, c'era armonia.
"Che cosa fai oggi Kristal?" domandò Mark.
"Devo ripulire casa." risposi diventando un po' fredda.
"Ah, certo. Un giorno, quando vorrai tu, usciresti con un vecchio signore per bere un caffè?" chiese gentilmente.
"Certo, volentieri." risposi.
Finimmo di magiare e io tornai a casa, presi delle spugne e dei panni e cominciai a pulire. Aprii tutte le finestre per far circolare l'aria e anche i ricordi.
 
 
NOTE D'AUTORE:
Ciao ragazze! 
Questa è la mia nuova fanfiction sugli Emblem3.
Spero vi piaccia e spero di trovare qualche vostro parere.
Baci <3 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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