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Autore: hirondelle_    05/03/2014    1 recensioni
- È davvero un bambino bellissimo. - lo sentì sussurrare, e lo vide stringere il ferro della culla ospedaliera fino a farsi sbiancare le nocche. - Posso toccarlo?
Kidou trattenne il fiato a quella richiesta: posso toccarlo, come se sfiorare pelle della sua pelle e far sbocciare quei rossi rubini che erano i suoi, loro occhi fosse un peccato, un gesto proibito, una cosa troppo grande per essere alla sua portata. Come se volesse dargli un addio.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Axel/Shuuya, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke, Jude/Yuuto, Shuu
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
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- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
[Eugenio Montale]

- È un maschio.
Gouenji sbatté le palpebre, senza inizialmente capire. Quando comprese, successivamente, non ebbe comunque nessuna reazione in particolare. - Oh. - mormorò soltanto, stringendo piano le lenzuola tra le dita. 
C'era troppo bianco persino per pensare.
- Abbiamo pensato di chiamarlo Reiji. Però prima volevamo sapere anche il tuo parere, in fondo sei della famiglia.
Shuuya non rispose, se non con uno sguardo vacuo e inespressivo, lo stesso che portava con sé da settimane. Kidou ne sentì il sapore aspro e inquietante sulla pelle, come una brutta cicatrice. 
Improvvisamente gli strinse le mani tra le sue, forte, quasi avesse potuto scappare. - Non farlo mai più, ok? Noi siamo qui. - disse all'improvviso, tremando.
Gouenji lo guardò, arricciò le labbra ma non si divincolò dalla presa. - Non diventerai un'ombra anche tu? Me lo prometti?
- Te lo prometto. - giurò Kidou, e si sporse per baciarlo. Shuuya assaporò le sue labbra come un contatto freddo e distaccato, e Yuuto si scostò quasi subito, a disagio. 
Erano passate poche settimane dall'accaduto, e entrambi non avevano mai avuto intenzione di parlarne. Ora invece si ritrovavano a tirare fuori il discorso: il rasta non ne poteva più di vederlo in quelle condizioni, inchiodato su un letto d'ospedale, la pelle bianca e quelle occhiaie che non svanivano…
- Andrà tutto bene. Saremo io, te, Haruna e il bambino. Staremo insieme, d'accordo? Insieme.
Shuuya annuì, e il ragazzo si rese conto che nessuno dei due ci credeva. Il pensiero lo fece rabbrividire, e indignare: Gouenji sarebbe stato in grado di tornare come prima, se lo avessero  voluto. E ciò non accadeva.
Un sussurro: - Le vedo ancora, Kidou… sempre… anche qui, in questa stanza…
- Sono qui? - tremò Yuuto, stringendogli forte le mani fredde.
- Sì.
- Dove?
- Dappertutto. - il mormorio flebile era appena udibile dietro lo scrosciare della pioggia.
Kidou lo guardò negli occhi.
E per la prima volta, in quel sorriso finto e folle, le vide.
Erano riflesse nei suoi occhi, si stagliavano negli specchi della sua anima, premevano per uscire. E per aggredirlo.
Per portarlo lontano.

Kidou gli sorrise nervosamente appena lo vide sulla soglia, ma non disse nulla. Si chiese per l'ennesima volta come fosse possibile che l'avessero dimesso, nonostante avesse dovuto frequentare lo psichiatra con assidua regolarità: quasi non lo riconosceva, tanto era fisicamente provato e sicuramente incapace di muoversi senza che i suoi occhi stanchi si chiudessero o che le mani tremassero.
Gouenji sorrise come al solito, un riso nervoso appena accentuato, le pupille dilatate dai farmaci. 
Nessuno disse niente: Haruna gli sorrise benevola, ma con gli occhi lucidi, il respiro rotto, e il desiderio di piangere. - Che paura che mi hai fatto prendere, eh?
Yuuto rabbrividì pensando con terrore a quella sera. Non era andato a dormire con lui, non esattamente, era rimasto soltanto a vegliarlo nel sonno accanto al suo letto. Era andato a dormire quasi subito, ma era stata la mattina a svelare i fiotti di sangue che ancora percorrevano le righe legnose del parquet. Haruna quel giorno era caduta, colpita al cuore, incapace di distogliere gli occhi da lui e… 
- Va tutto bene, adesso? - la voce calda e profonda dell'uomo sembrarono quasi riportare in vita quel barlume di sanità che gli rimaneva forse ancora in corpo: ma quando rivolse lo sguardo su di lui, sulla figura smunta che si avvicinava tremando verso loro figlio -suo figlio, il figlio di Haruna, il figlio di Gouenji- realizzò che di Shuuya in realtà non era rimasto niente.
Niente.
- È davvero un bambino bellissimo. - lo sentì sussurrare, e lo vide stringere il ferro della culla ospedaliera fino a farsi sbiancare le nocche. - Posso toccarlo?
Kidou trattenne il fiato a quella richiesta: posso toccarlo, come se sfiorare pelle della sua pelle e far sbocciare quei rossi rubini che erano i suoi, loro occhi fosse un peccato, un gesto proibito, una cosa troppo grande per essere alla sua portata. Come se volesse dargli un addio.
- Sei uno dei due padri. - specificò Haruna in un sussurro. - Mi sembra il minimo.
Gouenji ringraziò, e allungò una mano a sfiorare la tenera guancia di Reiji. 
La Morte sfiorò la Vita, e Kidou non avrebbe saputo dire dove finiva una e dove cominciava l'altra.
Dove?

Lasciò che la pioggia gli scavasse ulteriormente il viso, dilaniandolo con le sue dita rapaci, senza smettere di guardare in alto. La pioggia è bella, pensa, la notte è bella.
Il bianco continuava a non piacergli, ogni tanto preferiva andare sul tetto e fissare il vuoto grigio che ormai imperversava nel cielo da settimane. 
Continui ricoveri. Le ombre non svanivano e, per l'esattezza, non smettevano di essergli accanto in qualsiasi momento: confortanti, si sarebbe potuto dire. Eppure non gli erano di alcun appoggio, se ne rendeva conto.
Kidou, Haruna e Reiji venivano a trovarlo una volta ogni due settimane. Reiji aveva appena imparato a parlare, pensò distrattamente quella sera, lo aveva chiamato papà. Una sensazione decisamente strana, inusuale per lui.
Mosse qualche passo, dondolando pigramente, instabile. Si avvicinò lentamente al parapetto, il punto dove i fiori di plastica ancora venivano scossi dal vento impetuoso e bagnati dalla pioggia torrenziale. Li cambiava sempre, ogni qualvolta gli venisse concesso il permesso di uscire dall'ospedale… sebbene ormai accadesse piuttosto raramente.
Gouenji guardò ancora il cielo, poi spostò lo sguardo sull'orizzonte, e lì rimase. Lo psichiatra gli aveva sempre detto di non guardare mai in basso. Mai. 
Shuuya non desiderava guardare in basso.
Si sedette sul parapetto, dando le spalle alla città e fissando il piazzale di piastrelle. Poche lenzuola rimanevano attaccate ai fili scuotendosi come fantasmi irrequieti, e un'infermiera si affaccendava per metterle nel cesto, sebbene fossero ormai zuppe per la dimenticanza. 
- Te la ricordi? - mormorò ad un tratto, voltandosi alla sua destra. - Era l'infermiera simpatica. La manager della mia squadra di calcio delle superiori, te la ricordi?
L'ombra al suo fianco non rispose, fissando con i suoi occhi torbidi e grigi la giovane donna quasi non la riconoscesse. Si voltò verso di lui, un sibilo impercettibile, incapace di parlare.
- Non mi sono dimenticato del tuo compleanno, cosa credi? - ridacchiò il paziente allungando la mano verso di lui. - Solo che non sono riuscito a convincere i medici a farmi uscire. Vedrai che al più presto mi inventerò qualcosa.
Un secondo sibilo, più insistente dell'altro, venne dalla sua sinistra. L'altra ombra lo guardò con fare irrequieto, muovendosi tremolante contro la pioggia. Sembrava contrariata dal suo comportamento.
- No, non vi ho dimenticati. - tentò di scusarsi Shuuya, mordendosi il labbro. - Ma non posso farlo. L'ho promesso.
Nel momento esatto in cui Fuyuka lo richiamò, inzuppata e infreddolita dalla tempesta, le ombre saltarono giù dalla ringhiera. Gouenji fece appena in tempo a vederle scomparire oltre il ferro del parapetto, prima di voltarsi verso l'infermiera con sguardo abbastanza confuso: accadeva da tempo che sentisse quella sensazione di vuoto appena Yuuichi e Suzuno si allontanavano anche solo di pochi passi.
- Vieni dentro, Gouenji! - esclamò la ragazza, gli occhi sbarrati di sorpresa. - Ti bagnerai tutto! Ed è pericoloso sedersi lì!
Shuuya le rivolse un altro sguardo confuso, poi si guardò attorno senza una parola. - Arrivo. - mormorò, ma non ricevette risposta da lei.
Volse la testa oltre la sua spalla. Guardò giù, dopo tanto tempo che non lo faceva, e li vide: troppo lontani  per distinguerli, e lui troppo in alto. Troppo in alto.
Istintivamente si sporse di poco, per osservarli: sembravano parlare tranquillamente tra di loro. Le ombre divennero persone, come poche volte accadeva: pelle chiara, occhi vuoti. Una sigaretta tra le dita ossute, bocche spalancate e nere di morte.
Non si accorse di star piangendo. Eppure fu come se qualche lacrima, lì in mezzo alla pioggia, cadesse sulle ombre e le svegliasse dal torpore: Suzuno alzò gli occhi verso di lui, Yuuichi stette immobile. E poi gli tesero una mano, inespressivi.
Shuuya pensò semplicemente che lì ci fosse tutto ciò che realmente desiderava. 
Un urlo di donna.

Un urlo di uomo.
Squarciò la notte nel silenzio delle case, raggiunse le stelle riflesse dei grattacieli.
Occhi rossi immersi nell'orrore.
E le ombre diventarono tre.

Angolo di Macareux
Ebbene, ho finito anche questa.
Cercando di non pensare ai lettori che avrei incontrato, a quante recensioni avrei ottenuto. 
La verità? Non ci sono riuscita. Tuttavia mi sembra un passo avanti rispetto a quando mi facevo paranoie per la minima virgola.
A proposito di questo, vorrei specificare che non credo esista una patologia simile. Né posso dire con certezza di essere brava a descrivere gravi stati psicologici dei personaggi.
Ma una cosa è certa: mi piace. E' quello che voglio fare. Non sarò in grado di gestire questo genere di cose, ma farlo mi realizza, e pazienza se lo faccio male: c'è sempre tempo per migliorare. 
Vorrei ringraziare chi ha letto questa piccola long, sperando che sia piaciuta a qualcuno. 
Ci vediamo con Death Mask (ex "L'Isola"), si spera .u.

Fay



   
 
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