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Autore: Phantom13    06/03/2014    5 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO 8
– Fazioni - 
 


Quella mattina, Shell aveva spiegato le ali di buon ora, aveva trangugiato la colazione, aveva scritto un bigliettino per avvisare il suo fidanzato che usciva, aveva aperto la finestra ed era volata via, a fare il suo jogging aereo. Le era sempre piaciuto volare, ovviamente. Coglieva dunque volentieri l’occasione di passeggiare per i cieli, cavalcando i venti, non appena il lavoro le concedeva tregua, quindi nei week end. Quel giorno non era però né sabato né domenica. Sapendo che comunque aveva il tempo contato alla redazione del giornale, aveva semplicemente smesso di andarci. Aveva più tempo per sé.
Specialmente sulla Terra si divertiva davvero tanto a vagare qui e là, esplorando le distese di quel meraviglioso pianeta, forse solo un pochetto intossicato con gas di scarico e cemento.
Ma quel giorno aprì le ali e balzò dalla finestra non per godersi quelle due o tre orette di esplorazione.
Aveva bisogno di silenzio e solitudine, per riflettere in tutta pace.
Dunque, niente campi, villaggi o foreste sconosciuti, quel giorno. Si diresse all’elemento che Madre Natura le aveva allegato. Andò al mare.
Non era troppo distante da dove abitavano lei e Wind, giusto una mezz’ora di volata. Non era un mare caldo, quello che bagnava le coste della città. Era freddo, nordico, increspato da schiumanti onde nere, che si schiantavano melodicamente su una grigia spiaggia di ghiaia e scogli.
Insomma, non esattamente una bianca spiaggia caraibica e soleggiata, con palme da cocco e conchiglie. Ma, tra tutti, quello era il tipo di mare che lei amava di più. Un mare selvaggio e ringhiante, che non offriva divertimento alle masse. Quello era il tipo di mare che si doveva osservare e basta; uno di quelli che, a guardarlo, si finiva per vedere i propri pensieri navigare via; uno di quei mari che impone rispetto per la propria forza, per l’impeto dei suoi venti, per il fragore delle sue onde scure e della sua spuma bianca.
Un mare da gabbiani.
Anche se in quel giorno il cielo era coperto, sulla spiaggia spoglia c’erano delle persone. Anime solitarie, che bramavano sgranchire le gambe lontano dal cemento della città e riposare le orecchie dai clacson dei taxi, solo per sostituire quei rumori con i fischi del vento e i ruggiti delle onde.
Il mare chiama a sé i viventi, sia terrestri che alati, sia di habitat che non.
Lei, ora, si trovava a quasi cento piedi dalla superficie d’acqua. Dietro, i palazzi. Davanti, l’infinito.
Onde, onde, onde, onde, onde, finché la rotondità del pianeta non ne nascondeva le distese. Onde increspate di bianco, le ombre dei pesci sotto il pelo dell’acqua blu notte. 
Un antico istinto fece capolino in lei. Un tuffo e li avrebbe presi senza difficoltà, quei pesci luccicanti.
Sorrise, battendo le lunghe ali bianche e inforcando una corrente ascensionale, che la soffiò di qualche metro ancora più su.
Ecco, era arrivata da cinque minuti e il mare aveva già completamente eroso via dalla sua mente la vera ragione per cui aveva deciso di andare lì. Incredibile, come l’acqua avesse il potere di calmarla nell’anima.
Erano passati cinque giorni. E di Shadow non s’era più vista nemmeno l’ombra.
Grazie alla vecchia Emma aveva appreso la verità, che per altro l’aveva lasciata davvero sgomenta. La sua prima reazione? Si era vergognata. Vergognata di aver creduto alle marce menzogne di quei luridi della televisione. Poi, la rabbia verso sé stessa si era rivolta verso i veri artefici di quella messa in scena. O era l’intero genere umano che faceva patologicamente schifo, oppure quelle creature davano alla luce di tanto in tanto per loro natura alcuni individui specifici invasi da una sorta di innata cattiveria, risparmiando geneticamente al resto della popolazione una tale decadenza d’animo, compensata con sorda cecità. Erano le uniche due spiegazioni logiche.
La gente non sapeva, perché altra gente della stessa razza le aveva proibito di sapere.
Cose da non credere! La più grande catastrofe che avesse mai colpito il loro pianeta era stata evitata per un soffio e loro che facevano? Si scordavano di essere stati salvati a costo della vita di un riccio che non aveva nulla da spartire con loro, al contrario aveva tutte le ragioni per esigere vendetta. E non solo! Si erano anche rivoltati verso di lui, dandogli la caccia con quella furia indiavolata!
Le si stringeva il petto, quando ci pensava.
La vecchia Emma non le aveva potuto dare tutti i dettagli della faccenda, specialmente quelli riguardanti l’ARK - citata sfuggevolmente negli articoli, estranea pure alla memoria della segretaria e quindi ancora immersa nel mistero - ma Shell aveva appreso abbastanza da poter affermare con convinzione che si sarebbe schierata dalla parte del riccio. E senza pensarci due volte.
Ed ecco il motivo per cui era venuta al mare.
Doveva ragionare, scegliere le proprie mosse e contromosse. E trovare un sistema per tener Wind ben lontano da tutto quel casino. Lui era al corrente del suo interesse per Shadow, ma non conosceva tutti i particolari. E così avrebbe dovuto rimanere.
Il primo passo che aveva fatto era stato smettere di andare al lavoro, con le conseguenti scuse date a Nut e al resto della banda. Sentiva, dentro di sé, che se avesse contribuito anche solo per un altro istante ad aiutare a diffondere quelle frottole sarebbe impazzita. Il suo tempo là era limitato comunque, indipendentemente da come lei gestiva interiormente la faccenda della verità assassinata.
Il secondo passo era stato trovare una nuova fonte di mezzi di sussistenza, ovverosia un nuovo lavoro. Sua sorella le aveva promesso che, forse, sarebbe riuscita a procurarle un posto nella sua bottega da fiorista. Ma si doveva ancora attendere per una conferma.
Il terzo passo era ancora da mettere in atto: trovare una ragione valida per mettersi davvero in tutto quel casino. Insomma, chi era lei per dover aiutare – quindi sperando di essere utile - ad un tizio che era riuscito a fermare una colonia spaziale in rotta di collisione con la Terra? Ancora, non v’era stata risposta. Solo, una vaga possibilità, una pallida idea, di scrivere cose su internet. Lei, a scrivere, era brava. L’unica cosa che sapesse fare. Dunque, diffondere la verità su internet, scrivere articoli, cose così …
Quindi, lunga vita alla verità!
Il quarto passo … beh, era ancora da stabilire con esattezza. Ma l’idea di base era quella di trovare qualcun altro che la pensasse circa come lei; qualcuno che, come la signora Emma, sentisse puzza di bruciato. Qualcuno intenzionato a ribellarsi come lei: meglio combattere in compagnia, se si può. Ma non aveva idea di come cominciare a “reclutare”. Il nome di Shadow provocava brividi nelle colonne vertebrali di tutti, fare domande era scomodo almeno tanto quanto rispondere. Dunque, innanzi tutto, doveva riuscire a trovare qualcuno più bravo di lei a scovare le informazioni giuste che permettessero di contattare le persone giuste.
Perché? Perché l’unione fa la forza e un annuncio dall’apparenza rivoluzionaria, se pronunciato da più bocche, forse, sarebbe stata ascoltato da più orecchie. Una sola gabbianella che gracchiava storie sul più spietato serial killer del secolo e sulla sua segreta identità di eroe? Bah.
Dunque, restata da trovare il cercatore di informazioni. Aveva perfino pensato di andare a parlare direttamente con Sonic (non ci voleva molto a scoprire dove abitasse). Ma girava voce che lui stesse aiutando le forze dell’ordine a catturare Shadow.
Inizialmente si era sentita disgustata da lui. Come poteva voltar le spalle così ad un amico dopo tutto quello che avevano passato insieme?
Poi aveva valutato l’idea che, forse, Shadow era diventato cattivo davvero e che Sonic era nel giusto. Si era sentita disgustata da sé stessa.
Al che, non sapeva più cosa pensare. Ed era aumentata la necessità di trovare un buon cercatore di informazioni, uno che fosse a conoscenza delle persone come Emma, che tenevano nascosti articoli di giornale, dunque che avesse a disposizione più informazioni rispetto a lei. Qualcuno che magari capisse meglio cosa stesse succedendo tra i due ricci.
Forse, stavano collaborando, in un qualche modo?
Bah.
E gli omicidi, o meglio, i massacri di cui Shadow era accusato? Erano finzioni o la gente stava morendo davvero? E il furto in banca?
E il cercatore di informazioni avrebbe dovuto essere qualcuno di discreto, di sconosciuto alle autorità. Qualcuno di invisibile, come un fantasma, e forse anche di più. Tremava all’idea di dover andare a cercare un personaggio così tenebroso, qualcuno di sfuggevole all’attenzione, dal profilo sconosciuto alla polizia o ai manipolatori dei media che perseguitavano Shadow.
Dove? Chi?
Immersa nei suoi pensieri, Shell non si accorse che qualcun altro volava, sopra di lei. Con le penne delle ali che fremevano al vento salmastro, con l’aria che le sibilava attorno, tenendola sollevata, non s’accorse del silenzioso approccio aereo.   
Semplicemente si trovò catturata prima di poter dire o fare qualunque altra cosa. Qualcosa la afferrò per le spalle, bloccandole di conseguenza braccia e ali.
Le scappò un grido mentre il suo aggressore scoppiò a ridere.
-Ti ho presa di sorpresa ancora, gabbianella. Dovresti essere più cauta, quando voli in cielo aperto. Ci sono le aquile che possono mangiarti.-
-Wind!- ruggì Shell. –Disgraziato, mi hai fatto prendere un colpo!-
L’aquila schiuse la presa, lasciando andare la consorte, badando bene a non farle male con gli artigli. La gabbianella, dalle penne tutte arruffate, spiegò di nuovo le ali, qualche metro più sotto, riconquistando autonomia ed equilibrio.
-Scusami, cara. Mi sono svegliato e tu non c’eri. Ho pensato di venire a farti una sorpresa.-
-Come sapevi dove trovarmi?- borbottò lei.
-Ti conosco assai bene, oh mio sole.- ridacchiò lui, scoccandole al contempo un’occhiata di giocoso rimprovero.
Wind provò ad affiancarla, abbassandosi di quota, ma Shell richiuse interamente le ali e si lasciò cadere in picchiata, per puro dispetto, facendo la linguaccia all’aquila che, colta la sfida, si gettò all’inseguimento.
L’aria fischiava loro nelle orecchie, la superficie schiumante del mare diveniva sempre più vicina. Il gabbiano sterzò bruscamente, ad un nulla dal pelo dell’acqua, svicolando in un avvallamento tra due onde particolarmente profondo. L’aquila dovette rallentare prima, per paura di bagnare il proprio piumaggio e perdere temporaneamente la capacità di volare a causa del peso dell’acqua che avrebbe inzuppato le sue piume. Si inseguivano, a folle velocità, sulla superficie, zigzagando tra le onde e i venti, salendo e scendendo, tra picchiate in verticale e avvitamenti.
Sulla spiaggia, un bimbo a passeggio che stava raccogliendo conchiglie indicò ridendo alla madre le peripezie aeree dei due.
Per quanto la gabbianella sbattesse forte le ali, non poteva reggere il confronto con un’aquila reale. Wind la raggiunse e tentò di afferrarla di nuovo con gli artigli; lei, per evitarlo, si abbassò di qualche centimetro di troppo, e un’onda di qualche centimetro troppo alta le afferrò la pancia e la punta di un’ala, trascinandola in acqua e sollevando una nuvola di spruzzi.
Wind la superò in volo, facendo subito dopo inversione di rotta e tornando indietro.
Shell, immersa nell’acqua gelida, galleggiava a pancia in su. Rideva.
-Non mi aspettavo di certo di fare così la doccia, questa mattina.-
Wind cominciò a volteggiarle attorno, a cerchio. –Sei scappata nell’acqua! Vigliacca! Avevo vinto io di nuovo! Ti avevo presa!-
Risero tutti e due.
Shell rimase a mollo ancora per qualche secondo. Poi si riscosse, con tre poderosi colpi d’ala si staccò dalla superficie del mare per tornare a librarsi nel cielo. Gocciolava. E faceva freddo, ma non tanto. Le sue piume isolavano bene dall’acqua e dal freddo. Due in uno.
Wind la aspettava a cavalcioni su una corrente tiepida, che aleggiava a metà tra la superficie e il cielo alto, ottima se si voleva rimanete sollevati da terra senza dover battere fastidiosamente le ali. E le aquile erano maestre nel solcare i venti a quel modo, a risparmio-energetico. Così come i gabbiani domavano i venti ringhianti e salati degli oceani.
Si mossero entrambi verso la spiaggia, sorvolando il bimbo che prima gli aveva indicati. Lì, sfruttando il calore accumulato da un gruppo di rocce e la conseguente corrente calda, risalirono di quota.
Volteggiarono in silenzio, per un po’.
-Ti sei persa il telegiornale, stamattina.- le disse Wind, con un’insolita voce pacata. –E hanno parlato di Shadow.- aggiunse.
-Davvero?- Shell si illuminò.
Wind, all’opposto, si oscurò. –Hai in mente quella famiglia scomparsa cinque giorni fa? Ecco, l’hanno ritrovata sminuzzata in un prato, tutt’attorno ad una coperta da pic nic. È stato Shadow.-
-Non è stato lui.- si lasciò scappare la gabbianella, prima di riuscire a frenarsi.
-Loro dicono di sì.- Wind la guardò in tralice.
-Ma mentono.-
-Come lo sai con certezza?- la voce dell’aquila tradiva irritazione repressa, cosa assolutamente insolita in lui. Lei lo guardò. Soffriva, glielo leggeva negli occhi. Fremeva dalla voglia di sapere su cosa la sua futura moglie stesse indagando, e quali fossero i rischi reali che ciò comportava. Shell abbassò gli occhi sulla spiaggia. Almeno una qualche informazione gliela doveva. Si erano fatti la promessa di non mentirsi mai.
Mentre Shell cercava un modo semplice per spiegarglielo e tenerlo al contempo fuori dai guai, lui riprese la parola.
Wind ridacchiò. –Sto quasi cominciando a sentirmi geloso. Pensi sempre a quel riccio e mai a me.- il tono dell’aquila era tornato quello di sempre, come se la tensione di poco prima non ci fosse mai stata. Allegro e scherzoso.
-Ma dai!- lo rimbeccò lei. Wind lo faceva spesso: era il suo modo di tirarsi indietro quando capiva che quello che aveva detto avrebbe potuto portare ad un litigio con una persona amata, in questo caso lei. Se c’era una cosa che Wind odiava era arrabbiarsi con le persone che amava. Odiava provocare dolore in loro, e odiava ancor più lasciarsi sfuggire qualche parola cattiva, capace di ferire. Dunque, evitava con ogni cura i litigi.
-Già. È frustrante!- insistette ancora lui.
Cadde di nuovo il silenzio.
-Promettimi solo una cosa.- scherzi a parte, ciò che voleva dire Wind era serio. Shell lo ascoltava. –Per me puoi fantasticare quanto vuoi su Shadow. Voglio ed esigo, però, che mi prometti una cosa sola: e cioè che non ti metterai nei guai.-
Shell guardò Wind. –Ovvio che te lo prometto.-
-Giurami che non farai mai niente di stupido, che non andrai a inimicarti gente pericolosa soltanto nel nome della verità. Giurami che non ti intrometterai nella guerra di quel riccio. E soprattutto, giurami che non tenterai mai di contattarlo, di incontrarlo o di anche solo parlare con lui.- Wind fece una pausa, guardando in giù, verso le onde scure. –Lo so che tu credi alla sua innocenza. E io starò sempre dalla tua parte, e lo sai. Quindi ti credo. Ma non cambia il fatto che non mi fido di lui e mai mi fiderò. Ha comunque qualcosa di strano, questo Shadow. E io non voglio che lui sappia che noi esistiamo.- ora voltò lo sguardo per incontrare quello di Shell, e non c’è nulla di più penetrante degli occhi di un’aquila –Ammesso che lui sia innocente e che non faccia del male alla gente, chi gli sta dando la caccia al contrario non si fa problemi ad accoppar le persone. Se tu ti avvicini a Shadow, se ti inserisci nella sua causa e nella sua guerra, attirerai la loro attenzione su di noi. E ci uccideranno.-
Con quei suoi occhi di rapace, lui aveva scorto nelle pieghe più nascoste della sua anima, sviscerando con inquietante precisione ciò che gli angoli più reconditi della mente della gabbianella avevano escogitato, senza che nemmeno lei stessa ne prendesse davvero coscienza. Lui la vedeva come nessun’altro poteva: lui, quando guardava una persona, non si fermava all’aspetto. Scrutava fin nell’anima.
Shell crollò dentro, nel profondo. Wind aveva semplicemente troppa ragione, su tutta la linea.
Loro due o Shadow.
-Quindi.- riprese lui. –Ti prego, restane fuori. Segui pure le vicende di questa storia, ma non prenderne parte. Se questo Shadow è tanto in gamba come dici, allora saprà cavarsela anche senza il tuo aiuto.-
Wind ancora la guardava, in attesa di risposte o reazioni.
-Ho freddo.- disse piano Shell. –Torniamo a casa, ti va?-
Quando negli occhi di Wind corse la delusione, lei parlò di nuovo. –Voglio raccontarti una cosa, quando arriviamo. Qualcosa che gli altri hanno dimenticato.-
 
 
James Herron deglutì, nervoso. C’erano attualmente due punti principali che minavano alla base la sua tranquillità emotiva: primo, il fatto che si trovasse in uno dei laboratori di ricerca, ambiente ad alto rischio nonché squallido e poco accogliente, con tutti  quei freddi macchinari rumorosi e quel pungente odore di sostanze chimiche e sangue; secondo, il fatto che con lui vi fosse il capo.
Il capo. Colui che stava finanziando baracca e burattini, il primo che aveva pensato ad ottenere l’immortalità per la razza umana tramite il DNA di un certo riccio nero, che si era rivelato più tenace e spinoso del previsto.
James rimase completamente in silenzio, occhi a terra, seguendo come un cane fedele l’uomo che camminava davanti a lui, che faceva ticchettare le scarpe lucidate sulle lastre metalliche del pavimento ad ogni passo. Quel suono ritmico non tranquillizzava di certo, né tanto meno lo era il cipiglio burrascoso che dominava il viso scolpito del capo.
La luce al neon che illuminava l’intera struttura tremolò.
-Quando hai detto che è successo?- chiese con voce piatta l’uomo.
-Cinque giorni fa, signore.- rispose subito James.
-Un laboratorio e una creatura persi in un solo giorno … questo lascia pensare parecchio.- il sibilo da serpe irritata fece tremare il midollo della spina dorsale di James, che preferì tacere.
Giunsero davanti allo specchio-finestra unilaterale (che, a rigor di logica, avrebbe permesso di osservare senza venir a propria volta visti) che dava sulla stanza di contenimento del soggetto 567. Ciò che rimaneva di Teta era conservato in una capsula. Le cellule staminali e il liquido speciale in cui la creatura era immersa stavano facendo miracoli. Metà della cute di Teta era stata ripristinata quasi completamente, nonostante in alcuni punti i tessuti carbonizzati dall’esplosione davano ancora mostra di sé, come per esempio alcuni muscoli su di un fianco e su una gamba. La ricomposizione cellulare non era un affare semplice, ma stava procedendo bene. Per le ossa rotte la faccenda necessitava di margini temporali più ampi, sebbene ugualmente in avanzata rapida.
Le pupille del capo di assottigliarono.
-Ripetimi di nuovo: com’è successo questo disastro?-
La voce di James tremò appena. –Quando Shadow attaccò e distrusse la base Gamma, venne danneggiato il furgone sul quale stavamo trasferendo i soggetti. Teta567 ebbe così l’occasione di fuggire e, siccome avevamo già inserito nel suo sistema celebrale le informazioni riguardando Shadow e gli ordini di targeting, è partito subito alla sua ricerca. Il soggetto Teta567 nutre uno smodato desiderio di lotta e sangue, signore, già verificato in più circostanze. È stato questo suo istinto che l’ha portato a fuggire e a scontrarsi con il soggetto S.-
Il capo serrò le mascelle. –Dovreste essere voi scienziati a comandare, non loro.- se possibile, la sua voce divenne anche più minacciosa, pur mantenendosi piatta. –Lo stesso vale per Shadow, ovviamente. Non dovrebbe essere quell’essere a giostrare gli eventi, bensì voi, che vi fate chiamare scienziati. La scusa dell’aggressività da parte delle vostre creazioni dunque non regge. Non mi serve a nulla un soldato che uccide e non obbedisce. Io voglio pedine, non calamità ambulati che trinciano qualunque cosa semovente che passi loro davanti.-
James si sentì pietrificare le viscere.
Pelo Rosso aprì gli occhi, tenendo le orecchie nuove ben ritte. Snudò i denti in direzione dello specchio-finestra. Lui non poteva vedere chi vi fosse dietro, ma pareva riuscire ad udirli. Ululò, alzando di botto le braccia e sbattendole contro le pareti della capsula. I ricercatori lì a fianco sussultarono, balzando indietro.
-Ci può vedere?- chiese dubbioso il capo.
-No, signore. Sente le nostre voci. Ha un ottimo udito.-
-Non sono blindate, la camera e la capsula?-
-Certo, lo sono, signore. Ma, vede, l’udito di Teta567 è davvero oltre la norma.-
Il capo si avvicinò al vetro, assottigliando lo sguardo. Teta ruggì di nuovo, attaccando ancora la capsula, che resse. –Ma non l’avevate sedato, prima di cominciare le operazioni di restaurazione?-
James rabbrividì. –È sedato, signore. Quel vetro altrimenti sarebbe già fracassato.-
Il sopracciglio sinistro dell’uomo si sollevò. –Ah.- disse semplicemente, con fare lievemente ammirato.
-Ha una resistenza notevole, signore.- si sentì in dovere di aggiungere James.
-Lo vedo.- sussurrò l’altro. –Questo mi fa piacere.- disse, sebbene il suo tono non cambiò la sfumatura impassibile e minacciosa. –Tuttavia, se non siete capaci di tenere addormentato questo- fece un gesto verso il vetro –non vedo come riuscirete a tenere fermo Shadow, quando giungerà il momento.-
James esitò. –I ricercatori sono all’opera da tempo, hanno praticamente ottenuto una soluzione chimica adatta. Funzionerà quasi sicuramente su Shadow, ma non può essere utilizzato con altri. Il problema è che non siamo sicuri dei danni che potrebbe arrecare al cerebro di Teta567: è piuttosto fragile.-
Senza commenti, l’uomo riprese a camminare, seguito a ruota da James.
Raggiunsero la seconda finestra, dieci passi più in giù. Dentro vi era una stanza interamente bianca, la porta incastonata nella parete opposta a loro. Al centro del pavimento c’era un gancio al quale stava affrancata una catena, alla qual avrebbe dovuto essere legato il soggetto Zeta587, il terzo elemento dei tre esseri viventi artificiali nati in quei laboratori. Ma, stranamente, la catena era tesa verso l’altro, come se l’imprigionato fosse attaccato al soffitto, quindi al di fuori dal campo visivo degli osservatori, limitato dalla ristrettezza della finestra-specchio.
La fronte del capo si corrugò. –Dunque?- chiese.
James roteò i bulbi oculari verso la catena, bizzarramente retta. –Il soggetto Zeta587 ha l’abitudine di stare appeso al soffitto praticamente tutto il giorno.-
-C’è un motivo particolare?- domandò, lasciando trapelare la propria indignazione.
-I ricercatori ritengono che questo comportamento sia ricollegabile in parte alla natura che compone il settanta per cento del DNA di Zeta587. Altri invece ricollegano questo comportamento ad una sorta di primitivo senso della ripicca.-
Il sopraciglio destro del capo si sollevò, e James si sentì in obbligo di spiegare meglio.
–Fino a poco tempo fa non v’erano mai stati incidenti con il soggetto Zeta587, essendo esso meno violento di Teta567. Per questo motivo non è mai stato necessario provvedere a mezzi di alta restrizione, come catene e museruole. Recentemente, però, ha cominciato a tendere agguati ai ricercatori, appostandosi sopra agli stipiti della porta di questa cella. Così, alla terza uccisione, si è ricorsi a legare al guinzaglio il soggetto che ha dunque cominciato ad arrampicarsi sul soffitto e mettere di conseguenza in difficoltà gli scienziati. Come arrivi lassù era inizialmente un mistero, poiché la catena non è lunga a sufficienza per permettere alla creatura di raggiungere i muri e salire così sul soffitto. Le telecamere hanno confermato che Zeta587 spicca balzi in verticale per raggiungere tale posizione.-
-Ingegnoso.- disse piano il capo.
-Molto, signore. Ha lo spirito di un cacciatore.-
La porta doppiamente blindata della cella si aprì, rivelando l’angusto spazio tra quella e la seconda porta che dava sul corridoio, blindata anche quella. Due porte, doppia sicurezza. La catena che puntava al soffitto tremò, e si udì un sibilo gutturale.
Una ricercatrice, vestita con una sorta di veste di piombo (come quella degli operai delle centrali nucleari) entrò a lenti passi nella stanza, occhi puntati in alto. Lasciò per terra una ciotola colma di carne fresca e sanguinolenta. Zeta587 uggiolò, ma non si mosse. La donna uscì, ma la cavia ancora non si mosse.
-Aspetta che ce ne andiamo, signore.- disse piano James, alludendo allo strano comportamento della cavia.
-Perché?- chiese il capo. –Pure Zeta587 è in grado di vederci?-
-Esattamente, signore. I suoi occhi captano i raggi infrarossi, dunque vede il calore. Anche noi, quindi. Pure attraverso il muro.-
-A questo punto ci si potrebbe domandare a cosa servono gli specchi ad un solo lato.-
Il capo incrociò le braccia dietro la schiena, cambiando argomento. –Come se la cava in battaglia?-
-Il programma di combattimenti d’allenamento dell’arena è appena iniziato, signore. Le rilevazioni non sono state molte. Ma i pochi dati raccolti promettono bene. Non è impulsivo come Teta567, è più calcolatore. Come un predatore in natura, che tende agguati alle prede. Non conta solo sulla forza bruta. Ma è prevedibile. Agisce come un animale, non ragiona attentamente sulle mosse da fare, usa attacchi semplici. Ha dimostrato di possedere intelletto, sebbene ridotto ad istinto predatore. Riesce a compiere ragionamenti, ma tutti di livello sostanzialmente semplice, sebbene molto più elevati rispetto a quelli di Teta567. -
Ripresero a camminare, raggiungendo l’ultima cella.
Più si avvicinavano alla finestra-specchio, più la gola di James si seccava. Non osava nemmeno immaginare quale sarebbe stata la reazione del capo alla vista dell’ultima cavia.
Lo spettacolo che si parò loro davanti oltre il vetro di protezione fu infinitamente diverso rispetto agli altri due, che promettevano ferocia e battaglie. Accovacciato, con le ginocchia stette al petto, il roditore semi-metallico stava incantato davanti ad una piccola tv, completamente catturato dalle immagini che scorrevano sullo schermo. A giudicare dagli occhi sgranati dello spettatore, il documentario in onda sulla vita degli opossum argentini doveva essere appassionante come il più frenetico dei film d’azione. Il piccolo cyborg era tutto preso dalla visione, la sua sottile coda rosea si muoveva sinuosa nell’aria, mentre il suo nasino fremeva, annusando di continuo nella direzione della tv, come se da essa potessero trapelare gli odori del bosco ripreso dalle telecamere.
Il silenzio prolungato da parte del capo fu sufficiente a far sfiorare al muscolo cardiaco di James l’infarto.
-Spiegami.- ringhiò.
James tentò di ritrovare la voce, non ci riuscì.
-Spiegami perché diavolo una delle mie macchine di morte sta guardando uno stupidissimo documentario della BBC sugli opossum!- per la prima volta dall’inizio della visita, il capo urlò.
James mosse le mascelle a vuoto un paio di volte, prima di riuscire definitivamente a parlare. –P…perché- cominciò –i ricercatori hanno dedotto che insegnando una volta per tutte al soggetto Eta566 com’è fatto il mondo, il livello della sua concentrazione sarebbe aumentato.-
Lo sguardo del capo di fece caustico.
James si affrettò a continuare. –Il soggetto Eta566 ha dimostrato un notevole tasso di curiosità nei confronti di ogni singola cosa che entri nel suo campo visivo. Finchè non riesce a capire perfettamente cosa lo circonda, in qualunque situazione, non si può sperare di ottenere un grammo d’attenzione da parte sua. Ha un concetto differente delle priorità, Eta566.-
Il silenzio di ghiaccio che seguì congelò James fin nell’anima.
-E, di grazia, come siete arrivati a capire che la soluzione del problema erano i documentari della BBC sugli opossum?- il veleno nella voce del capo corrose per poco gli sporadici barlumi di lucidità di James.
-L…la soluzione non sono stati i documentari, s…signore. Sono semplicemente la conclusione del processo di apprendimento di Eta566.-
Gli occhi roventi del capo ruotarono verso di lui.
Deglutendo, James riprese. –Vede, signore, i libri sulla destra? Ecco, quelli erano la prima parte del processo di apprendimento. Ma, siccome a Eta566 le parole e le illustrazioni non bastavano più, siamo passati a mostrargli filmati. Non potendo portarlo noi fuori personalmente, abbiamo portato l’esterno da lui, qui dentro.-
Il capo voltò lo sguardo verso destra. Effettivamente, c’erano volumi cartacei. –Ma quelli laggiù- disse lentamente. –Non sono libri, signor James. Sono enciclopedie, e dizionari.-
-Sono ventisette enciclopedie differenti, signore, alcune illustrate, altre no. Forse, signore, le farebbe piacere sapere che il soggetto Eta566 le ha lette tutte quante in sole ventiquattro ore.-
Lo sbalordimento trapelò dall’espressione sul viso del capo, sebbene il palese sforzo di quest’ultimo di camuffarlo. –Non credevo fosse possibile.-
James stiracchiò le labbra in un sorrisetto nervoso. Almeno un punto a favore c’era.
La scena alla televisione mutò. Fece la sua entrata in scena un felino maculato (del quale sinceramente James non conosceva il nome) che decise di prendersi come cena l’opossum protagonista del documentario. Le riprese si alternavano tra l’avanzamento rapido del felino e il musetto ignaro del marsupiale in questione.
Il grido terrorizzato di Eta fece sobbalzare i due uomini in osservazione. Sgomenti, videro il loro piccolo roditore cyborg da laboratorio schizzare in piedi con foga quasi febbrile, scagliarsi verso il televisore e urlare a squarciagola con una vocetta stridula –Attento! Scappa! Ti mangia! Scappa!-
Il sangue di James gelò. Ecco. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dire il “piccolo problemino caratteriale” di Eta566 al capo. Ma, onestamente, non ne aveva ancora avuto il coraggio. Come poteva, lui, andare a dire al grande capo: senti, la tua micidiale bestia assassina in realtà resta incantata a guardare le nuvole in cielo e saluta qualunque cosa che si muova.
La vena pulsante sulla tempia del capo, non era un buon segno.
Ma, se il felino alla tv aveva intenzione di riempirsi lo stomaco con il marsupiale, l’opossum era di tutt’altro avviso. L’affarino peloso, infatti, sfoderò l’arma illusionistica che l’aveva reso tanto famoso nel mondo. L’opossum si irrigidì tutto, crollò a terra, con la bocca dentuta mezza aperta, fingendosi morto.
Lo sguardo incredulo e smarrito di Eta566 avrebbe senz’altro strappato un sorriso intenerito ad un osservatore esterno. Sfortunatamente, il ringhio di furia a stento repressa del capo fece sfumare ogni ilarità possibile per James.
Per tutto il periodo in cui il felino analizzò il corpo in tanatosi dell’opossum, Eta566 rimase incollato allo schermo, con le lacrimucce agli occhi dalla preoccupazione. Quando però il cronista rivelò il trucco messo in atto dal marsupiale, un sorriso di sincero sollievo illuminò il musetto grigio pallido di Eta566.
Che dire, forse, il piccoletto si stava immedesimando un po’ troppo con qualunque cosa avesse orecchie rotonde in cima al cranio e una coda sottile attaccata in fondo alla schiena.
Il felino se ne andò, e qualche tempo dopo l’opossum tornò alla vita.
E quella di James rischiò seriamente di finire.
O forse, quella di Eta566 rischiò anche di più.
Gli occhi del capo si assottigliarono, un sibilo da serpe gli sfuggì dalle labbra.
 
 
Vanilla ripose l’ultimo piatto nella lavastoviglie e richiuse lo sportello, accendendo la macchina. Sospirando, si voltò verso la banda quasi al completo accampata in salotto.
Sonic faceva finta di essere interessato al programma che stava andando in onda alla TV. Knuckles stava selvaggiamente combattendo per tenere le palpebre aperte. Amy osservava confusa Tails, intento ad installare in salotto quello che pareva un completo apparato spionistico. Chilometri di cavi correvano tra divani, sedie e tavolini, collegando vari apparecchi di cui sinceramente Vanilla non conosceva né l’uso né il nome. Uno di quelli, però, pareva vagamente un computer.
Cream era di sopra, in camera sua, che giocava.
-Sonic!- gridò di colpo Knuckles, facendo sobbalzare tutti gli altri, troppo assuefatti dal pesante silenzio che regnava nella stanza. –Ma sei sicuro che Shadow abbia capito cosa gli hai detto?- ringhiò.
Il riccio blu si voltò a guardarlo. Sospirò, stufo di ripetere nuovamente la risposta.
Knuckles riprese. –No, sai, perché sono le due del pomeriggio e lui ancora non s’è fatto vedere.-
Sonic sbuffò di nuovo. –Va bene. D’accordo. Ho dimenticato di dirgli a che ora. E con ciò?-
-“E con ciò” siamo qui ad aspettarlo da quasi quattro ore!- l’isteria dell’echidna toccò il culmine.
Una pericolosa lampadina si accese nel cervello di Sonic, un improvviso ghigno si distese in faccia al riccio blu. –Siamo nervosi, eh?- cominciò, il sorriso si espanse. –Davvero sei così ansioso di rivedere Rouge? Credevo che voi due non…-
Il riccio fu brutalmente costretto a tacere per evitare il cazzotto spinato che l’echidna gli scagliò contro.
-Crepa!-
Ma se Sonic aveva sperato che schivare il primo colpo sarebbe stato sufficiente a far crollare i propositi dell’echidna, si stava sbagliando di grosso. Vanilla sospirò affranta. Aveva fatto bene a togliere dal salotto ogni tipo di oggetto fragile, quali vasi o porcellane varie, in previsione del loro arrivo.
Ora, certo, il tavolino al centro della stanza aveva un aria decisamente spoglia, ma il cuore di mamma coniglio si rallegrò ugualmente. L’indicibile groviglio di braccia e gambe rosse e blu che si rotolava sul divano rese la padrona di casa incredibilmente lieta della scelta presa.
Purtroppo, non altrettanto poteva dire Tails, che in un atroce attimo vide nella propria mente tutti i complicati circuiti di cavi e prolunghe accuratamente studiati spazzati via dai due combattenti. Si gettò protettivo contro quello che Vanilla aveva chiamato “computer”. –Ehi, voi due! Piantatela!- gridò il volpino, tentando disperatamente di salvare il suo minuzioso lavoro durato ore.
La matassa scalciante diminuì un poco la foga di rotolamento, comunque lasciando i due combattenti strettamente avvinghiati l’un l’altro.
Amy affiancò Vanilla, reggendo con una mano il vassoio che qualche ora prima aveva contenuto l’aperitivo. –Cresceranno mai?- chiese retoricamente la riccia.
Vanilla ridacchiò. –Oh, cara.- disse piano.
Amy sospirò. –Già, già. “Lasciate ogni speranza”, vero?-
La coniglietta annuì, con un caldo sorriso sul muso. –Tempo, cara. Tempo e pazienza.-
Il quel preciso istante, la stanza si illuminò di colpo di una luce molto più intensa e concentrata di quella naturale che filtrava dalle finestre.
Il Chaos Control schioccò a mezz’aria. Due figure presero vagamente forma, nel cuore di quel bagliore, e con uno schianto secco, atterrarono sul tavolino al centro del salotto (Vanilla lodò mentalmente di nuovo il proprio intuito a spostare da lì i vasi con i fiori).
Shadow abbassò lo sguardo verso il mobile. –Non ricordavo che ci fosse un tavolo, qui.- mormorò.
Rouge, dietro di lui, perse per un attimo l’equilibrio, troppo vicina al bordo del tavolino. Il suo innato senso dell’equilibrio le permise di non cadere a terra. Con un lieve colpo d’ali, si posò sul tappeto, atterrando perfettamente in piedi. Shadow la raggiunse, qualche attimo dopo.
-Il tavolino infatti è nuovo. Comprato una settimana fa.- disse timidamente Cream, facendo capolino dalla rampa di scale che conduceva di sopra.
Lo sguardo scarlatto di Shadow trovò il riccio blu, ancora alle prese con la furia di Knuckles, ora però sfumata come per magia. Gli occhi smeraldini di Sonic incrociarono quelli di fuoco del riccio nero.
-Ciao a tutti, ragazzi!- salutò Rouge con enfasi. –Che bello rivedervi.-
Tails si tirò su in piedi, raggiante. –Siete arrivati, finalmente!- li salutò.
Rouge sorrise. –Non sapevamo esattamente a che ora dovevamo venire. Abbiamo dunque scelto un orario nel quale sicuramente qualcuno si trovava a casa.- spiegò.
Amy li raggiunse. –Potevate venire un po’ prima, così avremmo pranzato assieme.-
-No.- la voce di Shadow suonò anche più fredda del solito. –Rimanere troppo a lungo è pericoloso.-
Uno strano silenzio seguì le parole di Shadow. Rouge si affrettò a limitare i “danni”. –Effettivamente, non possiamo trattenerci per molto. Spiegateci il motivo per cui ci avete chiamato.- propose poi, con voce invitante.
-Certamente- disse Tails. –Venite qui.- propose, invitandoli a posizionarsi più vicini allo schermo.
Vanilla mosse qualche passo avanti, avvicinandosi un po’ di più. No, non si era sbagliata. Il corpo del riccio nero era più magro rispetto all’ultima volta che l’aveva visto. Non di molto, ma un poco sì.
Un moto di preoccupazione attraversò il cuore di mamma coniglio.
Era grave a tal punto la situazione?
Osservò anche Rouge. Lei non sembrava cambiata molto. Vanilla scommise però che sotto al trucco, particolarmente abbondante quel giorno, la pipistrella avesse nascosto delle occhiaie. Del resto, la postura di Rouge, per quanto lei si sforzasse di mascherarlo, tradiva stanchezza. Il modo in cui lei muoveva le braccia, una lieve arcuatura nella schiena …
Shadow invece non lasciava trapelare alcuno sfinimento. Era sempre stato un maestro, lui, a nascondere il suo reale stato d’animo. Anche se fosse stato sul punto di morte, Vanilla scommise che nessuno se ne sarebbe accorto se lui non voleva darlo a vedere. Effettivamente, né Sonic, né Amy, né Tails, né Knucles avevano minimamente notato il lieve cambiamento nella postura dei due nuovi arrivati.
Eppure, gli occhi della Forma di Vita Definitiva continuavano a controllare le finestre, scattavano di continuo verso la porta. Vanilla si stupì di come il riccio nero scovasse sempre l’attimo di distrazione in cui gli occhi degli altri non erano rivolti a lui per controllare le finestre. Shadow era teso, visibilmente teso. Forse troppo inquieto per riuscire a mascherarlo?
Muscoli e nervi pronti a scattare. Lo sguardo di chi si aspetta di venir attaccato da un momento all’altro, di chi non si aspetta più una tregua.
Il cuore di Vanilla pulsò dolorosamente, sia di preoccupazione che di tristezza. C’era qualcosa di profondamente sbagliato, e qualcosa di profondamente cattivo all’opera.
Cercò freneticamente qualcosa che lei, misera casalinga, potesse fare per aiutare quei due.
Tornò rapidamente in cucina e afferrò una teglia di biscotti che aveva preparato in mattinata. La portò di là e con un sorriso smagliante chiese se qualcuno aveva fame.
I primi a muovere gli occhi verso la teglia furono, come Vanilla aveva immaginato, Rouge e Shadow. Sonic e gli altri, del resto, erano ancora alle prese con lo smaltimento del sontuoso pasto appena consumato.
La pipistrella ne prese uno, ringraziando caldamente. Shadow, invece, rimase zitto e immobile, tornando a guardare lo schermo di Tails in via d’accensione. Rouge gli fiorò impercettibilmente un braccio, facendogli alzare di nuovo lo sguardo. Rouge indicò i biscotti. Shadow socchiuse gli occhi. Lei incrociò lo sguardo con lui, come se le rispettive occhiate fossero state spade. Il silenzioso e rapidissimo scontro trovò la sua conclusione prima che chiunque degli altri se ne fosse nemmeno accorto. Shadow allungò una mano e prese un biscotto, mugugnando un “grazie” a mezza voce.
Vanilla depositò il vassoio lì vicino, a portata di mano, tornando in cucina.
A cosa aveva appena assistito?
Rouge aveva vinto, costringendo in un qualche modo il compagno a mangiare.
Ciò voleva dire che inizialmente Shadow aveva rifiutato soltanto in nome del suo particolare codice d’onore, oppure per un'altra motivazione più nebulosa?
E Rouge era riuscita a costringerlo a cambiare idea.
Vanilla guardò di nuovo il riccio nero. Si sorprese quando si trovò a sua volta fissata dai due occhi rosso sangue di Shadow. La coniglietta si sentì raggelare, come sempre le capitava quando incontrava il gelo di quello sguardo. Ma, questa volta, sotto allo strato di fuoco, nello sguardo di Shadow regnava anche un’ombra oscura.
Vanilla si portò una mano al petto, distogliendo immediatamente lo sguardo.
Sì, la situazione era più grave del previsto.
E gli effetti sui due protagonisti erano peggiori di quanto immaginasse. Era preoccupata, e molto. Non solo per ciò che aveva visto, ma anche perché sapeva di essere stata l’unica ad averlo notato.
Sonic e gli altri erano ciechi come talpe.
-Ecco!- annunciò Tails, quando il pc si accese. –Ascoltate bene- disse poi, rivolto a Shadow e Rouge. –Noi avevamo pensato che …-
 
 
Inizialmente, Eta566 aveva doverosamente salutato il robot alto più di due metri, armato pesantemente.
Superato lo shock per la mancata risposta da parte della macchina, il piccolo roditore cyborg si era fatto coraggio ed aveva mosso qualche passo in avanti, tentando nuovamente di salutare il robot.
Poi, lo scontro era iniziato, e già da dieci minuti James e il capo dovevano stare a sentire gli squittii di terrore del povero Eta566 che saltava e correva dappertutto tentando disperatamente di schivare i colpi sparati dal robot.
Non che Eta566 si fosse fatto male, il robot non era ancora riuscito a ferirlo. Ma gli urli di paura del topolino erano difficili da sopportare. Almeno per James. Il capo ancora non aveva battuto ciglio, stava a guardare le schivate del topolino, le cui grida riecheggiavano ormai in tutta l’arena.
Arena, un semplice spiazzo contenuto tra quattro mura e un soffitto, nel quale si potevano osservare i comportamenti dei soggetti posti in situazione di pericolo.
Su un monitor poco distante, nella loro stessa cabina d’osservazione, c’erano i valori sanguinei di Eta566. Il tasso di adrenalina e di ossitocina erano alle stelle.
Una delle scienziate che prendeva nota degli eventi registrate di azzardò a dire. –Signore- cominciò –Credo potremmo andare avanti anche tutto il giorno, ma Eta566 non reagirà mai. Non ha intenzione di attaccare.-
-Lo vedo- ringhiò il capo.
I gridi di paura di Eta566 riempirono l’aria per qualche minuto ancora, intercalati dalle esplosioni dei colpi del robot.
-Herron.- disse il capo.
-Sì?- rispose prontamente James.
-Non mi importa come. Pretendo che troviate il modo di far combattere quella cosa. Alla mia prossima visita mi aspetto di trovare risultati soddisfacenti.-
James abbassò la testa, deglutendo.
Cadde di nuovo il silenzio, costellato dagli urli di Eta, che sempre più assomigliavano a preghiere d’aiuto.
-E Sonic?- la voce del capo riscosse James. –Ha già fatto la sua mossa?-
Herron sospirò. –Ancora no, signore. Fin ora ha assecondato ogni nostra parola, senza mostrare segno di stare effettivamente dalla parte di Shadow, né di tentare di passargli informazioni.-
-Gli avete concesso la pass per i nostri computer?- chiese ancora il capo.
-Tre giorni fa, signore.-
-E le reazioni?-
-Non ci sono state, signore.- James deglutì. –Sonic the Hedgehog ha fatto accesso ad un computer nella nostra base una sola volta, signore, in seguito ad una lite con Miles Prower Tails. Il riccio ha installato sul nostro pc un videogioco chiamato Race 4 e ci ha giocato per un ora e mezza. Poi ha spento tutto ed è tornato a casa. Il giorno dopo, ci ha avvisato di aver installato il videogioco sul computer del nostro ufficio poiché a casa sua, Miles Prower aveva monopolizzato quello di Sonic e così, per riuscire a giocare, il riccio è venuto da noi.-
La fronte del capo si increspò. –Tutto qua? Niente tentativo di sottrarre informazioni?-
-Parrebbe di no, signore. Abbiamo indagato a fondo il file videoludico ma non vi abbiamo trovato tracce nemiche, né sistemi di spie. Lo abbiamo ugualmente rimosso per sicurezza. Sembrerebbe che Sonic non abbia tentato di sottrarre informazioni e di passarle a Shadow.-
Il cipiglio del capo divenne ancora più temporalesco. –Possibile?- disse tra sé e sé. –Eppure avrei giurato che quei due ...- si ricompose in fretta e più ad alta voce proclamò –Tre giorni non sono poi molti. È possibile che deciderà di agire in futuro, aspettando l’occasione più propizia.-
-E se non lo facesse?- pigolò James.
-Lo farà!- era imperativo, nessun obbiezione accettata. Gli occhi del capo si tinsero del colore del Tartaro. –Non riesce a resistere, è più forte di lui, aiutare gli amici in difficoltà fa parte della sua natura, Herron. Lo è. E non riuscirà mai ad abbandonare Shadow al suo destino. Interverrà in suo aiuto e quando lo farà il nostro piano potrà finalmente cominciare a prendere corpo.- si voltò a guardare James. –Quel martire ci serve, e lo avremo. Con o senza il trucco delle informazioni sottratte. Tenete d’occhio i server, nel frattempo. E continuate a cercare Shadow.-
Le pupille del capo si assottigliarono, come quelle di una serpe. –Shadow è inespugnabile, intoccabile. Invincibile, si direbbe. Ma un punto debole ce l’ha.- un ghigno gli si espanse sulle labbra. –E gli costerà caro.-
Lo strillo di dolore di Eta li distrasse. Il robot era riuscito a colpirlo con un proiettile e poi ad atterrarlo con un possente pugno. Il piccolo Eta giaceva a terra, tenendosi il braccio rotto, mentre il sangue fluiva lento dalla ferita al fianco. Tremando come una foglia, il topolino strisciava lentamente indietro, tenendo la coda raccolta attorno al corpo. Gli occhioni terrorizzati e annebbiati dal dolore erano fissi sul suo avversario, ancora incapaci di comprendere appieno il motivo dell’assalto e del perché il robot gli avesse voluto fare male. Chiedevano disperatamente pietà e aiuto.
James pigiò un pulsante che inviò alla macchina l’ordine di cessare l’attacco. Il combattimento era ormai finito.
Il capo sibilò. –E vedi di insegnare a quell’inutile ratto come si fa ad uccidere. Non me ne faccio nulla di lui, altrimenti. E tanto varrebbe aver speso tutti quei milioni per costruirlo.-
Un flebile “sì, signore” venne sospirato dalle labbra tese di James mentre il capo gli voltava la schiena e se ne andava a grandi passi.
 
 
Amy si strinse una mano al petto. Il piano elaborato da Tails aveva avuto successo: il volpino stava giusto finendo di estrarre le ultime informazioni dal “file fantasma” (così l’aveva chiamato lui) che aveva installato direttamente nel loro sistema tramite il videogioco Race 4; e tutti già stavano parlando di come penetrare nei vari laboratori e di come distruggerli. Valutavano tattiche, strategie, piani, ogni genere di idea che potesse servire allo scopo..
Vedeva quell’inquietante scintilla negli occhi di Sonic, la stessa che si rifletteva in Knuckles e addirittura in Tails. Tutti fremevano dalla voglia di farla pagare a quei maledetti.
Eppure, l’unica sensazione che riusciva a provare Amy era freddo, un gelido freddo metallico che pareva avvolgerle in cuore. Era l’unica che si era posta il problema di cosa avrebbero trovato laggiù, in quegli infernali laboratori? L’unica che si era domandata cosa avrebbero visto, quali atrocità?
Di lei si poteva dire tutto tranne che fosse una codarda ma, ora, la riccia rosa aveva paura.  Non era sicura di voler sapere. Di voler vedere. E ricordare.
Senza quasi accorgersene, il suo sguardo si spostò verso Shadow.
Quanto sarebbero stati simili, quei laboratori, all’ARK? Molto, aveva il dubbio. Quindi non osò nemmeno immaginare come dovesse sentirti il riccio nero al riguardo, o come si sarebbe sentito una volta giunti là.
Forse, si disse, era per quello che nei due componenti del Team Dark non si scorgeva nemmeno l’ombra di impazienza ed entusiasmo per la vicina resa dei conti. Una calma innaturale pareva aver preso possesso di Shadow e Rouge. Ad essere sincera, Amy nemmeno era tanto convinta che ai due facesse davvero piacere avere loro tra i piedi. Del resto, Sonic e gli altri non avevano ponderato la possibilità che loro non volessero aiuto per questo. Come sempre, si erano semplicemente intromessi in quel titanico problema che rischiava di compromettere le sorti del mondo. Ma non avevano chiesto a Shadow o a Rouge se a loro andava bene ricevere aiuto.
Certo, Shadow prima si era già rivolto a Sonic chiedendogli di spiare la BRC dall’interno ma … il riccio nero pareva ora molto più contrariato rispetto a prima. Tutto di Shadow lasciava trapelare la sua volontà di risolvere quel problema da solo. Chiedere informazioni era un conto, ritrovarsi poi un’intera squadra pronta all’attacco era tutt’altra cosa. Né lui né Rouge erano stati informati che, venendo lì a casa di Cream quel giorno, si sarebbero trovati invischiati in un vero e proprio consiglio di guerra.
-Dunque!- esclamò Sonic. –Ci divideremo in gruppi e attaccheremo ognuno un laboratorio diverso, così da tenerli occupati su più fronti contemporaneamente.-
Amy guardò di nuovo Shadow. Perché stava zitto? Perché non diceva nulla? Era evidente che non approvava.
-Obbiezioni?- chiese Sonic.
Shadow rimase in silenzio.
Amy sentì montare la rabbia. Ma che gli prendeva, eh?
-Credo che tu sia prendendo la faccenda dal lato sbagliato.- disse piano il riccio nero. Finalmente!, pensò Amy.
Sonic ruotò lo sguardo verso di lui. –Perché?- chiese.
Shadow sospirò. –Perché, ora che l’ubicazione dei laboratori non è più un problema, credo sarebbe meglio cercare prima la loro base. L’hai detto pure tu, no, che loro hanno una base principale, distaccata dai laboratori. E di quella, Tails non è riuscito a trovare nessun informazione.-
Sonic aggrottò la fronte. –Ma, scusa, non sarebbe meglio prima distruggere le loro forze armate e poi concentrarci sul resto?-
Gli occhi di Shadow si adombrarono. –Quelli che state andando a distruggere, nei laboratori, non sono “forze armate”, faker.- disse piano, con voce tanto cupa da imporre automaticamente il silenzio su chiunque ascoltasse. Shadow chiuse un attimo gli occhi, lasciando sull’attenti tutti i presenti. –E se per caso tu dovessi davvero incontrare anche solo un “soldato”, non credo che ne usciresti indenne.- riaprì gli occhi. –Ci sono riuscito a malapena io. Figuriamoci tu.-
Uno strano silenzio ricadde nella stanza. Cosa?
-E quella creatura nemmeno era completa, credo.- aggiunse ancora Shadow, giusto per dare il colpo di grazia a qualunque speranza di gloria rimasta. Fece una pausa. –Credo che andare a distruggere i laboratori ora sarebbe come aizzare un vespaio. Ci staranno addosso, sguinzagliandoci dietro tutti i loro …- esitò -… segugi.- guardò dritto negli occhi Sonic, eloquente. –E trovare la loro base sarà molto, ma molto, più difficile così.-
Le parole di Shadow rimbalzarono ancora un po’ in quel silenzio innaturale. Se era la Forma di Vita Definitiva a consigliare prudenza, contro quali mostri stavano per ingaggiare battaglia?
Amy abbassò gli occhi. Sapeva che tirarsi indietro non era un’opzione ma, se doveva essere sincera fino in fondo, non avrebbe voluto combattere quella battaglia.
Sonic era sempre stato il centro indiscusso -cuore e anima- del loro gruppo. Ma vedere ora Shadow esitare, fece chiaramente comprendere ad Amy quanto la presenza del riccio nero fosse diventata rilevante, per loro. E di quanto le sue parole potessero influenzare l’esito di una decisione, molto più di quanto potessero fare quelle di Sonic.
-Quindi tu ci staresti chiedendo di rimanere qui, fermi e buoni, a guardare, mentre quelli continuano ad ammazzare la gente per sbaglio tentando di catturare te, giusto?-
-Giusto.-
Sonic si alzò in piedi. –Non credo di riuscire a farlo, sinceramente.-
Shadow socchiuse gli occhi. –Bene.- disse. –Allora ricordati che, se farai una qualunque scemenza, a pagarne le conseguenze non sarai solo tu.- pausa ad effetto. –Ma tutti quanti loro.- indicò con un cenno del capo la stanza, poi gli occhi di Shadow si spostarono su Vanilla, che stava svuotando la lavastoviglie. –Anche quelli che solitamente non combattono.- aggiunse in un sussurro. Sonic abbassò lo sguardo, e il riccio nero riprese. –Questa non è una battaglia da campo aperto, Sonic. Questa è una guerra di ombre, nascosta, che va combattuta in silenzio.- Shadow fece un’altra pausa, valutando le parole da usare. –Non stiamo più parlando di qualche manciata di robot di Eggman, qui la posta in gioco è più alta. E non sarà solo la tua reputazione a farne le spese, questa volta, se farai mosse avventate.- pausa di nuovo. –Si sa come reagisci quando persone a te care vengono messe in pericolo. Non dar loro questo vantaggio. Non aspettano altro.-
Incredibile quanto Shadow fosse bravo ad instillare inquietudine nel cuore delle persone.
Tails parlò, cambiando argomento. –Ma dove pensate di trovare le informazioni riguardo la loro base principale? Nei server che ho analizzato io non c’è niente.-
Rouge gli rispose. –Anche le informazioni, mio caro volpino, possono rientrare nelle possibili refurtive di un ladro.- sorrise. –Ci pensiamo noi, a quello.-
Knuckles ringhiò. –Dunque, la sostanza di questa chiacchierata è: non ci possiamo muovere fino a quando voi non troverete quelle informazioni. Giusto?-
-Giusto, tesoro.- ammiccò Rouge. –A meno che tu non abbia idee migliori.-
L’echidna schioccò la lingua, risentito.
Sonic sospirò, evidentemente deluso di non poter chiudere subito tutti i conti con quelli là. –Dovrò ancora rimanere dalla loro parte, allora?- chiese in un sussurro.
Ecco, si disse Amy. Quello che veramente avrebbe voluto discutere. La situazione che il riccio blu era costretto a vivere doveva finite, nel nome della sua sanità mentale. Vedere uno sguardo tanto triste e abbattuto in faccia a Sonic era … era semplicemente sbagliato. Pareva come essere prigioniero e lui, incarnazione della libertà, non tollerava quella condizione. Troppo contro la sua natura.
Ciò che però vide Amy sul viso del suo amato non era la sofferenza rassegnata a dover continuare, bensì la determinazione di rendersi utile a tutti i costi. Questo la spaventò, non poco.
Fortunatamente, anche Shadow doveva aver notato il cambiamento.
-No.- disse. –Sciogliti da loro. Torna indipendente e renditi rintracciabile in caso di battaglia.- la sua solita freddezza che non ammetteva repliche stroncò del tutto ogni possibile replica. Sonic aggrottò la fronte, aprì la bocca per ribattere ma l’occhiataccia rovente che ricevette dal riccio nero lo zittì.
-Ci sentiremo ancora, dunque- disse Tails.
Rouge sorrise. –Facciamo tra quattro giorni?-
Più o meno tutti annuirono.
Rimasero un attimo in silenzio, tutti in cerca di eventuali domande.
-Torniamo a casa.- disse piano Shadow, muovendo mezzo passo verso Rouge.
-Così in fretta?- si lasciò scappare Amy.
-Siamo già rimasti troppo a lungo. Indugiare ancora può essere pericoloso.- spiegò la pipistrella.
Shadow già stava attivando il Chaos Control. Un ultima occhiata in tralice con faker e sparirono.
Sonic ridacchiò, con l’aria di aver capito chissà cosa. –Ma guarda tu che faccia tosta!- esclamò tra sé e sè, a metà tra il contrariato e il divertito.
Knuckles, da dietro commentò. –E ancora nessuno ha pensato di mettersi d’accordo sull’orario.-
 
 
Il tetro ambiente metallico della piccola base abbandonata sotto al boschetto si materializzò tutto attorno a loro. Come d’abitudine, Shadow incentrò il punto di teletrasporto ad un mezzo metro da terra, così, le lastre metalliche del pavimento rimbombarono quando loro due atterrarono.
-Dicevi sul serio, prima, quando hai detto che non faremo nulla fino a quando non troveremo la loro base principale?- chiese Rouge, incapace di trattenersi oltre.
Shadow si voltò appena a guardarla. –Tu che pensi?-
Rouge sorrise. –Hai mentito.-
Shadow annuì appena. –Questa notte andiamo a fare a pezzi la prima delle quattro basi che restano. Se per te va bene.-
Rouge spostò il peso su di una gamba sola. –Ma perché non li hai voluti con noi?-
Il riccio nero mosse qualche passo verso la porta, sguardo fisso a terra. Non rispose subito.
Si voltò, guardò dritta negli occhi Rouge e, quando fece per parlare, accadde.
Lo schianto metallico riecheggiò per tutta la piccola base, come in una campana.
Un boato, poi silenzio.
Lo stomaco di Rouge era ghiacciato. Un Chaos Spear frizzava attorno al bracco di Shadow, occhi fissi verso la porta.
-Veniva dall’hangar?- chiese in un sibilo il riccio.
Rouge annuì. Chi poteva essere stato a fare quel rumore? Avevano scoperto il loro nascondiglio? Gli avevano trovati? Dovevano fuggire? Dove sarebbero andati? Che fare?
Shadow si mosse verso la porta, Rouge lo seguì, lasciandosi alle spalle quello che poteva venir definito come “salotto” , divano, tavolino, tv. La porta a scorrimento si attivò automaticamente, furono nel corridoio. Le varie porte delle stanze si affacciavano su quel tetro tunnel che le collegava tutte, all’estremità di destra c’era l’hangar.
Silenziosi come soltanto loro due potevano essere, sgusciarono fino alla porta. Cautamente, Shadow sfiorò la mano di Rouge, agganciandola per il Chaos Control. Si ritrovarono appena oltre la porta, ancora chiusa e silenziosa, nascosti dietro ad una piccola piramide di casse di legno contenenti per lo più cibarie e armi.
Silenziosamente, con il cuore che le batteva in petto, Rouge sbirciò oltre il bordo di una cassa.
Vide inizialmente soltanto la propria navicella, quella che aveva usato durante l’avventura dei Metarex. Poi scorse la sagoma.
Una grande figura umanoide, immersa nella penombra, appena dietro l’ala del velivolo.
Si voltò verso Shadow. Anche lui stava guardando ma, a differenza di Rouge, stava sorridendo.
Due fanali rossi si accesero a mezz’aria, sulla testa dell’intruso.
-Ne è passato di tempo, dall’ultima volta.- disse Shadow.
 
 





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Phantom è tornata!!
Ho esitato molto prima di decidermi a pubblicare questo capitolo. Non mi convinceva molto l'ultima parte (che è stata infernale da scrivere). Spero vada bene :/ sinceramente non sapevo come altro fare.
...
Come avrete comunque notato, non s'è concluso molto in questo capitolo.  Capirete anche che era però indispensabile per il resto della trama. Credetemi, ho provato seriamente a tentare di inserire un qualche "finale", sia per quanto riguarda Shell che Eta. Ma la faccenda diveniva troppo lunga, e un capitolo di trenta pagine sarebbe stato davvero troppo indigesto. 
dunque, ho spezzato tutto e alla prossima puntata vedremo le soluzioni adottate un po' da tutti i personaggi u.u 
Sia Shell, che forse dovrà contattare qualcuno (chissà chi sarà mai? XD).
Sia Eta, che si ritroverà in una situazione a dir poco incresciosa. 
Sia Shadow e Sonic.
Ma ora la smetto e mi zittisco. A voi crogiolarvi nei dubbi! Muahahah! 
^.^ 
come sempre, mi sono impegnata al massimo!
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento, sebbene la poca sostanza effettiva ^.^' 
a presto!

vostra, 
Phantom 
 
  
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