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Autore: Cass_Pepper    09/03/2014    4 recensioni
-Kadar!- il suo urlo era straziante –Kadar! Perché? Kadar! KADAR!-.
Si aggrappava spasmodicamente alle mie spalle, come se cercasse di non scivolare in un burrone.
Infilò la testa all'incavo del mio collo, con la faccia rivolta verso l’esterno, le ciocche rosse mi solleticavano la pelle del collo e le sue lacrime, scivolavano dalla spalliera per finire poi a bagnarmi la tunica.
-Perché, Altaïr? Perché lui...?- Non riuscì a finire la frase. Pianse ancora, singhiozzando, strinse più forte la presa, come se avesse bisogno di una prova che fossi lì, che non fosse sola.
Nella mia mente, la frase poteva avere un solo esito:
"Perché lui... e non tu?"
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Desmond Miles, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: I'm With You'
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Capitolo 15

Non ho davvero idea di come scusarmi... Implorarvi? Flagellarmi? Cosa, ditemi qualsiasi cosa e io lo farò! Ma PERDONATEMI!
Io cercherò di rendervi clementi con la prima luuunga parte del nuovo capitolo! Un capitolo molto intenso e rivelatore!
Una delle domande che spesso mi avete fatto è "Da dove è saltata fuori Vega?", "Perché si chiama così?", "In che modo lei e Altaïr sono collegati?"
Questo è il capitolo in cui i vostri dubbi verranno svelati!!!
Ringrazio i miei recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura per le belle chiacchierate e tutti i lettori silenziosi che seguono, ricordano e preferiscono la fic!
Ricordo a tutti che per anticipazioni, curiosità e contenuti extra vari, potete trovarmi su Facebook come Cass Pepper!

P.S.
Riporto qui i risultati del sondaggio: Werepapers era del tutto lontano, mentre Illiana e O n i c e hanno entrambe colto degli aspetti giusti, ma non hanno la risposta del tutto esatta!
Buona lettura
Cass

15. In Your Eyes 


Amore, non mi piace vedere che sprechiamo così tanto dolore
mentre questo momento continua a scivolare via…
Anche se ho voglia di scappare, in qualsiasi modo io lo faccia,
torno sempre nel posto dove ci sei tu.

E allora tutti i miei istinti, beh, ritornano…
E la grande facciata prende subito fuoco!
Senza alcun rumore, senza il mio orgoglio,
ti tenderò una mano dal profondo… Dei tuoi occhi.

Peter Gabriel – In Your Eyes

 

-E questo giro lo dedichiamo ai nostri Assassini…- gridò Bashir, ormai del tutto fuori, portando il calice colmo di vino sopra la sua testa – I nostri Angeli della Morte!-
Un coro estasiato di urla si levò da tutta la popolazione della Resistenza, riunita in festeggiamenti nella sala più grande della Struttura.
Il clima era assai gioioso attorno al grande fuoco scoppiettante, tra danze e svaghi, le lingue ormai sciolte dal vino, tutto accompagnato dalla musica che alcuni ragazzi suonavano servendosi di un rovinato Quanum e di un Arghoul, con delle ragazze che, sedute accanto ai musicisti o intente a ballare, tenevano il ritmo con gli Zagat
.
Io e Vega, stesi vicini sui dei cuscini, rispondemmo al coro in nostro onore alzando contemporaneamente i calici pieni.
Lei con un sorriso.
Io con sguardo trionfo.

I festeggiamenti sembravano procedere piacevoli e tranquilli anche se Abbas mi aveva detto, quando ci era venuto a chiamare dalle nostre stanze, che questo era solo un “intrattenimento” mentre aspettavamo che anche quella parte di abitanti, allontanata per sicurezza, tornasse, per poter poi iniziare a fare sul serio.
-In quel gruppo c’è anche la signora che vi aiuterà con le ricerche- aveva fremuto mesto, cambiando completamente umore, lanciando una occhiata furtiva a Vega.
Lei gli aveva sorriso, carezzandogli il braccio –Andiamo Abbas, siamo stati con te per più di un mese- si fermò un secondo, facendo quadrare i conti.
 -Anzi, direi abbondantemente più di un mese… E siamo amici, ora. Ci rivedremo sicuramente! Non roviniamoci la festa con questi pensieri, va bene?-.
Abbas l’aveva abbracciata di slancio e io avevo distolto lo sguardo, un po’ perché mi infastidiva la spontaneità che la loro amicizia aveva raggiunto, un po’ perché stavo ridendo del plurale usato dalla ragazza.
Era come se avesse messo un paletto, e quindi un punto a mio favore.

Tornai al presente, volgendo lo sguardo alla mia
Waqi, vestita semplicemente della tunica bianca senza maniche (cosa che in un normale giorno avrebbe causato scalpore) e dei pantaloni, senza cappuccio, cinturone, avambracci, stivali e senza fasce al seno, ma evitai accuratamente di soffermarmi su questo pensiero durante tutta la serata, per tutelare la mia salute fisica e mentale.
Aveva anche, a causa del vino, le gote un po’ arrossate, di cui la sinistra ancora livida, oltre che attraversata dallo spago usato per metterle i punti.
Erano passati undici giorni dalla battaglia, Salah Ad-Dhin aveva ripreso Acri, cacciato i Templari e la resistenza sarebbe rimasta tale ancora per poco.
Il tempo di organizzare tutto, nuove abitazioni, lavori, trasferimenti e poi... Vita.
Nonostante la festa vera fosse quella che ci accingevamo a festeggiare, ogni singolo momento del tempo passato dalla battaglia era stata una celebrazione.
La popolazione di Acri aveva riavuto la sua normale vita, a caro prezzo, per cui ogni respiro esalato era degno di essere accolto festosamente, specie in memoria di chi era morto nel tentativo di assicurare la vita ai propri cari.
Esaminai ogni tratto di quella ferita, eppure quel segno sulla sua faccia non intaccava minimamente la sua bellezza, almeno ai miei occhi.
Si girò, forse aveva notato che la stavo osservando –Che c’è?- ridacchiò, ponendosi ad una distanza pericolosa dal mio viso – Non sei abituato neanche a festeggiare, uomo-di-pietra?- insinuò scherzosamente, muovendo l’indice con ammonimento.
Fu naturale farmi contagiare dal suo cameratismo – Non sono fatto per le festicciole di campagna. Festeggio in altri modi e con altra compagnia, solitamente…- le feci un occhiolino e lei avvampò, forse per l’allusione, con lo sguardo contrito.

Quasi stentai a credere che fosse muffrih
sentirla gelosa!

Qualcosa mi si gonfiò nel petto, ma non potei godere di quella sensazione per molto, perché Vega, con un sorriso sospettosamente ingenuo, si protese ancora di più verso di me, facendo aderire i nostri petti e sfiorare le nostre bocche.

Appunto, non c’era niente di ingenuo in ogni suo gesto.
Rapii il mio sguardo come un’incantatrice di serpenti e si passò la lingua sul labbro superiore –Posso rimediare all’errore di questi contadini e farti sentire più a casa- mugugnò soffice, con voce sensuale.
Mi scappò un ghigno per quel suo subdolo giochetto, ma mentirei se dicessi che ero rimasto impassibile e padrone di me stesso, e lei lo sapeva.
Vega sapeva giocare, e dannatamente bene, aggiungerei, e io non avevo minimamente voglia di resisterle, perché negarlo?, ma non avrebbe dovuto compiacersi tanto presto della riuscita di quel suo tiro mancino.
Quando si spostò vittoriosa da quella posizione, la riacciuffai per il braccio e la riavvicinai  di scatto ad una spanna dal mio viso.
Confusa dal mio gesto, restò immobile in quella posizione, con le guance ancor più rosee di quanto fossero state prima.
Di certo il vino non c’entrava più niente.

-Chissà?- dissi, sorridendo lievemente per quella constatazione  –Magari un giorno potrei accettare... -.
Scosse la testa, riprendendo il controllo –Chissà? Magari sarai tu a chiederlo a me...-.
 Non so quale spirito mi aiutò a reprimere l’acuto desiderio di zittirla con un bacio.

La nostra bolla privata esplose quando, gridando, entrarono un po’ per volta una serie di persone mai viste, con un sorriso sul volto.

Finalmente il resto della Resistenza era tornato.
Erano parenti, amici, persone che avevano temuto il peggio, che avevano vagato nel deserto col peso di poter sopravvivere ai loro cari,  ma che ora erano lì, insieme, a festeggiare.
Bevvi un altro sorso di vino, mentre Vega raggiungeva Illiana e qualche altra signora, che l’avevano chiamata.
La guardai scivolare agilmente tra i corpi ammassati, come se un raggio di sole illuminasse lei, oscurando il resto: Illiana, con Onice che sgambettava tra le sue braccia, le mille persone a cui passava vicino, erano solo un contorno sfocato, scuro e indefinito. Potevano anche non esserci, non sarebbe cambiato nulla, per me.

***


-Non la trovi meravigliosa?-
Mi girai di scatto verso quella discreta presenza al mio fianco: era una anziana signora, appena ingobbita dall’età, con una serie di rughe a incresparle il viso olivastro; la sua espressione era serena, se non addirittura divertita, come mi faceva ipotizzare quel suo sopracciglio alzato che quasi sfiorava l’attaccatura dei bianchi capelli.
Ero sicuro di non averla mai vista prima di quel momento, quindi dedussi fosse una delle ribelli appena tornate.
- Non capisco a cosa si riferisce, Sayydah!- risposi, con tono cauto, sebbene avessi capito che la sua allusione centrava con Vega e l’insistenza con cui la stavo osservando mentre ballava con gli altri paesani.
Lei allargò quel vago sorriso – Oh, non fare lo sprovveduto con me, ragazzo! Parlo della pallade fanciulla che osservi da tutta la sera, ovviamente!-.

Non riuscivo a decidere se l’intraprendenza di quella donna mi infastidisse, mi preoccupasse o se mi facesse addirittura rallegrare!

Nel dubbio, restai impassibile – E’una grande
Sadîq
₄ per me- conclusi sbrigativo, certo di non voler raccontare le mie debolezze a quella strana vecchietta.
Ma se c’era una cosa che avevo imparato da quando Vega era piombata nella mia vita, era l’essere quanto meno educato anche se non ne avevo un personale tornaconto, così intavolai una discussione di pura cortesia con la Signora -Tasmah lî an uquadim nafsî, anâ
...-
-Altaïr, so chi sei!- ghignò lei, vedendomi preso in contropiede – Io sono Ranya-.
Feci un grosso sforzo per mantenere la calma – Ranya... Colei che guarda con attenzione. Mi sembra un nome appropriato!- ironizzai incrociando le braccia.
La cosa più intelligente che pensai per tutelarmi dalle intenzioni di quella donna fu osservarla con l’Occhio dell’Aquila: Era di un blu vivo, come qualsiasi alleato.

La cosa non mi calmò per niente.

-E chiunque osservi con attenzione, di solito, sa molte cose...- sospirò -Io so, ad esempio, che non è carino dubitare dell’intenzioni di una povera vecchia e analizzarla con il proprio dono!-.
Ebbi un sobbalzo interno, forzandomi di rimanere ancora impassibile e padrone della situazione –Perché no, avendone la possibilità? E perché preoccuparsi, se la signora non ha qualcosa da nascondere?- insinuai freddamente, irrigidendomi nella postura.
Scosse la testa, aggiustandosi meglio lo scialle di lino sulle spalle, crucciando le sopracciglia e le labbra in una espressione scocciata.
 –Io so molto di tutti, è vero. Ma in particolare credo di sapere molto di te- si fermò, volgendo lo sguardo verso Vega – E di quella fanciulla-.
Collegai solo in quel momento chi davvero fosse quella donna e quando glielo feci presente, mi diede dello stupido per la mia tardività.
Era la nostra informatrice. La depositaria delle millenarie leggende.
Non sapevo perché non l’avessi collegata immediatamente al suo ruolo, era evidente dalle prime battute che fosse lei, eppure non ci avevo minimamente pensato... ero troppo preoccupato di difendermi della sua insinuazione sui miei sentimenti verso Vega. E a difendere Vega stessa.
Realizzai pienamente, e solo in quel momento, che ormai della missione mi interessava davvero poco.
-Vedi, ragazzo...- riprese lei, accorgendosi del mio sguardo smarrito – Ci sono cose contro cui non si può combattere... Veniamo al mondo liberi, questo sì, ma c’è già un disegno pronto per noi. A volte riusciamo ad evitarlo... In altre vi cediamo con facilità... Ma in alcuni casi non abbiamo scelta-.


Sfuggii alla mia conversazione con la vecchia solo dopo essermi accertato che ci avrebbe raccontato quello che sapeva su me, Waqi e sulla dannata prima civilizzazione in un momento di raccoglimento con la popolazione.

E allora mi defilai. Mi defilai e anche in fretta.
Non mi ero mai sentito tanto agitato prima di allora.
Ma agitato era il termine giusto? Ero agitato? Intimorito? Scoraggiato? Preoccupato?

Cosa si prova esattamente quando scopri di
non avere scelta? Che la metà dei sentimenti che provi non è forse reale? O che, se anche fossero sentimenti reali, porteranno a qualcosa di prescritto e che non hai potere su questo?

-Stai proprio da schifo!-

Appunto.
Alzai lo sguardo verso di lei che, sudata e un po’ scomposta, mi sorrideva con sincerità –Ti lascio solo un’ora e ti ritrovo a bere tutto solo.... Non sei proprio l’anima della festa, vero?-.
Strinsi i pugni e chiusi gli occhi, senza rispondere, se non un sorriso tirato e visibilmente finto.
Mi dispiace, Waqi, ma sei l’ultima persona che vorrei vedere ora. Stranamente.
 Si accomodò accanto a me, forse ritenendo tutto sommato normale il mio cattivo umore e di certo non sospettando che potesse esserne lei la causa.
“Sei sicuro che vada tutto bene?”
Ebbi un sussulto.
Era la seconda volta, da quando la conoscevo, che Vega mi parlava nella mente.
Dire che fosse sorprendente il modo in cui lo faceva sarebbe un eufemismo, sembrava come se si sostituisse al mio stesso intelletto, impedendomi di concepire alcun pensiero e costringendomi ad ascoltarla.
“Costringerti ad ascoltare?” continuò e mi fece così capire che mi stava anche leggendo nella mente “Vuol dire che non vuoi parlarmi?”
Riaprii gli occhi e voltai la testa verso di lei. Aveva poggiato una mano sul mio braccio e mi guardava fisso, con espressione rammaricata. I suoi occhi erano spalancati  e la sua bocca crucciata “Qualunque cosa io abbia fatto, mi dispiace”.
“Non è colpa tua”
“–Sei l’ultima persona che vorrei vedere ora- Non mi sembra una cosa carina da pensare“
“E invece spiare nella mia mente ti sembra carino?”


Spostò la mano e si allontanò appena col corpo, distolse lo sguardo e, dopo aver incrociato le braccia al petto, mi comunicò che avremmo ascoltato insieme le leggende e poi sarebbe tornata dov’era benvoluta e non mi avrebbe più disturbato.

Tirai un sospiro, sentendomi tremendamente in colpa -Vega non fare la bambina...-
Mi riservò un’occhiataccia degna dei nostri primi giorni di conoscenza, facendo un altro piccolo passo per allontanarsi da me – Sta’ zitto, Ranya inizia a parlare!-
Mi girai verso il grande fuoco e trovai tutti seduti, in religioso silenzio, dediti a prestare attenzione a Ranya. Improvvisamente gettò una strana polverina nella fiamma, che ne colorò ogni lingua di celeste.
Aveva una certa aurea mistica, non potevo negarglielo!

In un mpo lontano, la figlia dell’imperatore e dell’imperatrice dei Cieli, Zhinu, talentuosissima tessitrice, sedeva accanto al suo telaio celeste e tesseva splendidi arazzi con i colori dell’alba e del tramonto; ogni essere vivente sulla terra non poteva che fermarsi ad ammirare gli splendidi colori del cielo...
Una sera d’estate, stanca per il molto lavorare, seduta accanto ad un ruscello che scorreva vicino al suo palazzo imperiale, sentii una dolce musica provenire dall’altra sponda del fiume.
Zhinu era bella quanto curiosa, così, saltellando su delle pietre, attraversò il corso d’acqua: Disteso sull’altra sponda, il giovane Niulang suonava il flauto, riposandosi dalle sue fatiche di guardiano di buoi.
I due giovani si conobbero e cominciarono a suonare e a cantare insieme.
Ogni giorno la Principessa attraversava il fiume e raggiungeva Niulang e finirono così per innamorarsi...”

Sentii Vega smettere di respirare. In qualche modo lo feci anche io. Chissà se gli stessi dubbi che stavano attanagliando me, si fossero insinuati anche in lei.

“Per il suo matrimonio, Zhinu tesse il più bel vestito mai creato, servendosi di gocce di rugiada e della luce delle stelle. La notte delle loro nozze era così luminosa, che tutte le genti che vivevano sulla Terra si chiesero perché la Stella Tessitrice avesse un tale splendore.
Furono sposi talmente felici che dimenticarono di occuparsi dei propri compiti!
Le tenebre caddero sui cieli e sulle terre poiché Zhinu non tesseva più i luminosi tramonti e le fresche albe... Tant’è che il suo telaio si ricoprì di ragnatele.
Niulang non custodiva più i suoi buoi, che presero a girovagare senza controllo, invadendo così le costellazioni vicine... Una forte ira prese gli dei!
In particolare la Regina dei Cieli, madre di Zhinu, traboccava di collera, poiché un bue era entrato nella sua stanza da letto e aveva riversato sul pavimento le sue spille d’argento per i capelli.
La regina, allora, ne raccolse una e disegnò una linea attraverso il cielo, lungo il ruscello vicino al palazzo. Con questo unico gesto, ella creò un grande Fiume D’Argento. E con questo, separò i due giovani, ponendoli alle rive opposte.
Zhinu, disperata, piangeva da mattino a sera, ma ricominciò a tessere le sue splendide tele. Anche Niulang riprese il suo ruolo di guardiano, ma era profondamente triste e nei momenti di riposo non suonava più il suo flauto.
L’Imperatore dei Cieli, impietosito dalla disperazione della figlia, decise che un giorno all’anno i due sposi avrebbero potuto nuovamente incontrarsi.
Durante il resto dell’anno Zhinu intreccia i colori del cielo e Niulang pascola i buoi celesti, sognando entrambi il giorno in cui potranno finalmente rincontrarsi.”

Un grande silenzio era calato nella sala, lo scoppiettare del fuoco azzurro era ben udibile, insieme ad alcuni sospiri rilasciati qui e lì dai paesani.
Credevo che se questo silenzio assordante fosse continuato, si sarebbe potuto sentire anche il battito forsennato del mio cuore.
Ranya, sorprendentemente, riprese a parlare –Questa è una antica leggenda orientale che i nostri antenati condividevano con i grandi saggi Cinesi. Zhinu per noi non è altro che la stella più luminosa della Lyra: Vega...- fermò per un secondo lo sguardo fra di noi – Mentre Niulang è il becco della costellazione dell’Aquila, Altaïr- riportò la sua attenzione altrove, continuando a indicare nel vuoto le costellazioni -Il Fiume d’Argento, invece, è...-

Mi girai verso Vega proprio mentre lei si stava alzando: i suoi movimenti non più flessuosi come quelli che l’avevano accompagnata per tutta la serata. Le sue mani erano saldamente contratte, tanto che temetti si stesse conficcando le unghie nei palmi... Ma la cosa più spaventosa era il suo viso.
Vega stava piangendo.

Non piangere.

Ma non era il pianto folle e disperato a cui avevo assistito quando le avevo comunicato della morte di Kadar. E non erano nemmeno quelle piccole lacrime che le scivolavano sulle guance quando rideva troppo.
Quelle erano lacrime di dolore. La sua faccia era sofferenza...era sconfitta.

Non piangere, piccola.

Mi alzai anche io, con la speranza di riavvicinarla -Vega, io...-
-No-
Quel “no” appena sussurrato era suonato come un urlo alle mie orecchie, il suo tono soffocato dalle lacrime era stato come una coltellata.
In quel momento una certezza si insinuò nella mia mente. Non solo gli stessi dubbi che avevano attanagliato la mia mente stavano attanagliando anche lei, ma che probabilmente nessuno dei due aveva la forza di affrontare la situazione.
Un singhiozzo rimbombò nel petto della mia assassina, quasi a conferma delle mie parole.

Non piangere, Waqi. Andrà tutto bene. Faremo in modo che vada bene.

Cercai di fare un altro passo verso di lei, per consolarla -Vega, questo non vuol dire niente. Non siamo costretti a fare niente, io ti...-
-No, ti prego.-
Le sue lacrime non sembravano voler smettere di scendere, le sue mani erano ancora contratte.
Le parole mi morirono in gola. Le mie gambe si irrigidirono. E sentii di aver perso.
Mi sentivo perso e uno strano vuoto cominciò a riempire il mio cuore.
- Io... esco- fu tutto quello che dissi. Non so nemmeno se per assecondare il suo desiderio, se per placare il mio, o perché stavo soffocando.
Vega annuì piano, forse lei avrebbe saputo meglio di me cosa stavo provando, forse non gliene importava davvero. Non aveva voluto che glielo dicessi, quello che provavo.
Mi incamminai verso l’uscita con foga, arrancando con il disperato bisogno di aria. Non sapevo perché i miei polmoni avessero deciso di abbandonarmi in quel momento in cui avevo ancor più bisogno di tutte le mie forze.
Ma ci volle un momento, non appena fui fuori, per capire che l’unica aria di cui avevo bisogno era scappata dalla parte opposta.

Vega

-Sapevo che non poteva essere reale!-
Kadar fece un mezzo sorriso, alzando gli occhi al cielo, come se fossi una bambina che insisteva nel dire che i mostri esistessero.
Se possibile, quella sua reazione mi fece sentire anche peggio, tirai su col naso, impedendomi di versare anche una singola lacrima.
- Non guardarmi così. Cosa avrebbe potuto distogliere tanto la mia attenzione da te, dai miei compiti, da me stessa, se non qualcosa che va oltre ciò che io sono, voglio e sento?-
Scosse ancora la testa, questa volta con rassegnazione -Stai scherzando Vega, vero?-
Alzai il capo, che avevo rinchiuso tra le braccia, accucciandomi in posizione fetale per terra, e lanciai a Kadar la migliore delle mie occhiatacce.
-Ti sembra che io stia scherzando?-
Lui alzò le mani, come a volersi dichiarare innocente e, dopo essersi seduto accanto a me, mi circondò le spalle con un braccio.
-Piccola, io mi rendo conto che una cosa del genere possa spaventare, ma ...-
- Spaventare?! Mi prendi in giro?!-
-Posso continuare?- mi gelò con un’occhiata di ammonimento.
-Scusa...-
Sorrise – Vega cosa credi che possa fare questa stupida leggenda? Che ti abbia obbligata a conoscere Altaïr? A legare con lui? A trovarlo simpatico? Ad innamorarti di lui?-
Mi coprii le orecchie con le mani -Smettila! Non ti voglio ascoltare- sentii lo stomaco contrarsi, quasi come se volessi vomitare.
Non potevo credere che lui potesse non accorgersi del disastro che era appena avvenuto. Non potevo credere che non si rendesse conto di come quella leggenda avrebbe influito su quello che volevo tentare di costruire con Altaïr.
Già ero molto agitata all’idea di stare con un uomo che non fosse Kadar, ed ero spaventata e indisposta anche dal mondo in cui Altaïr era riuscito ad insinuarsi nella mia vita, sotto la mia pelle: Mi aveva stravolto l’esistenza con la stessa agilità con cui destreggiava le armi.
-Kadar... Non ti rendi conto?- rantolai, interrompendo i miei nefasti pensieri e tornando a guardarlo – E’ ovvio che nessuno mi abbia concretamente obbligata ad apprezzare Altaïr, ma questi sentimenti non sono del tutto miei. Non siamo davvero io e lui. Non è stato un caso che ci fossimo incontrati, che tra di noi ci sia sempre quella sintonia disarmante, quell’attrazione...- mi vennero i brivido solo al ripensare ai nostri due baci, o a qualche sporadico abbraccio che ci eravamo scambiati.
-Fammi capire...- indugiò, come per cercare le parole adatte – Credi che dentro di voi ci sia un qualcosa che abbia reagito istintivamente? Che fosse inevitabile che vi piaceste perché avete qualcosa in voi che vi rende legati indissolubilmente?-
Quasi mi sentii confortata da quello spiraglio di comprensione –Non avrei saputo dirlo meglio...-
Lui sorrise, un po’ con dolcezza, un po’ con amarezza –Quel qualcosa non può essere semplicemente Amore?-
Probabilmente sì.

Mi svegliai di soprassalto, per il cigolio della porta di legno della stanza.
Ero nella stessa posizione del mio sogno, accovacciata con la testa tra la braccia, appoggiata al muro sotto la finestra. Le mie mani si erano artigliate ai gomiti apposti, come se avessi paura di disgregarmi se mi fossi lasciata andare.
Sapevo benissimo che lui era lì, sull’uscio, ma in quel momento ero la più grande tra le vigliacche, e non avevo il coraggio di guardare.
Sapevo anche che lui aveva capito che ero sveglia. Ma non mi importava.
L’avevo fatta grossa, inutile negarlo. Non l’avevo respinto, giusto qualche minuto (ora?) fa?
Perché poi? Per la paura? Per lo shock? Su quale base gli avevo impedito di... dichiararsi?
Ero talmente presa dall’autocommiserazione, che quando parlò il mio cuore cominciò a battere forsennatamente. Non solo per lo spavento.
In qualche modo, sapevo quello che sarebbe successo.

Altaïr

-Io ci ho provato, Vega- proferii, entrando definitivamente nella stanza.
Lei rimase nella sua posizione, senza muoversi, se non per dei piccoli sussulti.
- Ci ho provato a starti lontano, in tutti modi. A non trovarti interessante- feci un passo in avanti – A limitarti nella figura di Consorella. A rimanerti solo amico. A considerarti solo “Bella” per i tuoi strani tratti. Ho provato ad impedirmi di perdermi nelle pozze verdi dei tuoi occhi, dicendomi che eri solo una novità, che presto mi sarei  abituato- sospirai, di fronte alla vanità dei miei pensieri.
Compii un altro passo verso di lei, più i miei movimenti erano lenti, più il mio cuore urgeva, non curandosi dei limiti che la mia mente mi imponeva.
-Ho provato a non aver bisogno di te. A mantenermi distante. Ho provato.... tutto-
Ero ormai al suo cospetto e non mi rimase nulla da fare se non accovacciarmi– Io ho provato a non amarti e ho fallito miseramente-.
Solo a quelle parole alzò la testa nella mia direzione, stupendosi di trovarmi così vicino. Le sue guance erano nuovamente cremisi e i suoi occhi non erano più offuscati dalla tristezza. Se non dalla confusione.
- Io volevo scappare da tutto questo ancor prima di sapere della leggenda- confessai, vergognandomi della mia codardia - Ma in qualsiasi modo io ci abbia provato, ho finito sempre per avvicinarmi un po’ di più a te- un sorriso di pura emozione mi spuntò sulle labbra. –Ho il brutto vizio di tornare sempre nel posto in cui ci sei anche tu-.
Vega aveva la capacità di parlare con gli occhi, poteva non dire niente e contemporaneamente dire tutto con uno sguardo.
E in quel momento, nei suoi occhi, cambiò qualcosa: Non c’era confusione, non c’era titubanza. Nei suoi occhi c’era la luce. C’era calore.
C’era l’altra parte di me, quella che credevo di non meritarmi.
C’era tutto quello che avevo sempre cercato.
Posò una mano sulla mia guancia, come aveva fatto quel giorno nel vicolo e si avvicinò piano, non so se per dare tempo a me o a se stessa.
-E’ che a volte mi sento così persa...- sussurrò, ad un centimetro dalle mie labbra.
Poggiai la mia mano sulla sua e la strinsi –Io ti troverò sempre-
La sua espressione si incrinò nuovamente –E se finisse male? E se...-
-Habeebti
- sussurrai, spostando il mio naso sul suo collo. Inspirai a pieni polmoni il suo odore di vaniglia, e ogni mio istinto si risvegliò, come se il suo profumo li avesse richiamati da chissà quale cantuccio segreto del mio cuore.
Posai le labbra sul suo candido collo e lambii la sua pelle con delicatezza, tracciando una scia di baci fino all’orecchio – Non mi importa niente del mio orgoglio, dei tuoi dubbi...– sussurrai, mordicchiandoglielo piano – Io voglio te-.
Vega mi riportò davanti al suo viso con uno strattone. E mi baciò.
Con una foga inaspettata. Con una forza inaspettata.
Le nostre labbra si unirono instaurando una danza tutta loro e, quando la mia lingua si fece spazio, trovò la sua pronta ad accompagnarla.
Insinuò le mani tra i miei capelli e mi sospinse verso di sé, cosicché i nostri corpi si incontrassero. Ancora.
Portai una mano sul suo seno, ancora coperto dalla stoffa bianca della tunica, e tremavo dall’emozione. Come se fosse la prima volta che toccassi una donna.
Era piccolo, ma sodo e terribilmente eccitante.
Ne tracciai i confini con un dito, ricevendo un mugugno di assenso che morì sulle mie labbra e con il pollice cominciai a stuzzicarne il capezzolo, che si inturgidì al contatto.
Era incredibile come una sciocchezzuola del genere potesse farmi eccitare tanto, come nessuna donna aveva mai fatto.
Vega lasciò le mie labbra e si sporse ancora a baciarmi la mascella, facendo aderire il suo petto al mio, poi scese sul collo, provocandomi una serie di brividi lungo la schiena. Alternava labbra e lingua con maestria.
Poi dai miei capelli fece scendere le mani sul torace, poi sull’addome, per raggiungere i lembi della veste che tirò su con lentezza, spogliandomi.
Poi riprese a baciarmi, scivolando con la lingua fino alla spalla, ripercorrendo il percorso compiuto dalle sue mani.
Baciò e succhiò la pelle, a volte seguendo la traccia di alcune vecchie cicatrici, a volte seguendo una linea immaginaria, facendo sì che il cavallo dei miei pantaloni si stringesse sempre di più. Quasi da diventare insopportabile.
Talmente insopportabile che ribaltai la posizione, sovrastandola, e le mie mani furono subito ai suoi fianchi, dove il bordo della tunica era arrivato, e lì indugiai, cominciando a raccogliere la stoffa tra le dita.
La sua pelle era fredda, come sempre, e morbida, specie in quel punto, talmente tenera ed eccitante che dovetti trattenermi dall’affondarci i denti.
Con una lentezza serafica, senza mai distogliere i miei occhi dai suoi, sollevai la tunica. Ogni centimetro guadagnato mi caricava di aspettativa, mentre le guance di Vega si tingevano sempre più di rosso.
Era distruttivamente eccitante.
-Aspetta...- mugugnò, incerta, quando con i polpastrelli ero arrivato a toccare i seni e mancava poco a scoprirli. Arrossii violentemente, per poi coprire quella manifestazione con le mani.
Fu subito tutto chiaro e mi sentii ignobile per non essermene preoccupato dall’inizio.
-Non ti farò del male- sussurrai, abbassandomi fino a baciarla –Non ti farò mai del male- Ed ero stato terribilmente sincero.

***
***

1) Credo che questo sia  il capitolo più lungo della fic. E immaginate che l'ho anche tagliato! 
(La solita raccomandazione è quella di leggere la prima nota alla fine della lettura)
Ormai sapete quanto io ami Peter Gabriel, così non stupitevi se ho lasciato a lui il faticoso compito di rappresentare il capitolo (diviso in due parti) più... emozionante? almeno per me... della storia: In your Eyes, è uno brano dell'album "So", che è di certo il più famoso album del cantante inglese.
Ed è la canzone pià romantica che io conosca!
I motivi della scelta sono stati due: Il primo, come si sarà notato, riguarda i sentimenti di Altaïr, Il secondo (più o meno scenico) riguarda gli occhi.
Credo sinceramente in tutte quelle stucchevoli frasi che dicono che gli occhi siano lo specchio dell'anima e un mezzo efficace di comunicazione, ci credo talmente tanto da poter sembrare una stilnovista xD
I sentimenti di Altaïr sono stati ampiamente, come dire?, esplicitati nel capitolo, ma sento di dover far un aprrofondimento su un aspetto che io attribuisco al nostro Mentore.
E' una persona sicura di se, che non fa le cose con modi accorti, diciamo anche che sono invadenti e dispotici, però, d'altra parte, lo vedo come una persona oculata e attenta ai dettagli, specie se gli importa di qualcosa. E, dopo la sue espiazione, abbastanza umile da mettersi sempre in discussione e cambiare.
Non stupitevi, vi prego, se Altaïr è un po' imbambolato, diciamo anche rincitrullito (come si può evincere dal fatto che non riconosca il ruolo di Ranya) o che abbia un po' pensiero confusi e discordanti, sulla scia di un romanticismo esageranto (che non mi appartiene nemmeno), ma come ho già scritto qualche capitolo fa, Altaïr ha sempre vissuto l'amore come un sentimento travagliato (Orfano di genitori, la tragica morte di Adha...), per cui, ora che questo sentimento sembra essersi presentato in una forma più canonica (anche se c'è questa strana leggenda pendere sulle loro teste), ho ipotizzato che la cosa sia del tutto nuova per lui, che si faccia trascinare.
Non rimpiangete il nostro lucidissimo Assassino, tornerà presto: E' come se fosse rinato, e "crescerà" insieme al sentimento che prova.

2) Quanum= Discendente diretto dell'arpa egiziana, il quanum è uno strumento musicale a corde pizzicate diffuso in oriente già dal X secolo. Ha forma trapezioidale, 72 corde raggruppate in gruppi da tre, e si poggia sulle ginocchia del musicista, che può cambiarne toni mediante delle linguette di bronzo.
Arghoul=  Strumento a fiato più antico del panorame mediorientale. Si compone di due canne attaccate con la cera, munite di ancia, di cui una può produrre una sola nota, molto bassa,  come un sottofondo continuo, l'altra canna ha invece sette fori, e si usa per produrre la melodia vera e propria.
Zagat= Strumento a percussione formato da due piatti metallici, legati fra di loro con un cordino. Quelle che oggi chiameremmo nacchere. Erano molto usate della danzatrici Gawazee (di cui parleremo in futuro) per tenere il tempo durante una esecuzione.

3) Muffrih= Piacevole

4) Sadiq= Amica

5) 
Tasmah lî an uquadim nafsî, anâ= Mi permetta di presentarmi, sono... E' la frase più comunemente usata per presentarsi ad una persona, che sia di rango importante o meno.

6)  Per quanto mi piacerebbe, non sono l'ideatrice di questa leggenda, che è di origine Cinese, come già detto. Ho usato la versione approvata dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri. Mi piacerebbe darvi qualche informazione su queste stelle protagoniste della nostra storia.
Altaïr(Niulang) è la stella alpha della costellazione dell'Aquila, mentre Vega(Zhinu) della costellazione della Lyra e, insieme a Deneb, costellazione del Cigno , formano il famoso triangolo estivo,  visibile dal settimo giorno del settimo mese dell'anno ( il giorno in cui Zhinu e Niulang possono rincontrarsi, mediante il ponte che sarebbe Deneb). Sono stelle molto luminose, in media 40 volte più del Sole.
Il Fiume d'Argento all'epoca, corrispondeva alla nostra Via Lattea.

7) Haabebti= Significa "Amore mio". Questa è la forma usata da un uomo verso una donna.

  
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