Non ho davvero idea di
come scusarmi... Implorarvi? Flagellarmi? Cosa, ditemi qualsiasi cosa e
io lo farò! Ma PERDONATEMI!
Io
cercherò di rendervi clementi con la prima luuunga parte del
nuovo capitolo! Un capitolo molto intenso e rivelatore!
Una delle domande
che spesso mi avete fatto è "Da dove è saltata
fuori Vega?", "Perché si chiama così?", "In che
modo lei e Altaïr sono collegati?"
Questo
è il capitolo in cui i vostri dubbi verranno svelati!!!
Ringrazio i
miei recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura per
le belle chiacchierate e tutti i lettori silenziosi che
seguono, ricordano e preferiscono la fic!
Ricordo a tutti
che per anticipazioni, curiosità e contenuti extra vari,
potete trovarmi su Facebook come Cass Pepper!
P.S.
Riporto qui i
risultati del sondaggio: Werepapers era del tutto lontano, mentre
Illiana e O n i c e hanno entrambe colto degli aspetti giusti, ma non
hanno la risposta del tutto esatta!
Buona
lettura
Cass
15. In Your Eyes
Amore, non mi
piace vedere che sprechiamo così tanto dolore
mentre questo
momento continua a scivolare via…
Anche se ho
voglia di scappare, in qualsiasi modo io lo faccia,
torno sempre nel
posto dove ci sei tu.
E allora tutti i
miei istinti, beh, ritornano…
E la grande
facciata prende subito fuoco!
Senza alcun
rumore, senza il mio orgoglio,
ti
tenderò una mano dal profondo… Dei tuoi occhi.
Peter Gabriel
– In
Your Eyes₁
-E
questo giro lo
dedichiamo ai nostri Assassini…- gridò Bashir,
ormai del tutto fuori, portando
il calice colmo di vino sopra la sua testa – I nostri Angeli
della Morte!-
Un coro estasiato di urla si levò da tutta la popolazione
della Resistenza,
riunita in festeggiamenti nella sala più grande della
Struttura.
Il clima era assai gioioso attorno al grande fuoco scoppiettante, tra
danze e
svaghi, le lingue ormai sciolte dal vino, tutto accompagnato dalla
musica che
alcuni ragazzi suonavano servendosi di un rovinato Quanum
e di un Arghoul,
con delle ragazze che, sedute accanto ai musicisti o intente a ballare,
tenevano il ritmo con gli Zagat₂.
Io e Vega, stesi
vicini sui dei cuscini, rispondemmo al coro in nostro onore
alzando contemporaneamente i calici pieni.
Lei con un
sorriso.
Io con sguardo trionfo.
I festeggiamenti
sembravano procedere piacevoli e tranquilli anche se Abbas mi
aveva detto, quando ci era venuto a chiamare dalle nostre stanze, che
questo
era solo un “intrattenimento” mentre aspettavamo
che anche quella parte di abitanti,
allontanata per sicurezza, tornasse, per poter poi iniziare a fare sul serio.
-In quel gruppo
c’è anche la signora che vi aiuterà con
le ricerche- aveva
fremuto mesto, cambiando completamente umore, lanciando una occhiata
furtiva a
Vega.
Lei gli aveva
sorriso, carezzandogli il braccio –Andiamo Abbas, siamo stati con te per
più di un mese-
si fermò un secondo, facendo quadrare i conti.
-Anzi,
direi abbondantemente più di un
mese… E siamo amici, ora. Ci rivedremo
sicuramente! Non roviniamoci la festa con questi pensieri, va bene?-.
Abbas
l’aveva abbracciata di slancio e io avevo distolto lo
sguardo, un po’
perché mi infastidiva la spontaneità che la loro
amicizia aveva raggiunto, un
po’ perché stavo ridendo del plurale usato dalla
ragazza.
Era come se
avesse messo un paletto, e quindi un punto a mio favore.
Tornai al presente, volgendo lo sguardo alla mia Waqi, vestita semplicemente
della tunica bianca senza maniche (cosa
che in un normale giorno avrebbe causato scalpore) e dei pantaloni,
senza
cappuccio, cinturone, avambracci, stivali e senza fasce al seno, ma evitai accuratamente
di soffermarmi su questo
pensiero durante tutta la serata, per tutelare la mia salute fisica e
mentale.
Aveva anche, a
causa del vino, le gote un po’ arrossate, di cui la sinistra
ancora livida, oltre che attraversata dallo spago usato per metterle i
punti.
Erano passati
undici giorni dalla battaglia, Salah Ad-Dhin aveva ripreso Acri,
cacciato i Templari e la resistenza sarebbe rimasta tale ancora per
poco.
Il tempo di
organizzare tutto, nuove abitazioni, lavori, trasferimenti e poi...
Vita.
Nonostante la
festa vera fosse quella che ci accingevamo a festeggiare, ogni
singolo momento del tempo passato dalla battaglia era stata una celebrazione.
La
popolazione di Acri aveva riavuto la sua
normale vita,
a caro prezzo, per cui ogni respiro esalato era degno di
essere accolto festosamente, specie in memoria di chi era morto nel
tentativo
di assicurare la vita ai propri cari.
Esaminai ogni
tratto di quella ferita, eppure quel segno sulla sua faccia non
intaccava minimamente la sua bellezza, almeno ai miei occhi.
Si
girò, forse aveva notato che la stavo osservando
–Che c’è?- ridacchiò,
ponendosi ad una distanza pericolosa dal mio viso – Non sei
abituato neanche a
festeggiare, uomo-di-pietra?- insinuò
scherzosamente, muovendo l’indice con ammonimento.
Fu naturale farmi
contagiare dal suo cameratismo – Non sono fatto per le
festicciole di campagna. Festeggio in altri
modi e
con altra
compagnia,
solitamente…- le feci un occhiolino e lei
avvampò, forse per l’allusione, con
lo sguardo contrito.
Quasi
stentai a credere che fosse muffrih₃ sentirla gelosa!
Qualcosa mi si gonfiò nel petto, ma non potei godere di
quella sensazione
per molto, perché Vega, con un sorriso sospettosamente
ingenuo, si protese
ancora di più verso di me, facendo aderire i nostri petti e
sfiorare le nostre bocche.
Appunto, non
c’era niente di ingenuo in
ogni suo gesto.
Rapii il mio
sguardo come un’incantatrice di serpenti e si
passò la lingua sul
labbro superiore –Posso rimediare all’errore di
questi contadini e
farti sentire più a casa- mugugnò
soffice, con voce sensuale.
Mi
scappò un ghigno per quel suo subdolo giochetto, ma mentirei
se dicessi che
ero rimasto impassibile e padrone di me stesso, e lei lo sapeva.
Vega sapeva
giocare, e dannatamente
bene,
aggiungerei, e io non avevo
minimamente voglia di resisterle, perché
negarlo?,
ma non avrebbe dovuto compiacersi tanto presto della riuscita di
quel suo tiro mancino.
Quando si
spostò vittoriosa da quella posizione, la riacciuffai per il
braccio
e la riavvicinai di scatto ad una spanna
dal mio viso.
Confusa dal mio
gesto, restò immobile in quella posizione, con le guance
ancor
più rosee di quanto fossero state prima.
Di certo il vino non c’entrava più
niente.
-Chissà?-
dissi, sorridendo lievemente per quella constatazione
–Magari un giorno potrei accettare... -.
Scosse la testa,
riprendendo il controllo –Chissà? Magari sarai tu a
chiederlo a me...-.
Non so
quale spirito mi aiutò a
reprimere l’acuto desiderio di zittirla con un bacio.
La nostra bolla privata esplose quando, gridando, entrarono un
po’ per volta
una serie di persone mai viste, con un sorriso sul volto.
Finalmente il
resto della Resistenza era tornato.
Erano parenti,
amici, persone che avevano temuto il peggio, che avevano vagato
nel deserto col peso di poter sopravvivere ai loro cari, ma
che ora erano lì, insieme, a festeggiare.
Bevvi un altro
sorso di vino, mentre Vega raggiungeva Illiana e qualche altra
signora, che l’avevano chiamata.
La guardai
scivolare agilmente tra i corpi ammassati, come se un raggio di sole
illuminasse lei, oscurando il resto: Illiana, con Onice che sgambettava
tra le
sue braccia, le mille persone a cui passava vicino, erano solo un
contorno
sfocato, scuro e indefinito. Potevano anche non esserci, non sarebbe
cambiato
nulla, per me.
-Non la trovi meravigliosa?-
Mi girai di
scatto verso quella discreta presenza al mio fianco: era una
anziana signora, appena ingobbita dall’età, con
una serie di rughe a
incresparle il viso olivastro; la sua espressione era serena, se non
addirittura
divertita, come mi faceva ipotizzare quel suo sopracciglio alzato che
quasi
sfiorava l’attaccatura dei bianchi capelli.
Ero sicuro di non
averla mai vista prima di quel momento, quindi dedussi fosse
una delle ribelli appena tornate.
- Non capisco a
cosa si riferisce, Sayydah!-
risposi, con tono cauto, sebbene
avessi capito che la sua allusione centrava con Vega e
l’insistenza con cui la
stavo osservando mentre ballava con gli altri paesani.
Lei
allargò quel vago sorriso – Oh, non fare lo
sprovveduto con me, ragazzo!
Parlo della pallade fanciulla che osservi da tutta la sera,
ovviamente!-.
Non
riuscivo a decidere se l’intraprendenza di quella donna mi
infastidisse, mi
preoccupasse o se mi facesse addirittura rallegrare!
Nel dubbio, restai impassibile – E’una grande Sadîq₄
per me- conclusi sbrigativo, certo di non voler raccontare le mie
debolezze a
quella strana vecchietta.
Ma se c’era una cosa che avevo imparato da quando Vega era
piombata nella mia
vita, era l’essere quanto meno educato anche se non ne avevo
un personale tornaconto, così intavolai una
discussione di pura cortesia con la Signora -Tasmah
lî
an uquadim nafsî, anâ₅...-
-Altaïr,
so chi sei!- ghignò lei, vedendomi preso in contropiede
– Io sono Ranya-.
Feci un grosso
sforzo per mantenere la calma – Ranya... Colei che guarda con
attenzione.
Mi sembra un nome appropriato!- ironizzai incrociando le braccia.
La cosa
più intelligente che pensai per tutelarmi dalle intenzioni
di quella
donna fu osservarla con l’Occhio dell’Aquila: Era
di un blu vivo, come
qualsiasi alleato.
La cosa non mi
calmò per niente.
-E chiunque osservi con
attenzione, di solito, sa molte cose...- sospirò -Io
so, ad esempio, che non è carino dubitare
dell’intenzioni di una povera vecchia
e analizzarla con il proprio dono!-.
Ebbi un sobbalzo
interno, forzandomi di rimanere ancora impassibile e padrone
della situazione –Perché no, avendone la
possibilità? E perché preoccuparsi, se
la signora non ha qualcosa da nascondere?- insinuai freddamente,
irrigidendomi
nella postura.
Scosse la testa,
aggiustandosi meglio lo scialle di lino sulle spalle,
crucciando le sopracciglia e le labbra in una espressione scocciata.
–Io
so molto di tutti, è vero. Ma in
particolare credo di sapere molto di te- si fermò, volgendo
lo sguardo verso
Vega – E di quella fanciulla-.
Collegai solo in
quel momento chi davvero fosse quella donna e quando glielo
feci presente, mi diede dello stupido per la mia tardività.
Era la nostra
informatrice. La depositaria delle millenarie leggende.
Non sapevo
perché non l’avessi collegata immediatamente al
suo ruolo, era
evidente dalle prime battute che fosse lei, eppure non ci avevo
minimamente
pensato... ero troppo preoccupato di difendermi della sua insinuazione
sui miei
sentimenti verso Vega. E a difendere Vega stessa.
Realizzai
pienamente, e solo in quel momento, che ormai della missione mi
interessava davvero poco.
-Vedi,
ragazzo...- riprese lei, accorgendosi del mio sguardo smarrito
– Ci sono
cose contro cui non si può combattere... Veniamo al mondo
liberi, questo sì, ma
c’è già un disegno pronto per noi. A
volte riusciamo ad evitarlo... In altre vi
cediamo con facilità... Ma in alcuni casi non
abbiamo scelta-.
Sfuggii alla mia
conversazione con la vecchia solo dopo essermi accertato che ci avrebbe
raccontato quello che sapeva su me, Waqi e sulla dannata prima
civilizzazione
in un momento di raccoglimento con la popolazione.
E allora mi
defilai. Mi defilai e anche in fretta.
Non mi ero mai
sentito tanto agitato
prima di allora.
Ma agitato era il termine giusto?
Ero
agitato? Intimorito? Scoraggiato? Preoccupato?
Cosa si prova
esattamente quando scopri di non avere scelta? Che la
metà dei sentimenti che provi non è forse
reale? O che, se anche fossero sentimenti reali, porteranno a qualcosa
di
prescritto e che non hai potere su
questo?
-Stai proprio da schifo!-
Appunto.
Alzai
lo sguardo verso di lei che, sudata e un po’ scomposta, mi
sorrideva
con sincerità –Ti lascio solo un’ora e
ti ritrovo a bere tutto solo.... Non sei
proprio l’anima della festa, vero?-.
Strinsi i pugni e
chiusi gli occhi, senza rispondere, se non un sorriso tirato
e visibilmente finto.
Mi dispiace, Waqi,
ma sei l’ultima
persona che vorrei vedere ora. Stranamente.
Si
accomodò accanto a me, forse
ritenendo tutto sommato normale il mio cattivo umore e di certo non
sospettando
che potesse esserne lei la causa.
“Sei
sicuro che vada tutto bene?”
Ebbi un sussulto.
Era la seconda
volta, da quando la conoscevo, che Vega mi parlava nella mente.
Dire che fosse
sorprendente il modo in cui lo faceva sarebbe un eufemismo,
sembrava come se si sostituisse al mio stesso intelletto, impedendomi
di
concepire alcun pensiero e costringendomi ad ascoltarla.
“Costringerti
ad ascoltare?” continuò
e mi fece così capire che mi stava anche leggendo
nella mente “Vuol dire che non vuoi
parlarmi?”
Riaprii gli occhi
e voltai la testa verso di lei. Aveva poggiato una mano sul
mio braccio e mi guardava fisso, con espressione rammaricata. I suoi
occhi
erano spalancati e la sua bocca
crucciata “Qualunque
cosa io abbia fatto,
mi dispiace”.
“Non è colpa tua”
“–Sei l’ultima persona che vorrei vedere
ora- Non mi sembra una cosa carina
da pensare“
“E invece spiare nella mia mente ti sembra carino?”
Spostò la mano e si allontanò appena col corpo,
distolse lo sguardo e, dopo
aver incrociato le braccia al petto, mi comunicò che avremmo
ascoltato insieme
le leggende e poi sarebbe tornata dov’era benvoluta e non mi
avrebbe più
disturbato.
Tirai un sospiro,
sentendomi tremendamente in colpa -Vega non fare la
bambina...-
Mi
riservò un’occhiataccia degna dei nostri primi
giorni di conoscenza, facendo
un altro piccolo passo per allontanarsi da me –
Sta’ zitto, Ranya inizia a
parlare!-
Mi girai verso il
grande fuoco e trovai tutti seduti, in religioso silenzio,
dediti a prestare attenzione a Ranya. Improvvisamente gettò
una strana
polverina nella fiamma, che ne colorò ogni lingua di celeste.
Aveva una certa
aurea mistica, non potevo negarglielo!
“In un mpo lontano, la
figlia
dell’imperatore e dell’imperatrice dei Cieli,
Zhinu, talentuosissima
tessitrice, sedeva accanto al suo telaio celeste e tesseva splendidi
arazzi con
i colori dell’alba e del tramonto; ogni essere vivente sulla
terra non poteva
che fermarsi ad ammirare gli splendidi colori del cielo...
Una sera
d’estate, stanca per il molto lavorare, seduta accanto ad un
ruscello
che scorreva vicino al suo palazzo imperiale, sentii una dolce musica
provenire
dall’altra sponda del fiume.
Zhinu era
bella quanto curiosa, così, saltellando su delle pietre,
attraversò
il corso d’acqua: Disteso sull’altra sponda, il
giovane Niulang suonava il
flauto, riposandosi dalle sue fatiche di guardiano di buoi.
I due
giovani si conobbero e cominciarono a suonare e a cantare insieme.
Ogni
giorno la Principessa attraversava il fiume e raggiungeva Niulang e
finirono così per innamorarsi...”
Sentii
Vega smettere di respirare. In qualche modo lo feci anche io. Chissà se gli
stessi dubbi che stavano attanagliando me, si fossero insinuati
anche in lei.
“Per
il suo
matrimonio, Zhinu tesse il più bel vestito mai creato,
servendosi di gocce di
rugiada e della luce delle stelle. La notte delle loro nozze era
così luminosa,
che tutte le genti che vivevano sulla Terra si chiesero
perché la Stella
Tessitrice avesse un tale splendore.
Furono
sposi talmente felici che dimenticarono di occuparsi dei propri compiti!
Le
tenebre caddero sui cieli e sulle terre poiché Zhinu non
tesseva più i
luminosi tramonti e le fresche albe... Tant’è che
il suo telaio si ricoprì di
ragnatele.
Niulang
non custodiva più i suoi buoi, che presero a girovagare
senza
controllo, invadendo così le costellazioni vicine... Una
forte ira prese gli
dei!
In
particolare la Regina dei Cieli, madre di Zhinu, traboccava di collera,
poiché un bue era entrato nella sua stanza da letto e aveva
riversato sul
pavimento le sue spille d’argento per i capelli.
La
regina, allora, ne raccolse una e disegnò una linea
attraverso il cielo,
lungo il ruscello vicino al palazzo. Con questo unico gesto, ella
creò un
grande Fiume D’Argento. E con questo, separò i due
giovani, ponendoli alle rive
opposte.
Zhinu,
disperata, piangeva da mattino a sera, ma ricominciò a
tessere le sue
splendide tele. Anche Niulang riprese il suo ruolo di guardiano, ma era
profondamente triste e nei momenti di riposo non suonava più
il suo flauto.
L’Imperatore
dei Cieli, impietosito dalla disperazione della figlia, decise che
un giorno all’anno i due sposi avrebbero
potuto nuovamente incontrarsi.
Durante
il resto dell’anno Zhinu intreccia i colori del cielo e
Niulang pascola
i buoi celesti, sognando entrambi il giorno in cui potranno finalmente
rincontrarsi.”
Un
grande silenzio era calato nella sala, lo scoppiettare del fuoco
azzurro era
ben udibile, insieme ad alcuni sospiri rilasciati qui e lì
dai paesani.
Credevo che se
questo silenzio assordante fosse continuato, si sarebbe potuto
sentire anche il battito forsennato del mio cuore.
Ranya,
sorprendentemente, riprese a parlare –Questa è una
antica leggenda
orientale che i nostri antenati condividevano con i grandi saggi
Cinesi.
Zhinu per noi non è altro che la stella più
luminosa della Lyra: Vega...- fermò
per un secondo lo sguardo fra di noi – Mentre Niulang
è il becco della
costellazione dell’Aquila, Altaïr-
riportò la sua attenzione altrove,
continuando a indicare nel vuoto le costellazioni -Il Fiume
d’Argento, invece,
è...-₆
Mi
girai verso Vega proprio mentre lei si stava alzando: i suoi movimenti
non più
flessuosi come quelli che l’avevano accompagnata per tutta la
serata. Le sue
mani erano saldamente contratte, tanto che temetti si stesse
conficcando le
unghie nei palmi... Ma la cosa più spaventosa era il suo
viso.
Vega stava
piangendo.
Non
piangere.
Ma non era il
pianto folle
e disperato a cui avevo assistito quando le avevo comunicato della
morte di
Kadar. E non erano nemmeno quelle piccole lacrime che le scivolavano
sulle
guance quando rideva troppo.
Quelle erano lacrime di dolore. La sua faccia era sofferenza...era
sconfitta.
Non
piangere, piccola.
Mi alzai anche io, con la
speranza di riavvicinarla -Vega, io...-
-No-
Quel
“no” appena sussurrato era suonato come un urlo
alle mie orecchie, il
suo tono soffocato dalle lacrime era stato come una coltellata.
In quel momento
una certezza si insinuò nella mia mente. Non solo gli stessi
dubbi che avevano attanagliato la mia mente stavano attanagliando anche
lei, ma
che probabilmente nessuno dei due aveva la forza di affrontare la
situazione.
Un singhiozzo
rimbombò nel petto della mia assassina, quasi a conferma
delle
mie parole.
Non
piangere, Waqi. Andrà tutto bene.
Faremo in modo che vada bene.
Cercai
di fare un altro passo verso di lei, per consolarla -Vega, questo
non vuol dire niente. Non siamo costretti
a fare niente, io ti...-
-No, ti prego.-
Le sue
lacrime non sembravano voler smettere di scendere, le sue mani erano
ancora contratte.
Le parole mi
morirono in gola. Le mie gambe si irrigidirono. E sentii di aver
perso.
Mi sentivo perso
e uno strano vuoto cominciò a riempire il mio cuore.
- Io... esco- fu
tutto quello che dissi. Non so nemmeno se per assecondare il
suo desiderio, se per placare il mio, o perché stavo soffocando.
Vega
annuì piano, forse lei avrebbe saputo meglio di me cosa
stavo provando,
forse non gliene importava davvero. Non aveva voluto che glielo
dicessi, quello
che provavo.
Mi incamminai
verso l’uscita con foga, arrancando con il disperato bisogno
di aria. Non sapevo
perché i miei polmoni
avessero deciso di abbandonarmi in quel momento in cui avevo ancor
più bisogno
di tutte le mie forze.
Ma ci volle un
momento, non appena fui fuori, per capire che l’unica aria di
cui avevo bisogno era scappata dalla parte opposta.
Vega
-Sapevo che non
poteva essere reale!-
Kadar
fece un mezzo sorriso, alzando gli occhi al cielo, come se fossi una
bambina che insisteva nel dire che i mostri esistessero.
Se
possibile, quella sua reazione mi fece sentire anche peggio, tirai su
col
naso, impedendomi di versare anche una singola lacrima.
- Non
guardarmi così. Cosa avrebbe potuto distogliere tanto la mia
attenzione
da te, dai miei compiti, da me stessa,
se non qualcosa che va oltre ciò che io sono, voglio e
sento?-
Scosse
ancora la testa, questa volta con rassegnazione -Stai scherzando Vega,
vero?-
Alzai il
capo, che avevo rinchiuso tra le braccia, accucciandomi in posizione
fetale per terra, e lanciai a Kadar la migliore delle mie occhiatacce.
-Ti
sembra che io stia scherzando?-
Lui
alzò le mani, come a volersi dichiarare innocente e, dopo
essersi
seduto accanto a me, mi circondò le spalle con un braccio.
-Piccola,
io mi rendo conto che una cosa del genere possa spaventare, ma ...-
- Spaventare?! Mi prendi in
giro?!-
-Posso
continuare?- mi gelò con un’occhiata di
ammonimento.
-Scusa...-
Sorrise
– Vega cosa credi che possa fare questa stupida leggenda? Che
ti abbia obbligata
a
conoscere Altaïr? A legare
con lui? A trovarlo simpatico? Ad innamorarti di lui?-
Mi coprii
le orecchie con le mani -Smettila! Non ti voglio ascoltare- sentii lo
stomaco contrarsi, quasi come se volessi vomitare.
Non
potevo credere che lui potesse non accorgersi del disastro che era
appena
avvenuto. Non potevo credere che non si rendesse conto di come quella
leggenda avrebbe
influito su quello che volevo tentare di costruire con Altaïr.
Già
ero molto agitata all’idea di stare con un uomo che non fosse
Kadar, ed ero
spaventata e indisposta anche dal mondo in cui Altaïr era
riuscito ad
insinuarsi nella mia vita, sotto la mia pelle: Mi aveva stravolto
l’esistenza
con la stessa agilità con cui destreggiava le armi.
-Kadar...
Non ti rendi conto?- rantolai, interrompendo i miei nefasti pensieri
e tornando a guardarlo – E’ ovvio che nessuno mi
abbia concretamente
obbligata
ad apprezzare Altaïr, ma questi sentimenti
non sono del tutto miei. Non siamo davvero io e lui. Non è
stato un caso che ci
fossimo incontrati, che tra di noi ci sia sempre quella sintonia
disarmante,
quell’attrazione...- mi vennero i brivido solo al ripensare
ai nostri due baci,
o a qualche sporadico abbraccio che ci eravamo scambiati.
-Fammi
capire...- indugiò, come per cercare le parole adatte
– Credi che dentro
di voi ci sia un qualcosa che abbia reagito istintivamente? Che fosse
inevitabile che vi piaceste perché avete qualcosa
in voi che vi rende legati indissolubilmente?-
Quasi mi
sentii confortata da quello spiraglio di comprensione –Non
avrei
saputo dirlo meglio...-
Lui
sorrise, un po’ con dolcezza, un po’ con amarezza
–Quel qualcosa non
può essere semplicemente Amore?-
Probabilmente
sì.
Mi svegliai di
soprassalto, per il cigolio della porta di legno della stanza.
Ero nella stessa
posizione del mio sogno, accovacciata con la testa tra la
braccia, appoggiata al muro sotto la finestra. Le mie mani si erano
artigliate
ai gomiti apposti, come se avessi paura di disgregarmi se mi fossi
lasciata
andare.
Sapevo benissimo
che lui era lì, sull’uscio, ma in quel momento ero
la più
grande tra le vigliacche, e non avevo il coraggio di guardare.
Sapevo anche che
lui aveva capito che ero sveglia. Ma non mi importava.
L’avevo
fatta grossa, inutile negarlo. Non
l’avevo respinto, giusto qualche minuto (ora?) fa?
Perché
poi? Per la paura? Per lo shock? Su quale base gli avevo impedito
di... dichiararsi?
Ero talmente
presa dall’autocommiserazione, che quando parlò il
mio cuore
cominciò a battere forsennatamente. Non solo per lo spavento.
In qualche modo,
sapevo quello che sarebbe successo.
Altaïr
-Io
ci ho provato, Vega- proferii,
entrando
definitivamente nella stanza.
Lei rimase nella sua posizione, senza muoversi, se non per dei piccoli
sussulti.
- Ci ho provato a starti lontano, in tutti modi. A non trovarti
interessante- feci
un passo in avanti – A limitarti nella figura di Consorella.
A rimanerti solo amico. A
considerarti solo “Bella”
per i tuoi strani tratti. Ho provato ad impedirmi di perdermi nelle
pozze verdi
dei tuoi occhi, dicendomi che eri solo una novità, che
presto mi sarei abituato-
sospirai, di fronte alla vanità
dei miei pensieri.
Compii un altro passo verso di lei, più i miei movimenti
erano lenti, più il
mio cuore urgeva, non curandosi dei limiti che la mia mente mi imponeva.
-Ho provato a non aver bisogno di te. A mantenermi distante. Ho
provato....
tutto-
Ero ormai al suo cospetto e non mi rimase nulla da fare se non
accovacciarmi–
Io ho provato a non amarti e ho fallito miseramente-.
Solo a quelle parole alzò la testa nella mia direzione,
stupendosi di trovarmi
così vicino. Le sue guance erano nuovamente cremisi e i suoi
occhi non erano
più offuscati dalla tristezza. Se non dalla confusione.
- Io volevo scappare da tutto questo ancor prima di sapere della
leggenda- confessai,
vergognandomi della mia codardia - Ma in qualsiasi modo io ci abbia
provato, ho
finito sempre per avvicinarmi un po’ di più a te-
un sorriso di pura emozione
mi spuntò sulle labbra. –Ho il brutto vizio di
tornare sempre nel posto in cui ci
sei anche tu-.
Vega aveva la capacità di parlare con gli occhi, poteva non
dire niente e
contemporaneamente dire tutto con uno sguardo.
E in quel momento, nei suoi occhi, cambiò qualcosa: Non
c’era confusione, non c’era
titubanza. Nei suoi occhi c’era la luce. C’era
calore.
C’era l’altra parte di me, quella che credevo di
non meritarmi.
C’era tutto quello che avevo sempre cercato.
Posò una mano sulla mia guancia, come aveva fatto quel
giorno nel vicolo e si
avvicinò piano, non so se per dare tempo a me o a se
stessa.
-E’ che a volte mi sento così persa...-
sussurrò, ad un centimetro dalle mie
labbra.
Poggiai la mia mano sulla sua e la strinsi –Io ti
troverò sempre-
La sua espressione si incrinò nuovamente –E se
finisse male? E se...-
-Habeebti₇- sussurrai, spostando il
mio naso sul suo collo. Inspirai a pieni polmoni il suo odore di
vaniglia, e
ogni mio istinto si risvegliò, come se il suo profumo li
avesse richiamati da
chissà quale cantuccio segreto del mio cuore.
Posai le labbra
sul suo candido collo e lambii la sua pelle con delicatezza, tracciando
una scia di baci fino all’orecchio – Non mi importa
niente del mio orgoglio,
dei tuoi dubbi...– sussurrai, mordicchiandoglielo piano
– Io voglio te-.
Vega mi
riportò davanti al suo viso con uno strattone. E mi
baciò.
Con una foga
inaspettata. Con una forza inaspettata.
Le
nostre labbra si unirono instaurando una danza tutta loro e, quando la
mia lingua si fece spazio, trovò la sua pronta ad
accompagnarla.
Insinuò
le mani tra i miei capelli e mi sospinse verso di sé,
cosicché i nostri
corpi si incontrassero. Ancora.
Portai una mano
sul suo seno, ancora coperto dalla stoffa bianca della tunica,
e tremavo dall’emozione. Come se fosse la prima volta che
toccassi una donna.
Era piccolo, ma
sodo e terribilmente eccitante.
Ne tracciai i
confini con un dito, ricevendo un mugugno di assenso che
morì
sulle mie labbra e con il pollice cominciai a stuzzicarne il capezzolo,
che si
inturgidì al contatto.
Era incredibile
come una sciocchezzuola del genere potesse farmi eccitare
tanto, come nessuna donna aveva mai fatto.
Vega
lasciò le mie labbra e si sporse ancora a baciarmi la
mascella, facendo
aderire il suo petto al mio, poi scese sul collo, provocandomi una
serie di
brividi lungo la schiena. Alternava labbra e lingua con maestria.
Poi dai miei
capelli fece scendere le mani sul torace, poi sull’addome,
per
raggiungere i lembi della veste che tirò su con lentezza,
spogliandomi.
Poi riprese a
baciarmi, scivolando con la lingua fino alla spalla, ripercorrendo
il percorso compiuto dalle sue mani.
Baciò
e succhiò la pelle, a volte seguendo la traccia di alcune
vecchie
cicatrici, a volte seguendo una linea
immaginaria, facendo sì che il cavallo dei miei pantaloni si
stringesse sempre
di più. Quasi da diventare insopportabile.
Talmente
insopportabile che ribaltai la posizione, sovrastandola, e le mie mani
furono subito ai suoi fianchi, dove il bordo della tunica era arrivato,
e lì
indugiai, cominciando a raccogliere la stoffa tra le dita.
La sua pelle era
fredda, come sempre, e morbida, specie in quel punto, talmente
tenera ed eccitante che dovetti trattenermi dall’affondarci i
denti.
Con una lentezza
serafica, senza mai distogliere i miei occhi dai suoi,
sollevai la tunica. Ogni centimetro guadagnato mi caricava di
aspettativa,
mentre le guance di Vega si tingevano sempre più di rosso.
Era
distruttivamente eccitante.
-Aspetta...-
mugugnò, incerta, quando con i polpastrelli ero arrivato a
toccare
i seni e mancava poco a scoprirli. Arrossii violentemente, per poi
coprire
quella manifestazione con le mani.
Fu subito tutto
chiaro e mi sentii ignobile per non essermene preoccupato
dall’inizio.
-Non ti farò
del male-
sussurrai,
abbassandomi fino a baciarla –Non ti farò mai
del male- Ed ero stato terribilmente sincero.
***
***
1)
Credo che questo sia il capitolo più lungo della
fic. E immaginate che l'ho anche tagliato!
(La solita raccomandazione è quella di leggere la prima nota
alla fine della lettura)
Ormai
sapete quanto io ami Peter Gabriel, così non stupitevi se ho
lasciato a lui il faticoso compito di rappresentare il capitolo (diviso
in due parti) più... emozionante? almeno per me... della
storia: In your Eyes, è uno brano dell'album "So", che
è di certo il più famoso album del cantante
inglese.
Ed è la canzone pià romantica che io conosca!
I motivi della scelta sono stati due: Il primo, come si sarà
notato, riguarda i sentimenti di Altaïr, Il secondo
(più o meno scenico) riguarda gli occhi.
Credo sinceramente in tutte quelle stucchevoli frasi che dicono che gli
occhi siano lo specchio dell'anima e un mezzo efficace di
comunicazione, ci credo talmente tanto da poter sembrare una
stilnovista xD
I sentimenti di Altaïr sono stati ampiamente, come dire?, esplicitati
nel capitolo, ma sento di dover far un aprrofondimento su un aspetto
che io attribuisco al nostro Mentore.
E' una persona sicura di se, che non fa le cose con modi accorti,
diciamo anche che sono invadenti e dispotici, però, d'altra
parte, lo vedo come una persona oculata e attenta ai dettagli, specie
se gli importa di qualcosa. E, dopo la sue espiazione, abbastanza umile
da mettersi sempre in discussione e cambiare.
Non stupitevi, vi prego, se Altaïr è un po'
imbambolato, diciamo anche rincitrullito (come si può
evincere dal fatto che non riconosca il ruolo di Ranya) o che abbia un
po' pensiero confusi e discordanti, sulla scia di un romanticismo
esageranto (che non mi appartiene nemmeno), ma come ho già
scritto qualche capitolo fa, Altaïr ha sempre vissuto l'amore
come un sentimento travagliato (Orfano di genitori, la tragica morte di
Adha...), per cui, ora che questo sentimento sembra essersi presentato
in una forma più canonica (anche se c'è questa
strana leggenda pendere sulle loro teste), ho ipotizzato che la cosa
sia del tutto nuova per lui, che si faccia trascinare.
Non rimpiangete il nostro lucidissimo Assassino, tornerà
presto: E' come se fosse rinato, e "crescerà" insieme al
sentimento che prova.
2) Quanum= Discendente
diretto dell'arpa egiziana, il quanum è uno strumento
musicale a corde pizzicate diffuso in oriente già dal X
secolo. Ha forma trapezioidale, 72 corde raggruppate in gruppi da tre,
e si poggia sulle ginocchia del musicista, che può cambiarne
toni mediante delle linguette di bronzo.
Arghoul= Strumento
a fiato più antico del panorame mediorientale. Si compone di
due canne attaccate con la cera, munite di ancia, di cui una
può produrre una sola nota, molto bassa, come un
sottofondo continuo, l'altra canna ha invece sette fori, e si usa per
produrre la melodia vera e propria.
Zagat= Strumento
a percussione formato da due piatti metallici, legati fra di loro con
un cordino. Quelle che oggi chiameremmo nacchere. Erano molto usate
della danzatrici Gawazee (di cui parleremo in futuro) per tenere il
tempo durante una esecuzione.
3) Muffrih= Piacevole
4) Sadiq= Amica
5) Tasmah lî
an uquadim nafsî, anâ= Mi permetta di
presentarmi, sono... E' la frase più comunemente usata per
presentarsi ad una persona, che sia di rango importante o meno.
6) Per
quanto mi piacerebbe, non sono l'ideatrice di questa leggenda, che
è di origine Cinese, come già detto. Ho usato la
versione approvata dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri. Mi
piacerebbe darvi qualche informazione su queste stelle protagoniste
della nostra storia.
Altaïr(Niulang) è la stella alpha della
costellazione dell'Aquila, mentre Vega(Zhinu) della costellazione della
Lyra e, insieme a Deneb, costellazione del Cigno , formano il famoso
triangolo estivo, visibile dal settimo giorno del settimo
mese dell'anno ( il giorno in cui Zhinu e Niulang possono rincontrarsi,
mediante il ponte che sarebbe Deneb). Sono stelle molto
luminose, in media 40 volte più del Sole.
Il Fiume d'Argento all'epoca, corrispondeva alla nostra Via Lattea.
7) Haabebti= Significa
"Amore mio". Questa è la forma usata da un uomo verso una
donna.