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Autore: _Marlena_    16/03/2014    2 recensioni
Anche gli dei, come tutti gli esseri viventi, soffrono, ridono, piangono, e si innamorano. E proprio come gli esseri umani, si innamorano spesso di persone di cui non dovrebbero innamorarsi.
Le protagoniste di questa storia, sono due dee completamente opposte, che non hanno nulla in comune, tranne un piccolo particolare: hanno giurato di non prender mai marito.
Genere: Fantasy, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«Ciao, io sono Pallade, e tu chi sei?»
La voce di una bambina la fece voltare e il legno che aveva tra le mani le cadde sul grembo.
«Io sono Atena» le rispose, alzando leggermente il mento, in modo fiero. L’altra rise del suo comportamento, ma si sedette comunque di fianco a lei, sulla sponda del fiume.
«Che fai?» chiese mentre Atena riprendeva il legno in mano e cominciava a pulirlo.
 «Mi costruisco un giavellotto».
«Forte!» rispose Pallade, muovendo i piccoli piedi sull’acqua, senza però bagnarli, «rimango qui con te allora».
 
«Dai Atena spostati!» una risata cristallina, la voce ancora innocente, seguì la frase.
«Mi sposto solo se ti arrendi» disse lei schiacciandola ancora di più al suolo, con un sorriso sulle labbra.
Ultimamente giocavano spesso a fare la lotta, sullo stesso prato su cui si erano conosciute quando erano bambine, ed ora erano poco più che ragazzine. Avevano condiviso tutto fin dal loro primo incontro e stavano crescendo assieme. Atena però era un po’ più alta di Pallade, e riusciva a sentire il piccolo seno della ragazza premere contro il suo petto. Non le dispiaceva affatto la presenza di quel corpo sotto di sé.
«Bel modo di vincere» disse Pallade abbassando le braccia ed appoggiando le mani dietro la propria testa, accarezzando l’erba con i polpastrelli delle dita, «per fortuna che quando crescerai sarai la dea della guerra…» e rise guardandola fare una smorfia. Crescere ed essere una dea non la entusiasmavano molto, ma quello era il suo destino. Almeno avrebbe avuto accanto la sua amica.
«Va bene, va bene. Però, dato che sei stata sconfitta, come ogni perdente che si rispetti, mi devi qualcosa in cambio» e alzò un sopracciglio mentre un sorriso furbo le si dipingeva sul volto.
«Il solito?» chiese Pallade ridendo.
«Il solito» confermò Atena, voltando leggermente la testa di lato. E Pallade, scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo sempre col sorriso sulle labbra, le prese il viso fra le mani e lo avvicinò al suo. Le sue labbra si posarono sulla guancia di Atena, ma gli angoli delle loro bocche si sfiorarono.
«Ti piace proprio vincere» disse Pallade, lasciandole il viso, avendolo prima tenuto fra le sue mani un po’ più del dovuto.
«E a te piace proprio perdere» controbatté Atena, sorridendole con dolcezza, la guancia ancora bollente dove si erano posate quelle labbra.
 
«Va bene, sei sicura di volerlo fare?» guardò la lancia che aveva in mano, poi la ragazza che era dall’altro lato del prato e nuovamente la lancia.
«Dai tira!» le gridò Pallade per farsi sentire.
Atena sapeva che era una cosa insensata da fare, non avrebbe mai dovuto ed inoltre c’era quella strana sensazione che non voleva andarsene.
Il rumore del fiume lì accanto, gli uccelli che cantavano nel bosco lì vicino e il vento che soffiava fra le fronde degli alberi, sparirono, lasciando posto solo al rumore del suo respiro e al battito del suo cuore. Atena soppesò la lancia che aveva in mano, le nocche bianche per la presa troppo forte. Poi caricò indietro il braccio, raccogliendo tutta la potenza che aveva. Doveva lanciarlo solamente oltre Pallade, che si era posizionata esattamente dove era atterrato l’ultima volta la lancia.
L’arma partì, e a metà della sua traiettoria, una folata di vento, potente ed improvvisa, le fece cambiare direzione. Atena capì quello che stava per succedere, ed aprì la bocca per urlare, ma nessun suono uscì dalle sue labbra. Iniziò allora a correre e quando arrivò, la lancia era conficcata al suolo, una pozza di sangue attorno alla punta.
Il suo petto si alzava ancora, con fatica. Strani rantolii accompagnavano il respiro di Pallade.
«Atena…» sussurrò impercettibilmente la ragazza.
«Shhhhh, sono qui, sono qui» Atena si inginocchiò al suo fianco, non sapendo cosa fare. «Pallade, Pallade ti prego…»
Pallade tossì, e del sangue le uscì dalla bocca.
«Il solito…» le chiese debolmente «Atena…»
La dea la guardo, mentre sentiva che una mano debole le prendeva la tunica e cercava di tirarla a sé.
Atena allora abbassò il proprio viso, ed appoggiò le sue labbra su quelle di Pallade, non sapendo se quella era la cosa giusta da fare.
Quando spostò la testa e riaprì gli occhi, vide un sorriso sulle labbra di Pallade, gli occhi chiusi, il torace che non si alzava più. Vide delle lacrime cadere sul volto della ragazza per terra, e capì che erano le sue.
«Pallade…» sussurrò prima debolmente, appoggiando le mani sulle spalle della ragazza e scuotendola, prima piano, poi sempre più forte, le lacrime che continuavano a cadere dai suoi occhi, urlando sempre più forte il suo nome.

 
Atena riemerse dall’acqua. Il respiro affannato, il cuore batteva all’impazzata. In testa le immagini di quella morte  continuavano a ripetersi all’infinito.
Si portò le mani sul viso, togliendosi l’acqua in eccesso. Scosse la testa più e più volte, come per mandar via quella scena dai suoi occhi.
Aveva giurato che mai, mai più avrebbe ripetuto quello stesso errore. Si era innamorata una sola volta, e le conseguenze erano state disastrose.
Ritornò verso il bordo dello stagno, camminando con calma, per andare a prendere i suoi abiti.
Ma dal fitto del bosco, arrivò l’eco dell’abbaiare dei cani e di cespugli mossi da piedi che correvano.
Atena allora si guardò attorno, ma l’unico posto in cui nascondersi, erano degli alberi lontani dalla sua tunica, rimasta dall’altra parte della radura. La dea sperava che fosse solo un mortale che aveva perso le tracce della sua preda, e che presto sarebbe ripartito per cercarla.
Dal bosco, uscì però l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quel momento.
Una ragazza dai capelli argentati si sedette sull’erba, e chiuse gli occhi stendendosi per terra.
  
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