Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Joy_jest    16/03/2014    3 recensioni
Clopin legge tutto, almeno, tutte le persone. Tranne una. Lei è la sua nuova sfida.
Sono agli opposti, ma gli opposti si attraggono... o forse no?
--nota--
1.Sì, un'altra storia con Clopin e una ragazza. No, non è una storia sdolcinata.
2.Alcuni personaggi (come Frollo) prendono ispirazione anche dal libro, che li rende più complessi. Comunque il contesto resta quello del film.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Claude Frollo, Clopin, Esmeralda, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Era sera.
Il buio si insinuava tra le vie di Parigi come fa l' acqua nei canali dischiusi, buio dal quale la gente sembrava scappare, tanto velocemente rientrava nelle case. Le strade erano tanto più deserte quanto più erano in periferia e, in una di queste, un rumore felpato di passi. Sotto le scarpe a punta solo qualche sasso del selciato dissestato poteva tradire la presenza di un'anima a percorrerlo.
Clopin camminava solo, immerso nei suoi pensieri, che di tanto in tanto si soffermavano sulla sua casa e gli acceleravano il passo. Pensava alla giornata, pensava ai bambini, compiacendosi della loro ammirazione. Pensava anche, di tanto in tanto e con rabbia, a quella ragazzina, ma subito questo pensiero lasciava posto a quello della sua Esmeralda, della sua famiglia, e desiderava che il vento lo potesse prendere e trasportare da loro in un istante, come fa con le foglie in autunno, anziché abbattersi su di lui come è solito fare con gli alberi. Camminava e camminava, lasciando che i piedi soltanto ricordassero la strada che lo avrebbe portato a casa.

Arrivò alla corte infreddolito e un po' stanco, fra tutti trovò Esmeralda ad accoglierlo, come sempre.
-Ehilà, Clopin!- gridò, gettandogli le braccia al collo.
-Ehi! Piano...-rise Clopin.
-Allora, com'è andata?-
Clopin sospirò: -Bene...-
Lei abbandonò il riso, gli prese il viso tra le mani e, guardandolo negli occhi, chiese: -Che c'è? Qualcosa non va?-
“Non le può proprio sfuggire nulla” pensò Clopin; tentò di distogliere lo sguardo, ma non si poteva scappare da quei magnetici occhi verdi, così grandi, così belli.
-Allora?
-Esmeralda, tu... mi trovi vecchio?
La ragazza si fermò a guardarlo qualche istante, per poi scoppiare in una risata di quelle che faceva lei, gettando la testa all'indietro: -Vecchio?! Più vecchio della quercia più vecchia di tutta la Francia, ci puoi giurare!- Disse abbassandogli con un gesto la tesa del cappello.
Era così, a stare sempre col buffone di corte aveva imparato a scherzare anche lei; in realtà Esmeralda aveva capito che in fondo qualcosa non andava, ma aveva deciso di lasciar perdere e buttarla sul ridere, certi argomenti non si possono affrontare stanchi... e certo non prima di cena!
-Forza, vai a cambiarti. I bambini aspettano la favola della buonanotte.
Clopin fece come gli era stato suggerito e, dopo aver cenato, prese petit-Clopin per dirigersi verso il centro della corte, dove i bambini ancora non ne volevano saperne di andare a dormire. In poco tempo si era radunata attorno a Clopin una piccola folla di piccoli spettatori impazienti e rumorosi, che si calmarono poco a poco quando la vecchia favola de “La quercia e la canna” iniziò. Era così tanto tempo che il burattinaio non la raccontava che tanti neppure la ricordavano.
-...E infine la quercia gridò: “Preferisco allora la morte a una vita miserabile!” mentre veniva trascinata via dalla corrente...
Clopin aveva appena finito di pronunciare la conclusione che già i pargoli iniziavano a gridare, reclamando un'altra storia, ben sapendo che non l'avrebbero avuta. Difatti non l'ebbero, perciò Clopin poté finalmente dire conclusa la sua giornata.
Tornò nella propria tenda, trovandola però già occupata da Esmeralda, intenta a giocare con Djali, la fedele capretta. Erano così in sintonia che si sarebbe detto che fossero l'una parte dell'altra. Clopin interruppe quella scena di giochi: -Esmeralda! Cosa ci fai qui?-
-Volevo incontrarti. Dimmi, cos'è successo?-
-Di che parli?
Lei alzò il sopracciglio, come per dire: “davvero pensi di cavartela così?”
-Sul serio, non so...
-Clopin, insomma, sai che non riesci a mentirmi! Stasera te ne esci con domande strane, sei più triste del solito, racconti ai bimbi una favola che perfino tu avevi dimenticato e per giunta continui a evitarmi! Cosa ti sta turbando?
Clopin rimase qualche istante in silenzio, rigirando tra le mani il suo petit-Clopin, con lo sguardo fisso sui dettagli che lui stesso aveva curato. No, non era il caso di farlo intervenire con qualche simpatica uscita, non quella volta.
-Non lo so, davvero. Insomma, un attimo prima lei era lì e sembrava così... concentrata, ma allo stesso tempo aperta a qualsiasi cosa e poi... poi era una come tutti i francesi.
-Aspetta. Chi? Una francese?
-No! Voglio dire, sì, è francese. In verità non lo so, penso sia francese, sicuramente non è di Parigi, ma... non puoi capire, è strana!
-Ti ha denunciato alle guardie? Sei stato preso, ti hanno fatto qualcosa?- E così parlando cercava di vedere se per caso era ferito, o qualcosa del genere.
-No, calmati, non mi ha fatto niente. E' che...- Fece una pausa e la fissò negli occhi. -Esmeralda, tu sai che io capisco le persone. Sento quando sono tristi, allegre, preoccupate o che so io. Lo so, niente potrebbe farmi vacillare. Ricordi la prima volta che dei bambini ti presero in giro e non mi volevi dire niente? E quando tu e la tua amica rubaste per la prima volta? Vi smascherai in un momento, no? Non so per caso, ogni volta, quello che vogliono da me i bambini? Ma parlando anche di adulti: non riconosco sempre quando alla corte qualcuno ruba una volta di troppo? Non intuisco a prima vista quando un francese è disposto a darci una mano o è terribilmente gretto?
-Certo- lo interruppe lei -E' anche per questo che sei il nostro re.
-E invece no! No, non con lei. Ascoltami bene, Esmeralda, al mondo esistono tanti caratteri ed emozioni diverse e, a ogni persona corrisponde un carattere: semplice e logico. C'è l'avaro, l'iracondo, il pessimista, il solare, il vigliacco e un'infinità di altri. La maggior parte, però, è un miscuglio, spesso complesso, di qualcuna di queste caratteristiche, un po' come le pozioni.- fece una pausa -Tu, per esempio, sei una miscela scoppiettante di generosità, intraprendenza, solarità e un pizzico di impertinenza.
-Ah! Ma guarda un po'... e Djali?
-Ma Djali è una capra!
-Non permetterti sai. Descrivi subito anche lei, ora.
-Mmh... Indovina? Siete identiche.
-Lo sapevo!- La ragazza abbracciò contenta la capra e a vederle sarebbe sembrato che questa rispondesse. Continuò: -Va bene, ma non è questo il punto. Allora, lei com'è?
Clopin sospirò:- Lei è...- ci pensò un po' e poi disse: - Cattiva.
-Come, cattiva?
-Cattiva. Ma non è crudele, né sadica, né altro, forse non si può nemmeno definire “cattiva” in sé... è come se lo fosse diventata, come la pelle cicatrizzata dopo una ferita, che è più spessa e più dura.
-Beh, molte persone cambiano in questo modo, dovresti saperlo.
-Infatti lo so. E' come se fosse stata costretta ad essere così, ma non lo voglia davvero. Voglio dire, l'essere cattiva non le appartiene, ma vuole farlo credere. Io lo vedo, quando pensa che nessun altro la guardi, che lei non è così.
-E com'è, allora?
-Non ne ho la più pallida idea.
Esmeralda scoppiò a ridere.
-Vorresti dire che tu, il re dei Gitani, capace anche di scovare un gufo assonnato, una volpe stupida, un falcone cieco, non riesci a capire una borghesuccia?
-Come fai a sapere che è una borghese?
-Tutti i nobili e borghesi sono crudeli e antipatici, lo sai meglio di me. Quindi, cosa intendi fare con questa ragazzina?
-Credo che le starò alla larga il più possibile.
Esmeralda sgranò gli occhi.
-Che c'è?
-Niente, solo... non mi sarei aspettata un'arresa così in fretta, non da parte tua.
-E che dovrei fare, secondo te?- chiese Clopin leggermente irritato.
-Accetta la sfida. Combatti, sei il re dei Gitani, no?
-E come, di grazia?
-Cercala, spiala.
Clopin sbuffò. -Dimenticavo: sei anche pazza.
-Oh, non farla così lunga! Io ora vado a dormire e lo consiglio anche a te. Buonanotte Clopin.
-Buonanotte. E grazie per avermi ascoltato, se ti va racconterò tutta la faccenda in un altro momento, magari con più calma.
-Figurati. Quando vuoi, io ci sono.
E detto questo Esmeralda fece per uscire dalla tenda, ma arrivata sulla soglia si fermò e chiese da sopra la spalla:- Clopin... di che colore sono i suoi occhi?
-Grigi.
Esmeralda sorrise come chi la sa più lunga e se ne andò, lasciando Clopin spiazzato dalla sua stessa risposta.

 

-o-0*§*0-o-

 

-No! Non voglio metterlo, è troppo... tutto!
-Ma come, Cécile! E' costato una fortuna!
-Io non lo volevo.
-Non fare la bambina, non lo sei. Stasera indosserai quest'abito, volente o nolente!
-Cosa vuoi che gliene importi, a un giudice...- borbottò Cécile.
-Come, scusa?
-Niente.
-Bene, allora. Ti voglio pronta tra un'ora.
Hélène uscì dalla stanza; Cécile si lasciò cadere sul letto con in mano un vestito tutto sbuffi e merletti, faticando a decidersi a indossarlo.
Meno di un'ora dopo scendeva le scale impacchettata in un vestito eccessivo, sotto gli sguardi soddisfatti e divertiti dei genitori e dell'amico. Emile trattenne a stento una risata quando la vide, ma Cécile lo fulminò prontamente con lo sguardo e chiese stizzita:-Quando partiamo?-
-Tra breve, Cécile- rispose Gerome, suo padre.
-Mi sembra inutile dire che io non verrò- intervenne la madre.
-Come?!- sbottò la figlia, ma un secondo dopo realizzò che effettivamente era la decisione più logica e scontata: una donna in quelle condizioni e in casa di un giudice, quel giudice, per giunta. Sarebbe stato strano il contrario, ma, nonostante tutto, Cécile non ci aveva minimamente pensato. Era vero, spesso madre e figlia erano in disaccordo, ma Hélène era sempre stata il suo appoggio e il suo scudo in situazioni pubbliche, nelle quali Cécile si sentiva enormemente a disagio. L' improvviso mancamento di questa sua protezione la gettò subito nello sconforto. Come avrebbe fatto, da sola? Certo, assieme a lei c'erano Emile e i rispettivi padri, ma lei era l'unica ragazza. Da un lato forse questo era un vantaggio, non le avrebbero rivolto molte domande, e lei, d'altronde, si era riproposta di non parlare per tutta la sera per evitare momenti imbarazzanti o uscite fuori luogo.
-Il ministro Frollo è stato molto gentile a invitarci così presto dopo il nostro arrivo, perciò sii cortese e molto rispettosa- disse ancora Gérome. “Che equivale a: rimani zitta, sorridi e annuisci” pensò Cécile. Suo padre non l'aveva mai considerata più di tanto, non sapeva nemmeno se le voleva bene. Forse perché era una femmina, e non un maschio, come egli avrebbe voluto, forse semplicemente non gli piaceva dimostrare il proprio affetto, ma volte credeva che addirittura si dimenticasse di avere una figlia.
Il ministro Frollo era legato da qualche lontanissimo parente acquisito a suo padre, ancora non si era ben capito come, ma a quanto pareva per loro era piuttosto importante se il giudice li degnava di un pranzo nel suo palazzo appena arrivati in città, dove inoltre aveva procurato loro anche l'alloggio e un paio di servitori: Basile e Mathilde .
“E' solo un pranzo” - si ripeteva Cécile - “E' solo un pranzo, rimani in silenzio, assaggia, ma non mangiare troppo” ; sembrava sua madre, non lei, a parlare nella sua testa.
Finalmente partirono. Man mano che il palazzo di giustizia si avvicinava, Cécile era sempre più in ansia, ma quando gli arrivarono davanti le mancò il fiato. Era un palazzo enorme, con una scalinata infinita che avrebbe messo in soggezione il più onesto degli uomini. Si voltò verso Emile, anche lui sembrava colpito dall'imponenza del palazzo.
Scesero dalla vettura, ma... era una macchia viola quella che stava scomparendo dietro all'angolo del palazzo? Cécile accennò qualche passo in quella direzione, fosse stato per lei l'avrebbe inseguita come una bambina, ogni scusa poteva essere buona per scampare ad una situazione del genere.
-Cécile, vieni!- Suo padre la richiamava.
Cécile si morse le labbra e tornò indietro.

 

I soffitti tanto alti da non vederne la fine, i muri grigi e il silenzio che faceva riecheggiare ogni passo non mettevano certo a proprio agio. Per contrasto le venne in mente il suo mare, così diverso, così tanto più accogliente e così lontano da lei.
Dei servitori li accompagnarono nella sala da pranzo dove il tanto sospirato ministro si fece finalmente vedere. Era un uomo alto, accogliente tanto quanto il palazzo, e dimostrava certamente più anni di quanti non ne avesse in realtà, dall'aria severa e... giudice, non si poteva definire altrimenti. Dopo le prime presentazioni, li fece accomodare. Cécile pregò che le portate arrivassero in fretta, odiava i momenti che precedevano il pasto, dove si poteva solo parlare. Per sua fortuna gli uomini iniziarono presto a conversare d'affari e d'economia: campi in cui non è mai richiesto il consulto di una donna. Tuttavia, proprio quando la prima portata era arrivata e Cécile credeva ormai scampato il pericolo, sentì dire con un tono freddo: -Allora, Mademoiselle, come vi sembra Parigi?- Alzò la testa di scatto, era proprio lei che volevano? Era proprio lei che il giudice stava interrogando? Nel parlare del loro ospite c'era una sorta di perentorietà che faceva sembrare la più innocente delle domande un'accusa.

-E'... m-meravigliosa, come città.- rispose incerta.
-Ne siete proprio sicura? Non l'avrei mai detto, queste non sono delle belle giornate per visitarla, avete trovato davvero così piacevole Parigi sotto questo cielo grigio e con questo freddo?- Pareva che si divertisse a metterla in difficoltà, anche se di poco. Cécile non sapeva cosa rispondere, se ci fosse stata sua madre l'avrebbe certamente salvata con qualche battuta simpatica. Ma era sola. Le saltò in mente Notre-Dame, unico ed enorme appiglio: -Il fascino degli antichi palazzi... rimane, nonostante il brutto tempo- Forse stava dicendo qualcosa di sensato? Non avrebbe saputo dirlo in quel momento -Il cielo grigio è un ottimo sfondo per le vecchie architetture- aggiunse.
Frollo la guardò, poi forse accennò un sorriso compiaciuto: -Concordo, il cielo uggioso sa rendere un'atmosfera più interessante. Avete già visitato Notre-Dame?-
-Sì. C-cioè no, l'ho potuta ammirare solo dall'esterno-
-Dovete assolutamente entrarci, è una gioia per gli occhi e per l'anima.-
-Lo farò...-
Quella discussione era durata anche troppo a lungo, voleva troncarla in qualche modo, ma Frollo non le lasciava pace: -E i cittadini, come vi sono sembrati?-
Perché, perché doveva torturarla in quel modo?
-N-non abbiamo avuto molte occasioni per incontrarli.-
-Sappiate che i parigini sanno essere molto ospitali, tuttavia guardatevi bene dagli zingari- disse con con disprezzo -Infestano la città da troppo tempo ormai, ma stiamo cercando di rimediare. Vi hanno creato problemi, fin ora?-
-Uno di loro ieri ha importunato Cécile- si intromise Emile, forse nel tentativo di aiutarla, accollandosi la conversazione, ma Frollo non demordeva e chiese di nuovo alla ragazza: -Ne sono profondamente dispiaciuto. Sapreste per caso descriverlo?-
Ma perché glielo stava chiedendo? -Non saprei... portava una maschera...-
-Certo, il cantastorie- borbottò il ministro -Come vi ho detto, gli zingari sono davvero una gran scocciatura per questa città. Le voci dicono che abbiano persino un covo segreto.-
-Un covo segreto?- disse Emile.
-Sono solo voci, non bisogna dar loro troppo peso.-
-E come avete intenzione di procedere?-
-Al momento stiamo attivando un'azione capillare, ho disposto delle guardie in ogni punto della città, tuttavia non possiamo nulla se gli zingari chiedono asilo nelle chiese.
Emile annuì e suo padre, con grande sollievo di Cécile, sviò la discussione.

 

Il signor Frollo era un maestro nella retorica, era capace di deviare ogni discorso a suo favore, indirizzandolo su argomenti in cui era ferrato. Questi erano principalmente due: l'odio verso gli zingari e tutto ciò che riguardava la cultura, sia che questa riguardasse scritti, opere d'arte o architetture. Frollo era colto, estremamente colto, e teneva a farlo vedere non appena se ne presentava l'occasione.
Cécile l'aveva odiato dal primo istante, dalla prima domanda che le aveva posto, dal primo sguardo che le aveva indirizzato.

Ma poi...
Poi lo ascoltò.

Cécile amava leggere e amava studiare, qualsiasi cosa. Le piaceva imparare cose nuove, lo studio era diventato il suo rifugio da un mondo dove non si sentiva a suo agio.
-Dov'è Cecile?

-In camera sua, a studiare.
Ebbene questo le avevano insegnato, oltre a tutte quelle convinzioni aristocratiche: le avevano insegnato ad apprendere. Per questo quando si trovava fuori, tra la gente, catturava tutto con gli occhi, cercava di capire, di ricordarsi i dettagli, ecco, i dettagli. Proprio come lei, che nella sua famiglia era un dettaglio. Lei i dettagli li catturava per salvarli.

Quello che ora stava imparando da tutto ciò che diceva Monsieur Frollo era più di quanto Cécile potesse desiderare. Pendeva dalle sue labbra sottili, dai suoi occhi piccoli che brillavano sprazzi di lucidità, dalla sua voce grave e calma. Quell'uomo era una quercia secolare, una roccia, forte e sicura. Lo ascoltava parlare di libri, dei Vangeli, di filosofia, delle architetture della città e in ogni cosa egli dimostrava una diligente e minuziosa, dettagliata sapienza, con la quale continuava a incantare Cécile.

 

Tornando a casa, era ormai quasi sera, Cécile non fece che ripensare a Frollo. Non c'era nulla da dire: l'aveva stregata, ammaliata e portata tra i meandri vorticosi della sua sapienza. Forse era un po' presuntuoso nel suo sapere, ma Cécile non aveva mai conosciuto nessuno che gli si potesse paragonare: né la madre, troppo occupata a pensare a sé, alla casa, al bambino -figuriamoci il padre!- né Emile, decisamente più interessato alla caccia che allo studio, né il padre di Emile, la cui unica cultura erano i propri affari.
Si congedò dalla famiglia e si ritirò nella sua camera. Non aveva ancora visto sua madre da quando era tornata, forse si stava riposando, non c'era da stupirsi, d'altronde era “in dolce attesa”. Che termine improprio, quell'attesa non era dolce, era angosciosa.

Per prima cosa si tolse quell'abito assurdo, per quindi indossare una vestaglia da notte. Infine sciolse i lunghi capelli corvini e iniziò a pettinarli, seduta di fronte allo specchio. Si arrestò un attimo per guardarsi: non avrebbe saputo dire se fosse bella o brutta, aveva un viso anonimo, senza strani particolari. Forse solo i suoi occhi grigi facevano eccezione. Erano completamente grigi, senza alcuna sfumatura, chiari.
All'improvviso sentì un forte fracasso, forse era caduta una sedia? Due? O direttamente il tavolo?
Si sporse dall'uscio della sua camera e vide un frenetico viavai di servitori dalla camera di sua madre.
Come?
Dalla camera della madre!
Cécile cercò di fermare Clothilde che passava di fretta, in cerca di informazioni, ma tutto ciò che ottene fu: -Vostra madre sta molto male, ma... sulle sue condizioni non posso ancora dirvi niente con certezza. Mi lasci andare Mademoiselle ...No, non può aiutare. Ma se proprio vuole rendersi utile, preghi, con tutta sé stessa preghi.-









Spazio autrice:
Innanzitutto chiedo venia per il deplorevole ritardo, ultimamente sono molto impegnata con la scuola.
Ebbene rieccomi! Questo capitolo è stato un parto e anche molto travagliato, soprattutto per quanto riguarda la figura di Frollo. Spero che, in ogni caso, vi sia piaciuto, e allora vi invito a recensire, se invece non vi è piaciuto...  recensite lo stesso, grazie :)

Avevo promesso dei disegni... quindi eccoli! Effettivamente sono più degli schizzi qua e là (fatti durante le lezioni) che dei veri e propri disegni.


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Non so se si vedono. Come ho già detto, non sono un mago del computer eheh. Se non si vedono, non so che dirvi, provate ad andare qui: http://i62.tinypic.com/nlv0x5.jpg  e qui: http://i57.tinypic.com/2utgvhu.jpg


No, non mi sono impegnata molto con Cécile, lo ammetto, ma che volete, Clopin è molto più interessante da disegnare... ;)





 
  
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