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Autore: Lordvessel    17/03/2014    1 recensioni
Questa è una storia basata sulla leggenda metropolitana dello Slender Man ideata da Victor Surge. Un 28enne sociofobico di nome Andrea scoprirà attraverso una terapia con l'ipnosi che la sua patologia (la quale non gli consente di parlare con nessuno se non con il proprio psicologo) è dovuto ad un trauma mentre era in vacanza dai suoi zii a Boston: un incontro ravvicinato con il leggendario Slender Man. Tornerà a Boston per rivisitare il luogo in cui aveva visto la terrificante creatura e sarà sempre qui,alla fine, che lo incontrerà di nuovo.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Bondage
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Dopo 15 minuti arrivai al cimitero, ero l’unico “giovane”, il resto per lo più era composto da anziani. Osservavo la gente intorno a me mentre camminavo fra le lapidi, era affrante, ognuno di loro piangeva il proprio caro ormai passato a miglior vita. Pensai  tra me e me “chissà se qualcuno verrà al mio funerale”anche se la risposta era abbastanza ovvia: “Certo che no, tu sei solo, forse il Dottor Meis sempre che non schiatti prima di te”. Il volto straziato della gente mi metteva a disagio, non perché mi deprimesse, ma perché mi faceva sentire strano, io non mi comportavo così,forse perché per me era la solita routine. Avevo 19 anni quando mio padre morì e a lui seguì mia madre un anno dopo,ricordo ancora il suo volto sereno senza l’angoscia o la paura di passare oltre, probabilmente per la speranza di ricongiungersi a mio padre. Pensando a questo anche a me scese una lacrima.  Finalmente intravidi  la tomba dei miei genitori, andavo a trovarli ogni giorno e mi sembrava il minimo visto che nel corso della mia vita erano stati ,assieme ai libri, il mio unico conforto e sostegno. Ho sempre pensato di  essere stato una delusione per loro, pur non avendomi mai dato l’impressione di ciò per l’ amorevolezza che mi davano, ma sapevo del loro desiderio di avere dei  nipoti, di allargare la famiglia: io avrei dovuto sposare una ragazza di buona famiglia, fare 2-3 figli, prendere il posto di mio padre alla banca quando lui sarebbe andato in pensione e vivere tutti assieme in un casa grandissima felici e contenti. Io invece cosa avevo ottenuto? Nulla , certo avevo avuto un’ottima istruzione che mi  avrebbe sicuramente permesso di lavorare,  ma concretamente non avevo mai concluso niente nella vita e campavo solo grazie all’ingente eredità lasciatami dai miei. Una volta deposta la rosa sulle loro tombe mi concessi qualche minuto per osservare il nome sulle loro lapidi, poi feci il segno dell’Ave Maria e mi incamminai per casa. Mentre stavo uscendo dal cancello del cimitero mi arrivò una chiamata dal Dottor Meis che mi urlò di venire subito da lui. Da lì cambiai strada dirigendomi verso il suo studio. Ero davvero molto curioso,dal tono della sua voce sembrava come se avesse qualcosa di davvero importante da dirmi, magari riguardo ad una possibile svolta nella terapia. Arrivato lì mi affrettai a percorrere le scale che portavano al suo studio,entrai ancora ansimante per la corsa e vidi che il Dottor Meis non era solo:
-  Dottor Giuliani le presento Andrea Sieri, uno dei casi più strani che io abbia mai visto.
Il Dottor Meis porse un quaderno, contenente probabilmente quelle che erano state le relazioni su di me durante le sedute, al Dottor Giuliani :
- Il soggetto, Andrea Sieri, nato il 13/12/86 […] presenta una forma insolita di socio fobia, il paziente infatti nonostante la sua personalità perfettamente riconducibile alla media, non riesce ad avere un dialogo se non a dire una parola verso altri individui che non siano il suo terapeuta, me, il Dottor Salvatore Meis […] La diagnosi è che in assenza di prove concrete, la patologia può essere solo riconducibile ad un trauma avuto probabilmente fra l’infanzia e l’adolescenza rimosso poi in seguito dal proprio subconscio.
E qui a parole del Dottor Meis, entrava in gioco il Dottor Giuliani, egli infatti era solito praticare l’ipnosi  con i propri pazienti appunto per scovare traumi rimossi.
Il Dottor Meis si munì di carta e penna con l’intento di scrivere ogni parola che mi sarebbe uscita da bocca durante l’ipnosi, mentre il Dottor Giuliani iniziò la terapia : da lì ciò che ricordo è il vuoto.
Svegliatomi la prima cosa che notai fu il volto abbastanza turbato dei due medici,chiesi al Dottor Meis cosa avessi detto di così terribile nel mio stato di trance, e mi diede il block notes in cui aveva annotato le mie parole.  Da tutto ciò che avevano raccolto un solo episodio mi saltò all’occhio:
all’incirca all’età di 12 anni, mentre ero dai miei zii a Boston nel Massachusetts, probabilmente in soffitta a leggere vecchi libri, avrei cominciato ad urlare all’improvviso. Il resto del giorno lo passai nello studio ad analizzare i nuovi dati, pranzai e cenai assieme ai due dottori finché verso le 22:00 non mi accompagnarono a casa. Una volta entrato mi sdraiai immediatamente sul letto, speravo solo che il caos nella mia testa scomparisse, ero da una parte impaurito dal ricordo che mi aveva procurato il trauma, dall’altra incuriosito,d’altronde se avessi saputo cosa mi aveva spaventato a 12 anni con l’aiuto del Dottor Meis avrei avuto una cura non solo per la mia socio fobia ma per la mia intera vita.  Non chiusi occhio e sapevo che non ci sarei mai riuscito se non avessi fatto almeno un passo verso la verità. Verso le 3 chiamai il Dottor Meis e gli chiesi un grosso favore: di accompagnarmi a Boston, alla casa dei miei zii dove saremmo stati ospitati, per fare luce su tutto. Sebbene un po’ assonnato accettò , e ironicamente disse che così avrebbe finalmente potuto liberarsi di me. Da quella conversazione la mia mente fu molto più tranquilla, tant’è che riuscii a prendere sonno. La mattina seguente non andai al bar, avevo altro da fare, mettermi d’accordo col Dottor Meis sul viaggio: io avrei pagato tutto e preparato i bagagli mentre lui si sarebbe occupato della prenotazione del volo,di avvertire i miei zii per il soggiorno e di farmi da portavoce, visto che io non riuscivo a parlare. Per la prima volta nella mia vita qualcosa era cambiato, ero pervaso dalla curiosità e dal desiderio che un giorno avrei potuto provare il brivido dell’essere “normale”.
  
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