Il destino di Qayin
Quella mattina,
reduce dalla visita a casa della sera prima, Augusto si era svegliato
al canto del gallo.
Machiavelli doveva davvero averli abituati alla levataccia
perché, nonostante stessero attraversando un periodo di
pausa da quelle orribili incursioni mattutine ad opera di Volpe, quasi
tutti avevano preso ad alzarsi con il sorgere del sole.
Non quel giorno, comunque.
Aveva iniziato a piovere a dirotto nel cuore della notte, giusto dopo
che Bengiamino e gli altri erano tornati dalla festa in
città, e il temporale aveva lasciato dietro di sé
una lieve foschia.
Così, quando Spallaci vide arrivare Cristiano e Violante dal
ponte di Tiberio, non si sorprese di trovarli zuppi e infreddoliti,
tremanti sotto i mantelli di raso che assai poco dovevano averli
protetti dalla pioggia battente.
Lasciò il suo cavallo nella stalla quando si fu assicurato
che Cristiano si fosse già allontanato scalando con la sua
insopportabile eleganza la facciata principale del palazzo, e si
avvicinò con fare stizzito a Violante, che per qualche
motivo si era trattenuta nel cortile.
«Buongiorno», la salutò, ghignando sotto
a un sorriso tirato dal sonno. «Passato una bella nottata,
Ladra?»
La giovane – che probabilmente sperava di approfittare dei
bagni del pianterreno per scaldarsi nell’acqua calda dei
bagni – vide ogni suo progetto sfumare. Smise di soffiare
dentro alle mani infreddolite, guardando Augusto con un sopracciglio
alzato.
«Buongiorno a te», rispose educata, prima di
portare una mano al collo indolenzito. «Normale notte di
ronda. Qualcuno deve pur tenere controllate le strade per evitare che
dei brutti ceffi facciano del male al tuo Fiore di Maggio, non credi,
Serpe?»
«Strano, non ricordavo ti avessero affibbiato i turni con
Pagni», rispose prontamente Augusto, incrociando le braccia
sul petto con fare severo. Si appoggiò con le
spalle contro il muro, impedendo a Violante di filarsela sui tetti con
la sua stazza che se non altro poteva vantare un paio di spalle
sufficientemente larghe per l’intento. «Che vai
combinando, degli Antoni?», le chiese, schietto.
«Le lenzuola del Mentore non sono abbastanza
profumate?»
«Non tutti vantano una madre che fa recapitare al Covo
indumenti e coperte puliti e profumati di lavanda ogni settimana,
contraddicendo così il regolamento», lo
incalzò lei, guardandolo storto. «Non devo
giustificarmi con te, Spallaci, ma avevo il turno con Corella che era
troppo ubriaco di vino per camminare, così Cristiano ha
fatto scambio con lui.»
Augusto alzò le mani in segno di resa, facendo spallucce con
un’espressione a metà tra il divertito e il
seccato a scurirgli il viso.
«Sta bene», rispose, tirando su col naso.
«Se vuoi prendermi per i fondelli, fa’ pure. Ma, se
me ne sono accorto io, se ne accorgeranno presto anche gli altri. E non
fare tanto la santarellina; tu e la tua amica napoletana dovete proprio
divertirvi, mentre noi dormiamo ammassati come i maiali in quelle
brande pulciose.»
A quelle parole, Violante perse del tutto la calma.
Aveva appena trascorso la notte sotto alla pioggia battente,
rincorrendo Cristiano che sembrava su di giri, di tetto in tetto,
rischiando anche di cadere. Non avrebbe accettato la
stupidità di Spallaci, non in quel momento.
«Stammi bene a sentire, gigantesco sacco di sterco
bovino.» Lo prese per il mantello, tirandolo verso di
sé. «C’è un grosso motivo, se
tutti ti odiano: sei una zecca. Sei qui, educato dagli Assassini
migliori della penisola, e passi il tuo tempo a vantarti e a fare
battute idiote che non fanno ridere nessuno, invece di imparare
davvero. Quanto ti ficcheranno il pennone di una bandiera dei Borgia
nello stomaco, nessuno ti piangerà. Forse il tuo stupido
cavallo cotonato!» Si scansò, andando verso
l’altra facciata del palazzo. Fece per arrampicarsi, ma poi
ci ripensò. Guardò dritta in viso Spallaci.
«Sempre che non sia tu, a sventolare quella bandiera nel nome
di Cesare.»
«Non lo starai insinuando davvero!»,
protestò Augusto, raggiungendola verso il muro.
«La mia famiglia sputava sulle tombe di quei maledetti prima
ancora che tu potessi anche immaginare di poter uscire da quel cumulo
di merda in cui vivevi a Bologna!» Avanzò di
qualche passo, schiacciandola contro la facciata del palazzo con il suo
corpo. «Se ti sto dicendo di non ficcarti nei guai con Pagni
è null’altro che per il tuo bene. Sei brava, ma
nulla che l’Ordine non possa sostituire. Credi di essere
l’unica a saper infilare le mani in un borsello senza farsi
beccare?» Fece una pausa, furioso, leccandosi le labbra in
preda al nervosismo. «Fa’ arrabbiare qualcuno e ti
sbattono fuori. E allora sì che ci torni, a Bologna! In una
cassa da morto con un mazzetto di margherite in mano!»
Con un gesto lesto, la ragazza cacciò dalla cinta lo
stiletto, premendolo così tanto sulla gola di Spallaci da
far uscire un piccolo rivolo di sangue.
Fu nel vedere quella stilla rossa, che la ragazza parve quietarsi.
«Non vali nulla, figurarsi la pena di ammazzarti e lanciarti
nel Tevere.» Si scostò da lui,
rinfoderando l’arma. «Io saprò fare solo
quello, ma qualcosa lo so fare. Tu non sei niente.»
Con un balzo salì sulla facciata del palazzo, sentendo i
nervi a fior di pelle e sperando che non la seguisse.
Quella breve pausa concessa dal
Mentore fu, di fatto, davvero molto, molto breve.
«Una delle molte abilità a cui deve ricorrere un
buon Assassino è, naturalmente,
un’agilità sopra alle righe. Dovete essere
silenziosi ed eleganti nei vostri movimenti, o sveglierete la
città rotolando sui tetti e scivolando sulle
tegole.»
Ezio appoggiò le mani ai fianchi, assottigliando gli occhi a
causa della luce irradiata da quello scorcio di sole di fine novembre.
«Violante? Inizia tu.»
La ragazza si avvicinò, ignorando lo sguardo di sfida
lanciatole da Spallaci e osservando invece il Mentore, che reggeva in
mano un bicchiere di ceramica.
«È pieno di olio bollente», le disse
lui, passandoglielo. «Devi salire sulla chiesa e poi scendere
senza versarne una goccia, o sarai tu a pagarne le
conseguenze!»
Da dietro le sue spalle, la ragazza sentì il levarsi dei
commenti soffusi di tutti i suoi compagni.
«Io non lo faccio», mormorava qualcuno.
«Io sono ancora ubriaco», commentava qualcun altro,
qualcuno che Violante riconobbe come Corella.
La voce di Laura le giunse più chiara delle altre.
«Io sono capace», diceva, probabilmente rivolta ai
membri del suo gruppo. «Papà ce lo faceva sempre
fare con le uova.»
«Le uova non bruciano», commentò con
sagacia Alessandro, meritandosi così una pacca sulla spalla
da parte di Bengiamino.
Nonostante qualche esitazione, Violante portò a termine il
percorso egregiamente, versando solo una piccola goccia di liquido
caldo sul suo polso.
Ezio annuì compiaciuto.
«Molto bene. Un solo appunto: quanto giri su te stessa, non
usare le braccia per bilanciarti, ma il bacino.» Si
chinò in avanti, mentre lei restituiva il bicchiere,
sussurrandole piano all’orecchio: «So che sai
usarlo assai bene.»
«Allora perché correggermi?», lo
incalzò divertita, tornando verso gli altri mentre il
Mentore rideva di sottecchi.
«Corella, vieni qui! Via il dente, via il dolore!»
Il forlivese si avvicinò con passo indugiante, tirando su
col naso mentre gli altri gli facevano spazio.
«Credo di aver alzato troppo il gomito, ieri»,
biascicò, grattandosi il capo con fare imbarazzato.
«Sono scusato?»
Gli bastò un’occhiata di Machiavelli, in piedi
alle spalle di Ezio, per afferrare il bicchiere e avvicinarsi al muro
della chiesa.
Fu una scalata buffa per chi fece da spettatore, ma molto istruttiva.
Corella arrivò in cima al pinnacolo senza che una sola
goccia d’olio cadesse dal suo contenitore.
Aizzatosi sulla croce, sollevò il bicchiere in aria e finse
di berlo, rovesciandolo alle sue spalle.
Atterrò con un balzo in un covone di fieno nei pressi del
gruppo di Spallaci.
Tutti si divertirono a guardarlo, ma il Mentore fu quello che rise
maggiormente.
«Sei scusato solo perché, ormai, il tuo bisogno di
bere è più forte della voglia di
topa!», esclamò, battendogli una mano sulle spalle
mentre il forlivese emergeva dal covone per passargli il bicchiere
vuoto.
Ezio lo riempì nuovamente, facendo un cenno verso Bengiamino.
«Avanti! So che saprai incantarci con le tue
movenze, Lorenzetti.»
Bengiamino non se lo fece ripetere due volte. Prese tra le mani il
bicchiere, osservandolo a lungo prima di incastrarlo con cura laddove
le due cinghie che portava sul petto si incrociavano,
dopodiché iniziò la sua scalata.
Se, quasi un mese prima, la madre di Violante aveva affermato che sua
figlia volava sui tetti, per Bengiamino il termine più
corretto sarebbe stato danzare.
Piroettò letteralmente da un colonnato all’altro,
appendendosi con grazia alle più piccole sporgenze,
assicurandosi dalla caduta afferrando le minuscole dita delle statue.
Arrivò in cima seguendo una musica che soltanto lui pareva
avere in testa e nello stesso modo ridiscese, fiducioso che la preziosa
coppa non avrebbe versato neanche una goccia del liquido bollente.
«Non vi sembra una delle prostitute che danza ubriaca al
Palatino?», domandò sfrontato Spallaci, ricevendo
solo una zittita da Laura.
Chiara non riusciva a staccare gli occhi dal moro, il quale discese
nuovamente, passando al Mentore il bicchiere senza proferire parola.
Ezio lo guardò con un sorrisetto.
«Non credo ci sia nulla da correggere, eccetto che il
bicchiere andava tenuto in mano.»
Bengiamino annuì, cauto.
«Preferisco arrampicarmi con due mani», rispose,
atono, dopodiché ritornò al suo posto accanto
alla sorella.
Ezio ridacchiò.
«Vediamo invece che progressi ha fatto Ventimiglia!»
Sentendosi chiamare, il Conte si ritrasse dietro le spalle di Maria.
Aveva ancora il viso aperto dalla ferita che si era procurato saltando
da un tetto all’altro e di certo non pareva avere intenzione
di aggravare il suo aspetto, se non che la modenese se lo
scrollò di dosso con un gesto secco, incrociando poi le
braccia sul petto.
Il ragazzo si avvicinò quindi al Mentore, tremando come una
foglia. Più che un Assassino, pareva un bambino che ha perso
la madre.
«Mi fa pena», sussurrò a voce bassissima
Paola, direttamente nell’orecchio di Violante. Sia la castana
che Cristiano si voltarono a guardarla, annuendo alle sue parole.
«Non lo vede, Ezio, che è terrorizzato?»
Contrariamente ad ogni possibile previsione, il caro Conte
arrivò a toccare la croce sulla chiesa senza versare
l’olio, mostrando tanto abile nella scalata quanto nel
mantenere l’equilibrio sulle minuscole sporgenze della
facciata.
Fu allora che successe qualcosa di strano.
Tutti presero ad applaudire, mentre un paio di ragazzi cominciavano
persino ad incitarlo.
Cesco sorrise, all’inizio timidamente e poi sempre di
più con il passare dei secondi, alzando verso il cielo il
braccio con il bicchiere.
Che fosse stato il cielo a volerlo o una mera sfortuna, un piccione
decise di planare proprio in quell’istante, colpendo il
bicchiere e permettendo così ad una cascata bollente e nera
di cadere sul collo, sulla spalla e sul braccio del Conte, mancando di
un pelo il viso.
Dal basso della piazza, l’intero gruppo rimase pietrificato.
Era stata una scena talmente surreale, quella appena successa, che di
primo acchito nessuno riuscì a credere di avervi appena
assistito.
Cesco Ventimiglia barcollò, piegato sotto il dolore
dell’olio bollente versato sulla carne scoperta, e si sporse
pericolosamente verso il vuoto.
Fu allora che Maria si buttò in avanti, scansando Bengiamino
con una poco elegante gomitata.
«Ezio!», gridò, indicando la chiesa con
un braccio alzato.
Il Conte stava già precipitando verso terra. Con
la sfortuna riservata solamente ad uno scomunicato, mancò il
covone di paglia per un soffio, cadendo però per
metà dentro ad una siepe ed evitando così di
morire per un impatto fin troppo violento.
In un attimo, Maria, Ezio e Machiavelli gli furono sopra.
Lo portarono velocemente verso il Covo, lasciando i giovani apprendisti
da soli a girarsi i pollici o a riprendersi da quella scena.
«… È successo davvero?»,
chiese stravolto Corella, battendo velocemente le palpebre.
Bengiamino smise di seguire con lo sguardo i tre e il ferito, tornando
a concentrarsi sulla realtà della piazza ancora gremita dei
giovani.
«Dite che … è morto?»,
balbettò Chiara, con gli occhi scuri improvvisamente lucidi.
Lui scosse il capo.
«Non credo.»
Si voltò verso Violante e Paola, cercando di radunare il
gruppo quantomeno con lo sguardo.
«Torniamo dentro», sentenziò,
avvicinandosi alle due ragazze.
Laura lo seguì, prendendolo a braccetto con sguardo
preoccupato.
«Già», convenne. «Non credo
che ci saranno altre prove, per oggi.»
«Quanto meno, sicuramente non è lui la
spia», disse divertito Cristiano, attirando così
lo sguardo di quattro persone su di sé.
In particolare, Bengiamino, si voltò così di
scatto da fare arretrare il biondo di un passo.
«Cos’hai detto?», chiese stranito,
scambiando uno sguardo veloce con Chiara, la quale pareva aver
formulato il suo stesso pensiero.
Violante si decise a rimediare a quella situazione disastrosa.
«Credo fosse una battuta», disse semplicemente,
scrollando le velocemente spalle. «Avanti, torniamo
dentro.»
Laura si fermò accanto a Bengiamino, mentre questi allungava
la mano verso la spalla di Cristiano.
«Hai parlato di una spia», mormorò,
sbigottita, mentre attorno a lei gli altri si accingevano a tornare
nella sala comune.
«Da quand’è che abbiamo a che fare con
delle spie?», proseguì Bengiamino. «Il
Mentore non ne ha mai fatto parola.»
Corella li superò proprio in quell’istante,
fermandosi con il suo solito fare curioso ad ascoltare il discorso.
«Spie?», chiese, arricciando il naso.
«Che vai farneticando, Principe?»
Cristiano si morse il labbro, attendendo di rimanere solo con i
Lorenzetti, Alessandro e Chiara.
La stessa Paola, complice la preoccupazione, pareva aver deciso che era
meglio non sapere e aveva seguito il resto del gruppo
all’interno.
«Violante ha sentito Maria dire ad Ezio che
c’è una spia, fra di noi.»
La bruna incrociò le braccia sul petto, guardandolo irata.
«Violante ha fatto molto male a fidarsi di te, Cristiano
Pagni.»
«Meglio che lo sappiano anche loro», rispose il
biondo, cercando di prenderla per le spalle, ma le si
scostò, brusca, andandosene di lì.
Bengiamino guardò Violante allontanarsi, senza far nulla per
fermarla.
Ci pensò Laura, la quale accelerò il passo e
raggiunse la bolognese, prendendole il polso per riportarla indietro.
«Parlacene», le disse semplicemente, prima di fare
ritorno verso il gruppo.
Tra gli altri, era già calato il silenzio.
«Ezio ha già qualche sospetto?», chiese
d’un tratto Bengiamino, dando un grosso sospiro.
Guardò Corella, poi Pagni, infine piantò gli
occhi cobalto su sua sorella e su Violante.
La bolognese non pareva incline a voler parlare, ma un ennesimo sguardo
del milanese le fece passare la voglia di tacere.
Scrollò il capo, alzando un istante gli occhi verso il cielo
prima di iniziare.
«Non ne ho idea. Tutto ciò che so è
quello che ho detto a Cristiano: Maria ha detto ad Ezio e Machiavelli
che ha sentito chiaramente due Templari parlare di affari che non
dovevano conoscere. Non dovrei nemmeno saperlo io. Non ne ho mai
parlato con il Mentore.»
«Una bella gatta da pelare», commentò
Corella, serio come mai prima. Si grattò dietro
all’orecchio prima di sorridere di nuovo con leggerezza.
«Non credo dovremmo immischiarci.»
Per un istante, qualcosa guizzò nello sguardo scuro di
Bengiamino, ma fu soltanto una scintilla, un effimero cambiamento nei
suoi occhi perennemente concentrati su chissà cosa. Il suo
corpo si rilassò, i pugni che fino a quel momento aveva
tenuto chiusi si aprirono lungo i fianchi.
«Già», commentò,
semplicemente, senza staccare gli occhi da Corella. «Lo credo
anche io.»
Nuovamente, calò il silenzio.
Rimasero tutti a fissare il terreno per qualche istante, senza ben
sapere come uscire da quella situazione allontanare, almeno per il
momento, la tensione della notizia.
«A qualcuno va un tè?», propose
d’un tratto Chiara, aggrappandosi al braccio di Laura.
Bengiamino scosse il capo.
«Io faccio qualche tiro», rispose e
s’incamminò verso il cortile coi paglioni.
Corella ridacchiò.
«Io vi seguo volentieri per un po’ di
vino!»
Cristiano attese di vederli incamminarsi, prima di avvicinarsi timoroso
a Violante. Si passò una mano tra i capelli, scostandoli
dalla fronte con un gesto veloce, prima di provare a parlare.
«Mi dispiace. Sono stato stupido …»
Di nuovo, lei si scostò prima che lui potesse toccarla o
prenderle la mano.
Lo guardò semplicemente, senza celare in modo alcuno la
delusione nei suoi occhi.
«Sì, lo sei stato.»
Girò sui tacchi, tornando verso la stanza delle ragazze,
senza protrarre oltre quella discussione.
Ezio le mandò a chiamare
nel cuore della notte, quando ormai si erano coricate dopo il
turbamento della giornata di prove.
Laura dormiva profondamente, completamente avvolta nella coperta di
lana con cui si ripara dal freddo dell’inverno, quando una
mano la destò, scrollandola con delicatezza.
Aprì gli occhi nel buio della stanza e
assottigliò lo sguardo, accecata dalla fiamma di una candela.
Dietro al lume, c’era il viso di Maria.
«Alzati e vestiti», le disse, prima di voltarle le
spalle e avvicinarsi al giaciglio di Chiara. «Ezio ci vuole
di sotto il prima possibile.»
Lasciarono la stanza tutte e cinque assieme.
Paola, con i capelli ramati sciolti sulle spalle, non aveva
nemmeno badato a vestirsi, coprendo la camicia da notte con uno scialle
sufficientemente pesante per il freddo di novembre. Chiara era il volto
della preoccupazione: gli occhi sbarrati, scurissimi, e le dita
affondate nella veste turchese. Maria e Violante parevano vestite per
andare alla guerra: scure in viso, con l’armatura addosso e
il coltello legato alla vita.
Guardandole scendere le scale, Laura si chiese se conoscessero il
motivo di quella convocazione.
La sala era calda, illuminata dal fuoco che scoppiettava nel camino e
ravvivata dal sommesso parlottare dei ragazzi già seduti
sulle panche.
Augusto, Alessandro, Cristiano e Bengiamino discutevano a voce bassa,
in cerchio attorno alla tavola centrale.
Laura li raggiunse senza esitazione, prendendo posto accanto a suo
fratello.
«Dove sono gli altri?», chiese, guardando in volto
tutti i ragazzi.
Machiavelli entrò in quell’istante, guardandoli
con gli occhi pesantemente assonati prima di girare sui tacchi e
sparire, iniziando ad urlare nella camera dei ragazzi, per far
sì che s’affrettassero.
«Non l’ho mai visto così
stanco», sussurrò Chiara, sedendosi sulle gambe di
Corella quando questi la invitò a farlo con un cenno.
«Forse siamo alla fine
dell’addestramento.»
«Impossibile», disse Cristiano, pensieroso.
«Abbiamo praticamente appena iniziato.»
Violante passò il peso da un piede all’altro,
guardando verso il Mentore che parlava fitto con d’Alviano e
Volpe, senza degnarli di uno sguardo.
Sembrava davvero la fine.
Laura puntò i gomiti sul tavolo, affondando il
viso nei palmi delle mani. Aveva appena ricevuto il risveglio
più gentile da quando era arrivata a Roma ma il sonno
continuava a farsi sentire, appesantendole le palpebre e implorandola
di tornare tra le coperte.
«Scommetto che parleranno della spia»,
sussurrò Paola, sedendosi accanto a lei.
Lo sguardo arzillo di Corella si spostò dal viso di
Bengiamino alla camicia da notte della ragazza, ben attirato dalla
trasparenza del tessuto.
Laura sospirò, affondando ancora di più nelle sue
mani.
Avrebbe dato qualunque cosa per tornarsene a letto.
Gli altri li raggiunsero proprio mentre Ezio si voltava verso di loro
con una pergamena in mano. Li guardò con un sorriso bonario
e assurdamente riposato, prima di scambiare uno sguardo con
Niccolò.
«Oh, sbrigati!», sbottò il consigliere,
stizzito come poche altre volte, «Tanto hai preso –
come sempre – le decisioni più stupide. Tanto vale
che io me ne torni a riposare sino a domani pomeriggio!»
A quelle parole, tutti rimasero sconvolti.
Doveva essere grave, se ciò levava a Machiavelli la voglia
di torturarli con gli allenamenti.
Auditore, per risposta, se la rise sotto ai baffi. Poi si rivolse verso
i ragazzi.
«Vi abbiamo convocati perché, per cause che
purtroppo non sono dipendenti da nessuno di noi o di voi, dobbiamo
affrettare la procedura. Abbiamo davanti ancora solo due mesi di
addestramenti e voi siete troppi per potervi seguire tutti.»
Fece una pausa, mentre un mormorio diffuso si propagava fra i giovani.
«Solamente dieci rimarranno qui, mentre gli altri verranno
spostati al Covo di Venezia, dove il mio amico Alvise da Vilandino
sarà felice di curarsi di voi per tutto il tempo che
riterrete necessario.»
Laura si mise composta, scambiando un’occhiata stranita con
suo fratello e leggendo nei suoi occhi la sua stessa, identica paura: e
se li avessero separati? Non si erano mai persi di vista nemmeno per un
istante, da quando erano venuti al mondo. Non era pronta a lasciarlo
così.
Sentì la mano di Bengiamino stringerle la spalla.
«Farò i nomi di chi resterà con
noi», proseguì d’un tratto il Mentore,
incrociando le braccia dietro la schiena. «Gli altri, possono
andare a impacchettare i loro averi. Prima partiranno, meno
probabilità avranno di essere intercettati dai
Borgia.»
Corella si piegò in avanti, coprendo la bocca con la mano.
«Dunque è per la spia, che ci
separano?», chiese. «Vogliono forse mettere in
salvo chi non ritengono sospetto?»
Laura aprì la bocca per rispondere, ma di nuovo la voce di
Ezio rimbombò nella sala.
«Lorenzetti, Corella, Spallaci e Pagni»,
chiamò, serio. «E Ventimiglia, che per ovvie
ragioni non può viaggiare.»
L’intero gruppo rimase in silenzio, mentre i primi ragazzi
cominciavano ad allontanarsi sulle scale.
Corella spalancò la bocca, guardando in viso Bengiamino, poi
Chiara, infine Paola.
Laura sbuffò, tornando a guardare nella direzione di Ezio.
Ne mancavano ancora cinque.
«Per quanto riguarda le ragazze, nessuna si
allontanerà da Roma. È poco prudente, farvi
lasciare la città.»
Mentre anche i rimanenti tornavano verso il dormitorio, Laura
guardò Violante e Maria avvicinarsi.
Era lieta di non doversi staccare da suo fratello, ma quel riguardo che
il Mentore aveva avuto nei loro confronti la innervosiva.
«Che vuol dire, “è poco
prudente”?», sbottò, mentre Violante le
si sedeva di fronte. «L’ha detto lui stesso, che
siamo Assassini e non panettieri!»
Trevisan, fermo sulle scale, si voltò di scatto.
«Tener qui sei persone perché è poco
saggio farle viaggiare mi pare una follia! Io sono molto più
preparato della fiorentina o del Conte Ventimiglia!»
Anche Maffei colse l’occasione per dire la sua, portandosi
davanti ad Ezio.
«Tieni qui Corella? Oh, andiamo! Non ha mai fatto nulla di
sensato! Tutto ciò è ridicolo!»
«Una farsa!», disse qualche altra voce.
«Ingiustizie ovunque!»
«Silenzio!» La voce di Machiavelli si
impose su tutte le altre, riportando il silenzio. Sembrava
così irato che nessuno si arrischiò a dir nulla.
«Per quanto io stesso trovi queste scelte a dir poco
ridicole, Ezio ha motivato ogni singolo prescelto e ha dato una
spiegazione esauriente sul perché mantenerlo. Accettate la
vostra sorte e andate a prepararvi.»
Maffei lo guardò, ironico, ridendogli in faccia.
«Già, chissà come è stata
motivata Paola. Soprattutto chi l’ha motivata.»
E senza attendere risposta abbandonò la stanza, seguito da
Trevisan.
Bengiamino sospirò, scuotendo appena il capo.
«Quantomeno abbiamo tagliato i rami scansafatiche
dell’albero», commentò.
Corella fece schioccare la lingua.
«Ci manca solo di buttar fuori Spallaci e faremo crescere un
delizioso ciliegio dai fiori rosa!», rispose, scoppiando una
risatina resa acuta dall’ebbrezza.
Laura sospirò.
«Però avevano ragione», fece notare.
«Maffei è un ottimo spadaccino, persino
più bravo di Machiavelli, e Trevisan è il miglior
stratega che Ezio potesse sperare di trovare.»
Chiara si fece presente dando un piccolo colpo di tosse.
«Non ci ha scelti in base
all’abilità.»
Corella diede una risata nervosa.
«Fiore di
Maggio, questo lo avevamo capito!»
«Voglio dire», precisò la fiorentina.
«Che ognuno di noi ha qualcosa in cui brilla. Io e Paola non
siamo brave con le armi, ma siamo più utili di Maffei o
Trevisan come spie. Spallaci non è intelligente, ma
è un ariete da sfondamento. Capite ciò che
intendo?»
Laura sospirò.
«Spero solo che non ci faccia ammazzare tutti, con questa
tattica.»
Violante sbuffò.
«Che stupidità. Un Assassino deve essere completo
a trecentosessanta gradi. Deve saper spiare, combattere e scappare al
momento opportuno. Maffei e Trevisan avevano tutte e tre queste
caratteristiche. Le strategie tanto non le facciamo noi, ma il
Mentore.»
«Sono d’accordo», si intromise Cristiano,
incrociando le braccia sul petto.
«Lo dite perché voi due sareste stati comunque
scelti», ricalcò Corella, senza cattiveria nella
voce, ma con tono ovvio. «Voi due, Maffei, Trevisan, i due
Lorenzetti, Prosperi e forse anche Tonari. Probabilmente i migliori
nelle tre abilità che la cara Viola ha elencato.»
«Non credo proprio», si intromise Spallaci.
«Passino la Ladra e il Principe. Forse anche i due milanesi e
Trevisan, ma sicuramente io sono più abile di Maffei,
Prosperi e Tonari sommati!»
Machiavelli si voltò verso Ezio, interrompendo per un
istante la lite in atto.
«Mettere venticinque persone l’una contro
l’altra nel tempo di due frasi. Bel colpo,
complimenti.»
Il Mentore batté le mani due volte, per attirare
l’attenzione generale.
«Litigherete dopo fra voi, ora gradirei sentire i vostri
pareri. Scelte mie, mia la responsabilità.»
«A me sta bene», trillò Chiara,
pettinandosi con infantilità i capelli dietro le spalle.
«Avete scelto i migliori in ogni campo; sarà
più facile imparare l’uno dall’altro,
così.»
Bengiamino annuì, composto.
«Lo penso anche io», commentò.
Corella dondolò il capo.
«Avrei comunque preferito Trevisan a Spallaci, ma ci si
può adattare!»
Dalla cima della sala, Ezio annuì con serietà,
non mancando comunque di scoccare un’occhiata soddisfatta a
Machiavelli.
«Molto bene», disse. Fece vagare lo sguardo sulla
stanza, fermandosi un istante sulla figura di Maria. Le sorrise, ma il
suo ghigno si spense quando non ricevette che un’occhiataccia
di rimando. «Maria?», incalzò.
Lei alzò le spalle.
«Troppo facile, pulirti la coscienza
così», commentò con un sorriso
beffardo. «Aspetta di dire loro la grandiosa idea di
Niccolò!»
«Quale grandiosa idea?», domandò
Cristiano, mentre alla sua sinistra, Violante pareva trattenersi
dall’insultare Ezio.
Laura la capiva e, più o meno, credeva di condividere il suo
punto di vista.
Tutta quella selezione improvvisa non andava bene. Non aveva nulla
contro Chiara, né Paola o Cesco, ma loro tre non meritavano
di stare lì. Se potevano chiudere tutti un occhio su Corella
– che in fin dei conti era solo sempre troppo ubriaco
– loro tre erano inaccettabili.
Machiavelli fece un passo avanti, guardandoli finalmente compiaciuto.
«Verrete divisi in due squadre», disse composto,
portando le braccia dietro alla schiena con fare solenne. «Vi
ho divisi in modo da bilanciare le vostre abilità. Pagni e
degli Antoni insieme erano troppo bravi, così come Francesco
e Nicolino erano troppo pessimi. Chiara è troppo attaccata a
Bengiamino e mi dà fastidio tutto questo morboso aggrapparsi
costantemente a lui. Così come sono stufo di vedere Corella
bighellonare attorno al Covo imbottito di vino. Da oggi, con effetto
immediato, Spallaci farà capo a degli Antoni, Bengiamino
Lorenzetti, Paola e Corella. Pagni, invece, farà capo a
Maria, Filippi, Laura Lorenzetti e, non appena si sarà
ripreso, Ventimiglia. Durante gli allenamenti, vi sarà
permesso di stare esclusivamente con la vostra squadra. Meno contatti
avrete tra di voi, meglio sarà. Dovete concentrarvi su voi
stessi e sul vostro gruppo per crescere come Assassini. E il vino
è ufficialmente dichiarato al bando: chi berrà
durante la giornata e nelle sere di ronda verrà spedito a
calci a Venezia.»
Laura guardò Bengiamino e lui la guardò di
rimando. Non potevano allenarsi assieme, ma se non altro non si
sarebbero persi di vista. Quantomeno, Ezio aveva risparmiato loro il
dolore di doversi separare.
«Io con quegli scemi non ci sto!»,
obiettò Spallaci, avvicinandosi al gruppo seduto attorno al
tavolo. «Passi degli Antoni, ma con Corella e Gregorio non
voglio avere niente a che fare! Lorenzetti, per quanto mi riguarda,
può anche andarsene al diavolo!»
Bengiamino alzò le spalle, insofferente.
«Prova ad indovinare quanto mi importa del tuo punto di
vista, Augusto», replicò acidamente
Niccolò, alzando un dito verso la faccia di Spallaci.
«Tu eri uno di quelli che io avrei mandato a casa, e di
corsa! Il tuo temperamento è solo un intralcio! Non sarai
mai un Assassino decente se non imparerai a controllarti!»
A quelle parole, Augusto rimase zitto.
Cristiano ridacchiò, scambiandosi uno sguardo con Corella.
Machiavelli li vide e partì, deciso a rovinare la nottata a
tutti.
«Voi due non siete di certo meglio», disse,
guardandoli come se si trovasse davanti due bambini particolarmente
stupidi. «Tu, Corella, non riesci mai a camminare diritto e
tu, Pagni, se non impari a comprendere i tuoi limiti sarai il primo a
morire. Vale per tutti questo discorso, chiaro Signorina
Violante?» Fronteggiò la bolognese, che non fece
una piega, fissando con apatia il volto del consigliere.
«Bengiamino, Laura, Paola e Maria sono i soli che avrei
tenuto, fra voi. Non esiste peggior stupido di chi si sopravvaluta. Non
me ne faccio nulla di eroi che agiscono prima di pensare, o che credono
di avere la verità in mano. E per l’amor di Dio,
Filippi, piantala di piangere!»
Maria sospirò a lungo, prima di portare una mano alla
fronte. Guardò Paola abbracciare la piccola fiorentina,
scossa dallo sconforto, prima di aprir bocca: «Solo una cosa,
Niccolò: seguiremo ancora l’allenamento
predisposto?»
«No», rispose il consigliere. «Ezio ha
scelto le persone e la prossima … chiamiamola missione.
L’allenamento, però, lo curerò io.
Farò di voi degli Assassini o creperò nel
tentativo.»
«O creperemo noi», sussurrò Corella,
beccandosi uno sguardo compassionevole di Ezio.
Maria dondolò il capo, alzando gli occhi al soffitto con
aria stralunata.
«Basta scenate, per stasera», propose.
«Ezio, spiegaci cos’hai in mente.» Si
fermò un istante a guardare in viso tutte le ragazze,
così giovani che avrebbero tranquillamente potuto essere le
sue figlie, e diede l’ennesimo sospiro.
Laura trattenne a fatica uno sbadiglio. Di nuovo, il sonno cominciava a
farsi prepotente.
«Chi dobbiamo derubare, stavolta?», chiese,
appoggiando il capo sulla spalla di Bengiamino, il quale le
coprì le spalle con il proprio mantello.
«O per quanto dobbiamo correre?», aggiunse Corella.
«A dire il vero, dovete andare ad una festa», disse
il Mentore, continuando a sorridere divertito nonostante la scenata di
Machiavelli.
Cristiano aggrottò la fronte, guardandolo pensieroso.
«Ma ci è appena stato negato il vino, non puoi
dirci che ci mandi ad una festa! Non trovo il filo logico in tutto
questo.»
«Non credo ci sia», confermò Ezio.
«Ma ho scoperto stamani che gli Orsini terranno una festa in
onore dei Borgia. Ci saranno tutti, forse persino sua
Santità il Papa. Voi dovrete entrare e dimostrarmi che, fra
le vostre abilità, vi è anche quella di carpire
più informazioni possibili.»
«Su che argomento?», domandò Chiara,
asciugandosi gli occhi con risolutezza. Pareva determinata a dimostrare
a tutti di non essere solo un peso attaccato al braccio di Lorenzetti.
«Qualsiasi argomento», rispose Volpe.
«Tutto torna utile, alla fine.»
«Strategie militari, armamenti, sommosse, famiglie pro e
contro i Borgia … Matrimoni combinati», Ezio
elencò tutto sulle dita. «Tutto fa
brodo!»
Laura sospirò.
«Sono mesi che non andiamo a una festa»,
commentò, guardando Bengiamino. «Tu ce
l’hai, l’abito da cerimonia?»
Era una cosa stupida a cui pensare, ma quando aveva fatto i bagagli a
Milano non aveva minimamente preso in considerazione
l’evenienza di dover partecipare a un evento mondano.
«Pensa piuttosto a come faremo a entrare», la
corresse subito Cristiano. «Ho visto gli ingressi di Palazzo
Orsini, durante la corsa. Credo che entrare alla corte di Francia
sarebbe più facile!»
«Un modo dovrà pur esserci»,
assicurò Chiara, sorridendo appena. «Nessun luogo
può essere tanto sorvegliato.»
Corella scoppiò a ridere.
«Massì!», esclamò.
«Sarà la volta buona che mi troverò
moglie!»
«Ora, tutti a letto», abbaiò
Machiavelli. «Basta cianciare, vi voglio in piedi
all’alba. Farete cento volte l’Isola di
corsa.»
E sfilò risoluto fra di loro, allontanandosi dalla sala.
«Qualcuno stanotte non dormirà»,
commentò Cristiano, guardandolo andare via.
Spallaci fu il primo a dileguarsi, ancora ferito
nell’orgoglio.
Chiara si lasciò sfuggire un sospiro rassegnato.
«Ci toccheranno davvero cento giri di corsa?»,
chiese, aggrappandosi alla camicia di Maria.
La modenese la guardò, seccata.
«Spero ve ne tocchino il doppio, se devo essere
onesta», rispose, avviandosi verso il dormitorio.
«O quando alla festa sarete costretti a scappare dalle
guardie dei Borgia, non arriverete neanche a muovere un passo che
sarete già stecchiti con una spada nel cranio.»
Si portò una mano al collo, facendolo scrocchiare e si
allontanò a passo spedito, seguita da Laura che non vedeva
l’ora di ributtarsi sotto le coperte e lasciarsi tutti quei
battibecchi alle spalle.