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Autore: Beauty    17/03/2014    4 recensioni
Nel mondo delle favole, tutto ha sempre seguito un preciso ordine. I buoni vincono, i cattivi perdono, e tutti, alla fine, hanno il loro lieto fine. Ma le cose stanno per cambiare.
Quando un brutale omicidio sconvolge l'ordine del Regno delle Favole, governato dalla perfida Regina Cattiva, ad indagare viene chiamato, dalla vita reale, il capitano Hadleigh, e con lui giungono le sue figlie, Anya ed Elizabeth. Attraverso le fiabe che noi tutti conosciamo, "Cenerentola", "Biancaneve", "La Bella e la Bestia"..., le due ragazze si ritroveranno ad affrontare una realtà senza più regole e ordine, in cui niente è come sembra e anche le favole più belle possono trasformarsi nel peggiore degli incubi...
Inizia così un viaggio che le porterà a scoprire loro stesse e il Vero Amore, sulle tracce della leggendaria "Pietra del Male" che, se nelle mani sbagliate, può avere conseguenze devastanti...
Il lieto fine sarà ancora possibile? Riusciranno Anya ed Elizabeth, e gli altri personaggi delle favole, ad avere il loro "e vissero per sempre felici e contenti"?
Genere: Dark, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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The Black Swan – The Ball
 
Quella notte, Odile non chiuse occhio, rimanendo per ore ed ore distesa nel suo letto a fissare il buio. Si era coricata sentendosi molto nervosa, ma non appena si era tirata le lenzuola fino alle spalle un’improvvisa e lucida calma si era impossessata della sua mente. Non era stata una notte agitata, affatto; non c’era stato nulla a che vedere con il girarsi e rigirarsi all’infinito fra le coperte come un’anima in pena. Piuttosto, Odile aveva impiegato le ore notturne per mettere a punto i dettagli del suo piano, con una freddezza così lucida e priva di emozioni che per un attimo la spaventò. Non si era mai riconosciuta in quei sentimenti, ma ora che la sua mente aveva partorito quell’idea aveva tutta l’intenzione di portarla a termine. Costasse quel che costasse.
La principessa si era fatta ingannare con molta più facilità di quanto avesse previsto, ma questo non era altro che un bene. Odette moriva dalla voglia di fuggire dalla prigione dorata che sua madre le aveva costruito intorno, almeno quasi quanto lei voleva rifarsi di tutte le angherie che aveva dovuto sopportare negli anni. Forse, pensava Odile, era stato proprio quello a darle quell’idea, a spingerla ad agire…quello, insieme alla vista di Lancillotto insieme alla principessa.
Tutti gli anni pregni di Odile la stracciona, di sciocca servetta e di ehi, facciamo uno scherzo a Odile si erano ribellati nel suo animo, e ora gridavano vendetta.
Ma doveva essere cauta. Sapeva che quello che stava progettando di fare, se scoperto, non sarebbe stato etichettato come una semplice marachella. Odette forse avrebbe passato dei guai seri, ma lei era una principessa e non le poteva capitare nulla di troppo grave…Odile, invece, era una serva, e come tale non sarebbe importato a nessuno se le fosse accaduto qualcosa. E poi, la posta in gioco era molto alta: quella era l’unica occasione che aveva per far comprendere i suoi sentimenti all’uomo che amava sin da quando era una ragazzina.
Doveva progettare tutto con attenzione ed essere prudente nelle sue mosse. Avrebbe aiutato Odette a uscire dalla reggia prima del ballo: lei e la principessa avevano discusso a lungo del come e del quando. Il momento migliore era stato stabilito come quello del crepuscolo, quando la notte era ormai vicina e le ombre si allungavano sulla terra in modo da creare molti angoli bui in cui nascondersi. Odette aveva dichiarato che la via migliore per raggiungere l’esterno era passare per il cortile; c’era una vecchia quercia che sorgeva proprio vicino alle mura, aveva detto; ci si era arrampicata molte volte, e con un paio di pantaloni da uomo non le sarebbe stato difficile raggiungere il muro di cinta e scavalcarlo. Ma non poteva raggiungere il cortile passando attraverso i corridoi, aveva aggiunto, erano pieni di guardie o comunque di persone che l’avrebbero sicuramente riconosciuta. Alla domanda di Odile su come intendesse fare, la principessa aveva risposto prontamente che sarebbe passata dal balcone della sua camera da letto; che stesse tranquilla, ci avrebbe pensato lei a trovare il modo.
Odile lo sperava vivamente. Non voleva che una ragazzina sprovveduta mandasse all’aria il suo piano.
Supponendo che Odette riuscisse veramente a raggiungere l’esterno senza venire scoperta, da quel momento fino a mezzanotte precisa – lei e la principessa avevano stabilito che quello fosse l’orario più indicato per ritornare, non posso stare via tutta la sera, mia madre un poco di ritardo lo accetterà, ma se non mi facessi vedere mi verrebbe sicuramente a cercare, aveva detto Odette – sarebbe stato a lei portare avanti la mascherata. La principessa credeva davvero che Odile le avrebbe coperto le spalle, limitandosi a raccontare qualche bugia per giustificare il suo ritardo…non immaginava neanche lontanamente che aveva intenzione di sostituirsi a lei.
Già, era proprio quello che Odile aveva progettato, sin dal primo momento. Stavolta non era disposta a stare in disparte, a guardare da lontano una vita che lei non avrebbe mai vissuto. Per anni aveva sopportato la povertà, le canzonature e il disprezzo delle uniche due persone che in realtà avrebbero dovuto amarla, sognando i bei vestiti della principessa e amando Lancillotto da lontano.
E ora che l’aveva visto insieme a Odette, era stato come se anche quell’ultima speranza fosse andata in fumo, e non le restasse più niente in una vita che da quel momento si sarebbe trascinata stancamente, alzandosi tutte le mattine alla stessa ora, lavorando nelle cucine, sopportando canzonature e angherie, ingrassando, diventando sempre più vecchia e brutta con il trascorrere degli anni, fino a che non fosse divenuta anziana e sola, morendo senza aver compiuto nulla degno di nota nella sua esistenza.
Non aveva intenzione di lasciare che tutto questo accadesse, non senza provare almeno ad impedirlo.
Quella era la sua serata, la sua occasione per dimostrare a tutti, a sua madre, a suo fratello e a lui, ciò che valeva. Era una possibilità che le era stata offerta su un piatto d’argento, e non se la sarebbe lasciata scappare per nulla al mondo.
Restavano tuttavia ancora alcuni problemi da risolvere, primo fra tutti quello dell’abito.
La prima idea di Odile era stata quella di rubare quello cucito appositamente per Odette, ma riflettendoci meglio si era resa conto che non sarebbe stata una mossa intelligente. Tanto per cominciare, lei era più alta di qualche centimetro della principessa, e con ogni probabilità il vestito da cigno bianco le sarebbe stato stretto. E poi, c’era il problema del fisico: lei e Odette avevano all’incirca la stessa corporatura esile, ma certo i loro volti non erano somiglianti…e poi, Odile aveva i capelli ricci e scuri, la principessa lisci e biondi. Avrebbe dovuto trovare un modo per nascondere questi dettagli.
Odile pensò e ripensò a un modo per risolvere il problema, e la soluzione arrivò solo alle prime luci dell’alba.
La servetta si alzò molto prima rispetto al solito e, dopo che si fu sciacquata il viso nel catino, ancora in camicia da notte zampettò verso la cassapanca, aprendola e iniziando a rovistarvi dentro, scostando abiti e grembiuli. Alla fine, estrasse l’unico vestito buono che avesse mai posseduto, un regalo della regina Ginevra, che aveva indossato sì e no un paio di volte in alcune delle poche occasioni importanti a cui aveva partecipato: si trattava di un modello dal taglio morbido che a malapena lasciava intravedere le forme, di seta nera, con lunghe maniche svasate e il colletto alto fino alla gola. Era un bel vestito, almeno per quello a cui poteva aspirare una serva, ma di certo non era niente di principesco né tantomeno adatto a un ballo in maschera.
Ma Odile aveva pensato anche a quello, e una semplice piccolezza non sarebbe stata sufficiente a fermarla.
 
***
 
Ci fu un gran trambusto, quando quella mattina la regina venne trovata distesa sul pavimento della sua stanza priva di sensi, ma nel momento in cui si risvegliò il primo pensiero di Ginevra non fu per la propria salute, ma per quella di sua figlia. Rifiutò ogni tisana che Morgana le offrì, ogni cura e ogni richiesta di chiamare il medico di corte, parlando solo per dare disposizioni affinché suo marito non venisse informato dell’accaduto. Artù stava ancora male, e poi non voleva che eventuali domande indiscrete mettessero a repentaglio il segreto che aveva custodito per ben sedici anni.
Non restò a letto molto a lungo, andando contro sia ai consigli delle proprie dame di compagnia sia alla sua spossatezza. Fece chiamare i cavalieri e il capitano delle guardie, ordinando che venissero raddoppiate le misure di sicurezza e schierate più sentinelle intorno alle mura, raccomandandosi in particolare che si facesse molta attenzione la sera del ballo. Rispose alle richieste di spiegazione adducendo scuse banali sull’importanza della serata che, tuttavia, grazie alla sua posizione di regina consorte, non vennero contestate.
Non aveva sognato. Quella che aveva udito la notte precedente era la voce di Tremotino. Forse sperava di averla spaventata, e per un attimo c’era anche riuscito. Ma non aveva intenzione di cedergli nuovamente: si trattava di sua figlia, adesso, e lei non avrebbe permesso che la portasse via.
 
***
 
Mancavano meno di due giorni alla sera del ballo in maschera, e sia Odile sia Odette avevano instaurato un rigido regime che avrebbero necessariamente dovuto rispettare, se volevano che il progetto andasse in porto.
La principessa aveva tracciato una minuziosa mappa del castello, non dimenticando di annotare neppure una delle vie d’uscita primarie e secondarie, nonché tutti i pochi passaggi segreti di cui era a conoscenza. Aveva sfruttato le ore di lezione con i suoi precettori – le uniche in cui le era permesso di lasciare la propria stanza, dato che Ginevra, per punirla, le aveva ordinato di non uscire fino alla sera del ballo – per poter tranquillamente osservare i corridoi a proprio piacimento. Aveva compilato una lista in cui erano segnati i nomi delle sentinelle e dei domestici con accanto i rispettivi turni di guardia e di lavoro, calcolando minuziosamente ogni lasso di tempo in cui la tal porta sarebbe rimasta incustodita o il talaltro corridoio lasciato completamente deserto. Pensò anche ai cavalieri, domandandosi se avessero rappresentato un problema, ma subito si rispose di no: sarebbero stati tutti al ballo, senza alcun dubbio, e lei non aveva nessuna intenzione di entrare in quella sala prima di mezzanotte. Un po’ le dispiaceva doverli ingannare, specialmente sir Galvano e sir Lancillotto, ma s’impose di rimanere fredda e lucida, concentrata sul suo obiettivo. Fece in modo di assicurarsi in precedenza di quali vie d’uscita e d’entrata sarebbero rimaste chiuse a chiave e quali invece no, e progettò un piano di fuga preciso al minimo secondo, un piano che sarebbe dovuto essere rispettato in maniera ferrea se non voleva farsi scoprire. Doveva confessare di sentirsi un poco delusa: quella sarebbe stata la sua prima serata in sedici anni che avrebbe trascorso in completa libertà, in cui avrebbe potuto fare tutto ciò che voleva senza che nessuno la rimproverasse o cercasse d’impedirglielo, e le toccava comportarsi come una ladra e stare sempre attenta a ogni cosa per non farsi scoprire. Ma cercò di non lasciarsi abbattere: era ciò che desiderava da anni, stava a lei saper usare la testa e sfruttare la situazione al meglio. E magari, si disse, quando suo padre fosse stato meglio, avrebbe potuto raccontargli di quella sua avventura fuori dal palazzo, ponendogli di fronte agli occhi la prova vivente – lei stessa, sana e salva – che il mondo non era quel luogo infido che sua madre temeva tanto.
Tutto questo avrebbe anche potuto avere dei risvolti interessanti e oltremodo vantaggiosi, se si fosse giocata bene le sue carte…
Odile, da parte sua, aveva stabilito per se stessa degli orari ancora più ferrei. Aveva ridotto al minimo indispensabile le ore di sonno, alzandosi ben due ore prima dell’alba e si coricava più tardi del solito. Dopo i pasti, invece di rimanere ad ascoltare le chiacchiere delle cameriere in cucina, si precipitava immediatamente nella sua camera, e così faceva a ogni pausa che le era concessa dal lavoro, trascorrendo lì tutto il tempo che aveva a disposizione prima di tornare ai propri doveri.
Tutte quelle ore sottratte al riposo erano finalizzate solo a cucirsi un abito adatto per il ballo.
Odile si armò di forbici, ago e filo, e si accanì sul suo unico vestito buono, quel sacco di seta nera che le era sempre stato così male.
Tanto per cominciare, ne modificò la forma: praticò un lungo taglio sulla stoffa del dorso, dal collo fino a metà schiena, quindi ricucì lo strappo in modo da ridurre i centimetri di seta che rendevano il vestito troppo largo e, quando se lo provò, fu ben felice di constatare che ora la sua linea e le sue forme erano perfettamente evidenziate. Ma non era ancora abbastanza.
Rimosse le lunghe maniche svasate; la sua intenzione sarebbe stata quella di modificarle per trasformarle in delle corte maniche a sbuffo, ma la seta non era la stoffa adatta per una simile operazione, così si accontentò di lasciare le braccia nude, con solo due sottili spalline a coprirle le clavicole pallide e magre. Utilizzò invece la stoffa in eccesso per cucire un paio di guanti lunghi fino ai gomiti. Il colletto alto non le piaceva, dunque tracciò la linea per una scollatura un po’ più ampia e rimosse anche quella parte di stoffa in eccesso.
Il risultato, quando finalmente poté indossare il suo nuovo abito, fu un grado di sorprendere anche lei.
Quando si specchiò nella superficie infranta dell’unico specchio che possedeva, per un attimo Odile era senza fiato. Era come se lei stessa, in quel momento, fosse completamente scomparsa, e il riflesso le stesse mostrando l’immagine di una sconosciuta che aveva il suo volto, ma il cui corpo era lo stesso di una sensuale e provocante cortigiana, così poco pudico e inneggiante alla lussuria che Odile ne ebbe quasi paura. La gonna stretta e il bustino aderente mettevano in risalto la sua forma, la carnagione pallida era in sublime contrasto con il nero della seta del vestito. Aveva un poco esagerato nel tracciare la scollatura, e l’aveva fatta più profonda di quanto non avesse voluto, ma ora non poteva dire che le dispiacesse.
Odile si aprì in un sorriso di contentezza alla vista di quella se stessa così lontana e sconosciuta, e fu proprio il riflesso di quel sorriso ancora così ingenuo e infantile a riportarla alla realtà. L’abito le avrebbe forse fatto guadagnare qualche punto, ma nessuno l’avrebbe mai scambiata per la principessa Odette, se non avesse dato al tutto un tocco di qualità, l’ingrediente mancante per la pozione perfetta.
Guardò il suo volto riflesso, quel suo stupido sguardo bovino e istupidito, quelle sue dannate spalle ricurve, i riccioli che le ricadevano sugli occhi. Inspirò a fondo e raddrizzò le spalle – non poté fare a meno di notare che in quel modo la scollatura era ancora più evidente…bene – quindi afferrò un fermaglio posato sulla cassapanca. Si pettinò all’indietro i riccioli castani, raccogliendoli sul capo e fermandoli in un morbido chignon. In quel modo, pensò, alle luci delle candele e delle stelle, sarebbe stato più difficile capire che lei aveva i capelli scuri e non biondi. Si guardò nuovamente: così andava decisamente meglio.
Indossò la maschera che lei stessa aveva confezionato – nera anch’essa, e i cui bordi s’increspavano come a formare delle immaginarie ali di cigno – e, per la prima volta, anche il suo sorriso parve quello di un’altra. A Odile parve veramente di essere un’altra, di essersi tramutata in una donna diversa, di aver assunto un’identità che, pur non essendo sua, era sempre stata lì, presente, addormentata in chissà quale angolo recondito della sua anima, e che le piaceva.
Quella sarebbe stata la sera del ballo. Mancavano ormai poche ore all’inizio della serata, e lei avrebbe fatto il suo ingresso nel grande salone scrutata da occhi che mai l’avevano guardata come l’avrebbero osservata ora, ora che la piccola Odile era scomparsa e al suo posto era arrivata questa nuova Odile, alla quale la fiducia della principessa in persona aveva aperto la porta.
Quel pensiero fu in grado di instillarle per un secondo una sorta di dispiacere, ma subito la rabbia e la voglia di vendetta e di rivalsa tornarono a prevalere. Odette era stata stupida, si era fidata di lei come un’ingenua, senza sapere che in quel mondo nessuno donava qualcosa senza aspettarsi un compenso, o avere un secondo fine.
Goditi la tua sera di libertà, ragazzina. Non saprai nemmeno che cosa avrai perso, quando tornerai…
Odette aveva tutto, lei niente; Odette era una principessa, lei una sguattera figlia di una cortigiana; Odette era bella, lei era insignificante e stupida; Odette aveva una madre che l’amava, e lei…
Lei non era nessuno, era povera e sola…Perché Odette doveva avere anche lui, l’unica cosa che desiderava, l’uomo di cui era innamorata?
Bastò quest’ultimo pensiero per farle dimenticare tutto il senso di colpa che l’aveva attanagliata fino a poco prima. Posò lo sguardo sull’abito che avrebbe indossato quella sera, e sorrise. Odette era un bellissimo cigno, uno splendido cigno bianco…ma quella sera, a danzare sarebbe stato il cigno nero.
 
***
 
- Malefica?
- Sì, Grimilde?- fece la strega non appena si sentì interpellata, avvicinandosi alla Regina Cattiva; quest’ultima le sorrise, seduta comodamente di fronte al suo specchio.
- Dimmi…quanto tempo è passato dall’ultima volta in cui hai partecipato a un ballo?- le domandò.
- Non ho mai amato queste sciocchezze - rispose duramente Malefica, incrociando le braccia al petto.
- Oh, beh, questa potrebbe essere un’occasione per rivalutare la tua opinione…- la Regina Cattiva le rivolse un sorriso sornione che la strega non ricambiò, continuando a rimanere seria, le sopracciglia aggrottate.- Vieni, avvicinati. C’è qualcosa, a Camelot, che merita di essere preso in considerazione…
- Morgana ha per caso un problema con i suoi ridicoli veleni?
- No, fortunatamente no. Ma questa serata sarà sicuramente speciale…- la Regina Cattiva le indicò una poltrona poco distante.- Prego, accomodati. Sarei lieta se assistessi insieme a me agli eventi di questa sera…
Malefica non accettò la poltrona che la Regina Cattiva le stava offrendo, ma rimase in piedi alle spalle della sovrana, guardando lo specchio.
 
***
 
Era quasi ora. Odile sussultò al suono di un orologio a pendolo che batteva le otto e mezza. Il ballo sarebbe iniziato ufficialmente alle nove, e già l’atmosfera era carica di fermento e aspettative. Aveva trascorso tutto il pomeriggio nella camera della principessa con la scusa di aiutarla a prepararsi, non facendo entrare nessuno fuorché la regina Ginevra. Quella mattina, non vista, aveva nascosto sotto il baldacchino la sacca con all’interno gli abiti maschili di suo fratello…ma non solo. All’insaputa di Odette, sotto al letto vi era un’altra sacca, contenente il vestito del cigno nero.
La principessa sospirò, lanciando un’occhiata ansiosa alla pendola, quindi iniziò ad armeggiare con i bottoni d’argento sulla schiena dell’abito da cigno bianco. Aveva dovuto indossarlo per fugare ogni sospetto, dal momento che sua madre era entrata in camera sua per ben cinque volte quel pomeriggio, dicendo di voler vedere come le stava il vestito. Non le era sembrata più molto arrabbiata, anche se non aveva revocato il suo divieto di uscire dalla sua stanza. Pareva piuttosto…preoccupata.
Odette non si era lasciata sfuggire le occhiate di sottecchi che Ginevra le aveva lanciato in continuazione, quel giorno, come per assicurarsi che lei fosse ancora lì, presente e sotto il suo controllo. Come se temesse che lei potesse scomparire da un momento all’altro…o scappare di casa…
- Aiutami!- fece, rivolta a Odile, la quale si affrettò a raggiungerla e a sfilarle di dosso l’abito da cigno bianco. Era la prima volta che glielo vedeva addosso, e avvertì una stretta al cuore quando la principessa si liberò di quella meraviglia con uno sbuffo infastidito, gettando la stoffa pregiata lontano da sé.
- Non pensate che vostra madre possa ritornare un’ultima volta?- domandò la servetta, mordendosi il labbro inferiore. Non poteva darlo a vedere, ma l’atteggiamento di Ginevra l’inquietava.
- No, a quest’ora sarà andata a prepararsi, e poi mi ripete sempre che un sovrano deve essere in anticipo in occasioni come queste…- sospirò Odette, ma dal suo sguardo si evinceva che nemmeno lei era tranquilla. Puntò gli occhi grigi in quelli di Odile.- Secondo te sospetta qualcosa?
- Non…non penso…- balbettò la servetta. Sperava con tutto il cuore di no, o sarebbero stati dolori, per entrambe ma soprattutto per lei.- Come può? Siamo state attente, non c’è modo che lo scopra…
- Va bene. Hai portato i vestiti?
Odile annuì, recuperando la sacca da sotto il letto. Quegli abiti risalivano a quando suo fratello aveva quindici anni, ma Odette restava comunque una ragazza, e aveva i suoi dubbi che le sarebbero stati a pennello come aveva promesso. La calzamaglia era sorprendentemente della sua misura, ma la camicia era decisamente troppo larga, e la principessa fu costretta ad arrotolare le maniche e a stringere più del dovuto la cintura intorno alla vita. Gli stivali erano anch’essi grandi, ma tutto sommato le stavano.
Odette si gettò il mantello nero sulle spalle, e si tirò il cappuccio sul capo, sorridendo soddisfatta quando ebbe finito di vestirsi. Sebbene quelli fossero gli abiti di una delle persone più odiose che avesse mai incontrato in vita sua, in quel momento le sembravano più belli di qualunque abito da sera.
Aveva sognato quel momento per anni, e ora finalmente era arrivato.
- Bene, Odile. Ti ringrazio - Odette guardò l’orologio. Mancavano solo cinque minuti alle nove.- Beh, direi che è ora!- commentò allegramente.- Sei sicura di riuscire a cavartela? Io tornerò poco prima di mezzanotte…
- Sì, certo, Vostra Altezza. Ma…- Odile esitò.- Come farete a uscire da questa stanza senza attraversare i corridoi?
Odette le rispose con un sorriso che andava da un orecchio all’altro, e prese a disfare le lenzuola, annodandole una con l’altra.
- Un classico, no?- ammiccò allegramente.- Mi calo giù con queste, raggiungo terra, tu le tiri di nuovo su e rifai il letto, e per tornare uso una delle porte laterali.
- Come credete.
Odette finì di annodare tutte le lenzuola, quindi legò l’estremità di quella lunga treccia a una delle colonne che sostenevano la balaustra di pietra del terrazzo, gettando le altre giù verso il giardino fino a quasi far toccare terra. Scavalcò la balaustra, sedendosi a cavalcioni su di essa mentre afferrava un capo delle lenzuola.
- Non posso credere a quello che sto per fare!- esclamò con contentezza, aggrappandosi alla balaustra e iniziando a calarsi giù.- Dammi una mano, Odile…!
La servetta si avvicinò, e afferrò un’estremità delle lenzuola in modo da reggerla meglio. Odette le scoccò un’ultima occhiata, quindi afferrò più saldamente quella corda improvvisata e lasciò la presa alla balaustra, di fatto abbandonando l’unico sostegno sicuro che aveva. Si ritrovò a penzolare nel vuoto. La principessa deglutì nervosamente, ringraziando che la sua stanza non fosse poi così lontana dal pianterreno come altre torri del castello, o sarebbero stati dolori. Incrociò le gambe e fece in modo di avvolgersi le lenzuola intorno a un polpaccio, iniziando a calarsi piano verso il basso, quasi lasciandosi scivolare lungo quella treccia di stoffa.
Odile, inginocchiata sul terrazzo, aumentò la presa intorno alle lenzuola.
Odette continuò a calarsi senza intoppi e, quando fu a un paio di metri da terra, si sentì abbastanza sicura da lasciare la presa e compiere un balzo fino al giardino. Sbagliò a calcolare la distanza e, invece di atterrare in piedi come aveva previsto, finì distesa supina sull’erba, emettendo un sonoro uff! che fece spaventare Odile. La servetta si alzò in piedi, e si sporse dal terrazzo per vedere meglio.
- Vi siete fatta male?- domandò, cercando di non alzare troppo la voce per paura che le scoprissero. Nella sua mente avevano iniziato a farsi strada terrificanti immagini del suo piano che andava a monte e di lei che veniva cacciata dal palazzo reale per aver aiutato la principessa in quell’improvvisata e temporanea fuga, tutto per colpa di una ragazzina imprudente!
- No, sto bene…- bofonchiò Odette, tirandosi su a fatica. Si rimise in piedi barcollando, liberandosi il mantello dai fili d’erba.- Va bene, Odile…io vado - annunciò, prima di voltarsi e iniziare a correre furtivamente in direzione delle mura.
La servetta rimase a guardarla fino a che non scomparve nella notte, quindi rientrò, prendendo a disfare la corda di lenzuola. Doveva sbrigarsi. Il ballo sarebbe cominciato di lì a poco, e il cigno nero era impaziente di spiccare il volo.
 
***
 
Odette percorse tutto il tragitto che la separava dalla quercia camminando rasente la parete del castello, attenta a non invadere nessuno spazio luminoso creato dalle stelle e dallo spicchio di luna che abitavano il cielo quella notte. Scivolò silenziosamente lungo i muri di pietra, sempre tenendosi il cappuccio calato sul capo e tendendo l’orecchio al minimo rumore. Quando udì i passi di due sentinelle che si stavano avvicinando in coppia nella sua direzione, si appiattì contro la parete e trattenne il respiro, ma fortunatamente i soldati tirarono dritto e non si accorsero di lei.
La principessa continuò a percorrere lentamente tutto il tragitto rimanendo nell’ombra e, quando vide la quercia su cui si arrampicava sempre sin da bambina, abbandonò il rifugio sicuro offertole dal buio e prese a correre a perdifiato verso l’albero. Lo scalò senza fatica, anzi, molto meno del solito ora che indossava una calzamaglia e non un vestito. Si resse con attenzione al ramo più robusto e più vicino alle mura di cinta e, quando le raggiunse, vi si sedette a cavalcioni prima di scavalcarle completamente e atterrare fuori dai confini del palazzo, stavolta in piedi, accovacciata sull’erba come una ranocchia.
Odette sollevò lo sguardo, incontrando la distesa d’erba che, pochi metri più in là, lasciava spazio alla città. Sorrise, e iniziò a incamminarsi verso di essa quasi correndo, con le guance rosee per quella sensazione di libertà mai provata prima.
 
***
 
Ginevra trasse un profondo respiro, poggiando il dorso contro lo schienale del trono mentre cercava di tranquillizzarsi – o perlomeno, di dare l’impressione che fosse tranquilla. In quanto regina consorte, a lei non era d’obbligo mascherarsi quella sera, ma per non apparire completamente fuori luogo aveva comunque indossato una maschera dello stesso color viola del suo abito da sera tempestato di brillanti, maschera che si era tolta ben presto, e che ora penzolava stancamente sulla punta delle sue dita. Ginevra sospirò, facendo vagare lo sguardo attento lungo il salone già colmo di invitati, alla ricerca non solo di sua figlia, ma anche di qualunque cosa che desse anche la minima idea di essere strana e fuori luogo. Non ne trovò, ma non smise di scrutare la sala.
Quella sera il salone da ballo del palazzo era splendente, interamente decorato con pendenti di cristallo che dal soffitto sovrastavano l’intero pavimento tirato a lucido. La tenue luce delle stelle e della luna filtrava attraverso i vetri delle ampie finestre e creavano riflessi splendenti con le fiammelle dei candelabri e dei soprammobili d’argento, nonché con le stoffe lucide dei vestiti delle dame che facevano frusciare e roteare gli orli delle gonne mentre danzavano. La musica aveva iniziato a suonare già da un pezzo, e subito quasi tutti avevano cominciato a ballare.
Lei no; in quanto figlia di un mugnaio, anche da giovane non era mai stata in grado di compiere dei passi di danza che non fossero quelli dei balli popolari e, anche da appena sposata, non aveva amato troppo ballare, sebbene farlo con suo marito fosse sempre un piacere. Ma ormai era invecchiata, e doveva mostrarsi seria e composta.
Ginevra volse lievemente il capo per sbirciare suo marito seduto accanto a lei: Artù era ancora molto pallido, ma in compenso sembrava si sentisse un po’ meglio. Gli aveva proposto di non presentarsi, quella sera, di rimanere a letto e riposarsi, ci avrebbe pensato lei a mandare avanti la cosa, ma non aveva voluto sentire ragioni: desiderava vedere sua figlia in abito da sera, le aveva risposto.
Ora se ne stava seduto, ma la regina era certa che, se anche avesse voluto alzarsi in piedi, le gambe non lo avrebbero retto. Eppure, nonostante la lieve febbre che ancora permaneva, Artù sorrideva. Ginevra si rese conto di quanto entrambi fossero cambiati negli anni, invecchiati: suo marito ora portava i capelli più corti e la barba leggermente più lunga di quando era giovane, e intorno ai suoi occhi era già comparsa qualche ruga; lei, invece, sentiva di aver perso parte della sua vitalità, nonché delle sua bellezza che pure non era mai stata un granché – nemmeno lontanamente comparabile a quella di Odette – e quella sera doveva assomigliare a uno straccio a causa di tutte quelle preoccupazioni.
Ginevra fece dardeggiare lo sguardo al portone che dava accesso alla sala da ballo: quattro guardie erano schierate sull’attenti al di fuori di esso, e altre due all’interno. In più, al ballo erano presenti anche i cavalieri, il che era una garanzia non da poco.
I suoi ordini erano stati rispettati.
Istintivamente, Ginevra allungò una mano alla ricerca di quella di suo marito, e la strinse fra le proprie dita.
- Dov’è Odette? Non riesco a vederla - fece Artù, sporgendosi un poco dal trono alla ricerca della principessa.
- E’ di nuovo in ritardo - sibilò Ginevra fra i denti. Non solo quello che era successo poche sere prima, ci si metteva anche quell’immatura di sua figlia a complicare ancora di più le cose!.- Sono quasi le nove e mezzo, e stanno tutti aspettando lei. Se entro dieci minuti non si fa vedere, parola mia la vado a prendere per i capelli…!
- Non esagerare. Starà finendo di prepararsi, e poi c’è Odile con lei…- provò a dire Artù, ma Ginevra non si sentì comunque tranquilla. Si voltò di lato e chiamò Morgana, in piedi a pochi passi dalla scalinata che sopraelevava i due troni elevandoli un poco rispetto al resto della sala da ballo.
La donna si avvicinò celermente: indossava un abito da pavonessa, un tripudio di piume colorate che non facevano altro che ballonzolare a destra e a sinistra colpendo in viso chiunque avesse la sfortuna di passarle accanto. Prima, quando l’aveva vista, Artù aveva soffocato una risata e aveva chiesto a sua moglie quanti poveri polli avessero dovuto morire per far sembrare la sua protetta così ridicola, e Ginevra da parte sua l’aveva zittito dicendogli di non essere maligno, ma a sua volta aveva dovuto trattenersi dal lasciarsi sfuggire una risatina.
Morgana si avvicinò, facendo una riverenza.
- Sì, Vostra Maestà?
- Morgana…tua figlia stasera dovrebbe essere con Odette, vero?- domandò Ginevra.
- Suppongo di sì, Maestà.
- E sai per caso dove sono finite tutt’e due?
- Immagino…immagino che siano nella stanza della principessa. Sua Altezza Reale non avrà ancora terminato di vestirsi. Una così bella fanciulla, e con un abito così elaborato e raffinato…e poi la mia Odile è una ragazza molto scrupolosa, vorrà certamente che sia perfetta…
Ginevra fissò il vuoto per un istante, pensierosa; quindi annuì, ringraziando Morgana e dicendole che, se lo desiderava, poteva tornare alla festa, augurandole di divertirsi. La donna ubbidì, corrucciata.
Raggiunse in fretta suo figlio, in piedi di fronte a un pilastro a pochi metri da lei. Mordred quella sera non indossava alcuna maschera – sarebbe stato sconveniente dato il suo ruolo – così come tutti gli altri cavalieri presenti, ma indossava la casacca azzurra con una croce bianca sul petto, e scrutava la sala gremita con aria profondamente annoiata. Si riscosse quando vide sua madre venire verso di lui.
- Qualche problema?
- Non lo so ancora - borbottò Morgana ponendosi accanto a lui con espressione corrucciata.- La principessa Odette non si è fatta vedere.
- E allora? Starà facendo i capricci come al solito.
- Tua sorella dovrebbe essere lì con lei - sibilò la donna.- Non vorrei che quella scema abbia combinato qualche…
- Guardate!
Morgana seguì lo sguardo di suo figlio mentre Mordred le indicava qualcosa dall’altra parte della stanza. La donna si sollevò sulle punte per poter vedere meglio al di sopra delle teste di tutti gli invitati, anch’essi voltatisi a guardare la nuova arrivata.
Si trattava di una donna all’apparenza giovane – Morgana non sarebbe stata in grado di dirlo con esattezza, data la distanza – vestita con un lungo e attillato abito nero che risplendeva alle luci del salone, i capelli acconciati sopra il capo e una maschera anch’essa nera i cui bordi ricordavano la forma di un paio d’ali.
Era un cigno, realizzò Morgana. Quella ragazza era un cigno nero.
 
***
 
Odette raggiunse le prime casupole relativamente in fretta, non ci aveva impiegato neppure mezz’ora ad attraversare la pianura da quando aveva scavalcato le mura del castello. Il campanile in lontananza batté le nove e mezzo, e la principessa calcolò che le restavano ancora un paio d’ore da spendere come voleva, prima di recarsi a quel tedioso ballo.
Rallentò il passo, e si calò ancora di più il cappuccio sul capo, schiacciandosi i capelli biondi sotto la stoffa grezza, e si addentrò nella città, percorrendo la via principale. Una leggera brezza aveva iniziato a soffiare, facendole aderire ancora di più gli abiti di Mordred al corpo, ma non era un semplice venticello notturno. L’aria era frizzante, fredda, fredda in un modo che a Odette non parve naturale, ma non ci badò troppo e continuò a camminare. Ora le case si erano fatte più numerose, una addossata all’altra, interrotte solo da alcuni vicoli stretti e semibui che s’insinuavano fra le costruzioni di legno e pietra. C’erano poche persone, data l’ora tarda, e Odette non sapeva se esserne dispiaciuta o rincuorata: dispiaciuta, perché era la sua prima notte di libertà e non incontrare un’anima per tutto il tempo sarebbe stato davvero triste; rincuorata, perché in quel modo erano anche minori le possibilità di venire riconosciuta. Certo, razionalmente sapeva che non c’era grande pericolo, dal momento che nessuno o quasi l’aveva mai vista in volto se non quando era poco più che una lattante, ma la principessa si sentiva raggelare ogni volta che qualche carrettiere o contadino di ritorno dai campi incrociava il suo cammino e sollevava lo sguardo su di lei. Sarebbe bastato veramente poco perché qualcuno urlasse la principessa Odette è in città! e mandasse tutto quanto nel fango. Per precauzione, preferì non abbassare il cappuccio, e continuare a esplorare in solitudine.
Sebbene fosse notte e quindi le strade pressoché deserte, Odette non riusciva a staccare gli occhi da qualunque cosa vedesse. Tutto, in quella città, era nuovo per lei: dalle persone, agli abiti, ai suoni e perfino a quell’odore misto di pane caldo, sudore, terra ed erba che non la smetteva di mandarla su di giri. Si fermò per un attimo, indecisa sul da farsi: non avrebbe combinato molto continuando a vagare da sola fino a mezzanotte. Era conscia del fatto di non essere più al castello, con sua madre sempre intorno, le guardie e i cavalieri a proteggerla, e che chiunque avrebbe potuto aggredirla per rubarle del denaro che non possedeva, o per farle del male. Per di più, lei era stata talmente stupida da non portarsi dietro neppure un pugnale per difendersi! E poi…e poi, voleva incontrare delle persone. Voleva vedere com’era veramente il mondo al di fuori dalle mura.
Doveva trovare un modo.
Proseguì ancora per qualche metro, fino a che non udì alcuni rumori e delle voci provenire da un edificio più grande degli altri, accompagnate dalla musica di quelli che identificò come un tamburello e una fisarmonica. Dal suo interno proveniva una luce più forte che dalle finestre delle altre case. Odette si fermò di fronte alla porta di essa, sopra la quale era affissa un’insegna.
Il Leone d’Oro.
Odette non aveva mai udito quel nome in vita sua, ma non era sciocca, e quell’edificio le ricordava troppo bene tutte le descrizioni delle locande che aveva letto nei libri o di cui parlava sempre sir Galvano. Salì i pochi gradini che la separavano dalla porta, quindi spinse i battenti, scivolando all’interno.
Rimase un attimo immobile sulla soglia, incerta sul da farsi: aveva temuto che qualcuno la riconoscesse, o che tutti si voltassero puntando lo sguardo su di lei come accadeva sempre quando entrava in una stanza – sia che fosse puntuale o meno, e sia che i suoi abiti fossero puliti o sporchi di terra. Invece, nessuno parve fare caso a lei, se non quello che identificò come il locandiere, un uomo calvo, alto e allampanato, con due baffoni scuri e un grembiule bianco che se ne stava in piedi dietro al bancone lucidando un bicchiere, e che le rivolse una breve occhiata prima di tornare al proprio lavoro.
Odette mosse qualche passo verso uno degli sgabelli posti di fronte al banco, guardandosi intorno. L’ambiente era molto meno ampio di quanto l’esterno avesse lasciato intuire, l’aria viziata e densa di uno sgradevole odore di alcool e sudore e del fumo emanato dalle candele accese. I tavoli erano tutti ingombri, occupati da omaccioni tozzi e vestiti in modo trasandato, che giocavano a carte o che – la maggior parte di loro, a dire il vero – pur essendo completamente ubriachi non la smettevano di tracannare grog e di fare battute oscene ad alta voce.
Odette accelerò il passo, raggiungendo uno degli sgabelli liberi e sedendocisi sopra in tutta fretta. Stava cominciando a pentirsi di essere entrata là dentro. Chi poteva saperlo, magari più avanti c’era un’altra locanda…
- Cosa bevi, ragazzo?- l’apostrofò il barista.
- Uh? Eh?- fece Odette, stralunata, alzando lo sguardo su di lui.
- Ti ho chiesto che cosa vuoi che ti serva…- ripeté l’uomo accigliato.
Odette abbassò il capo, umettandosi le labbra.
Crede che io sia un maschio, realizzò, e la cosa le infuse un senso di compiacimento. Aveva sempre sognato di vestirsi da uomo e passare come un prode guerriero.
- Ehm…io…- balbettò, schiarendosi la voce in modo da prendere tempo e al contempo cercare di somigliare ancora di più a un ragazzo.- Io prendo…dell’assenzio - buttò lì il primo nome che ricordò aver sentito pronunciare da sir Galvano. Non aveva idea di quale fosse il sapore dell’assenzio, ma d’altra parte non conosceva neppure quello del rum, del grog e dell’idromele, quindi tanto valeva provare, no?
Il barista si voltò verso lo scaffale ricolmo di bottiglie e, quando tornò a guardarla, le piantò di fronte un boccale stracolmo di un liquido verde scuro che non aveva niente di rassicurante. Odette borbottò qualche parola di ringraziamento poi, quando l’uomo non fece più caso a lei, si sporse in avanti e annusò brevemente il contenuto del boccale. Odorava di dolciastro, come se fosse stato alcool e menta concentrati. Odette sollevò titubante il bicchiere, e bevve un piccolo sorso di assenzio.
Fu come se le avessero fatto ingoiare del fuoco liquido.
L’assenzio le fece bruciare la gola e il petto, invadendole i polmoni. Odette allontanò il boccale da sé, versandone metà del contenuto sul bancone, e prese a tossire furiosamente, gli occhi iniziarono a lacrimarle e divenne rossa in viso.
E stavolta questo fu sufficiente a far voltare tutti nella sua direzione.
- Ehi, ragazzino, hai intenzione di crepare qui?- gridò qualcuno, suscitando qualche sguaiata risata; nel contempo, Odette sentì qualcuno – forse il barista – che le batteva una mano sul dorso.
- Su, forza, respira!- la incitò l’uomo.- Non sei abituato a bere, eh?
- No…- soffiò la principessa con voce strozzata. Aveva smesso di tossire, ma la sensazione che un drago avesse appena vomitato delle fiamme nella sua gola non se n’era andata.
- Non avresti dovuto iniziare con qualcosa di così forte. L’assenzio è fuoco puro…
- L’ho notato…
- Vieni, ti porto qualcosa di un po’ più leggero. Che ne dici di un bel whiskey, eh?
- Oppure mandalo direttamente a ficcare la testa nell’abbeveratoio per le vacche!- urlò qualcun altro, e subito ci furono altre risate. Odette ringhiò a chiunque fosse stato a parlare, raddrizzando il capo. Avrebbe voluto prendere per la collottola chi l’aveva insultata, ma s’impose di mantenere il sangue freddo. Il barista le tolse di fronte il boccale d’assenzio e lo sostituì con uno di whiskey.
Odette rimase a fissarlo per qualche minuto. Non aveva più voglia di bere, sebbene le avessero assicurato che quello fosse molto meno forte dell’assenzio. Per di più, il suo tempo di libertà stava per scadere, e questo le infondeva parecchia tristezza: si era figurata quell’avventura in tutt’altro modo, e adesso aveva quasi la sensazione di aver gettato via un’occasione irripetibile.
- Ma non dire idiozie!- sbraitò qualcuno alle sue spalle. Odette si riscosse, voltandosi appena per vedere chi aveva parlato. Era stato un uomo, probabilmente un boscaiolo, seduto a un tavolo con altri quattro.
- Non sto dicendo idiozie - ribatté un altro.- Me l’ha detto Gunter, ieri sera. Ha incontrato dei pastori che venivano dal Nord. Dicono che laggiù ha iniziato a cadere la neve, e che tutto quanto si è gelato. Che gli alberi sono morti e gli animali hanno lasciato la foresta…proprio come al tempo dei fratelli Grimm, ricordate?
- I fratelli Grimm?- fece un terzo.- Andiamo, non puoi essere serio!
- Su queste cose non si scherza, Thomas!- lo rimbrottò il primo che aveva parlato. Odette si sporse per poter sentire meglio, interessata.
- Io infatti non sto scherzando - disse Thomas.- E’ proprio come racconta la leggenda. Quando i fratelli Grimm risorgeranno, a far loro da ambasciatore sarà il Grande Inverno…
- Saranno stati dei ciarlatani. I Pendragon hanno sconfitto i quei due bastardi secoli fa!- Odette rabbrividì nell’udire il nome della propria famiglia, ma non smise di ascoltare.- Piuttosto…- fece il boscaiolo.- Che notizie dal Nord?
- Non buone. Gli orchi hanno saccheggiato e distrutto diversi villaggi, e in uno di questi…mi pare che si chiami Salem…beh, stanno succedendo cose strane. E’ stata arrestata una donna, mi hanno detto. La levatrice del paese, figlia di un mercante decaduto…
- Una strega?
- Suppongo di sì. L’hanno condannata a morte, dovrebbe essere giustiziata da qui a pochi giorni…
 
***
 
Ginevra si sporse dal trono, sgranando gli occhi.
Gli invitati s’inchinarono uno a uno alla nuova arrivata.
- Odette…- boccheggiò la regina.
- Hai visto che alla fine si è presentata?- ammiccò Artù.
- Ma…ma…- Ginevra parve essere estremamente confusa.- Quello non è il suo vestito!
- E allora? Conosci nostra figlia…evidentemente non le piaceva e lo ha cambiato. Comunque, trovo che le stia molto bene…
- No, c’è qualcosa che non va - dichiarò Ginevra, facendo per alzarsi in piedi. Artù la trattenne, stringendo le dita intorno alla mano della moglie.
- Siediti…- sussurrò, accarezzandole il dorso della mano con il pollice. La regina inspirò a fondo, abbandonandosi contro lo schienale. Artù le rivolse un piccolo sorriso.- Andrà tutto bene, intesi? Odette ha solo cambiato abito, nulla di più. Io mi fido di nostra figlia, vedrai che non accadrà nulla…
- Va bene…- Ginevra cercò di rilassarsi, ma non ci riuscì come avrebbe voluto. Da lontano, quella sembrava veramente Odette, solo con un altro abito. Ma c’era uno strano tarlo che continuava ad assillarla, e non era la solita paura di una delle bravate di sua figlia.
Odile trattenne il fiato non appena fece il suo ingresso nella sala da ballo, e credette di essere sul punto di svenire quando tutti gli invitati si voltarono nella sua direzione. Nessuno le staccava gli occhi di dosso, e per un momento la servetta temette che l’avessero riconosciuta, che avessero compreso che non era la principessa Odette ma, quando alcuni degli ospiti iniziarono a inchinarsi, si tranquillizzò.
Non l’avevano scoperta. Espirò lentamente, muovendo un passo all’interno del salone in mezzo alle due file di nobili che si erano formate al suo ingresso, sorridendo appena. Istintivamente avrebbe voluto rispondere agli inchini con una riverenza, ma si ricordò che non sarebbe stato un comportamento da principessa.
Dopo poco, la musica ricominciò a suonare, e gli invitati a ballare. Inaspettatamente, Odile si vide tendere una mano da uno dei nobili presenti, un ballerino di mezza età elegantemente vestito che si esibì in un profondo inchino.
- Sua Altezza desidera concedermi l’onore del suo primo ballo di questa sera?
Odile schiuse le labbra, trasalendo un poco. Non si aspettava nulla del genere – il suo obiettivo era un altro, e non lo aveva dimenticato –, tuttavia replicò con un sorriso e accettò la mano. Non ebbe il coraggio di rispondere per paura che il suo cavaliere comprendesse che quella non era la voce della principessa.
L’uomo – Odile comprese dallo stemma cucito sulla sua casacca che si trattava di un duca – la condusse poco più in là, quasi al centro del salone, e le posò una mano in vita, dando avvio alla danza. Il cigno nero si lasciò trasportare, trovando molto semplice compiere quei passi sinuosi al ritmo della musica. Era brava a ballare, anche se non aveva preso delle vere e proprie lezioni come Odette, ma quando era piccola e la sua famiglia viveva ancora nell’agiatezza, Morgana le aveva insegnato qualche passo personalmente. Posò una mano sulla spalla del suo cavaliere e intrecciò le proprie dita nella destra di lui, e ben presto fu lei a condurre il ballo. Il duca fece una piccola battuta su questo punto, che Odile non udì ma alla quale rispose con un sorriso di cortesia, senza smettere di ballare ma, soprattutto, di sfruttare ogni giravolta e cambio di coppie per cercare con lo sguardo l’unica persona che le interessava veramente in mezzo a tutta quella calca.
Ancora seduti sui due troni, il re e la regina di Camelot si scambiarono un’occhiata, soddisfatta da una parte e incerta dall’altra.
- Per ora sta andando bene, non trovi?- disse Artù.
- Sì…- soffiò Ginevra, mordendosi l’interno di una guancia.- Sembra di sì…
- Cosa c’è? Ti preoccupa la scelta del cavaliere?- il re ridacchiò.- In effetti, è un po’ vecchiotto per Odette, ma stanno solo ballando, credo sia il caso di aspettare prima di ordinare il corredo di nozze…
- A te non pare…diversa?- Ginevra si umettò le labbra.- Voglio dire sembra quasi…un’altra.
Quella stana sensazione non era sparita, anzi, vedendo ballare il cigno nero non aveva fatto altro che acuirsi. Sapeva che Odette non era mai stata una ballerina provetta, ma anche la possibilità di un improvviso miglioramento non giustificava ciò che vedeva: sua figlia non stava semplicemente ballando, era come se ogni suo passo e movimento fosse finalizzato a provocare non solo il suo cavaliere, ma anche chi le stava intorno, come se il suo unico obiettivo fosse quello di sedurre.
Non era un comportamento da Odette, di questo non aveva dubbi.
- Ammetto che anche a me sembri un po’ strana, ma forse è per via del vestito…- mormorò Artù, e a Ginevra non sfuggì il fatto che avesse aggrottato le sopracciglia.- Non mi ero mai reso conto che a Odette piacesse il nero.
- No, nemmeno io…
- La rende più pallida - osservò il re, massaggiandosi il mento con una mano.- E i capelli sembrano più scuri…ma potrei anche sbagliarmi, d’altronde li ha raccolti e le luci creano delle strane sfumature.
Ginevra annuì, ma in cuor suo non ne era per niente convinta. Gettò un’altra occhiata prima alle guardie e poi al resto della sala. Sembrava andasse tutto bene.
Il primo ballo terminò, e subito i musicisti attaccarono con una nuova melodia. Il duca s’inchinò le baciò la mano di Odile in segno di commiato. Il cigno nero tentò di guardarsi intorno alla ricerca di Lancillotto, ma subito un altro ballerino s’inchinò di fronte a lei, domandandole il prossimo ballo.
Odile non poté fare altro che accettare, e diede avvio alla prossima danza, senza smettere di osservare tutti gli altri ballerini.
D’un tratto, lo sguardo le cadde su due figure in piedi di fronte a un pilastro e trasalì, ringraziando con tutto il cuore che un attimo dopo i passi della danza l’avessero costretta ad allontanarsi da loro, tornando seminascosta fra gli altri ospiti.
- Avete visto?- fece Mordred, rivolto a sua madre.
- Che cosa?
- Non avete visto come ci ha guardati?- insistette il cavaliere.- Sembrava quasi spaventata.
- Forse è a causa della tua bravata di tre sere fa!- sputò Morgana, velenosa, ma Mordred non ci badò. Tornò a scrutare la pista da ballo alla ricerca del cigno nero e, quando la rivide, stavolta fra le braccia di un ballerino più giovane, il volto affilato gli si aprì in un sogghigno.
- Madre…- chiamò, con gli occhi che brillavano.
- Che cosa c’è?
- Credo di aver capito il perché il cigno nero sia tanto nervoso…
- Ma che cosa vai blaterando?!
- Guardate meglio…
Morgana digrignò i denti, facendo ciò che le diceva suo figlio. Tornò a guardare il cigno nero ma, proprio quando stava nuovamente per rivoltarsi verso Mordred e dirgli che non vedeva niente, l’evidenza dei fatti le saltò di fronte agli occhi, e l’espressione della donna fu di puro sconvolgimento.
- Beh? Avete capito che cosa intendevo?- ridacchiò Mordred.
- Non…non ci posso credere!- Morgana si mise le mani nei capelli.- Quella puttana! Che cosa sta combinando?! Oh, ma brutta…brutta sgualdrina, questa me la paga…! Giuro su tutto ciò che ho che le strapperò quei dannati capelli con le mie mani…! Siamo rovinati! Per colpa sua la regina ci…io l’ammazzo quella dannata…
- Madre, state diventando isterica - commentò il cavaliere, tranquillamente.
- Oh, sta’ zitto!- ringhiò la donna, facendo per irrompere al centro del salone con tutta l’intenzione di riempire sua figlia di schiaffi, ma la musica cessò improvvisamente, e la calca causata dal cambio delle coppie la costrinse ad arretrare.
Odile si allontanò velocemente dal proprio cavaliere, vedendosi costretta ad accettare la proposta di un altro ballerino poiché la musica era ricominciata ma, si ripromise, sarebbe stato l’ultimo ballo indesiderato. Aveva finalmente scorto chi cercava.
Lancillotto indossava, come tutti i Cavalieri della Tavola Rotonda presenti quella sera, la solita divisa azzurra con una croce bianca, e per tutto il tempo non aveva fatto altro che rimanersene in disparte, appoggiato a una colonna un po’ in penombra. Quel genere di feste non gli erano mai piaciute, neppure quando era uno scudiero; mentre tutti i suoi compagni non speravano altro di poter partecipare a un ballo a palazzo, un giorno, lui preferiva di gran lunga rimanere in cortile a esercitarsi o nella sua stanza a leggere. Doveva essere presente per una questione di decoro e perché il re che lui doveva servire e proteggere si trovava lì, ma quando capitava trascorreva tutto il tempo in disparte sperando che quel supplizio terminasse presto. All’inizio alcune dame lo avevano guardato da lontano nella speranza che le invitasse a ballare, ma col tempo anche loro avevano smesso di farsi illusioni. Il re gli aveva chiesto diverse volte se non pensasse a sposarsi, ma Lancillotto aveva sempre dichiarato di non avere tempo per il matrimonio. Non sopportava le donne in generale. Certo, era sempre pronto a dare una mano a qualunque di loro avesse bisogno del suo aiuto, ma sposarne una era tutta un’altra storia. Nella sua vita aveva solo incontrato bambine capricciose come la principessa, donne subdole come Morgana o damine svenevoli come sua figlia. Non si sentiva in grado di sopportare una come loro fino alla fine dei suoi giorni.
Sollevò lo sguardo non appena si accorse che Galvano si stava dirigendo nella sua direzione armato – neanche a dirlo – di una fiaschetta di grog da cui trasse un abbondante sorso, in barba a qualunque forma di etichetta e galateo di cui, per altro, non era mai importato molto a nessuno dei due.
- E’ sempre un piacere vederti così allegro e spensierato!- fece il suo amico con pesante ironia, battendogli una mano su una spalla. Lancillotto sbuffò, volgendo lo sguardo altrove.
- Vedo che hai già dato fondo alle scorte di idromele e di grog di Sua Maestà - commentò.
- Ti aspettavi il contrario, forse?
- No, in effetti no.
- Quante povere fanciulle hai già fatto piangere con la tua indifferenza stasera?- Galvano si appoggiò alla colonna accanto a lui, scrutando la sala da ballo.- Oh, no! Dimenticavo…ormai sanno che con te è una causa persa.
Lancillotto non rispose, e tornò a fissare la sala da ballo. Di fronte a lui, un giovane conte aveva appena condotto la principessa Odette in una giravolta. A differenza della maggior parte dei presenti, il cavaliere non era rimasto troppo incantato dall’entrata della figlia dei sovrani. Quello che l’aveva sbigottito era stato forse l’abito scelto, ma conoscendo il carattere ribelle della principessa si era detto che non doveva stupirsene troppo. Ma ora che la vedeva volteggiare fra le braccia di tutti quei ballerini, aveva la forte sensazione che ci fosse qualcosa che non andava. Galvano gli aveva raccontato di tutti i tentativi che Odette faceva insieme a lui per migliorarsi nella danza, e di come questi si concludessero immancabilmente in miseria. Invece, ora sembrava una perfetta ballerina, e anche il suo atteggiamento pareva…diverso.
- Cosa stai guardando?- fece Galvano.
- Nulla…
- Bugiardo. Perché stai fissando la principessa?
- Non ti sembra che sia strana, stasera?
- Magari ha deciso di mettere la testa a posto e smettere di ribellarsi.
- Non è solo questo. Sembra anche più pallida, e i capelli…- Lancillotto aggrottò le sopracciglia, guardandola meglio. Sì, decisamente c’era qualcosa di strano…e poco dopo, quando la musica cessò, lo capì. E si sentì invadere prima dal panico, e poi dalla rabbia.
- Ehi…- chiamò Galvano, posandogli una mano su una spalla.- Lancillotto, che cos’hai?
- Guardala…- sibilò il cavaliere, accennando al cigno nero che aveva iniziato a dirigersi velocemente nella loro direzione.- Non la vedi?
- Io…
- Non è la principessa!- sussurrò Lancillotto, nervosamente.- Galvano, non l’hai riconosciuta? E’ Odile!
- Odile?!- il cavaliere strabuzzò gli occhi.- La nostra Odile?!
- Sì, la piccola Odile, proprio lei!
- E…e dov’è la principessa?
Se anche Lancillotto avesse potuto rispondere, l’arrivo del cigno nero glielo impedì. Odile si avvicinò a loro sfoderando il migliore sorriso che possedesse; ormai si sentiva abbastanza sicura di sé, le pareva che niente potesse andare storto.
Galvano boccheggiò, ancora più sconvolto quando, invece di vedere il suo amico lanciarsi in un’invettiva contro la servetta, Lancillotto s’inchinò profondamente al cospetto di Odile.
- Vostra Altezza…- salutò.
Odile fece una riverenza, e Lancillotto pensò che, se anche non si fosse accorto prima del trucco, quel gesto l’avrebbe smascherata da sé. La vera Odette avrebbe sbuffato e replicato al suo saluto con una battuta ironica, dal momento che né con lui né con Galvano si era mai profusa in salamelecchi.
- State molto bene stasera, sir Lancillotto…- disse Odile; la voce le uscì un po’ stridula a causa dell’emozione. Lancillotto sfoderò un sorrisetto sghembo.
- Vi ringrazio, anche se potrei dire lo stesso di voi. Siete splendida…- detto questo, le prese una mano e ne baciò il dorso, gesto che non aveva mai compiuto con nessuna donna. Anche se non poteva vederlo, sapeva che sir Galvano, alle sue spalle, doveva essere sconvolto: avrebbe voluto dargli delle spiegazioni, ma non poteva. Aveva in mente un’idea tutta sua, che avrebbe forse fatto comprendere alla piccola servetta che cosa stava combinando con quel gesto. Non sapeva dove fosse la principessa, ma qualunque cosa fosse accaduta, se non la risolvevano immediatamente, con ogni probabilità il re avrebbe incolpato lui e gli altri cavalieri per non esservi stati attenti. Non poteva permetterselo.
Odile arrossì vistosamente, ridacchiando.
La musica era ricominciata. Lancillotto ammiccò, offrendole il braccio.
- Posso avere l’onore del prossimo ballo?- domandò.
Il cuore di Odile fece un balzo nel petto.
- Oh, sì, certamente!- trillò, affrettandosi a prenderlo sottobraccio.- Con il vostro permesso, sir Galvano…
Il cavaliere non poté fare altro se non mantenere un’espressione ebete a quella retorica richiesta e, quando i due presero ad avviarsi al centro del salone, scoccò a sir Lancillotto uno sguardo a metà fra l’interrogativo e l’accusatorio. Questi gli fece cenno di tacere, e continuò la farsa.
Condusse Odile al centro della sala, e iniziarono a ballare.
Poco più lontano, Ginevra si sporse in avanti.
- Che sta facendo?- mormorò, attonita.
- Beh, danza con sir Lancillotto, mi pare di capire.
- Non è mai stata interessata a lui, né ai cavalieri!- la regina si alzò in piedi di scatto, cominciando a scendere i gradini. C’era qualcosa che non andava; ora non era più solo una sensazione, ne era certa. Aveva continuato ad osservare il cigno nero per tutta la sera, e piano piano si era accorta di una serie di particolari: i capelli più scuri; la carnagione più pallida; l’altezza lievemente superiore a quella di Odette, la disinvoltura del cigno nero…
Quella non è mia figlia…!
- Ginevra! Aspetta!- la regina si voltò: suo marito si era alzato dal trono, e ora stava cercando di raggiungerla. Barcollava leggermente, e Ginevra si affrettò a prendergli le mani fra le proprie per non farlo agitare.
- Voglio solo andare da lei…- disse, nel tentativo di tranquillizzarlo.
- Ginevra, tu…
- Solo per salutarla - insistette la regina.- Ti prego, Artù…
Il re esitò, ma si decise ad assecondare la moglie.
Nel salone, Odile era all’apice della felicità: Lancillotto si rivolgeva a lei e le sorrideva come mai aveva fatto in vita sua. Era certa di avergli fatto una buona impressione e, anche se per il momento la credeva la principessa Odette, era sicura che quando gli avesse rivelato la verità finalmente avrebbe capito che aveva fatto tutto questo per lui, che era lei la donna giusta, non quella ragazzina capricciosa.
La musica cessò. Il cigno nero rivolse un gran sorriso al cavaliere.
- Sono un po’ stanca - disse.- Vogliamo uscire un poco sulla terrazza? Penso che mi farebbe bene…
- Naturalmente…- continuando la sua farsa, Lancillotto condusse Odile sulla terrazza.
La ragazza si scostò nervosamente una ciocca di capelli dietro a un orecchio, umettandosi le labbra. Inspirò a fondo, guardando il cavaliere negli occhi. Lancillotto aveva delle iridi chiare, azzurre come il mare, e un bel volto: i tratti erano marcati, il mento e il naso un poco pronunciati e aveva i capelli scuri e un poco di barba. Era un bell’uomo, lo era sempre stato, e aveva anche un carattere profondamente gentile, nonostante i suoi modi un po’ burberi. Odile era sempre stata infatuata di lui, sin da bambina. Avrebbe voluto parlargli subito, dirgli immediatamente che lo amava, rivelargli la vera identità del cigno nero, ma…non ne aveva il coraggio. Temeva di togliersi la maschera, aveva paura di essere rifiutata.
Decise di andare subito al punto, senza ancora dirgli la verità.
- Sir Lancillotto…- boccheggiò.
- Sì, Vostra Altezza?
- Io…- Odile esitò un attimo, convincendosi che le parole sarebbero state superflue. Chiuse gli occhi e, sollevandosi sulle punte, avvicinò le proprie labbra a quelle del cavaliere.
- Bel tentativo, Odile!
La servetta non ebbe neppure il tempo di trasalire che Lancillotto le strappò via la maschera, e i suoi ricci castani si sciolsero, ricadendole sugli occhi. Odile sgranò gli occhi, confusa e sconvolta.
- Immaginavo che avessi messo in piedi tutta questa messinscena per un motivo!- disse Lancillotto, incrociando le braccia al petto.- Ti rendi conto di che cosa hai fatto?!
- No…no, io…- Odile sentì gli occhi riempirsi di lacrime.- Sir Lancillotto, vi prego, ascoltatemi…posso spiegarvi tutto…
- L’unica cosa che mi puoi spiegare è come ti è venuto in mente di compiere un gesto del genere!
- Vi prego…l’ho fatto solo perché io…
Odile fu interrotta dall’arrivo precipitoso di Ginevra, che irruppe sulla terrazza come una furia, seguita dal marito. La regina si portò le mani alla bocca non appena vide chi fosse in realtà il cigno nero, sconvolta. Dietro ai due sovrani giunse immediatamente anche sir Galvano, quindi, trafelati e scarmigliati, anche Morgana e suo figlio.
- Odile!- strillò la donna, con finto sgomenti.- Odile, che cos’hai fatto?!
- Io…madre, vi prego…- la servetta iniziò a singhiozzare.
- Che cosa…oh, Vostra Maestà, perdonatemi, io…
- Silenzio!- sbottò Ginevra, avvicinandosi a Odile a passo di carica e afferrandola per un braccio, stringendoglielo così tanto da farle male.- Che cos’hai fatto? Dov’è Odette? Dov’è mia figlia?
- Lei…lei voleva uscire…
- Che cosa?!
- Voleva andare fuori dalle mura del palazzo…- Odile scoppiò a piangere, rossa di vergogna.- Vi prego, Maestà, perdonatemi…io non volevo fare nulla di male, ve lo giuro…
- Fuori dal palazzo…- soffiò Artù. Si rivolse a sir Galvano.- Presto! Chiamate Merlino, le guardie, chiamate gli altri cavalieri! Dobbiamo trovarla, subito…!
Galvano annuì ma, prima di rientrare, incrociò lo sguardo di Lancillotto, scoccandogli un’occhiata di fuoco.
 
***
 
Odette smise di ascoltare ciò che stavano dicendo gli avventori dell’osteria non appena degli strani rumori metallici e delle voci affrettate iniziarono a provenire dall’esterno. Quasi tutti i presenti nella locanda interruppero ciò che stavano facendo per ascoltare quel che stava accadendo.
La principessa si sentì raggelare quando riconobbe quel trambusto come prodotto dell’azione delle guardie di suo padre. Si precipitò fuori dalla locanda di corsa, ignorando le urla del barista per il suo mancato pagamento.
Doveva essere accaduto qualcosa, realizzò. Non poteva essere che avesse fatto così tardi, era stata bene attenta a non perdere nessun rintocco del campanile. La prima cosa che le venne in mente fu che suo padre si fosse sentito male di nuovo, ma subito si disse che tutto quel trambusto non sarebbe stato giustificato. Mi hanno scoperta, pensò con orrore.
Quando raggiunse la strada trovò un pandemonio: Artù aveva sguinzagliato almeno una cinquantina di soldati, e ora questi stavano perlustrando ogni angolo della città, bussando alle porte delle case e interrogando le persone. Odette si avvolse ancora di più nel mantello: qualunque cosa fosse successa, non aveva nessuna intenzione di lasciarsi riportare dai suoi genitori dai soldati, come una prigioniera.
S’insinuò in un vicolo laterale, non sapendo neppure bene dove portasse; tutto ciò a cui pensava era il non farsi prendere. Si appoggiò contro la parete sporca e umida di una delle case, trattenendo il respiro e sbirciando oltre l’ombra in cui si era nascosta. I soldati avevano occupato tutta la via principale; non c’era modo per lei di attraversarla senza correre il rischio pressoché certo di venire fermata, e non conosceva altra strada per raggiungere il castello.
Guardò il cielo, chiedendosi che diamine avrebbe potuto fare adesso, quando qualcuno le toccò gentilmente una spalla.
- Serve aiuto, principessa?
Odette fece per lanciare un grido, più per la sorpresa che per lo spavento, ma subito una mano giunse a tapparle la bocca.
- Shhht…- sussurrò la persona accanto a lei.- Attenta, mia cara, o rischi di attirare l’attenzione…
Odette ansimò, sentendo il cuore batterle più forte nel petto. Guardò alla propria sinistra, vedendo in faccia chi aveva appena parlato: si trattava di un uomo, ancora giovane – doveva avere all’incirca venticinque o ventisei anni – con i capelli castani e lunghi, raccolti in una coda, gli occhi neri e i lineamenti affilati. Era vestito completamente di nero, e anch’egli come lei aveva il cappuccio sollevato.
Le liberò la bocca in modo che potesse respirare meglio, senza smettere di guardarla. Odette vide che sogghignava.
- Non urlare…- le intimò, gentilmente.- Se lo fai, allora tutti i tuoi sforzi saranno vani e verrai catturata…
- Chi…- Odette deglutì, sentendosi la gola secca.- Chi…come sapete che…?
- Come so chi sei tu? Lo so e basta, semplicemente. L’importante è…cosa posso fare per te.
La principessa si staccò dalla parete, guardandolo negli occhi. Lo sconosciuto continuava a sogghignare, in una maniera che non le piaceva per niente. Le tese la mano.
- Posso avere l’onore di condurti a casa?
Odette rimase interdetta.
- A…a casa?- mormorò, incredula.
- Sì, a quel grande palazzo che tu chiami casa - lo sconosciuto ghignò.- O prigione a seconda dell’umore.
Odette aggrottò le sopracciglia, muovendo un passo all’indietro. Incrociò le braccia al petto, mordendosi il labbro inferiore.
- Non dovrei fidarmi degli sconosciuti…- borbottò.
- Scelta saggia, nessun dubbio. Di certo sarebbe una marachella in meno da aggiungere alla lista, quando tua madre scoprirà cosa hai fatto…
Vide che la principessa tentennava, e le tese nuovamente la mano.
- Posso darti la mia parola che io rispetto sempre gli accordi.
- Non saprei…
- Mettila così: se arrivi in tempo e non ti fai scoprire, non passerai dei guai.
Odette esitò ancora un poco, incerta.
- E…mi porterete a casa?- domandò.
- Certo. Conosco la strada meglio delle mie tasche - l’uomo ghignò, prendendole la mano.- Andiamo, cara, o la mammina si arrabbia!
Odette cercò di protestare, ma lo sconosciuto la tirò con sé, attraverso una serie di vicoli di cui lei non avrebbe mai neppure sospettato l’esistenza. Accelerò il passo per stargli dietro, senza lasciare la sua mano, ancora avvolta nel mantello. Le pareva quasi che il suo accompagnatore stesse ridendo sotto i baffi, e questo non le piaceva.
Stava per dirgli di lasciarla andare, quando vide che le case avevano iniziato a diradarsi e, in poco tempo, riconobbe la pianura che si apriva di fronte al castello. Si rilassò un poco, facendosi tirare verso le mura del palazzo. La stupì un poco che lo sconosciuto conoscesse anche la strada per la porta laterale da cui lei aveva previsto di entrare ma, quando vi giunsero, non riuscì a fare altro se non ringraziarlo.
- Di niente, carina - rispose l’uomo.- Ora è meglio che ti sbrighi a rientrare, se non vuoi mandare tutto in fumo…
- Avete ragione. Vi ringrazio di nuovo…- Odette sorrise, fermandosi un attimo prima di entrare.- Posso…posso conoscere il vostro nome?
- Io mi chiamo Tremotino, dolcezza, e, se mai avessi bisogno di me, mi troverai sempre a tua disposizione…- Tremotino fece un rapido inchino, quindi la incitò a entrare.- Su, su! Dentro, la mezzanotte è passata da un pezzo!
Odette ubbidì, lasciandosi l’uomo alle spalle e chiudendo i battenti della porta di servizio, quindi prese a correre lungo il corridoio buio, diretta alle sue stanze. Non sapeva ancora che cosa avrebbe raccontato ai suoi genitori ma forse, se si dava una mossa…
Svoltò l’angolo, e la sua corsa venne bloccata da due guardie. Odette arretrò, e il cappuccio le scivolò dalla testa, rivelando il suo volto. Boccheggiò, desiderando solo sprofondare.
- L’abbiamo trovata. Dite a sir Galvano di avvertire il re.
 
***
 
Odile non aveva ancora smesso di piangere, quando suo fratello le aprì la porta della stanza di Morgana. La servetta cercò di asciugarsi gli occhi, entrando lentamente nella camera. Morderd la squadrò da capo a piedi, senza dire nulla. La regina Ginevra l’aveva trattenuta per un’ora intera chiedendole di spiegarle tutto quanto: aveva dovuto raccontare del piano di Odette, ma era stata costretta a confessare che l’idea di sostituirsi alla principessa era stata interamente sua. Avrebbe voluto morire per la vergogna, ma fortunatamente i sovrani sembravano essere più occupati a cercare la loro figlia che dare peso alla sua bravata.
Ma l’umiliazione rimaneva. In quel momento, Odile ebbe la certezza di non essere più il cigno nero, di cui rimaneva solo un abito stropicciato che ancora aveva addosso, e di essere tornata la solita di prima, quella che era sempre stata.
Mordred chiuse la porta alle loro spalle con un colpo secco. La servetta alzò lo sguardo: sua madre era seduta su una poltroncina intenta a sfogliare uno spesso libro rilegato in pelle marrone, ma non appena la udì entrare chiuse il volume e si alzò in piedi, sempre tenendolo in mano.
Odile si sentì mancare il respiro quando vide Morgana avanzare verso di lei, seria come mai l’aveva vista in vita propria. Riprese a singhiozzare.
- Vi prego, madre, io non volevo…
Morgana non le diede il tempo di finire la frase, e la colpì violentemente a una tempia con il volume. Odile emise un gemito di dolore, finendo inginocchiata sul pavimento. Mordred parve essere turbato dalla violenza di quel gesto.
- Ma cosa fate?! Volete ucciderla?
- Zitto!- strillò Morgana, prima di tornare a rivolgere la propria attenzione alla figlia. La colpì un’altra volta sul capo con il volume, e stavolta Odile cominciò a singhiozzare.- Stupida!- un altro colpo; la servetta non si muoveva, piangeva e cercava di proteggersi tenendo le mani alzate sul capo.- Idiota!- Morgana scaraventò il libro dall’altra parte della stanza, e afferrò sua figlia per i capelli, strattonandola. La prese per il collo dell’abito, trascinandola violentemente sul pavimento.
Mordred assisteva alla scena immobile, prima un poco attonito, poi sempre più indifferente. Era abituato al fatto che sua madre picchiasse e maltrattasse Odile e, anche se a volte esagerava nel colpirla in modo troppo forte, era pur vero che non l’aveva mai ammazzata.
Odile gridò, cercando di divincolarsi. Morgana aprì una porticina che dava accesso a un piccolo spogliatoio, alto e stretto, e ce la spinse dentro. La servetta si ritrovò inginocchiata al buio, in uno spazio troppo piccolo anche per poter distendere le gambe. Sollevò gli occhi appannati dal pianto su sua madre: Morgana era in piedi sulla soglia dello spogliatoio, con un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.
- Considerala la tua stanza per i prossimi tre giorni…- sibilò.
Odile si gettò in avanti.
- No, madre, vi prego…
Morgana chiuse la porta con un colpo secco, lasciando Odile al buio. Sentì i pugni di sua figlia battere disperatamente sul legno, e i suoi strilli che la imploravano.
- Madre, no! Vi prego, fatemi uscire! Madre, ve lo giuro, non volevo fare niente di male! Fatemi uscire, madre! Non volevo fare niente di male! Non volevo fare niente di male…
Per tutta risposta, Morgana girò la chiave nella serratura.
 
***
 
- Odette, quello che hai fatto è inaccettabile!- tuonò Artù, voltandole le spalle. La principessa si strinse nelle spalle. Le guardie l’avevano condotta immediatamente dai sovrani; indossava ancora gli abiti di Mordred, era stanca e spettinata. Sua madre non la guardava, seduta in un angolo, in disparte.
- Ho tollerato abbastanza i tuoi capricci, ma questa volta hai veramente passato il segno!- urlò il re, guardandola con una rabbia che Odette non aveva mai visto negli occhi di suo padre.- Mi hai deluso, Odette, e hai deluso anche tua madre…
- Non l’avrei fatto, se voi non mi aveste trattata come una prigioniera per anni!- ribatté la principessa.- Vi prego, padre, se solo voleste ascoltarmi…
- Ho ascoltato fin troppo!- la voce di Artù rimbombò sulle pareti. Il re raggiunse la moglie, sedendosi accanto a lei, ma non smise di fissare sua figlia.- Hai idea di quello che sarebbe potuto succedere? Di come ci saremmo sentiti io e tua madre se ti fosse accaduto qualcosa?
- Sarei stata di ritorno a mezzanotte, e avrei partecipato a quello stupido ballo…
- Non è questo il punto - Artù strinse una mano a pugno.- Quello che mi delude di più non è la tua bravata, Odette, è il fatto che tu non abbia ancora capito…- il re si alzò in piedi, andandole incontro.- Io e tua madre ti vogliamo bene, e abbiamo sempre fatto di tutto per te, l’unica cosa che desideravamo era quella di non perderti! Ma tu ora hai passato il segno…- le diede nuovamente le spalle.- Eravamo disposti a darti una possibilità, a lasciarti scegliere quello che sarebbe stato tuo marito e attendere fino a che non fossi pronta per sposarti, ma vedo che non sei in grado di stare da sola senza che qualcuno ti controlli…Hai gettato via la possibilità che ti avevamo dato, e non ho alcuna intenzione di concedertene un’altra…- Artù tese il braccio alla moglie, aiutandola ad alzarsi e iniziando ad avviarsi con lei verso la porta. Scoccò un’ultima occhiata a sua figlia.- Da domani farò in modo di sistemarti come si deve. Ti sposerai con chi sceglierò io e quando lo deciderò io. Hai finito di ribellarti, Odette…
- No!- gridò la principessa, un attimo prima che i sovrani uscissero dalla stanza, chiudendo la porta.
 
***
 
Galvano spintonò Lancillotto all’interno di quella stanza isolata e pressoché inutilizzata dei suoi appartamenti, digrignando i denti. Il cavaliere si voltò attonito verso il suo amico.
- Si può sapere che cos’hai?- gli chiese, inarcando un sopracciglio.- Perché mi hai portato qui?
- Voglio parlare - disse sir Galvano, ma dal suo tono di voce Lancillotto intuì che non aveva affatto in mente una conversazione pacifica. Incrociò le braccia al petto, guardandolo con severità.
- Potevi risparmiarti quella farsa.
- A cosa ti riferisci?
- Non prendermi per stupido, Lancillotto, sai bene a cosa mi riferisco!- ringhiò sir Galvano.- Ti rendi conto del modo meschino in cui ti sei comportato con Odile? L’hai umiliata, l’hai resa ridicola di fronte al re e alla sua famiglia, per di più senza un motivo!
- Un motivo lo avevo: Odile ha compiuto un gesto che…
- Qualunque cosa abbia fatto, il tuo comportamento non è giustificato - disse Galvano.- Sei tanto orgoglioso del tuo titolo di cavaliere, Lancillotto, e non nego che, se c’è qualcuno degno di portarlo qui, quello sei tu…ma non sai che cos’è il rispetto e, peggio ancora, hai giocato con i sentimenti di una poveretta che ti amava, e per che cosa?
- Non mi giudicare!- urlò Lancillotto.- Io non ho mancato di rispetto a nessuno, volevo solo far capire a Odile che quello che aveva fatto era…
- Avresti potuto farglielo comprendere in mille modi, ma non ingannandola ed esponendola alla pubblica umiliazione. Più del tuo comportamento, mi ha disgustato solo quello di Mordred, che non ha mosso un dito per difendere sua sorella - il cavaliere si avvicinò a lui.- Se quella povera anima di mia moglie fosse ancora viva e tu l’avessi trattata come hai trattato Odile stasera, ti posso assicurare che sarei passato sopra alla nostra amicizia e ti avrei infilzato da parte a parte!
- Non mi sarei mai permesso di insultare tua moglie, così come non ho insultato Odile! E’ lei che ha sbagliato, non io!
- Forse hai ragione, ma quello che è certo è che non sai cosa sia l’umiltà. T’importa solo della tua posizione, nulla più…- Galvano sospirò, allontanandosi di un passo da lui e guardandolo negli occhi.- Lancillotto…non voglio farti la morale, ma lascia che ti racconti una storia - disse, più calmo.- Quando ero ragazzo, mio padre mi narrava sempre la leggenda di giovane re, arrogante e superbo, ma talmente affascinante da risultare a chiunque amabile e gentile, nonostante avesse un cuore di pietra; i suoi modi ingannavano talmente tanto e nascondevano così bene la sua anima nera che un giorno la figlia di un funzionario di palazzo s’innamorò di lui. Egli la ingannò crudelmente, e quando si stancò di lei l’abbandonò senza alcun rimorso, tanto che la fanciulla non resse al dolore e all’umiliazione e si uccise gettandosi nelle acque gelide di un fiume…
- Perché mi stai raccontando questo?- lo interruppe Lancillotto.- Quello che è successo con Odile non ha nulla a che fare con…
- Ti prego, lasciami finire - Galvano prese un profondo respiro.- Il padre volle vendicare la morte della figlia, e offrì tutto ciò che possedeva a uno stregone affinché lanciasse sul re una terribile maledizione: questa lo trasformò in un essere talmente ripugnante che nessuno volle più averlo di fronte agli occhi, poiché non era solo il suo aspetto ora a essere orribile, ma anche il suo animo. Il re non trovò mai un modo per spezzare il sortilegio, e morì solo, abbandonato da tutti a causa della sua anima nera e del suo aspetto orribile e, dopo la morte, venne condannato a vagare per l’eternità nel regno dell’Oblio. Con questo sto cercando di dirti…- esitò un attimo, guardandolo negli occhi.- Sto cercando di dirti, Lancillotto, che non basta essere un cavaliere e adempiere il proprio dovere. Se aiuti un povero ma in cuor tuo lo disprezzi, allora è come se non avessi fatto assolutamente nulla per alleviare le sue sofferenze. Allo stesso modo, non sarai mai un vero cavaliere se non imparerai l’umiltà e il rispetto nei confronti degli altri, e ogni azione che tu compi avrà sempre un prezzo, nel bene e nel male…Spero che tu rifletta su questo…
Detto ciò, sir Galvano lo guardò un’ultima volta, prima di uscire dalla stanza.
 
***
 
Tremotino lasciò il castello di Camelot solo a tarda notte, ancora una volta soddisfatto di se stesso e del suo operato. Aveva sempre creduto che, se volevi che qualcosa fosse fatto per bene, allora dovevi farlo da solo. Aiutare la principessa Odette a tornare a casa era stata solo una presentazione, ma presto la ragazzina avrebbe avuto bisogno di lui. Oh sì, e parecchio. Ora che Artù aveva perso la pazienza per lei le cose si sarebbero complicate molto…anche se non poteva dire che il re avesse avuto torto…
(Io e tua madre ti vogliamo bene, e abbiamo sempre fatto di tutto per te, l’unica cosa che desideravamo era quella di non perderti!)
Si fermò di colpo, fissando il vuoto. Rimase immobile per diverso tempo, riflettendo su ciò che Artù aveva detto a sua figlia. Si accorse di stare respirando a fatica.
 
- Non mi lasci mai vivere la mia vita!
- Non è vero! E’ solo che ti voglio bene…!
- Ma insomma, che cosa vuoi?
- Solo quello che vogliono tutti i genitori…sapere che, quando escono, i loro figli torneranno a casa…
 
Aveva vissuto a sua volta quella scena a cui aveva appena assistito, quei conflitti, ed era stato troppo stupido per comprendere la verità fino a che non era stato troppo tardi.
(Non ripeterò il mio errore. Non stavolta)
Aveva visto Richard Hadleigh guardare preoccupato il punto in cui le due sorelle erano sparite l’ultima volta che erano stati tutti e tre insieme. Aveva visto il padre di Gretel abbandonare lei e suo fratello al loro destino, e quello di Ginevra sacrificare sua figlia per una bugia.
Aveva visto genitori sacrificarsi per i loro figli, e altri trasformare i medesimi in dei mostri solo per il loro egoismo.
(Magia, mia cara. Mai sentito parlarne?)
(Solo nei libri…)
Improvvisamente, Tremotino rivide quella ragazzina con degli occhi scuri curiosi e vivaci, che molto probabilmente erano rimasti nascosti da troppo tempo dietro a degli occhiali spessi, occhi che, pur nell’assurdità di quel mondo così diverso da quello da cui proveniva, avevano comunque la forza di credere.
Occhi che di lì a poco tempo si sarebbero spenti per sempre, mentre un padre prigioniero su una nave pirata li avrebbe cercati invano.
Tremotino venne scosso da un improvviso brivido e chiuse gli occhi, ignorando deliberatamente il motivo a cui quella sensazione di panico fosse dovuta. Si concentrò, inspirando a fondo.
Gretel…
La maledetta non rispondeva. Ritentò: fra maghi e streghe era possibile costruire un contatto mentale, era una delle lezioni che gli aveva impartito il vecchio Merlino, e lui lo aveva già fatto tante volte.
Gretel, chiamò di nuovo e stavolta la sentì. Percepì il suo stato d’animo, rendendosi conto che era infastidita, ma non vi badò.
Gretel, nuovo ordine, pensò chiaramente. Vai a Salem, ma non uccidere la ragazza. Portami solo il libro. Se puoi, consegnami anche lei…potrà sempre tornare utile. Ma non la uccidere…Hai capito bene? Non la uccidere.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo Autrice: Questo capitolo è stato un parto, in tutti i sensi, ed è anche un bel po’ lungo. Spero che non vi siate annoiati…a questo proposito, vi pregherei di dirmi se pensate che questa storia stia diventando noiosa o se vi piace ancora. Vorrei saperlo, arrivati a questo punto.
Ringrazio VanEss13, Jessica21, Princess Vanilla, LadyAndromeda e Sylphs per aver recensito e tutti coloro che mi hanno aiutata a raggiungere quota ben 200 recensioni! Grazie a tutti, siete fantastici :)!!!!
Ora, due parole: la parte su Camelot non è ancora finita, ci sarà ancora un altro capitolo dedicato a questa parte, ma arriverà solo più avanti. Il prossimo, invece, vi avviso, si intitolerà Broken e sarà un po’ di mezzo, e il prossimo ancora invece vedrà l’arrivo a Salem da parte di Liz, Cenerentola e Cacciatore, con tutto ciò che questo comporterà :). Sono in arrivo dei nuovi personaggi e nuove storie…a questo proposito, la leggenda che Galvano racconta a Lancillotto l’ho inventata di sana pianta, ma certamente avrete notato alcune somiglianze con una certa fiaba…da ciò, immagino avrete anche intuito la favola di cui sarà protagonista quel pezzo di marmo di Lancillotto, che con il suo comportamento ha fatto irritare parecchia gente…;).
Detto questo, non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento al prossimo capitolo, con la Vinya e il Golden Trio! XD
Un bacio,
Beauty
  
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