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Autore: Emily Kingston    18/03/2014    5 recensioni
“Tu pensi che io sarò sempre qui, Ron?” chiese Hermione e quella domanda lo lasciò un bel po’ di stucco. Le aveva chiesto scusa, cos’altro voleva da lui?! “Pensi che io sarò sempre qui a sentire le tue scuse ogni volta che mi tratterai male?”
In realtà, Ron aveva sempre pensato che sarebbe stato così. Erano fatti in questo modo, lui e Hermione, si trattavano male, si urlavano in faccia e poi lui le chiedeva scusa per essere stato un idiota e lei lo perdonava. Funzionava così da sempre e Ron credeva che avrebbe continuato a funzionare così fino alla fine dei loro giorni, non aveva mai pensato che lei potesse stufarsi di lui.

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Questa storia partecipa al contest 'Mielandia: a very sweet world' indetto da AlisonMonster sul forum di EFP
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Di confetti e ricordi
 
All of this lines across my face
Tell you the story of who I am
So many stories of where I’ve been
And how I got to where I am
But these stories don’t mean anything
If you got no one to tell them to
It’s true
I was made for you
 
Sara Ramirez – The Story
 
 
Il padiglione allestito dai suoi fratelli e da sua madre era pieno zeppo di gente.
Harry gli stava dicendo qualcosa all’orecchio da circa mezz’ora, ma Ron non riusciva a sentire niente.
Ricambiava i saluti dei parenti e i sorrisi degli amici con gesti meccanici, quasi fosse un burattino i cui fili venivano tirati da un burattinaio un po’ imbranato, e non riusciva a fare altro se non fissare dritto davanti a sé, lo sguardo puntato sulle tende aperte del padiglione da cui presto sarebbe entrata sua sorella Ginny vestita di un tenue color lavanda.
Era buffo, in effetti, che per gli abiti delle damigelle Hermione avesse scelto proprio il color lavanda. Ron non aveva mai saputo perché avesse fatto proprio quella scelta, ma non si era neanche impegnato troppo per capirlo, ormai si era rassegnato al fatto che Hermione, per lui, era totalmente incomprensibile. Ma andava bene così.
“Ehi, Ron!” la voce di Harry sembrava un’eco lontana, quasi come se si trovassero a migliaia di chilometri di distanza, quando invece il suo amico era proprio accanto a lui. “RON!” alzò la voce e gli scrollo una spalla, cosa che lo svegliò definitivamente da quella strana trance.
“Eh…?”
Harry sospirò. “Non hai sentito una parola di ciò che ho detto, vero?”
Ron si passò una mano tra i capelli e abbassò lo sguardo.
“Ehm… Qualcosa tipo: non farla arrabbiare anche nel giorno del vostro matrimonio?” tentò, abbozzando un sorriso.
Harry scosse il capo con una risatina.
“Qualcosa del genere, sì,” sorrise, dandogli una fraterna pacca sulla schiena.
Aveva aperto bocca per dirgli qualcos’altro, ma la marcia nuziale iniziò timidamente a farsi strada nella confusione e tutti si azzittirono, voltandosi verso l’ingresso.
Ginny, fasciata dal suo lungo e leggero abito di chiffon, iniziò a farsi strada lungo il tappeto sistemato tra i due blocchi di sedie. Aveva i capelli raccolti in una morbida treccia laterale e portava un piccolo bouquet di rose bianche. A seguire, entrarono le altre poche damigelle e, infine, quando tutti si alzarono in piedi, Ron vide l’esile figura di Hermione farsi timidamente strada nel padiglione.
In quel momento, quando il suo sguardo si posò sul volto leggermente truccato di lei, Ron smise di respirare. Qualsiasi cosa sembrava superflua, paragonata all’osservare anche il più piccolo dettaglio di lei.
Indossava un abito ampio, con un lungo strascico e un corpetto rigido decorato con del pizzo.
Le spalle leggermente abbronzate erano scoperte, fatta eccezione per un sottile lembo di tessuto che formava un anello attorno al suo braccio, poco sotto la spalla.
Al collo portava un piccolo ciondolo blu che Ron non le aveva mai visto, probabilmente le era stato dato per rispettare quella strana tradizione nuziale babbana di cui una volta gli aveva parlato.
Il suo sguardo salì poi sulle labbra, rosse, morbide e sorridenti e, subito, un ricordo lo investì. Il ricordo di un inverno ad Hogwarts, tra la polvere e i libri della biblioteca…
 
Se avesse potuto, non si sarebbe mai ridotto ad andare in biblioteca, soprattutto, non in una giornata di sole come quella. Avrebbe potuto fare mille cose al posto di girare tra polverosi e inutili scaffali pieni di libri, tipo allenarsi a Quidditch con Harry, o stendersi sul prato al sole con Harry, o fare qualsiasi cosa oziosa o divertente con Harry.
Invece, il suo migliore amico l’aveva costretto ad andare a cercare Hermione per fare pace con lei. Più precisamente, per chiederle scusa dopo essere stato un “maledetto Troll idiota”, come gli aveva detto lei prima di sventolargli i suoi capelli in faccia e andarsene.
Ron sbuffò, guardandosi intorno alla ricerca di una familiare chioma riccioluta e disordinata.
“Ti serve qualcosa, signor Weasley?” la voce di Madama Pince lo fece quasi sobbalzare dallo spavento.
Quando si voltò, trovò la vecchia bibliotecaria che lo fissava con disappunto. Non le piaceva che andasse in giro per la biblioteca, non dopo tutte le volte che l’aveva cacciato per aver fatto qualche danno o, più semplicemente, per aver fatto troppa confusione.
“Ehm… Io stavo… Stavo cercando Hermione,” rispose. “L’ha vista per caso?”
La donna sbuffò, facendogli cenno con la mano di seguirla. Ron obbedì e lei iniziò a girare per il labirinto di scaffali, finché non si fermò, indicando un tavolo in lontananza.
“Non metterci troppo, signor Weasley,” gli disse, prima di voltargli le spalle e andarsene.
Ron la ignorò, guardando verso il tavolo in cui, sommersa da enormi libri, stava studiando Hermione.
Per un momento pensò di voltare i tacchi e andarsene, tanto non si sarebbe mai accorta che era stato lì, ma poi le parole di Harry gli rimbombarono nelle orecchie con tono di rimprovero.
Ron sbuffò, il suo maledetto migliore amico gliel’avrebbe pagata per essere diventato una coscienza così petulante.
Inspirò per farsi coraggio e poi si avvicinò al tavolo, fermandosi a qualche centimetro da lei (quando Hermione ce l’aveva con lui non si poteva mai sapere, la morte poteva essere dietro l’angolo, meglio tenere una certa distanza di sicurezza in caso ci fosse stato bisogno di scappare).
Si schiarì la voce per attirare la sua attenzione e lei alzò lo sguardo dall’enorme libro che stava leggendo.
“Ti sei perso, per caso?” fu la prima cosa che disse.
Ron si passò una mano tra i capelli, con imbarazzo.
“Veramente… Ehm, veramente cercavo te,” ammise.
Hermione lo guardò per qualche secondo in silenzio, poi riportò lo sguardo sulle pagine ingiallite del tomo, riprendendo a leggere.
Coraggiosamente, Ron decise di continuare a parlare.
“Mi dispiace… per prima,” disse, non senza difficoltà. Odiava scusarsi con Hermione, perché farlo voleva dire due cose: che lei aveva ragione e che lui era un idiota. “Sono stato… scortese.”
“Un Troll idiota, vorrai dire,” lo corresse la ragazza, senza alzare lo sguardo dal libro.
Forse lei e Harry avevano ragione e lui aveva sbagliato ad urlarle contro il quel modo e a darle del topo di biblioteca solo perché Grattastinchi – per l’ennesima volta – era andato a fare la pipì sulle sue ciabatte, ma lei poteva almeno fare uno sforzo!
“Sì, sì, tutto quello che vuoi,” rispose, sperando che lei gli dicesse che avevano finalmente fatto pace, segnando l’inizio del suo pomeriggio di relax.
“Tu pensi che io sarò sempre qui, Ron?” chiese Hermione e quella domanda lo lasciò un bel po’ di stucco. Le aveva chiesto scusa, cos’altro voleva da lui?! “Pensi che io sarò sempre qui a sentire le tue scuse ogni volta che mi tratterai male?”
In realtà, Ron aveva sempre pensato che sarebbe stato così. Erano fatti in questo modo, lui e Hermione, si trattavano male, si urlavano in faccia e poi lui le chiedeva scusa per essere stato un idiota e lei lo perdonava. Funzionava così da sempre e Ron credeva che avrebbe continuato a funzionare così fino alla fine dei loro giorni, non aveva mai pensato che lei potesse stufarsi di lui. Non era possibile. Insomma, Hermione non poteva!
Hermione sospirò, riprendendo a sfogliare il libro come se lui non fosse lì.
Nei pochi attimi che seguirono quel gesto, Ron iniziò a immaginarsi una vita senza Hermione e l’unica cosa che riuscì a pensare fu che avrebbe fatto schifo. Non avrebbe più avuto qualcuno che lo tormentava per i compiti, non avrebbe più litigato con qualcuno ogni giorno, non avrebbe più dovuto mutilare il suo orgoglio per chiedere scusa, non sarebbe più stato chiamato ‘insensibile’ o ‘immaturo’, non avrebbe più dovuto pregare perché qualcuno gli iniziasse i compiti di Pozioni o lo aiutasse con le pergamene di Incantesimi e Difesa Contro le Arti Oscure. Sarebbe stato un totale schifo, senza di lei.
“Mi dispiace davvero, Hermione,” disse. Le parole gli uscirono di bocca senza che lui se ne rendesse conto, le disse e basta. “Hai ragione, sono un Troll insensibile, ma noi siamo fatti così. Io e te. Se non litigassimo ogni giorno, dove sarebbe il divertimento?”
Hermione non rispose, ma Ron avrebbe giurato di vedere un piccolo sorriso farsi strada sulle sue labbra.
“E poi, potresti mai rinunciare alla soddisfazione di vedermi piegato in ginocchio a chiedere il tuo perdono?” aggiunse e, finalmente, lei sorrise, guardandolo in faccia.
“Mai e poi mai,” ammise e Ron si sentì improvvisamente più leggero.
Scoppiarono a ridere apparentemente senza motivo e poi Hermione lo invitò a sedersi accanto a lei per qualche minuto. Parlarono del più e del meno per un po’, finché Ron non tirò fuori dalla tasca della divisa una cioccorana.
“Ma il pranzo è passato solo da poche ore!” esclamò Hermione, vedendolo scartare il dolcetto. “Sei un pozzo senza fondo Ron!”
Il ragazzo sorrise, aprendo la scatolina e afferrando la rana di cioccolata.
“Ne vuoi un po’?”
Hermione scosse il capo, ma lui divise comunque il dolce a metà, mettendone un pezzetto sotto al naso di Hermione.
Iniziò a mangiare la sua metà in silenzio e, dopo poco, anche la ragazza piluccò un pochina di cioccolata dal suo pezzetto. Ron la osservò masticare lentamente il cioccolato mentre leggeva e notò un piccola macchia marrone sulle sue labbra rosee.
Sorrise, poi tirò fuori dall’involucro della cioccorana la carta che aveva trovato.
“Oh, è Bathilda Bath,” disse, osservando la vecchia strega sulla carta pentagonale. “Tieni,” disse poi, dandola a Hermione. “Lo so che non ti interessano queste cose, ma a te piace molto Storia della Magia, no? Prendila come… un’offerta di pace.”
Le labbra di Hermione si aprirono lentamente in un sorriso luminoso e Ron si sentì felice come mai prima di allora.
 
Ron sorrise al ricordo, osservando le labbra di Hermione, arricciate dall’ansia.
Lentamente, spostò lo sguardo in alto, verso il naso e poi sui ricci ribelli che le ricadevano ai lati del viso. I capelli, infatti, erano raccolti in uno chignon disordinato, con ciuffi che spuntavano da ogni parte, ornandole il volto e il collo candido.
Quei riccioli ribelli erano cambiati molto nel corso degli anni, passando dal ‘nido di uno scoiattolo’ ai capelli tra i quali amava lasciar impigliare le sue dita. E amava che questo cambiamento fosse avvenuto sotto i suoi occhi, anno per anno; era una garanzia, una prova, di quello che erano stati per tutta la vita e di quello che c’era stato tra loro. Prima come amici, poi come amanti sbadati e, presto, come moglie e marito.
Anche i suoi capelli gli fecero tornare alla mente un ricordo all’apparenza lontano, di un’estate alla Tana in mezzo al temporale…
 
La pioggia batteva violentemente contro le finestre, riempiendo la casa di un quasi fastidioso ticchettio.
Harry, Ginny e gli altri erano andati a Grimmauld Place numero dodici nel primo pomeriggio, con l’intenzione di dare una ripulita e sistemare il mobilio e la carta da parati, in vista del trasloco di Harry nella vecchia casa dei Black.
Qualcuno, però, doveva badare al piccolo Teddy Lupin che era stato affidato ad Harry in quei giorni, in quanto Andromeda era stata invitata a Villa Malfoy per un incontro con la sorella Narcissa. Una cosa alquanto bizzarra, ma la guerra aveva cambiato molte cose e se aveva fatto qualcosa di buono, era certamente stato ricomporre certi legami altrimenti distrutti.
Perciò, l’onere di fare i babysitter era toccato all’unico che non avesse voglia di andare a ripulire casa Black da cima a fondo con una serie infinita di Gratta e Netta e alla sua sventurata ragazza, che non poteva assolutamente abbandonare il suo libro in vista di un esame sulla politica ministeriale. Una barba, insomma.
Nelle prime ore del pomeriggio era filato tutto liscio: il piccolo Teddy aveva mangiato il cibo preparato da Molly e poi Hermione era riuscita a metterlo a dormire dopo una breve ninna-nanna. Aveva riposato angelicamente per diverse ore, permettendo a Hermione di dedicarsi allo studio e a Ron di seguire la partita dei Cannoni di Chudley alla radio.
Era stato quando il temporale era iniziato e il primo tuono aveva squarciato il silenzio che Teddy si era svegliato tra pianti disperati, senza volerne più sapere nulla di riaddormentarsi.
Avevano provato a cullarlo, a raccontargli qualche favola del libro di Beda il Bardo, a cantargli una ninna-nanna, Hermione si era anche messa a raccontare una fiaba babbana, ma sembrava tutto completamente inutile. L’unica cosa che Teddy Lupin voleva fare era urlare a squarciagola e piangere senza sosta, impaurito dai rumori del temporale.
“Forse dovremmo contattare tua madre,” propose la ragazza, mentre faceva avanti e indietro per il salotto con il bambino in braccio. “Lei conoscerà sicuramente qualche trucco per farlo calmare.”
Ron annuì e pensò di contattarla via camino, rendendosi conto solo dopo il quarto tentativo che il collegamento con il camino di Grimmauld Place doveva essere in qualche modo ostruito, quindi non c’era possibilità di contattarli.
Tentò allora di farlo via Patronus, ma dopo un’ora dall’invio del messaggio ancora non era giunta alcuna risposta da parte del team di pulizie.
Mandare un gufo sarebbe stato completamente inutile con quella pioggia, il volatile non sarebbe mai arrivato a destinazione o, se l’avesse fatto, la lettera sarebbe finita dispersa.
Con un sospiro, Ron realizzò che l’unico modo per risolvere la situazione fosse pensare, pensare molto in fretta.
“Magari deve essere cambiato,” ipotizzò il ragazzo. “Perché non controlli?”
“Credimi, Ron,” ribatté la ragazza, continuando a cullare il bambino nella speranza che si tranquillizzasse. “Se dovesse essere cambiato ce ne saremmo già accorti.”
Il ragazzo alzò le mani in segno di ritirata e poi si lasciò cadere sul divano, sfinito.
Hermione continuò a camminare su e giù per un bel po’, finché, all’improvviso, il pianto di Teddy si attenuò, fino a diventare solo un lieve tirare su col naso.
I due ragazzi lo guardarono stupiti e notarono che si era messo a giocare con uno dei lacci della felpa di Hermione e sembrava trovare molto interessante avvolgerselo intorno alla piccola manina cicciottella.
“Farlo giocare,” sussurrò Hermione. “Perché non ci ho pensato subito?!”
“Se può consolarti,” disse Ron, “non ci avevo pensato neanche io.”
Hermione lo ignorò, andandosi a sedere accanto a lui sul divano.
“Farlo divertire lo distrarrà dal temporale,” spiegò la ragazza, guardando il bambino che giocava con la sua felpa con un sorriso. “Ho un’idea, tienilo un attimo.”
Ron annuì, prendendo il bambino sulle ginocchia che riprese a piangere disperatamente dopo essere stato separato dal suo nuovo gioco.
Con movimenti veloci Hermione recuperò la sua bacchetta dalla borsa e tornò al divano. Puntò l’oggetto verso il soffitto e poi sussurrò un incantesimo: nel giro di pochi secondi, tanti piccoli uccellini iniziarono a volteggiare sopra di loro, cinguettando allegramente.
Il piccolo Teddy smise istantaneamente di disperarsi e alzò lo sguardo, rapito dai canarini gialli che gli volavano sopra la testa. Ben presto iniziò ad alzare le mani verso il cielo, nella speranza di afferrarli e prese a ridere divertito. Il temporale fuori dalla finestra sembrava essere diventato solo un brutto sogno.
Ron sorrise, appoggiando le mani sulle piccole braccine di Teddy per aiutarlo a sollevarsi più in alto.
“Mi raccomando, piccoletto, sta’ attento a non farla arrabbiare se non vuoi ritrovarteli addosso,” gli disse, guardando Hermione con la coda dell’occhio e un sorriso sulle labbra. “Canarini mannari, una brutta gatta da pelare!”
Hermione rise, facendo abbassare gli uccellini, in modo che Teddy potesse sfiorarli leggermente.
Piano, piano, i piccoli pennuti iniziarono volare sempre più vicini alle loro teste, finché non iniziarono a posarsi sopra gli oggetti oppure sulle spalle dei due ragazzi. Uno degli uccellini gialli iniziò a esplorare con il piccolo becco scuro la capigliatura di Hermione, venendo quasi risucchiato dalla massa informe di capelli della ragazza.
Ron scoppiò immancabilmente a ridere e anche il piccolo Teddy si lasciò sfuggire qualche risata sentita, divertito da quello spettacolo singolare.
Hermione sbuffò.
“Piantala, Ronald!” disse, portandosi una mano alla spalla per invitare il canarino a posarsi sulle sue dita.
“Hanno preso i tuoi capelli per una specie di nido!” esclamò il ragazzo tra le risate.
Hermione, allora, gli puntò la bacchetta contro, minacciandolo di pronunciare quello stesso incantesimo che gli aveva lanciato addosso in un pomeriggio di due anni prima, procurandogli un incontro molto ravvicinato con i suoi uccellini arrabbiati.
“Va bene, va bene,” si arrese lui, alzando le mani in segno di pace. “La smetto.”
Lei arricciò le labbra e lo guardò per qualche secondo, poi tornò a concentrarsi suoi canarini, iniziando a farli esibire in strane acrobazie.
Teddy rideva come un matto battendo le mani, il temporale fuori sembrava quasi non esistere più, né alle sue orecchie né a quelle di Ron e Hermione.
Per tutto il resto del pomeriggio, fino al ritorno di Andromeda da casa Malfoy, i canarini gialli di Hermione volteggiarono per il salotto della Tana e il piccolo Teddy Lupin lì osservò con divertimento seduto sulle gambe di Ron, il quale non fece altro che guardare di sottecchi Hermione, pensando al momento in cui, finalmente, avrebbe incastrato le mani tra i suoi capelli.
 
“Respira, Ron,” si sentì sussurrare all’orecchio. “Non svenire.”
Si voltò alla sua sinistra e Harry gli sorrise, facendogli un occhiolino incoraggiante.
Hermione era ormai a pochi passi dall’altare e se fosse stato per lui, Ron si sarebbe voltato verso il prete Babbano, gli avrebbe detto ‘sì, lo vogliamo entrambi’ e poi l’avrebbe portata via, lontano, dentro la sua vecchia stanza, per baciarla senza sosta.
Avrebbe toccato i suoi capelli morbidi ed esplorato le trame complicate del corpetto dell’abito, tacciando la morbidezza della gonna e poi quella della sua pelle. Si sarebbero baciati come da adolescenti: di nascosto da sguardi indiscreti e con la fretta di due persone che dovrebbero stare strofinando i pavimenti del salotto, come ordinato da Molly prima di uscire. L’avrebbe baciata come allora, come se fosse l’ultima volta in cui poteva baciarla così. L’avrebbe fatto per sentire la morbidezza delle sue labbra, per sentire la sua risata cristallina, per vedere le sue gote tingersi di rosso e i suoi occhi abbassarsi timidi, prima di guardare dentro i suoi. E perdersi in quegli occhi, tra quei capelli, su quelle labbra, su di lei, in lei, con lei.
Ron sbatté le palpebre, tornando alla realtà. Hermione l’aveva ormai raggiunto e lo stava guardando con gli stessi occhi luminosi di quella volta, sulle scale che portavano al loro appartamento, appena sei mesi prima…
 
La porta sbatté violentemente e le urla di Hermione fecero vibrare le pareti del loro appartamento nella Londra babbana.
Quando Ron, tre anni prima, le aveva chiesto di andare a vivere insieme, il suo piccolo appartamento a Diagon Alley si era rivelato davvero troppo piccolo per entrambi e Ron, realizzando un desiderio di Hermione, aveva acconsentito a prendere un appartamento nella Londra babbana, non troppo lontano da casa Granger e rigorosamente collegato alla linea della Metropolvere.
“Mi hai davvero stufata, Ronald!” urlò la ragazza, dirigendosi a passo di carica verso il salotto. “Sono giorni che lavoro dietro a quei documenti per il Ministero, sai che è un incarico importante per me e ti ho chiesto di fare una sola cosa. Un’unica cosa che tu non hai fatto!”
“Anche io ho il lavoro, Hermione!” ribatté lui, seguendola. “Questa settimana ho fatto spesso la pattuglia notturna e tu pretendi che io mi occupi del tuo gatto?!”
“L’hai fatto quasi morire di fame!” rispose, voltandosi verso di lui con aria furente. “Non pretendo che tu lo coccoli o lo faccia giocare, ti ho solo chiesto di dargli da mangiare una, UNA, volta al giorno mentre te ne stai qui a ciondolare!”
Ron strinse gli occhi e Hermione lo sfidò con lo sguardo a controbattere.
“Non sto qui a ciondolare, come dici tu,” disse. “Sto qui perché passo le notti in bianco a beneficio della sicurezza pubblica! Perdonami se faccio parte delle forze dell’ordine!”
Hermione fece uno strano verso di rabbia e poi ripartì alla ricerca del suo cappotto e della sua sciarpa.
“Non te ne è mai importato niente di quel gatto,” riprese dopo un po’ la ragazza. “Non ti importa mai niente delle cose che non ti interessano, neanche se interessano a me!”
“Non ci provare, Hermione,” controbatté Ron, puntandole l’indice contro. “Non provare a dire che io non faccio mai niente per te e che non mi interessa di te. Non provarci nemmeno!”
Hermione si infilò il capotto e poi si avvolse la sciarpa attorno al collo, lasciandosi andare a un sorriso amaro.
“Non è forse così?”
“No. Affatto.”
“Be’, non è quello che dimostri…”
Non gli dette neanche il tempo di rispondere: aprì la porta e uscì sul pianerottolo, imboccando le scale. Senza pensarci due volte Ron le andò dietro. Non prese le chiavi di casa, la bacchetta o chiuse la porta; semplicemente, iniziò a rincorrerla.
“E cosa dimostro, allora?” le urlò dietro, facendola voltare.
“Dimostri che sei ancora il ragazzino di Hogwarts. Quello insensibile, egoista e ottuso che faceva sempre la cosa sbagliata!”
“Allora per quale stramaledetto motivo hai scelto di stare con me, se facevo così schifo?” ribatté, non sapeva se più arrabbiato o ferito. “Perché, se faccio così schifo?!”
“PERCHÈ TI AMO, RAZZA DI IDIOTA!”
“Allora sposami!” urlò Ron di rimando.
Hermione, che era già pronta a ribattere contro una qualche accusa, ammutolì. Dovette appoggiarsi al corrimano delle scale per la sorpresa e spalancò gli occhi.
Ron, invece, resosi conto di quello che aveva detto, deglutì, umettandosi le labbra e si passò con imbarazzo una mano tra i capelli.
“Forse avrei dovuto dirlo dopo aver comprato l’anello, ma ormai…” disse, questa volta con tono normale. “Tu… Credi che tu mi sposeresti?”
Hermione annuì, scioccata da quella richiesta così inaspettata.
“Sì, credo che ti sposerei.”
“E… lo vuoi?”
Questa volta Hermione sorrise, gli occhi luminosi e lucidi di lacrime.
“Sì, Ron, lo vorrei davvero tanto,” confessò.
Anche il volto di Ron si illuminò con un sorriso e la ragazza iniziò a salire di corsa le scale per raggiungerlo. Quando gli fu davanti gli gettò le braccia al collo e lo baciò di slancio, stringendolo e facendosi stringere e, nella foga, Ron la sollevò da terra.
Si baciarono a lungo, lì, per le scale che conducevano al loro appartamento, sotto gli occhi indiscreti della loro vicina Margaret, che si era messa a guardare allo spioncino della porta dopo averli sentiti litigare.
Quando smisero di baciarsi, Hermione l’abbracciò e Ron la strinse forte.
“Non pensare che adesso io ti perdoni per aver lasciato a digiuno il mio gatto!” esclamò all’improvviso e Ron rise, perché era tutto perfetto così.
 
Sbatté le palpebre e lei era lì, a pochi centimetri da lui, vera e bellissima.
Il prete gli disse di sollevarle il velo che le copriva leggermente il viso (mentre veniva verso l’altare non l’aveva neanche notato) e Ron obbedì, rivelando il volto di Hermione in tutta la sua nitidezza, non più offuscato dal tulle leggero.
“Ciao,” disse la ragazza con un sorriso.
In un momento nella testa di Ron iniziarono a susseguirsi tutti i momenti che avevano trascorso insieme, dall’incontro sull’Espresso per Hogwarts alla loro cena insieme la sera precedente. Rivide tutte le litigate, tutte le volte che avevano fatto pace, i momenti felici, i dolori e di nuovo le litigate. E pensò che avrebbe rifatto tutto da capo, ogni singolo errore, ogni singola fatica per chiedere scusa, ogni bacio, ogni carezza, ogni parola. Sarebbe tornato indietro e avrebbe fatto quelle scelte altre cento volte.
“Ciao,” rispose, ricambiando il sorriso di lei.
Probabilmente quella sera, durante la loro prima notte da sposati, avrebbero litigato di nuovo e, probabilmente, lui avrebbe dovuto scusarsi in ginocchio e lei, dopo immensa fatica, l’avrebbe perdonato, dandogli la possibilità di fare pace alla vecchia maniera.
La loro vita da sposati non sarebbe stata facile, anzi, sarebbe stato difficilissimo: avrebbero litigato, si sarebbero odiati, ci sarebbero stati giorni in cui avrebbero voluto uccidersi o non essersi mai incontrati, ma poi avrebbero fatto pace e si sarebbero amati ancora di più. E andava perfettamente bene così.
 
 
   
 
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