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Autore: Nano    20/03/2014    2 recensioni
Finalmente completa. Grazie a tutti, per tutto.
Monchele. Lea Michele e Cory Monteith a prese con la loro vita di tutti giorni, cosa accade quando un desiderio li accomuna ma allo stesso tempo li allontana? Un desiderio che dovrebbe unirli, ma che in realtà finisce solo per distruggerli? Per il secondo anno decido di scrivere una long fic. Ho ricevuto parecchie richieste, persone che mi chiedevano di continuare "What Real Love Is About" e finalmente mi sono decisa. La One Shot che avevo pubblicato sarà utilizzata in futuro nella storia. La storia ha un nuovo titolo, " Ho imparato a sognare", perchè credo sia la cosa più bella che una persona possa fare nella sua vita; sognare è ciò che ci rende liberi. Questa fanfic è per far sognare tutti voi.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cory Monteith, Lea Michele
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questo è il capitolo conclusivo della mia fanfiction. Grazie a chi ha continuato a seguirmi fino a qui. Noon voglio ripetermi con i ringraziamenti, ma piuttosto voglio prendermi un piccolo spazio, per scusarmi per ogni imprecisione, per ogni cosa lasciata indietro, per ogni errore. Ho finito questa fanfiction in condizioni ovviamente diverse rispetto a quelle in cui l'ho iniziata, ma spero comunque di non avervi deluso. Un bacio, L.
 
Ho imparato a sognare
what real love is about
EPILOGO: 2 MESI DOPO

“Ti ricordi quando, il mese scorso, se uscita dalla camera solo con le mutante, gridando quanto fossero diventate grosse le tue tette?” Sussurrò piano Cory all’orecchio di Lea.
“Oh si.” Rispose la ragazza, accennando un sorriso. “Avresti potuto avvisarmi che avevi invitato i miei genitori e tua madre a cena.”
“Come potevo? Eri rimasta in camera tutto il giorno!”
Lea rise piano, attenta a non spostarsi troppo sul lettino.
“Mi piaceva avere le tette così grosse, comunque.”
“Mi piacciono in ogni caso, non ti preoccupare.” La rassicurò Cory, stringendo la sua mano. Un’ondata di contrazioni travolse la piccola ragazza, lasciandola senza fiato. Cory la osservava preoccupato da 3 ore ormai, sperando che il parto durasse poco. 
Quando Lea si fu calmata, Cory riavvicinò la bocca al suo orecchio e ricominciò a parlare.
“E ti ricordi quando mi hai urlato dietro per due ore perché volevi lavare i piatti?” Le ricordò.
“Mi hai vietato di farlo per 9 mesi, quasi, ne ho una voglia matta!” Cory rise, accarezzando il ventre gonfio di Lea.
“Abbiamo tutta la vita per lavare i piatti.” Lea annuì, stringendo i denti e sentendo una contrazione avvicinarsi.
“Ricordi la nostra ultima visita dal ginecologo? Quanto eri entusiasta? Poi arriviamo a casa, e scoppi a piangere. Ti giuro, non ho mai avuto così paura.”
Lea sorrise, cercando di mascherare il dolore.
“Lo so. Non ero pronta. Aveva detto che ero ingrassata tantissimo, e mi è mancata l’aria.” La ragazza digrignò la bocca e serrò gli occhi.
Cory le massaggiò il ventre, come aveva istruito l’ostetrica, cercando di alleviare il dolore.
“Sei perfetta.”
In quel momento, Lea si bloccò. Un enorme sorriso si dipinse sul suo volto, nonostante il dolore e le gocce di sudore che le imperlavano la fronte.
“Ha calciato.” Esclamarono i due in coro.
“Ogni volta che calcia, è come se mi dicesse che tutto andrà bene. Fin dalla prima volta, quel weekend al centro di bellezza.”
Lasciò che un’altra contrazione le piegasse il corpo, e poi riprese a parlare.
“Non ho più paura di essere una cattiva madre.”
“Sarai splendida.”
“Smettila di dire sempre le stesse cose, accidenti!” Urlò la ragazza, stritolando la mano di Cory e inarcando la schiena quando la contrazione la attraversò.
“Lea!” Esclamò Edith, entrando di corsa dentro alla stanza d’ospedale.
“Mamma! Dove sei stata?” Cory guardò costernato Edith e Marc, implorandoli di essere comprensivi. Marc gli sorrise in risposta, scegliendo una sedia lontana dal lettino e mettendosi comodo.
“Preferisco tenermi a distanza. Una volta mi basta.” Affermò, sorridendo a Cory. Edith a sua volta afferrò una sedia e la portò di fianco al letto di Lea, stringendo la sua mano libera.
“Coraggio, bambina mia.”
“Anne?” Domandò Lea, guardando Cory.
“Jon è andata a prenderla. Saranno tutti qui tra poco, anche Steph, Chris.. “
“Non potranno mai entrare tutti, Cory! Come facciamo?”
Esclamò Lea, stringendo i denti. Edith le asciugò la fronte bagnata e le baciò una tempia.
“Andrà tutto bene, tesoro. Ti aspetteremo tutti, e quando il piccolino sarà fuori, verremo tutti a vederlo.”
“O vederla, mamma. Non sappiamo ancora se sarà un maschio o- “ Lea vene interrotta da un’ennesima contrazione, e la ragazza nascose il volto nel collo di Cory.
“In entrambi i casi, sarà bellissimo.” La rassicurò Edith.
“O bellissima.” Aggiunse Marc, sorridendo da lontano.
“Oddio!” Esclamò Anne, entrando nella stanza. “Cosa mi sono persa?”
“Ti ricordi quando si è sistemata a New York, Lee?” Sussurrò Cory a Lea, mentre Edith aggiornava Anne.
“Era così spaesata. Sono contenta che tra poco torni su nella vostra città.”
Cory sorrise, stringendo la mano di Lea.
“Non credo si sposterà molto presto, dopo aver visto nostro figlio.” Lea sorrise concorde.
“Io non riesco davvero a capire, perché non abbiate voluto sapere il sesso del bambino. Cory! Come farete con i nomi!” Si stava lamentando Anne, Edith dietro di lei annuiva.
“Ce la caveremo, mamma.” La rassicurò Cory, per poi riportare l’attenzione su Lea.
“Ricordi il libro dei nomi?”
A quel ricordo Lea scoppiò a ridere, ma ben presto la risata si trasformò in un gemito di dolore. La stanza cadde in un improvviso silenzio, e quattro paia di occhi si fissarono su Lea e sulla sua contrazione. Il suo pancione era enorme, e le sue forme erano incredibilmente ammorbidite. Le si addicevano le guance paffute e i fianchi leggermente rotondi.
“Chissà perché tua madre è così fissata con i nomi?”
“Guardate che vi sento, sono proprio qui!” Esclamò Anne, sedendosi vicino a Marc a lato della stanza.
“La mia teoria la sai vero?” Cory ricordò alla sua piccola ragazza. Lea annuì, seria. Strinse la mano di sua madre, in cerca di conforto.
Lei e Cory avevano deciso da tempo come procedere. Nessuno dei due voleva sapere il sesso del bambino, e nessuno dei due voleva essere il primo a proporre dei nomi. Così, una sera, Cory aveva preso Lea e l’aveva trascinata sulle sue gambe, sul divano.
“Ho un’idea.”
“Bene.” Aveva risposto Lea, imbronciata. Cory aveva ignorato il suo tono, come d’altronde ormai si era abituato a fare.
“Ho pensato che magari, ognuno di noi potrebbe pensare a due nomi che gli piacciono. Uno per un maschio e uno per una femmina, ovviamente.” Le aveva sorriso dolcemente, ma Lea era rimasta imbronciata.
“Ovviamente.” Aveva rimarcato la ragazza.
“E poi, quando il piccolo nasce, tu mi dici i tuoi, e io ti dico i miei. Vediamo cosa gli sta bene. Se non gli sta bene nulla, sono sicuro che troveremo qualcosa di riserva.”
Lea a quel punto aveva sorriso leggermente. Le erano sempre piaciute le sfide, e Cory questo lo sapeva bene. Ogni giorno con lei era una sfida, e lui era più che felice di accoglierle.
“Signorina Michele, Signor Monteith.”
L’ostetrica entrò in quel momento nella stanza d’ospedale, e salutò i due futuri genitori.
“Siamo molto felici che abbiate scelto il nostro ospedale per dare alla luce il vostro primo figlio. Come sapete, vi assisterò in tutti i modi possibili.” Era stato il ginecologo a consigliare la dottoressa Montgomery, e Lea e Cory avevano subito avuto una buona impressione. La dottoressa stava già controllando la dilatazione di Lea, e annuiva pensierosa.
“Direi che ci siamo quasi. Vi chiederei di accomodarvi fuori. Lea, può rimanere solo una persona, e pregherei quella persona di seguirmi per la sterilizzazione delle mani e degli abiti.”
Lea annuì e fece cenno a Cory. Edith e Anne abbracciarono la figlia, mentre Marc si tenne a distanza. “Coraggio bambina.”
Una lacrima scese lungo la guancia di Lea, e sollevò le dita piegate nel simbolo dell’”ok” verso suo padre.
“Salutate gli altri.” Chiese Lea, mentre veniva lasciata sola nella stanza.
 
“Non ci credo, questo bambino non nasce.”
“Io voglio assolutamente entrare.”
“Ci credi? Sono una nonna.”
“E io uno zio. Ho la faccia da zio? Cosa fanno gli zii?”
La sala d’aspetto era in fermento. Solo Marc Sarfati era seduto tranquillo, un bicchiere cdi caffè in mano e un giornale nell’altra. Era ormai notte fonda, eppure tutti gli amici di Lea e Cory, tutti i parenti, erano in piedi, sull’attenti, pronti a ricevere notizie.
Nell’esatto momento in cui la porta della sala si aprì, rivelando una dottoressa in camice bianco, che Edith riconobbe subito come l’ostetrica che assisteva Lea, una dozzina di persone le si affollarono intorno.
“E’ nato?” Chiese Chris.
“E’ nata?” Ribattè Stephanie.
“Sta bene?”
“Lo chiamano come me?” Indagò Jonathan.
“Lea è sveglia?” Domandò Edith.
“Cory è svenuto?” Chiese preoccupata Anne.
“E’ tutto a posto. E’ andato tutto a meraviglia. Sono tutti e tre svegli, potete entrare massimo tre alla volta.” Annunciò, mettendo fine alle domande.
Marc si alzò lentamente, e si incamminò lungo il corridoio, seguito da Edith e Anne. Una volta aperta la porta della stanza in cui stavano Lea e Cory, Marc sorrise dolcemente.
“Quindi, siete d’accordo per il nome?” Una infermiera stava domandando a Lea.
Cory aveva un braccio avvolto attorno al suo corpo affaticato, e una mano sosteneva il piccolo fagotto di coperte che Lea stava abbracciando con entrambe le braccia. La ragazza alzò lo sguardo, e incontrò gli occhi lucidi di Cory. All’unisono annuirono e sorrisero.
“Si, siamo d’accordo.” Rispose Cory.
 
 
   
 
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