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Autore: Beads and Flowers    24/03/2014    0 recensioni
Una voce chiama Myrlene sulla montagna, durante le giornate di pioggia. A casa, sua sorella Jehanne l'aspetta in silenzio, pregando Dio di essere perdonata per un peccato che ha segnato la sua nascita.
Le due gemelle, tanto belle quanto odiate, passano le loro giornate ignorando il dolore, i colpi che il padre infligge a Jehanne, la violenza e la paura impressa nei sogni di Myrlene. Ignorano. Ignorano le innumerevoli ingiustizie che sconvolgono la loro vita, i segni che sembrano preannunciare una disgrazia, le terribili visioni che riporteranno alla luce antichi segreti.
Ignorano. Promettono. Pregano.
Ma la segreta volontà dell'Ondina le incatena ad un promessa dimenticata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Violenza
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7. Il Delirio

 
 
“What are those hills yonder, my love?
They look as white as snow!”
“Those are the Hills of Heaven, my love,
You and I’ll never know.”
 
“The Daemon Lover” anche detta “The House Carpenter”
Antica ballata scozzese, versione musicata di Mick McAuley
 
 
 Jehanne aveva le mani piene di fiori. Li gettava con frenetica allegria nella culla del suo bambino, che la guardava e rideva senza capire. Rose, margherite, violette, il profumo di erba tagliata nei campi. Tutto per la culla di Olivier, che agitava le manine nel suo nido di Primavera. Madre e figlio, nella complicità di un sorriso silenzioso, giocavano con i doni della terra, portando in casa spighe e ghirlande con cui giocare in segreto. Myrlene si era tanto raccomandata di non farlo, perché Estienne poteva arrabbiarsi. Olivier poteva mettersi in bocca un pezzetto di corteccia o una foglia molto sporca e farsi male. Ma la mano di Jehanne era pronta e veloce: prima che il bambino potesse avvicinare la manina alla bocca, subito lei l’afferrava per baciarla, ridendo e piangendo di gioia.
 Olivier era lì con lei. Era vivo, il suo bambino era nato dolce, bello e senza difetti, con gli occhi più azzurri della Francia, con il più solare dei sorrisi. Non avrebbe mai permesso che gli accadesse qualcosa di brutto. Era suo, era suo! Era il suo bambino!
 Inoltre, non correva certo il rischio di farsi sorprendere da Estienne, che stava lavorando nei campi lontani, con la moglie. L’uomo di sua sorella non capiva niente di queste cose: non era pericoloso per un bimbo giocare con delle piante, neanche così piccolo. Se non altro, gli avrebbe fatto del bene. Lei e Myrlene erano cresciute nei boschi e nei campi, libere di toccare, indossare e diventare tutto quello che i prati e le foreste avevano da offrire. Jehanne aveva molti problemi, questo era vero, ma non era colpa dei fiori. Myrlene, invece, era la donna più affascinante e amabile del villaggio.
 Al dolce pensiero del viso di sua sorella, Jehanne trattenne a stento un sospiro di contentezza. Anche lei, come il suo bambino, era sua. Era soltanto sua. Forse, nei libri e nelle parole della Chiesa, la sua cara sorella poteva essere del marito, ma entrambe sapevano che questa era una bugia. Una bugia che Dio aveva il potere di perdonare e che avrebbe perdonato, anche se era stata pronunciata nella sua casa divina. Myrlene era di Jehanne e Jehanne era di Myrlene, com’era sempre stato. La violenza del Vecchio Amis, la breve presenza dell’alchimista ed il nome di Estienne, nulla avevano potuto contro il sacro legame delle gemelle.
 Nonostante le loro incertezze, nonostante le loro paure, alla fine il piano era perfettamente riuscito: si erano sottratte al potere abusivo di un padre che non le aveva mai amate, rifugiandosi nell’ingenuità di un ragazzino inesperto, che aveva creduto alle lusinghe di Myrlene. Tyerns Izvor, invece, era scomparso nel nulla. Aveva parlato di una lunga ricerca per una pianta miracolosa, che avrebbe potuto durare qualche mese o molti anni. Perché, dunque, era partito dopo pochi giorni, senza lasciare nulle dietro sé?
 Quando Jehanne ne aveva parlato alla gemella, lei aveva dato segno di non voler ricordare quell’uomo:
 “Se n’è andato, volatilizzato nell’aria come il respiro di una cascata. Non dimenticherò mai il suo sguardo quando lo vidi l’ultima volta, Jehanne. Non scorderò mai le sue parole. ‘Tu verrai con me’ aveva detto ‘E’ scritto nel sangue versato alla tua nascita. Non basterà l’amore che provi per tua sorella a cancellare le ferite nell’acqua’. Sembravano le parole di un sortilegio, e la sua voce era spaventosa. Non capisco, tutto ciò che lo riguarda è così confuso.”
 “Hai ragione. E’ venuto fin qui dalla sua terra per un fiore. Eppure, è scomparso senza averlo trovato, o per lo meno così è parso. Ma non solo: è andato via dopo quel vostro strano incontro nella foresta, dove sono successe tutte quelle cose bizzarre. Così almeno mi hai raccontato.”
 “E’ così. Quel giorno si era recato ad un punto del ruscello che io, stranamente, avevo visto due notti prima nei miei incubi. Un sogno in cui c’eravate tu e nostro padre. Tu eri una bimba, una bambina con due braccia. So che può sembrarti strano, ma nel sogno sapevo che eri tu. E papà cercava la tua morte, e solo allora compariva un’Ondina.”
 “Ti ricordi che cosa faceva o diceva l’Ondina?”
 “… No, non ricordo.”
 “Che rapporto può esserci tra il tuo sogno e l’esplorazione dell’alchimista?”
 “E’ strano. Ti ho già detto che sono svenuta, e lui mi ha trovato urlante, come in preda ad un delirio. La verità era che potevo chiaramente udire le voci, Jehanne, quelle stesse voci che mi hanno cresciuta e che mi hanno sempre chiamato nelle giornate di pioggia. Sembravano venire dalla fonte. E, non appena l’alchimista si è chinato sull’acqua, i sussurri armoniosi delle voci si sono subito trasformati in grida assordanti, che chiamavano il mio nome. E continuavano a ripeterlo, a ripeterlo. ‘Myrlene! Myrlene!’ dicevano. Dicevano che non era un nome umano. Loro stesse, dicevano, non erano umane.”
 “E poi, lui ti ha trovato. Ti ha soccorso.”
 “Esatto.”
 “Avete parlato.”
 “Abbiamo riso, scherzato. Io volevo indurlo a stare con me.”
 “Grazie a Dio non è accaduto.”
 “Sì, ma lui… lui ha visto qualcosa in me, nel mio volto. Non so cosa. So solo che prima stava ridendo, come un bambino spensierato, mentre il momento seguente i suoi occhi avevano assunto delle sfumature diverse. Sembrava colpito da qualcosa, qualcosa nel mio sguardo. Sembrava che avesse scoperto qualcosa di straordinario. Da quel momento in poi il suo interesse in me è cresciuto in maniera smisurata, sembrava quasi ossessionato dal condurmi via con sé. In fondo, era quello che pensavo di desiderare. Grazie al Cielo, Estienne mi ha condotto in salvo.”
 “Quel povero ingenuo è capitato proprio nel momento opportuno. C’è tuttavia un’altra cosa che non capisco: se l’alchimista ha visto qualcosa in te che desiderava tanto, allora perché è scomparso nel nulla in quel modo? E’ passato molto più di un anno: nessuno l’ha più visto.”
 “C’era qualcos’altro di veramente strano: lui ti ha intravista solo una volta, quando ti sei affacciata un attimo da un finestra. Eppure, questo gli è bastato per capire che eri incinta.”
 “Era un mago, uno stregone. Non avresti mai dovuto accoglierlo in casa nostra, sorella mia.”
 “No, forse no. Ma qualcosa in lui mi affascinava. Era come se l’avessi sempre conosciuto. C’era qualcosa nel suo sguardo, nei suoi occhi.”
 “Qualcosa che ti ammaliava?”
 “Qualcosa che mi apparteneva.”
 “Le sue ultime parole avevano l’aria di essere una minaccia. Ma, visto e considerato che nessuno l’ha più incontrato, credo che possiamo dirci al sicuro. Si vede che altro non era che la promessa di un pazzo.”
 “Giusto. Un pazzo che non posso dimenticare, ma che per lo meno potrò ignorare. Ora che ho l’occasione per vivere tranquillamente con te ed il nostro Olivier, non ho intenzione di restare oppressa da falsi presentimenti. In fondo” aveva detto con un sorriso “Devo pensare alla mia famiglia. L’intero villaggio deve considerarmi una madre esemplare.”
 Aveva sposato Estienne con una cerimonia molto semplice e silenziosa. Gli invitati erano stati pochi, e Jehanne era stata lasciata in casa con la scusa di un malessere. In realtà, i due sposi non volevano che qualcuno notasse le dimensioni del suo ventre. Reclusa in casa per sette mesi, la giovane madre aveva finalmente dato alla luce un meraviglioso bambino, a cui Estienne aveva provveduto a scegliere il nome. Ne aveva tutto il diritto. In fondo, la ragazza poteva restare nella sicurezza di quella casa solo grazie a lui, e se non fosse stato per la giovane coppia, che avevano promesso di mostrarsi al villaggio come i veri genitori del bambino, il piccolo Olivier probabilmente sarebbe stato cresciuto come un bastardo. In questo modo, invece, il bambino non sarebbe stato accusato di non avere un padre, ma avrebbe avuto la ricchezza di due madri. L’amore che Jehanne poteva dare al suo bambino le permetteva di non pensare più agli anni oscuri della sua infanzia, e le sue crisi di pianto e di terrore erano notevolmente diminuite. Certo, nulla avrebbe mai potuto curare le ferite della sua anima, ma per lo meno Myrlene non l’aveva più sentita chiamarsi la ‘figlia di Satana’.
 Jehanne terminò di disegnare un cerchio di camelie attorno al piccolo Olivier, che strappava via i petali di una rosa per poi gettarli in aria. Quando ricadevano a terra, sfiorando il suo nasino e le guance paffute, lui si affrettava ad afferrarne quanti più ne poteva prima che toccassero terra. Quando riusciva a prenderne almeno uno, sua madre esclamava di gioia.
  Tutto, nella sua vita, era stato orrore e mistero. Ora era giunto il momento di sorridere alle cose più semplici, senza preoccuparsi del passato o del futuro. Che le rose cadessero! Ci sarebbe sempre stato un bambino pronto a lanciarle di nuovo in aria.
 
 Quando Myrlene e suo marito tornarono dai campi, stanchi e sporchi di terra, Jehanne aveva fatto sparire ogni traccia dei fiori e dei fili d’erba. Sorridendo, portò ai due sposi un secchio d’acqua e delle fette di pane con formaggio. Poi si sedette, senza parlare, sulla panca dove aveva lasciato Olivier. Alla giocosa domanda del suo silenzio, Estienne sospirò e si passò una mano callosa sul viso.
 “Il Sole oggi spaccava le pietre.”
 “Veramente, Jehanne, saresti dovuta venire con noi. Far prendere un po’ di Sole al bimbo. E’ così pallido…”
 Myrlene era stanca, ma sorrideva, e stringeva affettuosamente la mano ad Estienne. Lei davvero non poteva essere più contenta. Era sempre la donna più bella del villaggio, e ora poteva anche vantare un figlio meraviglioso, il matrimonio con l’eroe del villaggio e grandi distese di ottima terra da coltivare. Tutti questi doni comportavano molto lavoro per mantenerli degni d’invidia, e Myrlene non era donna da starsene con le mani in mano. Lasciava la casa alla sorella, ed al fianco di Estienne lavorava con la prontezza e la forza di due uomini. Voleva ripagare con il suo impegno la fortuna che le aveva donato tutte quelle possibilità.
 Ma Estienne era di altro avviso.
 “Un giorno” mormorò “I nostri padroni pagheranno la loro pigrizia. Le loro gracili donne non pensano ad altro che a profumarsi, a splendere nei loro vestiti nella gloria dei balli di corte. E noi restiamo con le mani coperte di fango e schegge appuntite.”
 “Dio ha voluto così.”
 “Dio non ha niente a che fare con questo.”
 “Qualcuno l’avrà desiderato, Estienne.”
 “Certamente! I nobili! Voi donne non capite nulla di queste cose, e non posso aspettarmi che comprendiate. Ma siamo al pari degli schiavi, Myrlene, proprio come quelli del Faraone in Egitto, molti secoli fa. Dio ha liberato i nostri antenati, ma allora perché noi dobbiamo spaccarci la schiena per pochi eletti?”
 “Non lo so, Estienne. E’ come dici tu: io non so capisco nulla di queste cose.”
 Il vero problema era che qualcos’altro occupava la mente di Myrlene. Qualcosa che pensava di aver dimenticato, molti mesi prima, con la fine delle sue disgrazie. C’era qualcosa che non andava, qualcosa di grave. Aveva un brutto, terribile presentimento.
 “Jehanne! Vieni con me nella mia stanza per qualche minuto. Devo parlarti. Devo parlarti in privato.”
 Sorpresa, la sorella si alzò subito in piedi, stringendo tra le braccia il piccolo Olivier. Sia lei che Estienne guardavano la ragazza con preoccupazione.
 “Nulla di grave, è solo che… credo che sia accaduto qualcosa…”
 “Cosa stai dicendo, Myrlene?”
 “Giusto! Cosa c’è che non puoi dire davanti a tuo marito?”
 “Andiamo, Jehanne, solo un istante.”
 Con l’angoscia dipinta sul volto, Myrlene spinse la sorella all’interno di una stanza contigua, ogni respiro una nota d’ansia che cresceva, sconvolta come un’ammalata nel delirio della febbre. I suoi occhi erano sgranati nell’orrore di qualcosa che gli altri non potevano vedere, le sue orecchie tese per udire qualcosa che gli altri non potevano sentire. Si affrettò all’interno della stanza, chiudendosi subito alle spalle la porta di legno.
 “Myrlene, che cosa succede? Dimmelo, cara, dimmelo subito.”
 “Jehanne… Jehanne, le voci…”
 “Le voci? Myrlene, non starai dicendo che…”
 “Sono… le voci sono…”
 “No! No, non ora! Erano svanite, svanite nel nulla il giorno in cui hai perso la verginità con Estienne!”
 “Sono tornate, Jehanne…”
 “Ma questo non è giusto! Durante l’arco di un intero Inverno sono state soppresse nel silenzio, nonostante la neve e la pioggia, ed ora che siamo agli inizi di Maggio ritornano!”
 “Mi stanno chiamando, Jehanne. Chiamano il mio nome, sulla montagna!”
 “Non lo permetterò!”
 La ragazza si precipitò sulla sorella, stringendo il suo corpo in un abbraccio violento. Le sue mani la cercarono disperatamente, chiedendole con forza di restare al suo fianco. Quelle voci erano il male. Quelle voci volevano sottrarle per sempre Myrlene. Non dovevano fidarsi di loro, sua sorella non doveva ascoltarle.
 “Tutte le volte che queste voci ti hanno condotto via da me, è successo qualcosa di orribile. Nostro padre mi ha violentato, l’alchimista ha cercato di portarti via per sempre. L’hai detto tu stessa, Myrlene, non sono umane. Dobbiamo fare in modo di tenerti qui, al sicuro. Non devi andare sulla montagna.”
 “Lasciami, Jehanne. Jehanne, ti prego! Devo andare!”
 “NO! Tu sei mia, mia! Hai capito? Non ti lascerò a nessuno. Mai. A nessuno, Myrlene, perché tu sei mia, sei la mia gemella, il mio amore, il mio tesoro, la mia salvezza! Come puoi chiedermi di darti a degli spiriti infernali?”
 “Accadrà qualcosa di orribile, Jehanne! Sta per accadere, devi lasciarmi andare!”
 “Ho detto che non lo farò mai!”
 “Devo andare, ti prego. Devo fermarli.”
 “No!”
 “Non sono solo delle voci, Jehanne. Stanno gridando il mio nome. Stanno urlando, come cacciatori. Vogliono qualcosa, vogliono me.”
 “Chi sono, Myrlene?”
 “Devo andare. Devo fermarle.”
 “Dimmi a chi appartengono queste voci, Myrlene, e ti lascerò andare.”
 “Non lo so! Non so cosa siano.”
 “Tu menti!”
 “Non… non lo so… non sono… non sono umane…”
 “Tu sai a che cosa appartengono. Sono state queste voci a crescerti.”
 “Solo il mio nome… Non hanno mai detto nulla che non fosse… il mio nome…”
 “Chi sono?”
 “Jehanne, lasciami! Mi stai… mi stai facendo male… lasciami…”
 “Mi vuoi abbandonare, Myrlene? Perché non mi ami più? Perché ti stai lasciando condurre via da loro?”
 “Vogliono me… loro vogliono soltanto… soltanto… me.”
 “Non farmi ridere, Myrlene! Tu sei mia!”
 “No, non ridere… Non è divertente, Jehanne! Non è divertente… No, no! Non fa ridere, moriremo! Moriremo tutti! Devo andare… Devo andare, o moriremo… tutti…”
 “Che cosa sta succedendo, qui?”
 Un rumore di passi, la forza con cui Estienne aprì la porta, il tempo non sufficiente a Jehanne per sciogliere l’abbraccio. Il ragazzo le guardò con occhi sgranati, non sapendo che cosa pensare o dove guardare. Lo sguardo di sua moglie era assente, quello della sorella era disperato. Il modo in cui i corpi delle gemelle erano premuti l’uno contro l’altro era strano. Estienne non sapeva se essere turbato o furioso. Era chiaramente accaduto qualcosa, ma nulla era sufficiente a spiegare il modo in cui Jehanne stringeva Myrlene. Troppo sensuale, morboso, esperto.
 Il silenzio era terrificante. Si potevano solo distinguere il respiro pesante di Myrlene, che teneva la testa reclinata all’indietro, gli occhi scuri sbarrati, fissi sul soffitto. Olivier era stato posato a terra. Il piccolo cercava qualcosa nella tasca della camicetta, appartenuta al padre quando era un bambino. Era una camicetta bella e forse anche costosa. Nessuno l’aveva mai chiesto, in fondo. Era vecchia, come moltissime cose a Litanie. Alcune storie, ad esempio, erano così vecchie che non erano più raccontate. Eppure, continuavano a vivere nel sangue dei loro incubi.
 Ci fu un improvviso bussare alla porta della casa. Nessuno si mosse per andare a vedere chi era. Attesero tutti qualche istante. La persona alla porta continuò a bussare. Jehanne allentò dolcemente la presa sul corpo di Myrlene, sostenendo lo sguardo indeciso di Estienne. La moglie si accasciò tra le braccia della gemella, priva di sensi, la cascata di biondi capelli che le andarono a coprire, come un velo dorato, il viso sconvolto.
 Continuarono a bussare.
 “E’ permesso? Jehanne? Myrlene? Qualcuno mi faccia entrare, vi scongiuro! E’ urgente! Aprite la porta! Jehanne?”
 “Questa è la voce di Alexiane.”
 “Va’ ad aprire. Penserò io a lei” mormorò il ragazzo, prendendo dalle mani della ragazza il corpo della moglie. Entrambi sapevano che nulla sarebbe stato dimenticato. Delle spiegazioni sarebbero state necessarie, ma non ora.  Se Alexiane era venuta fin dal villaggio, durante una giornata lavorativa, solo per portare qualche notizia, doveva veramente trattarsi di un’emergenza.
 Quando Jehanne aprì la porta, in effetti, si ritrovò di fronte ad un’estranea. Alexiane aveva il volto pallido e sporco di fango, cosparso di sangue e sporcizia bagnata. I capelli rovinati dall’acqua erano incrostati di terra, il suo vestito di buona lana era strappato in numerosi punti, le braccia erano lasciate nude al Sole di Maggio.
 “In nome di Dio, Alexiane!”
 “Jehanne, aiutami. Aiutami, ti prego.”
 “Che cosa è accaduto?”
 “Ma come? Non hai sentito il boato? La terra che tremava?
 “No… no, noi non abbiamo sentito nulla…”
 “Ma come può essere? Come? Un terremoto così forte, Jehanne, così forte, e voi non l’avete sentito? Non è possibile.”
 “Che cosa è successo?”
 “Devi aiutarmi, Jehanne. Devi aiutarmi.”
 “Tu prima devi dirvi cosa è accaduto!”
 “Il terremoto ha distrutto gli argini… ha distrutto ogni cosa… Le case crollavano, la montagna sembrava spaccata in due… e tutti urlavano, gridavano… piangevano…”
 “Ma che cosa è accaduto?”
 “L’acqua era ovunque. Ovunque, noi fuggivamo e lei ci inseguiva. Come a nascondino, non è buffo? Proprio come a nascondino. E l’acqua ci trovava sempre.”
 “Torna in te! Dio, ti prego! Devi dirmi che cosa è successo!”
 “Un terremoto così violento… voi non l’avete sentito?”
 “Ti dico che non abbiamo sentito nulla!”
 “Allora avevano ragione. Avevano sempre avuto ragione. Voi siete delle streghe, non è vero? Siete voi che avete scatenato la mano d’acqua? Prima al villaggio lo dicevano. Parlavano di voi come streghe. Forse avevano ragione.”
 “Non ne so nulla, ti dico! Che cosa ha portato il terremoto? Perché non vuoi rispondermi, Alexiane?!”
 “Ha portato il male. Le acque hanno portato il male.”
 “Le acque? Di che parli?”
 “Avresti dovuto vederle, Jehanne. Le acque giocavano a nascondino con noi.”
 “Perché parli delle acque?”
 “Il terremoto…”
 “Parla!”
 “Non era un terremoto, Jehanne. Era una mano. Una grande mano d’acqua che si sollevava dalla foresta.”
 “Cosa?”
 “Una grandissima mano d’acqua, come quella di un gigante… un gigante marino… Le acque giocavano a nascondino.”
 “No. Cosa stai dicendo? Stai delirando!”
 “Si è sollevata dal ruscello, sopra la montagna. Ha fatto cadere la pioggia sul villaggio. E poi, le sue dita. Così grandi, così tante, sopra di noi. Un dito, due dita, tre quattro e cinque dita sopra le nostre case. Una grande mano d’acqua su Litanie. Ci ha trovati tutti.”
 “Sei impazzita. Alexiane, tu sei impazzita!”
 “Sono morti tutti.”
 “No.”
 “Il villaggio, la Chiesa, i campi. Ha distrutto ogni cosa, tutto quello che ha trovato. Ogni cosa.”
 “No.”
 “Tutti… sono morti tutti…”
 “Stai zitta.”
 “Come a nascondino, non è buffo? Proprio come a nascondino… ci rincorreva ovunque, dentro le case, su per il monte… una mano d’acqua che scuoteva la terra e uccideva gli uomini… solo gli uomini…”
 “Stai zitta. Sei pazza, una pazza. Stai zitta.”
 “Io sono scappata. Sono riuscita a raggiungervi. Ho pensato: ‘Se sono veramente delle streghe, l’acqua non le avrà trovate’ E guarda qua! Voi non avete sentito neanche la terra che tremava, e che ingoiava il villaggio in una stretta d’acqua. Siete davvero delle streghe, non era solo una voce. Siete delle maledette streghe, ed io mi sono sempre fidata di voi. Mi sono sempre fidata di voi, Jehanne, non è buffo? Voi siete delle streghe! E’ così buffo!”
 “Alexiane, perché stai dicendo tutto questo? Perché continui a mentire? Il tuo è solo un delirio. Devi stare zitta. Stai zitta, Alexiane!”
 “Streghe, streghe cattive! Ah ah! E’ così buffo! Le gemelle ci hanno ammazzati tutti… Tutti quanti! Streghe cattive! Ora sono tutti morti… tutti quanti…”
 Jehanne la guardava, capiva e non capiva. Non piangeva, non poteva piangere. Non poteva fare altro che gridare. Gridare. Entrò in casa, appoggiandosi ai muri per non cadere. Gridava e gridava e gridava. Intravide Estienne, che correva nella stanza per capire che cosa fosse accaduto. Sentì appena Alexiane, che nel giardino rideva e piangeva come una bambina spaventata. Lei gridava. Non poteva far altro che gridare, pensando a Myrlene, alle voci che la possedevano, che evocavano la morte e le ferite che l’acqua portava con sé.
 Gridava. Gridava.
 Prima di perdere i sensi, l’ultima cosa che vide fu suo figlio. Il bambino aveva trovato, nascosta nella tasca della sua camicetta, un’ultima piccola rosa. L’aveva nascosta su di sé, perché la madre non la trovasse e  non la buttasse via, nel giardino. Ora la guardava con tenerezza. Tra le mani stringeva i petali del fiore, e li strappava, lanciandoli in aria come mille coriandoli rossi. Allora cercava di afferrarli e, se uno per caso cadeva a terra, lui rideva battendo le mani.
 

 
Angolo dell’Autrice.
 
Sì, lo so, non mi smentisco mai. Sì, lo so, ho fatto un po’ (tre mesi) di ritardo. Sì, lo so, vanno nell’angolo della classe a riflettere sulla mia mancanza di rispetto nei vostri confronti. Addio!
Per farmi perdonare, comunque, ecco a voi la versione musicata di McAuley di una delle più belle ballate medievali mai scritte nella storia (ogni volta che la leggo sono orgogliosa di potermi chiamare madrelingua inglese). Ci sono numerose versioni altrettanto belle (i fan di Bob Dylan, di Joan Baez e di Natalie Merchant sanno di chi parlo) ma ho pensato di condividere una versione meno conosciuta. E’ comunque sicuramente tra le mie top five.

https://www.youtube.com/watch?v=jTl0p-efeXI

Non so se aggiornerò… o se aggiornerò presto. Ero a tanto così da abbandonarla definitivamente. Comunque, grazie per il vostro supporto, speriamo di continuare!
   
 
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