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Autore: Kerkira2000    30/03/2014    0 recensioni
A tutti è capitato qualcosa che è sembrato unico, magico, irripetibile. Niente però è paragonabile a quello che è successo a lui: Jake, 16 anni, vita normale e del tutto insignificante; fino quando non ha incontrato lei: Katrin. Lei , uno sprazzo di sole , lei che gli ha cambiato la vita, lei che gli ha fatto scoprire chi è, cos’è la vera amicizia, e quanto può essere difficile sacrificarsi, lei che mai lo abbandonerà e che per farlo vivere ha dato tutta se stessa, lei che guarda al futuro con gli occhi segnati dal passato.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'from time immemorial'
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PROLOGO
KATRIN, 11 GENNAIO 2013
Lo scenario più distruttivo che qualcuno potrebbe immaginare. Le fiamme divorano gli alberi. Il vento soffia violento e prende colori caldi, come se qualcuno avesse deciso di inondare l’aria di un ventilatore con dello zafferano. La terra è ormai bruciata e il terreno non presenta più alcun segno di vita. L’unica cosa che c’è oltre alla natura matrigna sono io,  esule ragazzina che è costretta ad osservare quello scenario.  La solitudine che provo è immensa, e il peso delle immagini mi investe come un fiume in piena. Voglio correre, andare lontano, in un luogo non attaccato da questa natura.  Non posso fare niente. Mi sento impotente davanti a quella terribilmente visione che investe tutto e tutti. Il cuore mi batte nel petto come un tamburo e il sangue mi pulsa nelle vene in modo indescrivibile, quasi dolorosamente. Le mie dita sono congelate, anche se il fuoco crea un atmosfera piuttosto accogliente, ed io non so spiegarmene il motivo. Le tempie mi pulsano e le mie orecchie non avertono voci ne gridi. Mentre sono costretta ad osservare quel disastro ,un urlo squarcia la notte e come per magia le mie gambe sono nuovamente attive.  Corro e inseguo quel grido che mi ghiaccia il sangue. La terra si insinua tra le mie dita dei piedi, che sono scoperti. Mi fanno male, sento il sassi punzecchiarmi la pelle ma, non so perché, devo raggiungere quella voce. Corro e corro, grido per il dolore ma continuo a correre. Non me ne accorgo subito, ma i colori caldi che prima circondavano tutto come un guanto  sbiadiscono e poco a poco il nero prende il sopravvento.
 
Come se una luce fosse stata accesa mi risveglio e sento le gocce di sudore scendere sulla mia fronte. Ho il cuore che mi batte ancora forte nel petto. Tento di diminuire il rumore delle mie tempie, e per fare questo mi premo con forza le dite sulla testa. Il dolore va via via scemando, ma il mio respiro continua ad essere affannato ,come se avessi appena corso per kilometri. E mi sembra proprio che sia stato così, dal momento che l’ultima immagine che ricordo dal mio sogno è proprio la corsa alla ricerca di qualcuno. Le dita mi tremano  in modo imperterrito. Sembra che la mia compagna di stanza se ne sia accorta, e per  questo si alza e accende la lampada che ho sul comodino. -Ehi, tranquilla,  non è successo niente…- mi dice mentre mi accarezza una spalla- è stato solo un incubo-. So che ha ragione, che non è altro che lo stesso sogno che faccio da più di un mese e che ogni notte arriva a bussare ai confini della mia mente, ma ogni volta mi fa sempre lo stesso effetto: è come se qualcosa mi lacerasse dentro. Appoggio la testa nell’incavo del suo collo e le lacrime cominciano  bagnare le mie guance e la maglietta che ricopre la pelle color alabastro di Scarlett.  Le mi abbraccia e si fa scivolare di lato , verso il. Come ogni notte fissiamo il soffitto e immaginiamo di essere lontano, a Machu Picchu , luogo che vogliamo visitare da parecchi anni. E, come se niente fosse successo, mi addormento tra le braccia della mia migliore amica. Il tempo passa, le ore si alternano incessantemente e l’alba rischiara la nostra camera. La luce ci illumina e  mi ridesta da un sonno agitato e leggero. Per non svegliare Scarlett, che invece sembra aver trascorso una notte tranquilla, appoggio delicatamente i piedi sul parchè, tirandomi giù le maniche delle braccia che ho alzato inavvertitamente durante la notte. Apro la porta e percorro il breve corridoio che porta alla cucina. Supero varie camere di altre studentesse e apro la porta di mogano scuro che divide la sala dalla zona notte. Mi accoglie il consueto tavolo di legno scuro, dove mangiamo, beviamo e trascorriamo la maggior parte del tempo. Cerco nelle credenze una tazza, il latte e i cornflakes. Mi siedo e il latte nella tazza. Aggiungo i cornflakes e tento di non pensare al sogno, o per meglio dire all’incubo.
  
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