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Autore: BebaTaylor    02/04/2014    2 recensioni
Era difficile per lei non pensare a lui. Difficile come trattenere il respiro troppo a lungo. Sospirò e appoggiò la testa sulla scrivania, sopra al quadernino dalla copertina verde smeraldo che usava come diario.
Sospirò e chiuse gli occhi, lì riaprì e se ne pentì subito. Davanti a lei la foto, quella foto, quella che avevano fatto qualche anno prima.
Lui e lei, vicini, stretti in un abbraccio; sullo sfondo l'oceano Atlantico.
Alison sospirò nuovamente e alzò la testa, lo sguardo sempre fisso sulla foto, sul sorriso di lui, su quelle labbra morbide che avrebbe voluto baciare ancora, su gli occhi blu in cui avrebbe voluto perdersi nuovamente.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Duncan James, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Niente di quanto narrato in questa fanfiction è reale o ha la pretesa di esserlo. È frutto della mia fantasia e non vuole assolutamente offendere la persona in questione. I personaggi originali appartengono alla sottoscritta.


Ocean, blue sky and happiness


Capitolo Dieci


Oggi

«Perché?»
Alison sospirò e sorrise alla figlia. «Perché sì.» rispose e afferrò la piccola spazzola gialla. «Fiona è la mamma di Duncan e ci ha invitato a pranzo.» si chinò e iniziò a pettinare i capelli di Emily.
«Quando arriva?»
Alison sorrise e divise i capelli in due codini, «Quando saremo pronte.» rispose, sistemò gli elastici gialli e le baciò la fronte.
«Quando?» domandò la bambina.
«Quando la smetterai di fare domande.» rispose Alison sorridendo, prese in braccio Emily e andò nel salotto, la fece sedere sul divano e afferrò le scarpe della bambina dalla scarpiera.
Emily si succhiò il pollice mentre Alison le sistemava le scarpette bianche e rosa. «Ascoltami, tesoro.» disse e si sedette accanto alla figlia, «Devi comportarti bene: non fare i capricci, non toccare tutto e fai quello che ti dico, va bene?»
Emily annuì lentamente.
«Brava la mia bambina.» soffiò Alison baciando la fronte della piccola. Aveva detto di sì a Duncan solo per non sentire più le sue richieste assillanti, non aveva ancora detto di sì a Disneyland, però. Non era sicura che avrebbe retto tutto il giorno, per tre o quattro giorni, Duncan.
Da quando lui l'aveva baciata sulla guancia non aveva fatto altro che pensare al brivido che aveva provato. Un brivido familiare, che le mancava da morire.
Sospirò e si appoggiò al divano chiudendo gli occhi. 
«Quando arriva Duncan?» 
Alison aprì gli occhi e guardò sua figlia. «Fra poco.» rispose dopo aver dato un breve sguardo all'orologio; si alzò in piedi e controllò che le finestre fossero chiuse e le luci spente.
Il suo cellulare suonò per qualche secondo, segno che Duncan era arrivato. Fece indossare la giacca alla bambina e prese lo zainetto e la sua borsa.
Il campanello suonò ed Emily corse alla porta. «Duncan!» trillò quando Alison l'aprì. Lui sì chinò e la prese in braccio ridendo, le baciò la guancia paffuta e sorrise ad Alison. 
«Sei pronta?» le chiese. Lei annuì, afferrò le chiavi e uscì dall'appartamento pensando a quanto fosse dolce, affettuoso e paterno Duncan con Emily e quanto fosse felice lei di vederlo. Si domandò se avesse sbagliato nel non dire subito a Duncan di Emily. E si chiese come avrebbe potuto spiegare alla bambina tutta la situazione.
Mentre raggiungevano la macchina sperò che tutto andasse per il meglio, pregò che Fiona non le facesse troppo domande o critiche.
Fissò il paesaggio che scorreva fuori dal finestrino in silenzio mentre Emily faceva domande a raffica su ogni cosa che vedesse.
«Non si stanca di parlare?» domandò Duncan durante un momento di silenzio.
«Ogni tanto.» rispose Alison con un sorriso.
Anche lui sorrise, «Mi ricorda qualcuno.» disse guardando brevemente Alison. «Che ogni tanto, quando inizia a parlare, non smette più. Soprattutto se sta facendo shopping!»
Lei alzò le spalle e fece un piccolo sorriso.  «Ma almeno io non vado avanti a fare domande.» disse fingendosi offesa mentre Emily riprendeva la sua cantilena di: “Dove siamo? Quanto manca? Dove va quel signore? Che cos'è quello?”
«Ma io non stavo parlando di te!» esclamò  Duncan. «Parlavo di Lee!»
Alison scoppiò a ridere, «Sì, certo, parlavi di Lee.» disse, sorrise e guardò fuori dal finestrino. 
Anche Duncan rise. «Stavo parlando di lui! Non lo hai mai visto come si comporta quando entra in un negozio!»
«Chi è Lee?» domandò Emily.
«Un mio amico.» rispose Duncan guardando la bambina attraverso lo specchietto retrovisore, «Ti ricordi che ti avevo detto che viveva con me? Ti ho fatto vedere la foto.»
La bambina annuì lentamente. «Sì.» rispose. «Mammina ho fame.» piagnucolò dopo qualche istante.
«Mangeremo tra poco.» le disse Alison. «Siamo quasi arrivati.» esclamò, «Giusto?» chiese a Duncan.
«Fra cinque minuti.» rispose Duncan. 
Alison si voltò sul sedile e guardò la figlia, «Hai capito tesoro? Fra poco mangiamo.» le disse ed Emily annuì.  

***

Alison respirò a fondo convincendosi per l'ennesima volta che sarebbe andato tutto bene e strinse la mano di Emily. Loro tre erano davanti alla porta della casa di Fiona. Duncan posò una mano sulla spalla di Alison e le sorrise come se cercasse di tranquillizzarla, anche Alison cercò di sorridere e sperò di non aver fatto nessuna smorfia.
Alison fissò la porta che si apriva e poi Fiona. 
«Ciao tesoro.» cinguettò la donna abbracciando il figlio, «Ciao Alison.» disse e strinse la mano della ragazza; Fiona si chinò e guardò Emily, «Ehi, piccola.» sussurrò ed Emily si nascose dietro le gambe della madre.
«È timida.» esclamò Alison e spinse in avanti Emily che intanto si era infilata il pollice in bocca, «Fai la brava, saluta.» 
Emily guardò Fiona e la salutò agitando la manina libera.
Fiona sorrise e li fece entrare e disse ad Alison dove poteva lasciare la giacca e la borsa.
«Fino a cinque minuti fa non la smetteva di parlare!» esclamò Duncan e sfiorò la testa di Emily. «Hai perso la lingua?» le disse e le fece il solletico sui fianchi, Emily si tolse il pollice dalla bocca e ridacchiò felice.

Il pranzo era andato bene, Emily non aveva sporcato tutta la tavola e se stessa come faceva ogni tanto, aveva mangiato  quasi tutto e non aveva fatto cadere le posate nemmeno una volta. E soprattutto, Fiona non aveva chiesto nulla ad Alison; nessuna domanda su come mai non avesse detto nulla a Duncan, sul perché non gli avesse dato la possibilità di spiegarsi. Alison non sapeva se Duncan le avesse detto qualcosa – ma probabilmente sì – ed era grata a Fiona per non farle domande, ma forse era solo perché Emily era lì. In quel momento erano in salotto a bersi un caffè, Alison soffiò lentamente sul liquido caldo e rimase in attesa. 
«Hai già deciso cosa fare per il compleanno di Emily?» domandò Fiona.
Alison la fissò sorpresa, non aspettandosi quel genere di domanda. «Non lo so.» rispose e prese un sorso di caffè, «Credo che farò una festicciola con i suoi compagni dell'asilo.» disse.
Duncan la fissò e lei abbassò lo sguardo sperando che non le chiedesse nulla, qualcosa del tipo: “Affitto un locale e facciamo lì la festa!”.
«Andiamo a Disneyland?» esclamò Emily alzandosi dal tavolino dove stava disegnando,  «Per favore mammina!» trillò spingendole le gambe.
«Emily, tesoro...» sospirò lei, «Non lo so, mancano solo due settimane, è troppo poco per organizzarsi.»
Emily strinse le manine e tirò sul con il naso, si scostò dalla madre e trotterellò verso Duncan. «Mi porti a Disneyland?» mormorò arrampicandosi sulle sue gambe. «Per favore!» supplicò.
Duncan guardò Alison e lei fissò le tre persone davanti a lei che aspettavano una sua risposta; decise di prendersi del tempo e sorseggiò lentamente il caffè.
«Parigi è bellissima!» sospirò Fiona, «È una città così romantica!»
Alison ingoiò il sorso di caffè e posò la tazza sul tavolino con le mani che tremavano e si domandò cosa avessero tutti quanti. Aveva visto Antony qualche giorno prima e lui le aveva detto che Parigi era una città così bella, meravigliosa e... romantica.
«Mi porti?» disse Emily guardando Duncan.
«Tesoro,» Duncan accarezzò i capelli di Emily, «anche la mamma deve dire di sì.» le spiegò ed Emily annuì anche se Alison non era convinta che avesse capito tutto. «Anche se Parigi è veramente bellissima!»
«Mammina! Mi porti? Per favore?»
Alison chiuse gli occhi e respirò lentamente. Tre contro uno, quattro se contava Antony. Cinque se includeva Lee che le aveva detto che Disneyland sarebbe piaciuta tantissimo a Emily. Mancava solo Simon a dirle di andare a Parigi. 
Sospirò e afferrò la tazzina, finì il caffè in un sorso e guardò Emily, Duncan e Fiona. «E  va bene.» farfugliò, «Andremo a Disneyland.»

***

Duncan sorrise mentre guardava Emily dallo specchietto retrovisore. «Credo che andrà avanti a parlare per molto.» disse ridendo.
Alison sbuffò e si sistemò sul sedile. «Già.» confermò, «Almeno fino a quando non si stancherà.» disse e sorrise, si voltò sul sedile e guardò Emily. «Non sei stanca di parlare?» le chiese.
Emily scosse la testa, «No.» rispose e riprese a parlare di Topolino, Paperino e le principesse che avrebbe incontrato a Disneyland.
Alison scosse la testa e si sistemò sul sedile. «Camere separate.» disse dopo qualche minuto.
«Cosa?» domandò Duncan.
Alison sospirò e si guardò le mani. «A Disneyland.» rispose, «Io e Emily in una camera, tu in un'altra.» spiegò.
Duncan annuì lentamente. «Sì, due camere.» mormorò, «Mi sembra giusto.» sorrise e guardò Alison. 
Rimasero in silenzio per un po', Alison guardò Emily e le sorrise, allungò un braccio e le sfiorò il viso. «Dorme.» sussurrò e si voltò e guardò Duncan quando il suo braccio sfiorò quello di lui; senza dire una parola si sistemò sul sedile e strinse le mani attorno alla borsa. Quel semplice contatto le aveva provocato un brivido. Un altro, dopo quello di quella mattina dopo che Duncan le aveva toccato la spalla. Respirò piano e guardò fuori dal finestrino domandandosi cosa le stesse succedendo. Forse era perché ultimamente aveva passato tanto tempo con Duncan, o forse perché lui era stato il suo ultimo ragazzo, o forse le mancava. Sbuffò  e chiuse gli occhi.
«Sei stanca?» domandò Duncan e alzò la mano per toccarla ma l'abbassò, appoggiandola sul sedile.
Alison annuì e sospirò. «Sì, sono un po' stanca.» disse.
Duncan annuì «Fra poco saremo a casa.» disse e Alison sorrise e si rilassò contro il sedile. Guardò brevemente la mano di Duncan – era ancora posata sul sedile – e respirò profondamente.
Voleva toccarla, sfiorarla ma le sue mani rimasero lì, sul sulle sue gambe. 

***

Duncan posò Emily sopra al divano e Alison le tolse le scarpe prima di coprirla con il plaid. Si sedette accanto a lei e guardò Duncan. «Grazie.» disse.
Duncan sorrise e si sedette anche lui, vicino alla testa di Emily, con delicatezza le sfiorò i capelli, «Quindi... camere separate.» disse.
Alison annuì, «Sì, separate.» mormorò senza guardarlo reprimendo l'impulso di dirgli che gli andava bene anche una sola camera. «Magari comunicanti, così Emily può venire da te quando vuole.»
Duncan sorrise e annuì, «Vedrò cosa posso fare.» disse sentendosi felice, avere le stanze comunicanti era maglio che averle una di fronte all'altra. «Devi solo dirmi quando sei libera, così prenoto.»
Alison annuì e si morse il labbro inferiore. «Sì, lo farò. Domani vedo di organizzarmi con il lavoro.» disse.
«Io vado, allora.» esclamò Duncan ma non si alzò, si limitò a spostare le mani dai capelli di Emily e le posò sulle ginocchia. «Domani mi fai sapere, va bene?»
Alison annuì nuovamente e si alzò lentamente, fece una carezza alla bambina e sorrise, «Sì, certo.» disse, «Domani ti mando un messaggio e ti dico.»
Duncan si alzò con un sospiro e si chinò per baciare la fronte di Emily. «Grazie per essere venuta.» disse guardando Alison e sorrise, si voltò e andò alla porta. «Ci sentiamo domani, allora.»
Alison lo seguì, «Ciao, Duncan.» mormorò.
Duncan annuì e si chinò, baciò la guancia di Alison – un bacio che durò più a lungo del necessario – e uscì dall'appartamento.
Alison chiuse la porta e vi si appoggiò contro sospirando rumorosamente, domandandosi cosa le fosse preso per aver proposto le camere comunicanti visto che voleva dire vedere Duncan tutto il tempo; era sicura che Emily avrebbe trascorso più tempo con lui che con lei. Lentamente si staccò dalla porta e andò verso il divano, guardò Emily che dormiva tranquilla e decise di stirare la biancheria, guardò l'orologio e calcolò che aveva un'oretta di tempo prima che Emily si svegliasse per fare merenda.

***

Alison si fissò le mani. Rosso, tanto rosso. Solo quello vedeva. E la sua bambina riversa per terra, coperta da tutto quel rosso. Gli occhi di lei erano chiusi, le palpebre sporche di rosso, il braccio destro piegato in una posizione innaturale, le ginocchia graffiate, i capelli non erano più biondi, ma rossastri.
Alison sentì qualcuno urlare, qualcun altro che gridava insulti, una voce gentile che le diceva di aver chiamato l'ambulanza; non riusciva a capire cosa fosse successo. L'unica cosa che sapeva era che, un attimo prima, Emily era accanto a lei, la piccola manina nella sua, che parlava del dolcetto che avrebbe preso nella pasticceria poco distante. Poi un stridio, e urla. Tante urla. E tanto rosso.
Sangue.
Qualcuno le aveva investite. Qualcuno aveva investito Emily.
Alison si sentì girare la testa, vide nero e svenne.

Alison non sapeva da quanto tempo fosse seduta su quella sedia. Si era ripresa in ambulanza ed escludendo un paio di graffi e di lividi non aveva nulla.
Emily era ancora in sala operatoria. Alison si sistemò la casacca verde – la sua maglietta era sporca di sangue – e strinse il telefono. Aprì la rubrica e scorse i numeri anche se li vedeva appena per via  delle lacrime. Singhiozzò e premette il tasto di chiamata.

Lee si mise in bocca una manciata di patatine e guardò il telefono di Duncan che vibrava sul tavolo. Era la terza chiamata nel giro di cinque minuti; si sporse e lesse il nome di Alison sul display. Si domandò se le chiamate precedenti fossero sue. Con uno sbuffò accartocciò il pacchetto ormai vuoto e lo posò sul tavolino. L'Iphone s'illuminò e vibrò nuovamente, era ancora Alison.
Lee guardò la porta del bagno, «Duncan!» urlò, «Alison ti sta chiamando!», scrollò la testa e afferrò il telefono.
«Ehi, Duncan è sotto la doccia!» disse rispondendo. Se Alison chiamava con tanta insistenza forse era davvero importante. «Alison? Ci sei?» domandò.
«Em-Emily... lei è... io...» singhiozzò Alison.
Lee corrucciò la fronte, «Alison, non capisco.» disse, «Smetti di piangere e spiega.»; si alzò in piedi, diretto verso il bagno, deciso a interrompere la doccia di Duncan.
«Duncan io...» Alison continuò a singhiozzare, «Emily lei... siamo in ospedale.» sussurrò.
Lee si bloccò, aveva appena aperto la porta del bagno. «Siete in os... ospedale?» biascicò sconvolto. «Cos'è successo? Alison!»
Duncan uscì dal box doccia e strappò il telefono dalle mani di Lee e lo portò all'orecchio.
«Come stanno? Che diavolo è successo? Alison sembrava sconvolta.» domandò Lee seguendo Duncan che andava nella sua stanza. «Duncan!» lo chiamò quando  non ottenne risposta.
«Emily è stata investita.» rispose Duncan e infilò una maglietta, «Sono in ospedale.»
Lee aprì e chiuse la bocca un paio di volte e non seppe cosa dire. «Vuoi che venga con te?» domandò dopo qualche secondo di silenzio.
Duncan annuì e abbassò la felpa sui fianchi. «Sì, vieni.» mormorò e si passò in fretta una mano sul viso per cancellare le lacrime.
Anche Lee annuì e corse nella sua stanza per mettersi le scarpe; sarebbe andato con lui ugualmente, anche se avesse detto di no. 

Quindici minuti dopo erano in ospedale e Lee respirò profondamente appoggiandosi al muro; posò una mano sul petto all'altezza del cuore e cercò di calmarsi. Duncan aveva guidato come un pazzo ed era stato un miracolo se non avevano investito nessuno. Tossì e andò a cercare un distributore d'acqua, aveva la gola in fiamme per il troppo urlare contro Duncan. “Rallenta! Stai attento! C'era lo stop! Attento alla macchina! Voglio arrivarci tutto intero! Vai piano!” Lee aveva ripetuto quelle frasi per tutto il tragitto mentre si teneva saldamente al sedile mentre Duncan guidava come un pazzo.
Duncan raggiunse Alison e l'abbracciò ancora prima di sedersi. Alison singhiozzò sulla spalla dicendogli che il medico non era ancora uscito dalla sala operatoria.
«Io la tenevo per mano... non ho visto la macchina!» strillò Alison dopo qualche istante. Duncan la strinse e le accarezzò la schiena, Alison pianse ancora e si aggrappò a lui. «Io...è colpa mia!» esclamò fra un singhiozzo e l'altro. Duncan la strinse ancora più forte e le sussurrò che non era colpa sua, le baciò la fronte e posò la testa su quella di lei.
Lee si avvicinò a loro e guardò la bottiglietta d'acqua che teneva in mano, andò da Duncan e gliela porse. Il più grande la prese e lo ringraziò; Lee si limitò ad annuire e si allontanò accompagnato dai singhiozzi di Alison; guardò la piantina e si diresse verso la caffetteria.
Alison smise di piangere e si soffiò il naso; Duncan si levò la felpa e la posò sulle spalle della ragazza. «Mi dispiace... io non volevo...» sussurrò stropicciando il fazzoletto di carta fra le mani, «Dovevo stare più attenta, non dovevo lasciarla dalla parte della strada, dovevo tenerla in braccio...»
«Non è colpa tua!» esclamò Duncan abbracciandola nuovamente. «Non  colpa tua.» ripeté baciandole la testa.
Alison annuì lentamente anche se non era del tutto convinta, secondo lei era colpa sua; respirò a fondo cercando di calmarsi ma dopo qualche secondo ricominciò a piangere.
Duncan sospirò e le accarezzò la schiena sussurrandole che sarebbe andato tutto bene. Baciò la nuca di Alison e si guardò attorno alla ricerca di un medico o di un infermiere a cui chiedere informazioni.

Lee tornò venti minuti dopo con tre cappuccini, Alison non piangeva più. «Avete saputo qualcosa?» domandò lui passando i cappuccini.
Duncan sospirò, «Sì, sono riuscito a parlare con il dottore poco fa.» rispose, «Emily ha una commozione cerebrale, una costola incrinata, lividi, graffi, un braccio rotto ma sta bene.» disse e sorseggiò lentamente il cappuccino. «La stanno sistemando in una camera, quando è pronta vengono a chiamarci.»
Lee annuì e si sentì sollevato.
«Questo cappuccino fa schifo.» mormorò Alison ma continuò a berlo, «Il mio è più buono.» soffiò sul liquido caldo e sospirò lasciandosi sfuggire un piccolo singhiozzo.
Duncan fece una piccola risata. «Hai ragione, il tuo è più buono.» disse e apparve l'infermiera che li condusse da Emily.

Alison portò una mano alla bocca e singhiozzò quando vide sua figlia sdraiata in quel letto troppo grande per lei, circondata da macchinari vari. 
Si avvicinò a lei e le sfiorò la fronte con la punta delle dita, toccò il bordo della fasciatura sulla testa e sentì le ginocchia tremarle. Duncan la sostenne e la fece sedere sulla poltroncina.
«Io vado.» disse Lee, «Prenderò un taxi, se hai bisogno chiamami.» esclamò e Duncan annuì.
«Devo chiamare qualcuno?» domandò Duncan quando Lee se ne fu andato, «I tuoi, il lavoro...» disse accucciandosi accanto alla poltrona e stringendole le mani.
«Tom.» soffiò lei, «Devo avvertire Tom che non ci sono.»
Duncan annuì e le prese la borsa e aprì la tasca davanti – sapeva che Alison teneva lì il cellulare.
«Cosa fai?» squittì Alison, un qualcosa in quel gesto le ricordò qualcosa ma non sapeva esattamente cosa fosse. La sua testa era piena di preoccupazione per Emily e non lasciava spazio ad altro.
Duncan si fermò e la guardò sorpreso. «Volevo solo prendere il numero di Tom.» disse.
Alison annuì e gli prese il cellulare, scorse rapidamente la rubrica, selezionò il numero di Tom e passò il telefono a Duncan che uscì in corridoio.
Lentamente si affossò sulla poltrona, ripensando a cosa le aveva scatenato quella reazione. «Il cellulare!» mormorò sedendosi composta. 
Mosse nervosamente le gambe in attesa che Duncan le tornasse. Aveva capito cos'era successo quel giorno, le serviva solo la conferma di Duncan.
«Tom ha detto che se ti serve qualcosa puoi chiamarlo a qualsiasi ora.»
Alison quasi sobbalzò quando sentì la voce di Duncan. «Va bene.» disse e Duncan si sedette sulla sedia accanto a lei. «Duncan...» mormorò dopo qualche minuto, «Quel giorno... hai ricevuto dei messaggi dal mio cellulare?» domandò sperando che Duncan capisse a quale giorno si riferisse. 
Duncan respirò a fondo e si guardò le mani. «Sì.» rispose, «Ho ricevuto qualche SMS, dove m'invitavi a casa, mi dicevi di entrare e che sul divano avrei trovato una benda e di indossarla, sedermi e aspettare in silenzio. Non dovevo fare nessuna domanda.» disse, «Mi sembrava strano che ti fosse venuta in mente un roba simile ma ho pensato...» si fermò e sospirò, «Credevo che fosse un gioco.»&nb
Alison si morse il labbro inferiore e annuì; rimase zitta osservando il macchinario con il tracciato del battito cardiaco della bambina. «Devo andare.» esclamò alzandosi in piedi in maniera nervosa.
«Dove?» domandò Duncan.
Alison afferrò il cellulare – lo aveva ancora in mano Duncan – e lo infilò in borsa, chiuse la zip della felpa, «Via.» rispose, «Torno presto, fra un'ora al massimo.» aggiunse, baciò la fronte di Emily e andò alla porta, l'aprì e si fermò, tornò indietro e baciò la guancia di Duncan prima di correre via.

***

Alison uscì dalla doccia e si vestì velocemente rimettendosi la felpa di Duncan sopra la sua. Afferrò il peluche che Duncan aveva regalato ad Emily e lo infilò in borsa insieme a un paio di merendine e a qualche barretta ai cereali e uscì velocemente non badando alla sua vicina che le chiedeva cosa fosse successo. 
Una volta in strada imprecò quando un paio di taxi le passarono davanti ignorandola. Sbuffò e agitò più forte la mano e, finalmente un taxi si fermò, aprì la portiera e Alison disse il nome dell'ospedale ancora prima di sedersi.

Alison bussò con violenza alla porta del suo ex appartamento ed entrò senza guardare la donna che le aveva aperto. «Charlene... tu sei...» disse e respirò a fondo. «Una puttana.» ringhiò e avanzò nel salotto, ritrovandosi davanti a una Charlene confusa.
«Tu eri gelosa perché uscivo con Duncan, vero? Per questo hai iniziato ad essere come me.» si scostò una ciocca di capelli dalla fronte e continuò a fissare la sua ex coinquilina, «Il colore, il taglio, la pettinatura... avevi iniziato ad usare i miei stessi prodotti per avere il mio stesso profumo. Avevi organizzato tutto nei minimi dettagli. Quanto tempo ci hai messo? Un mese? Due? Un anno?»
Charlene rimase in silenzio e Alison scoppiò a ridere. 
«Sono stata così stupida... quella mattina non avevo lasciato il cellulare a casa, vero? Tu me lo hai preso dalla borsa e quando ti ho chiesto cosa ci facevi con in mano la mia borsa tu mi hai detto che cercavi le caramelle. Una balla inventata sul momento,vero? Invece hai preso il mio cellulare e hai inviato qualche messaggio a Duncan.» Alison fece un passo avanti e Charlene andò contro il muro, «Gli hai scritto di venire qui, di entrare, che sul divano avrebbe trovato una benda, di indossarla e di rimanere in silenzio e di non fare domande!» gridò.
«Tu lo volevi e hai fatto di tutto per riuscirci! Ci hai portato via cinque anni!» urlò, «Sei una lurida puttana.» Alison fece un respiro profondo e sistemò la borsa sulla spalla, si voltò e osservò con sorpresa le altre cinque persone presenti nella stanza: due erano i genitori di Charlene, gli altri tre – un ragazzo e una coppia anziana – non li conosceva ma suppose che lui fosse il ragazzo di Charlene. 
«Oh.» mormorò Alison. «Scusate.» disse e andò verso alla porta. «Stai attento, ti pugnalerà alle spalle.» disse al ragazzo e uscì dall'appartamento. Una volta in strada respirò a fondo e sorrise sentendosi meglio. 
Agitò una mano e un taxi si fermò davanti a lei, entrò e disse al conducente il nome dell'ospedale. Si sentiva meglio, ora che aveva detto tutte quelle cose a Charlene. Ora doveva solo chiedere scusa a Duncan.

Venti minuti dopo Alison entrò nella stanza di Emily nell'ospedale e sorrise quando vide Duncan addormentato sulla poltroncina, le mani in grembo, le labbra socchiuse. Si avvicinò alla bambina e le accarezzò il viso prima di baciarle la fronte, le sistemò le coperte e trascinò la sedia vicino alla poltroncina; si sedette e appoggiò il viso sulla spalla di Duncan mentre si raggomitolava sulla sedia.
«Sei tornata.» bisbigliò Duncan e spostò il braccio attirandola a sé.
Alison annuì e si strinse a lui. «Sì, sono tornata.» disse, lo guardò per qualche istante e lo baciò sulle labbra. «Sono tornata.» ripeté posando la testa sulla spalla di Duncan.

E finalmente posto l'ultimo capitolo! *o* manca solo l'epilogo e poi la storia è ufficialmente finita!
Capitolo che posterò quando la conessione reggarà per più di due minuti (Io odio la Vodafone, sappiatelo) e la chiavetta non deciderà di suicidarsi e risorgere quando vuole lei.
Intanto ringrazio chiunque abbia letto questa storia.

   
 
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