† †.
What is he
Non
so quanto tempo dopo riuscii a risollevare le palpebre, ma di alcune
cose –
mentre roteavo freneticamente le pupille e riprendevo un po’
di forze, fui
immediatamente certa. Prima di tutto, ero all’asciutto,
avvolta da un maestoso
ed insormontabile mare di bianco. Nuvole?
pensai Mi è stato
veramente concesso
il paradiso? No, erano soltanto il fresco lino, la seta
liscia e la calda
lana di tante, troppe coperte.
E
quello che sembrava un cielo stellato sopra la mia testa, era soltanto
il blu
trapuntato del mio baldacchino.
Ero
viva.
Viva
e nella mia stanza, ma non ero da sola. Sentivo delle voci familiari,
ma non
era nelle mie volontà prestare loro attenzione. Mi sentivo
intorpidita,
febbricitante. Delle sensazioni di caldo e freddo, vuoto e pienezza
continuavano ad invadere ed infastidire il mio petto. E pensai che
quella
ferita che da tempo faceva sanguinare la mia anima si fosse
letteralmente
materializzata dopo il mio risveglio. No, non volevo questo. Ero
riuscita a
deludere persino me stessa.
A
questo pensiero, lo sfocato mondo intorno a me divenne labile come se
l’acqua
di un torrente stesse attraversando il mio campo visivo. Gli occhi
iniziarono a
bruciarmi e quasi simultaneamente le mie labbra cominciarono a liberare
dei
singhiozzi sofferenti dalla mia gola calda e secca.
Quando
iniziai a piangere – e solo allora, notai per la prima volta
da quando avevo
ripreso conoscenza da dove provenisse quel sibilare di voci che poco
prima mi
avevano infastidito e risvegliato, poiché un paio di sagome
si precipitarono al
mio capezzale, a destra e alla sinistra del mio letto.
Alla
mia sinistra, un uomo e una donna di mezz’età mi
guardavano con apprensione, e
la donna, addolorata e piangente, mi stringeva la mano con forza. Erano
vestiti
totalmente di nero e i loro profili sembravano infuocati, illuminati
alla luce
di un candelabro. L’uomo mi sorrise e lo sentii posare il suo
grande palmo sul
mio avambraccio. La signora mi guardò per qualche istante a
bocca aperta, poi
si soffiò il naso borbottando qualcosa di incomprensibile
inframmezzato dai
suoi patetici singhiozzi. Il signore al suo fianco la strinse per
confortarla,
e poi notai che anche i suoi occhi erano lucidi, pronti a liberare un
mare di
lacrime.
Ma
per che cosa diavolo stavano piangendo? Questa era la prima domanda che
mi era
venuta in mente di fare ai miei genitori, riunitisi al mio fianco per chi sa quale motivazione. Sembravano
pronti per un lutto.
Mio
padre spostò il candelabro davanti a se, illuminandomi, e
quelle sette candele
sembrarono levitare nel vuoto tra le coperte e il baldacchino.
Spalancai gli
occhi: c’era qualcun altro nella stanza.
Una
mano grande, forte e giovane impugnava saldamente l’asta
principale di quella
reliquia seicentesca e le sue vene risaltavano alla luce di quei
moccoli. Oltre
il buio comparve poi un braccio, un busto e delle spalle ed infine, un
secondo
braccio la cui mano stringeva qualcosa rimasta sottratta alla mia vista
dalla
semioscurità che
regnava nella mia
camera. Poi, quelle sette piccole fiammelle sopra delle asticelle di
cera
diedero luce ad un viso. E le lacrime sui miei occhi
semplicemente…scomparvero.
Chi
era? O meglio, che cosa era? Quel
ventenne dove nascondeva le sue ali piumate? Perché
l’unica cosa che mi parve
di vedere, non era un volto minimamente definibile come umano.
Quel viso ovale e perfetto, la carnagione diafana, quei
capelli dorati, quegli occhi profondamente strani, come in preda ad una
trasformazione: tutto quello apparteneva ad una categoria
soprannaturale.
Vidi
quella persona abbozzare un sorriso e far scintillare per un poco la
sua
dentatura smagliante nella penombra, ma non appena illuminò
bene il mio viso,
quel sorriso scomparve per lasciare posto ad un’espressione
seria, quasi
professionale. Lo guardai dritto negli occhi, rapita e succube. E
quello che
riuscivo a vedere – mi dovetti convincere che non era un
sogno – era una cosa
che non avevo mai visto.
Il
colore degli occhi di quel ragazzo si avvicinava molto al caramello ma
aveva
qualcosa di più splendente fra quegli sprazzi chiari, ora
stava cambiando. Gli
occhi si stavano scurendo, diventando neri e lividi. Era innaturale che
qualcuno potesse avere una pupilla così grande da invadere
l’iride. Ero sicura
di aver letto da qualche parte che le pupille così dilatate
si potevano
osservare solo in soggetti deceduti.
Morti, senza vita. Ma quella bellissima persona, quel giovane uomo era
vivo, in
piedi, davanti al mio sguardo impietrito.
Distratta
dalla sua perfezione e dai suoi occhi, non mi ero accorta che era
fradicio, e
che l’acqua che colava dai suoi bei vestiti picchiettava come
una pioggerellina
estiva sulle mie coperte bianche. Seguii una goccia che avanzava lungo
il dorso
della sua mano e scivolò congelata sull’incavo del
mio gomito.
Rimasi
con gli occhi inchiodati sul mio braccio roseo per qualche attimo,
osservando
quella goccia che vi scivolava sopra lentamente, quando le dita
bianchissime di
quell’uomo mi carezzarono il braccio, raccolsero la goccia e
andarono a
stringersi saldamente lungo il mio polso. Atterrita dal gesto
improvviso, alzai
la testa e mi accorsi con stupore ancora più grande che i
nostri visi erano
vicinissimi. Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo; ero
indecisa se
essere terrorizzata dal fatto che le sue mani sembravano fatte di
ghiaccio e
che la sua presa era irremovibile e dura come l’acciaio o
rimanere più sorpresa
dal fatto che il suo respiro era come vento oceanico e sapeva vagamente
di…non
sapevo cosa fosse, comunque era un profumo assurdamente appetitoso. E
quei due
occhi che mi fissavano a pochi centimetri di distanza sembravano essere
capaci
di pietrificare. Quei pochi istanti mi parvero durare ore, tanto che
riuscivo a
sentire la lingua che si impastava. Quando poi lo vidi schiudere le
labbra,
istintivamente ricacciai i miei occhi fin troppo curiosi sotto le
ciglia,
strizzandoli con forza sotto le palpebre, attendendo che arrivasse
l’Apocalisse. Inutile descrivere quanto ero contenta di
sapere che il giudizio
divino che aspettavo altro non era che una risata affabile che sapeva
di
quell’effluvio sconosciuto prima di allora al mio naso
lentigginoso.
«Va
tutto bene,» sussurrò una voce al mio orecchio
«Ci penserò io a prendermi cura
di te.»
«Santo
Cielo! Come sta, dottore, ci dica come sta!» ululò
mia madre, probabilmente
sconvolta dal fatto che qualcuno stesse ridendo della mia salute
cagionevole.
Nel
frattempo riaprii gli occhi, spostandoli dai miei genitori, gente
banale e
ordinaria, a quell’uomo, tutt’altro che ordinario.
«Madame,
sua figlia ha bisogno di molto riposo, anche se ho avuto il piacere di
constatare che il suo polso e i suoi riflessi sono tutt’altro
che deboli.»
disse soave, quasi sospirando «Eppure, Madame, eppure non
vorrei che avesse
perso la voce. Come saprà, certi mal di gola di questi
tempi…sono proprio da
evitare.»
Mio
padre si chinò lesto su di me e quasi pregandomi disse
«Tesoro, dì al signore
come ti chiami.»
Riportai
gli occhi sul giovane uomo, e armatami di una certa dose di coraggio,
ignorando
le mie guance che bruciavano, schiusi le labbra e mimai il mio nome. Ma
non
uscì alcun suono: solo una tosse esasperata.
«Santo
cielo…questo…non è forse
sangue?» biascicò mia madre, torturando il lembo
del
suo fazzoletto.
Le
pupille del giovane si ingrandirono alla vista di tutte quelle
goccioline che
mi macchiavano il collo e la veste. Ero più spaventata dalla
sua aria famelica
che dal fatto che i miei polmoni stavano sanguinando. Si
allontanò
repentinamente da me, l’aura delle fiammelle lo illuminava
ancora debolmente.
Corrugando la fronte ordinò: «Pulitela.»
Strizzai
gli occhi per osservarlo nella penombra in cui si era ritirato per
pochi
istanti: gli occhi di ossidiana pura brillavano al riflesso aranciato
delle
candele, e sembrava sforzarsi di mantenere un’espressione
meno inquieta
possibile. Era come se la sua lingua stesse assaggiando un bolo molto
acido e
non potesse fare a meno di sgranare gli occhi e contrarre le guance
– la
sinistra segnata da una strana ruga profonda, che lo rendeva ancora
più
innaturale.
Mio
padre strappò il fazzoletto dalle mani di mia madre
istintivamente e mi ripulì,
rapido. Solo qualche istante dopo si mise a riflettere sul tono
perentorio del
giovane dottore, che a dirla tutta, sembrava più un
universitario. Di nuovo si
avvicinò a me, chinandosi in avanti in modo aggraziato,
ignorando le
espressioni sconcertate dei miei genitori, che ora lo studiavano
attentamente,
pronti a chiamare i nostri valletti e a farlo sparire se avesse detto
nuovamente qualcosa che non andava o, peggio, se avesse fatto qualcosa
che in
quegli istanti desideravo ardentemente. Una pazzia, una cosa
inimmaginabile –
ovviamente. Nulla che avesse a che fare con la razionalità.
«Questo
non va affatto bene, Amaranth.» mi alitò in tono
confidenziale «Se fossi
arrivato un minuto più tardi,» continuò
parlando più a sé stesso che con i miei
parenti là accanto o con me, che lo ascoltavo ammirata senza
perdermi una
sillaba del suo tono leggermente irritato «non so
cosa…»
Non
finì la frase e prese subito i suoi strumenti, cominciando a
visitarmi. Mentre
mi misurava la febbre e ascoltava il mio respiro mi misi a riflettere.
Non gli
avevo mai detto il mio nome. Eppure sembrava che fosse riuscito a
captarlo
oltre la mia tosse sanguinolenta.
Inoltre
non capivo a cosa si stesse riferendo. Era forse stato lui a
raccogliermi dalla
terra battuta del mio giardino, sotto il temporale? Incosciente, avevo
viaggiato fra le sue braccia sbozzate nell’avorio
più lucente, con la sua
giacca chiara che tentava di proteggere il mio tronfio vestito
vermiglio pieno
di sbuffi, merletti e pizzi, mentre la sua camicia di lino dal colorito
candido
– una volta bagnata – lasciava posto alla
trasparenza, aderendo alle forme
delicate e perfette del suo petto? Mentre mi visitava mi sentii
arrossire,
perché i miei occhi sicuramente lasciavano intuire che con
la mente ero lontana
dal mio letto. Sognavo ad occhi aperti – speravo
ad occhi aperti. E probabilmente tentavo di sospirare, estasiata quanto
non
mai, ma dalla mia gola usciva solo un fischio altisonante che faceva da
sottofondo alla mia fortuita immaginazione.
Fu
molto accurato nel controllo, davvero professionale. E veloce. Quando
fece per
andarsene, raccogliendo gli arnesi del mestiere e borbottando qualcosa
di accademico
verso i miei genitori, rimasi sconvolta dall’ondata di
tristezza che sembrava
avermi travolta. Non volevo che se ne andasse.
Sfiorai
la sua pelle fredda impercettibilmente, ma lui se ne accorse. Mi
guardò per più
di qualche istante, e alla luce del candelabro, i suoi occhi erano
nuovamente
oro liquido. Abbozzò un sorriso, aspettando una mia
reazione, che ovviamente
arrivò: il sangue che sembrava incendiarmi le gote mi
salì fino alle orecchie.
Sperai che quello bastasse per fargli capire il mio messaggio. Era
molto più
intelligente di una persona normale, proprio perché non era normale. E forse non era neanche
una persona, ma ne aveva
solo le fattezze.
Non
capivo perché, ma era come se ne avessi la certezza.
«Tornerò
sempre per
prendermi cura di vostra figlia fino a quando non
guarirà.» però sembrò subito
ritrattare le sue parole, perché senza guardarmi aggiunse:
«O almeno fino a
quando riprenderà un po’ di voce.»
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E' una storia complicata, questa.
Lo è anche
la nostra.
Io non mi arrendo; tu
sei uno di quelli duri a morire.
La verità
è che siamo troppo testardi, tesoro.
Ci sono persone che
si vogliono bene a prescindere, e tu devi capire questo:
noi siamo una di quelle
coppie.
Entrambi schiavi,
delle passioni cattive,
e di quelle buone.
Buon non-Anniversario,
Amore.