Quarto capitolo –
Isabella
22 Settembre 2001
“Stai
esagerando.” James tolse il bicchiere di vetro dalla mano di Edward,
posandolo lontano da lui.
“Ancora.”
Disse lui, risoluto.
Era a casa di James
Nomadi, uno dei suoi miglior colleghi e migliore
amico.
“Edward,
basta.
L’ultima volta che ti sei ubriacato è stato quando hai trovato Tanya a letto con un altro. Alla fine del College. Quasi
dieci anni fa. Ora, basta.” Gli puntò un dito contro, affondando
nella poltrona di pelle.
“Se dieci anni fa
mi avessero detto che questa sarebbe stata la mia fine…”
“Fine?” James
rise, accavallando le gambe.
“Perché, non
è la fine?”
“Edward, capisco
che è difficile. Lo è ancora per tutti. Abbiamo perso familiari,
amici e colleghi. Ma questo non è il modo
giusto di comportarsi. Fatti passare la sbronza e vai a parlare con Bella.”
“Tu nemmeno la conosci, Bella.
Non sai che tipo è, e di certo io non voglio passare il resto della mia
vita con lei.” Strascicò le parole,
buttando la testa all’indietro, sulla poltrona.
Non poteva andare a
vivere con Isabella Swan. Questo era fuori discussione.
Maledetta Alice.
“So che Bella
è l’unica donna al mondo che riesce a tenerti testa.”
“Ppf.” Sbuffò Edward, riafferrando il bicchiere
di tequila. “Quella è un diavolo. Non ho intenzione di finire con
lei, per il resto della mia vita.”
“Edward, non dovete
sposarvi o altro. Devi soltanto conviverci per un po’ di tempo. Vedere
come vanno le cose.”
Edward si alzò,
avvicinandosi al suo amico.
“E’
una cosa troppo grossa, James. Non posso vedere come vanno le cose e basta. Se decido di prendermi una responsabilità del genere, sarà
per tutta la vita. Una vita segregato in una casa non mia, con una vita che non
mi appartiene. Non esiste.” Disse, per poi tornare seduto
sull’altra poltrona.
“Segregato? Una casa non tua? Quella è
casa tua, Edward. E’ casa di tua sorella. Una vita non tua? Quelle invece
sono le tue nipoti, Edward. Le figlie di tua sorella, e ti appartengono
più di ogni altra cosa al mondo. Quindi,
smettila di fare il coglione. Alza quel culo e vai a
parlare con Bella.”
“Che risolvo se ci
parlo? Ci siamo visti oggi. Abbiamo parlato con i miei genitori e con quelli di
Jasper. Lei ha solo ventotto anni, James. Non ha mai voluto figli, da quello
che ricordo. Non ha un ragazzo, ma soltanto un attico dove
vive da sola. Non sa come fare la madre, James. Tu pensi che alle mie nipoti
basti soltanto una zia, ora? No. Hanno bisogno di una figura materna. E mia
madre era perfetta per questo. Le avrebbe cresciute lei, e Isabella sarebbe
potuta andare a trovarle ogni volta che voleva. Ma no!
Quella è una testarda! Si è presa la
responsabilità di due ragazzine, senza nemmeno un lavoro.”
“Quanto
parli.” Disse James, smuovendo il ghiaccio dentro il suo bicchiere.
“Adoro tua madre, lo sai anche tu. Ma sai anche che Alice avrà avuto i suoi buoni motivi, per fare una cosa del
genere.”
Edward picchiettò
il dito sulla sua tempia.
“Era matta, James.
Una pazza. Sono d’accordo sul fatto che prevenire sia meglio del curare,
e che siano stati tutti e due molto intelligenti a
fare un testamento, subito dopo il matrimonio. Ma questo
è troppo.”
“Tua sorella ti
voleva bene più di qualsiasi altra cosa al mondo, Edward. E’ per questo che ha scelto di prendere una decisione
del genere.”
“No. E Jasper era talmente accecato
dall’amore che provava per lei, che nemmeno avrà detto qualcosa
quando lei ha preso questa decisione. Perché lo sappiamo entrambi, Alice
ha scelto sia per lei che per lui. James,
pensa se fosse successo prima. Pensa se Alice e Jasper fossero morti dieci anni fa: chi avrebbe preso le bambine? Io che
avevo solo vent’anni e Isabella che ne aveva
appena diciotto? Cazzo!” Si alzò di nuovo,
camminando avanti e indietro per quell’enorme salone. “Alice aveva seri problemi, a proposito. Non posso buttare tutto all’aria così!”
Alzò la voce di qualche ottava, gesticolando con le mani.
“Lo sai qual
è il punto, Edward?” Domandò James, alzandosi anche lui per
avvicinarsi a Edward. “Ormai tutto è andato già a puttane.
Il lavoro, le famiglie, persone che non sanno più cosa fare della
propria vita. E tu hai un minimo di speranza, Edward! Andare a vivere con
Bella, stare tutti i giorni con le tue nipoti ti aiuterà. Aiuterà
entrambi. Se vuoi usare la scusa del lavoro, fai pure. Ma sai benissimo che
abbiamo già trovato una nuova sede in affitto, che il team di Los
Angeles trasferirà nuovi impiegati qui, per
aiutarci. E sai che non è un problema.” James gli puntò un
dito contro, toccandogli la camicia. “Il problema è che sei
spaventato, ed hai tutte le ragioni del mondo per
esserlo. Ma hai la tua famiglia, qui. I tuoi amici, la
possibilità di passare più tempo con le tue nipotine, ma non ne
hai il coraggio. Bella invece non ha nessuno, e guarda ora
dove si trova: in una casa che nemmeno conosce, con due bambine che
prima vedeva soltanto alle cene di famiglia.”
“Non paragonarmi ad Isabella.” Disse Edward, voltandosi. “Noi due
non abbiamo nulla in comune. Ci conosciamo da più di dieci anni, ma non
abbiamo mai parlato veramente. Quindi, non ti permettere di paragonarmi a lei.”
“E’ qui che
ti sbagli, Edward. Ora avete in comune più cose
di quanto credessi. C’è qualcosa che vi unisce, e che vi unirà per il resto delle vostre vite. Ma decidere sta a te.”
“Non è una
decisione da prendere in una giornata, James.”
“Edward,
questa è una decisione che si può prendere anche in cinque minuti. Hai trent’anni, e sei un uomo
di successo. Devi soltanto decidere se sei un codardo o no.”
Così dicendo, James uscì dalla stanza.
Portando dietro di sé il rumore di un bicchiere di vetro che si frantumava.
23 Settembre 2001
“L’avevo
detto io che era un uomo intelligente!”
“Leah! Sei un’ipocrita! Nemmeno ventiquattro ore fa
hai detto che Edward è un codardo.”
“L’ho detto
apposta, che ti credi?” Bella sapeva benissimo che non poteva contraddire
una donna incinta, per di più di due gemelli e al settimo mese.
“Okay.”
“Non fare come
Jacob, ora. Ogni volta che faccio o dico qualcosa di sbagliato, mi da sempre ragione. Sono incinta, ma non
isterica.”
“Cambiamo argomento
che è meglio.” Disse Bella, trattenendosi dal ridere.
Sapeva benissimo che Leah era incinta, ed anche molto isterica.
“Ora dove
sono?”
“Mia dorme ed Emma
è giù a guardare i cartoni con Edward.” Spiegò,
alzandosi dal letto.
“Bella, sono le
nove e mezza! Lo sai che dovrebbe stare già nel
suo letto?”
“I piani erano
quelli. Ma ha detto che Alice le faceva vedere
“Hai
ragione.” Leah sospirò, dall’altra
parte del telefono.
Isabella pensò che
prima c’era Alice, al posto di Leah. Ogni sera la chiamava sempre, per raccontarle come
era andata la giornata. Per farsi dire come stavano le sue nipotine, cosa
facevano e se poteva parlare con loro.
Strinse gli occhi,
ricacciando indietro le lacrime.
“Senti, vado
giù e vedo se riesco a scollarli dal divano.”
“In bocca al lupo.
E non litigare con Edward davanti alle bambine!”
“Non ti
preoccupare, per ora va tutto alla grande.”
“Questo
perché non sono passate nemmeno cinque ore. Fra una settimana voglio
proprio sentire come starete. Con l’acqua alla gola, te
lo dico io.”
“Fantastico, Leah. Sei
un’amica incredibile.”
Leah rise rumorosamente.
“Ci sentiamo domani, tesoro. Buonanotte.”
“Buonanotte Leah.”
Bella posò il
cellulare sul comodino della sua nuova stanza, si sistemò
la maglietta ed i pantaloncini che usava per dormire, e poi scese al piano
inferiore.
Ovviamente Edward ed Emma
erano stesi sul divano, il primo con le gambe allungate sul tavolinetto di
vetro davanti a sé, e la seconda rannicchiata al suo petto.
“Questo non
è un bel cartone.” Sentì dire da Edward, che indicava
“Se non ti piace puoi anche andare a dormire.” Rispose Emma,
facendo scappare un sorriso a Bella, rimasta sull’ultimo scalino per non
disturbarli.
“In pratica
è una donna, in teoria dovrebbe essere un uomo. Maria Antonietta si
è innamorata di lei! Ti rendi conto di cosa stai guardando?”
“Zio, è Lady
Oscar! Non mi interessa di chi si innamora, mi piace e
lo guardo.”
“Speriamo che tua
sorella non guardi cartoni del genere.”
“No.” Emma
gesticolò con le mani. “Lei guarda solo Hello
Spank.”
“Oh, Dio.
Quell’animale amorfo.”
Emma alzò gli
occhi, fissando Edward.
“Che significa
amorfo?” Lui invece sospirò, alzando gli occhi nello stesso
identico modo di sua nipote.
“Lascia stare.
Comunque, Lady Oscar non è un cartone educativo. Dobbiamo
vederne altri.”
“Piccoli problemi
di cuore?”
“Emma! Quelli sono
fratelli, invece!” La bambina rise, accoccolandosi di più sul
petto di Edward e sbadigliando sonoramente.
“Non è ora
di andare a letto?” Bella decise di avvicinarsi a loro, appena dopo aver
finito la discussione per l’animale amorfo e il quasi incesto in Piccoli
problemi di cuore.
“No. La canzone della buonanotte non
è ancora arrivata.” Sbadigliò di
nuovo, puntando un dito contro Bella.
“E tu sei
stanchissima, invece. Ti ricordi che domani c’è
scuola, vero?”
“Uffa. Posso
prendermi un giorno di vacanza?”
“Non se ne
parla.” Edward precedette Bella nella risposta. “Tu domani vai a scuola. Proprio come tua sorella.”
“Mi accompagni tu,
zia Bella?”
Bella si sedette sul
divano, torturandosi le mani. “Non è meglio che ti accompagna zio
Edward?”
“Mi accompagna
sempre lui! E poi la maestra di Mia vuole che entra sempre
con lei.”
Bella arcuò le
sopracciglia, scoccando un’occhiata a Edward che invece era molto preso
dal cartone in quel momento.
“Ah,
veramente?”
“Sì. Anche
quando ci accompagnava papà, la signorina Jessica voleva che
accompagnasse Mia dentro. Quando invece ci portava mamma, la salutava sempre da
fuori.”
Bella ci mise due secondi
a inquadrare che tipo potesse essere la signorina Jessica.
“Tesoro, ti
prometto che ti accompagnerò la prossima settimana. Ma ho del lavoro da
sbrigare, e non ho la macchina. Invece zio Edward ha la macchina, e ci impiega meno tempo. Okay?”
Emma non era molto sicura
della scusa che le aveva rifilato Bella, ma annuì lo stesso, troppo
presa ad ascoltare la canzone della buonanotte che era appena iniziata.
Nemmeno diede il tempo
alla ragazza in TV di intonare l’ultima strofa, che aveva chiuso gli
occhi ed era crollata.
“La porto
su.” Disse Edward, caricandosela in braccio e salendo le scale.
Intanto Bella tirò
fuori dalla sua borsa alcuni documenti, portandoseli in cucina. Si sedette su
uno sgabello, e aprì le cartelline davanti a sé, esaminandole con
cura.
“Problemi?”
Sobbalzò, quando sentì la voce di Edward.
“Mh. E’ da giorni che cerco di contattare
l’agenzia per avere una nuova struttura dove poter esporre. Ma niente.”
“Provato al MoMa?” Bella rise
talmente forte che dovette coprirsi la bocca con la mano. “Era divertente?”
Domandò Edward scettico, sedendosi davanti a lei.
“Edward, è
vero che gli artisti che si affidano a me sono conosciuti e famosi, ma il MoMa è troppo anche per
me.”
“Provare non costa
niente, no?”
“Esageri
sempre.” Gli schioccò un’occhiataccia, sistemando i
documenti e rimettendoli nelle cartelline.
“Dote di
natura.” Edward sbadigliò, stirando le braccia. “Ripeto:
provare non costa niente, Isabella.”
“Ora basta.”
Bella chiuse l’ultima cartellina con più forza, puntandogli un
dito contro. “Ora abitiamo insieme, volente o nolente. Ed io odio quando
le persone mi chiamano Isabella.”
“E’ il tuo
nome.” Disse Edward, con ovvietà.
“Lo so che è
il mio nome, Edward. Ma non chiamarmi Isabella. Siamo
persone adulte, ormai. Basta con questo giochetto, perché anche se
abbiamo trent’anni, continua ad
innervosirmi.”
“Giochetto?”
Bella sorrise amaramente.
“Non è uno
stupido gioco che va avanti da quando ci siamo conosciuti?”
“Aspetta. Tu credi che ti
chiamo Isabella per darti fastidio?” Facendo quella domanda si era
alzato, aveva superato il tavolo e si era avvicinato a Bella.
“Non è
così?”
“No.” Le
diede un piccolo buffetto sulla fronte. “Ti chiamo
Isabella perché è un nome che mi piace. Molto più
di Bella. Ed ora, vado a dormire. Buonanotte.”
Allungò la mano destra portandola dietro il collo di Bella, avvicinando
lentamente la testa di lei a quella di lui. A pochi
centimetri di distanza, le schioccò un bacio sulla fronte. Dopo qualche
minuto, era già salito al piano superiore.
Lasciando
per la seconda volta la ragazza con la bocca mezza aperta e gli occhi sbarrati,
attaccata al piano cottura. E con la stessa domanda che le rimbombava nella testa.
Cosa diamine stava succedendo?