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Autore: Tati Saetre    08/04/2014    8 recensioni
Edward ha 30 anni, capo della Cullen Media Group, è un uomo presuntuoso, egoista e viziato.
Isabella ha 28 anni, direttrice di una delle Gallerie d'arte più famose di New York, è in cerca dell'uomo della sua vita.
Che cosa li accomunerà per il resto delle loro vite?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Quarto capitolo – Isabella

Quarto capitolo – Isabella

22 Settembre 2001

 

“Stai esagerando.” James tolse il bicchiere di vetro dalla mano di Edward, posandolo lontano da lui.

“Ancora.” Disse lui, risoluto.

Era a casa di James Nomadi, uno dei suoi miglior colleghi e migliore amico.

“Edward, basta. L’ultima volta che ti sei ubriacato è stato quando hai trovato Tanya a letto con un altro. Alla fine del College. Quasi dieci anni fa. Ora, basta.” Gli puntò un dito contro, affondando nella poltrona di pelle.

“Se dieci anni fa mi avessero detto che questa sarebbe stata la mia fine…

“Fine?” James rise, accavallando le gambe.

“Perché, non è la fine?”

“Edward, capisco che è difficile. Lo è ancora per tutti. Abbiamo perso familiari, amici e colleghi. Ma questo non è il modo giusto di comportarsi. Fatti passare la sbronza e vai a parlare con Bella.

“Tu nemmeno la conosci, Bella. Non sai che tipo è, e di certo io non voglio passare il resto della mia vita con lei. Strascicò le parole, buttando la testa all’indietro, sulla poltrona.

Non poteva andare a vivere con Isabella Swan. Questo era fuori discussione.

Maledetta Alice.

“So che Bella è l’unica donna al mondo che riesce a tenerti testa.”

Ppf.” Sbuffò Edward, riafferrando il bicchiere di tequila. “Quella è un diavolo. Non ho intenzione di finire con lei, per il resto della mia vita.

“Edward, non dovete sposarvi o altro. Devi soltanto conviverci per un po’ di tempo. Vedere come vanno le cose.”

Edward si alzò, avvicinandosi al suo amico.

“E’ una cosa troppo grossa, James. Non posso vedere come vanno le cose e basta. Se decido di prendermi una responsabilità del genere, sarà per tutta la vita. Una vita segregato in una casa non mia, con una vita che non mi appartiene. Non esiste.” Disse, per poi tornare seduto sull’altra poltrona.

“Segregato? Una casa non tua? Quella è casa tua, Edward. E’ casa di tua sorella. Una vita non tua? Quelle invece sono le tue nipoti, Edward. Le figlie di tua sorella, e ti appartengono più di ogni altra cosa al mondo. Quindi, smettila di fare il coglione. Alza quel culo e vai a parlare con Bella.”

“Che risolvo se ci parlo? Ci siamo visti oggi. Abbiamo parlato con i miei genitori e con quelli di Jasper. Lei ha solo ventotto anni, James. Non ha mai voluto figli, da quello che ricordo. Non ha un ragazzo, ma soltanto un attico dove vive da sola. Non sa come fare la madre, James. Tu pensi che alle mie nipoti basti soltanto una zia, ora? No. Hanno bisogno di una figura materna. E mia madre era perfetta per questo. Le avrebbe cresciute lei, e Isabella sarebbe potuta andare a trovarle ogni volta che voleva. Ma no! Quella è una testarda! Si è presa la responsabilità di due ragazzine, senza nemmeno un lavoro.”

“Quanto parli.” Disse James, smuovendo il ghiaccio dentro il suo bicchiere. “Adoro tua madre, lo sai anche tu. Ma sai anche che Alice avrà avuto i suoi buoni motivi, per fare una cosa del genere.”

Edward picchiettò il dito sulla sua tempia.

“Era matta, James. Una pazza. Sono d’accordo sul fatto che prevenire sia meglio del curare, e che siano stati tutti e due molto intelligenti a fare un testamento, subito dopo il matrimonio. Ma questo è troppo.”

“Tua sorella ti voleva bene più di qualsiasi altra cosa al mondo, Edward. E’ per questo che ha scelto di prendere una decisione del genere.”

“No. E Jasper era talmente accecato dall’amore che provava per lei, che nemmeno avrà detto qualcosa quando lei ha preso questa decisione. Perché lo sappiamo entrambi, Alice ha scelto sia per lei che per lui. James, pensa se fosse successo prima. Pensa se Alice e Jasper fossero morti dieci anni fa: chi avrebbe preso le bambine? Io che avevo solo vent’anni e Isabella che ne aveva appena diciotto? Cazzo!” Si alzò di nuovo, camminando avanti e indietro per quell’enorme salone. “Alice aveva seri problemi, a proposito. Non posso buttare tutto all’aria così!” Alzò la voce di qualche ottava, gesticolando con le mani.

“Lo sai qual è il punto, Edward?” Domandò James, alzandosi anche lui per avvicinarsi a Edward. “Ormai tutto è andato già a puttane. Il lavoro, le famiglie, persone che non sanno più cosa fare della propria vita. E tu hai un minimo di speranza, Edward! Andare a vivere con Bella, stare tutti i giorni con le tue nipoti ti aiuterà. Aiuterà entrambi. Se vuoi usare la scusa del lavoro, fai pure. Ma sai benissimo che abbiamo già trovato una nuova sede in affitto, che il team di Los Angeles trasferirà nuovi impiegati qui, per aiutarci. E sai che non è un problema.” James gli puntò un dito contro, toccandogli la camicia. “Il problema è che sei spaventato, ed hai tutte le ragioni del mondo per esserlo. Ma hai la tua famiglia, qui. I tuoi amici, la possibilità di passare più tempo con le tue nipotine, ma non ne hai il coraggio. Bella invece non ha nessuno, e guarda ora dove si trova: in una casa che nemmeno conosce, con due bambine che prima vedeva soltanto alle cene di famiglia.”

“Non paragonarmi ad Isabella.” Disse Edward, voltandosi. “Noi due non abbiamo nulla in comune. Ci conosciamo da più di dieci anni, ma non abbiamo mai parlato veramente. Quindi, non ti permettere di paragonarmi a lei.

“E’ qui che ti sbagli, Edward. Ora avete in comune più cose di quanto credessi. C’è qualcosa che vi unisce, e che vi unirà per il resto delle vostre vite. Ma decidere sta a te.”

“Non è una decisione da prendere in una giornata, James.”

“Edward, questa è una decisione che si può prendere anche in cinque minuti. Hai trent’anni, e sei un uomo di successo. Devi soltanto decidere se sei un codardo o no. Così dicendo, James uscì dalla stanza. Portando dietro di sé il rumore di un bicchiere di vetro che si frantumava.

 

 

 

23 Settembre 2001

 

“L’avevo detto io che era un uomo intelligente!”

Leah! Sei un’ipocrita! Nemmeno ventiquattro ore fa hai detto che Edward è un codardo.

“L’ho detto apposta, che ti credi?” Bella sapeva benissimo che non poteva contraddire una donna incinta, per di più di due gemelli e al settimo mese.

“Okay.”

“Non fare come Jacob, ora. Ogni volta che faccio o dico qualcosa di sbagliato, mi da sempre ragione. Sono incinta, ma non isterica.”

“Cambiamo argomento che è meglio.” Disse Bella, trattenendosi dal ridere.

Sapeva benissimo che Leah era incinta, ed anche molto isterica.

“Ora dove sono?”

“Mia dorme ed Emma è giù a guardare i cartoni con Edward.” Spiegò, alzandosi dal letto.

“Bella, sono le nove e mezza! Lo sai che dovrebbe stare già nel suo letto?

“I piani erano quelli. Ma ha detto che Alice le faceva vedere la TV fino alla canzone della buonanotte. Non voglio stravolgere i loro ritmi.”

“Hai ragione.” Leah sospirò, dall’altra parte del telefono.

Isabella pensò che prima c’era Alice, al posto di Leah. Ogni sera la chiamava sempre, per raccontarle come era andata la giornata. Per farsi dire come stavano le sue nipotine, cosa facevano e se poteva parlare con loro.

Strinse gli occhi, ricacciando indietro le lacrime.

“Senti, vado giù e vedo se riesco a scollarli dal divano.”

“In bocca al lupo. E non litigare con Edward davanti alle bambine!

“Non ti preoccupare, per ora va tutto alla grande.”

“Questo perché non sono passate nemmeno cinque ore. Fra una settimana voglio proprio sentire come starete. Con l’acqua alla gola, te lo dico io.”

“Fantastico, Leah. Sei un’amica incredibile.”

Leah rise rumorosamente.

“Ci sentiamo domani, tesoro. Buonanotte.”

“Buonanotte Leah.”

Bella posò il cellulare sul comodino della sua nuova stanza, si sistemò la maglietta ed i pantaloncini che usava per dormire, e poi scese al piano inferiore.

Ovviamente Edward ed Emma erano stesi sul divano, il primo con le gambe allungate sul tavolinetto di vetro davanti a sé, e la seconda rannicchiata al suo petto.

“Questo non è un bel cartone.” Sentì dire da Edward, che indicava la TV.

“Se non ti piace puoi anche andare a dormire.” Rispose Emma, facendo scappare un sorriso a Bella, rimasta sull’ultimo scalino per non disturbarli.

“In pratica è una donna, in teoria dovrebbe essere un uomo. Maria Antonietta si è innamorata di lei! Ti rendi conto di cosa stai guardando?”

“Zio, è Lady Oscar! Non mi interessa di chi si innamora, mi piace e lo guardo.”

“Speriamo che tua sorella non guardi cartoni del genere.”

“No.” Emma gesticolò con le mani. “Lei guarda solo Hello Spank.”

“Oh, Dio. Quell’animale amorfo.”

Emma alzò gli occhi, fissando Edward.

“Che significa amorfo?” Lui invece sospirò, alzando gli occhi nello stesso identico modo di sua nipote.

“Lascia stare. Comunque, Lady Oscar non è un cartone educativo. Dobbiamo vederne altri.”

“Piccoli problemi di cuore?”

“Emma! Quelli sono fratelli, invece!” La bambina rise, accoccolandosi di più sul petto di Edward e sbadigliando sonoramente.

“Non è ora di andare a letto?” Bella decise di avvicinarsi a loro, appena dopo aver finito la discussione per l’animale amorfo e il quasi incesto in Piccoli problemi di cuore.

“No. La canzone della buonanotte non è ancora arrivata. Sbadigliò di nuovo, puntando un dito contro Bella.

“E tu sei stanchissima, invece. Ti ricordi che domani c’è scuola, vero?”

“Uffa. Posso prendermi un giorno di vacanza?”

“Non se ne parla.” Edward precedette Bella nella risposta. “Tu domani vai a scuola. Proprio come tua sorella.”

“Mi accompagni tu, zia Bella?”

Bella si sedette sul divano, torturandosi le mani. “Non è meglio che ti accompagna zio Edward?”

“Mi accompagna sempre lui! E poi la maestra di Mia vuole che entra sempre con lei.”

Bella arcuò le sopracciglia, scoccando un’occhiata a Edward che invece era molto preso dal cartone in quel momento.

“Ah, veramente?”

“Sì. Anche quando ci accompagnava papà, la signorina Jessica voleva che accompagnasse Mia dentro. Quando invece ci portava mamma, la salutava sempre da fuori.

Bella ci mise due secondi a inquadrare che tipo potesse essere la signorina Jessica.

“Tesoro, ti prometto che ti accompagnerò la prossima settimana. Ma ho del lavoro da sbrigare, e non ho la macchina. Invece zio Edward ha la macchina, e ci impiega meno tempo. Okay?”

Emma non era molto sicura della scusa che le aveva rifilato Bella, ma annuì lo stesso, troppo presa ad ascoltare la canzone della buonanotte che era appena iniziata.

Nemmeno diede il tempo alla ragazza in TV di intonare l’ultima strofa, che aveva chiuso gli occhi ed era crollata.

“La porto su.” Disse Edward, caricandosela in braccio e salendo le scale.

Intanto Bella tirò fuori dalla sua borsa alcuni documenti, portandoseli in cucina. Si sedette su uno sgabello, e aprì le cartelline davanti a sé, esaminandole con cura.

“Problemi?” Sobbalzò, quando sentì la voce di Edward.

Mh. E’ da giorni che cerco di contattare l’agenzia per avere una nuova struttura dove poter esporre. Ma niente.”

“Provato al MoMa?” Bella rise talmente forte che dovette coprirsi la bocca con la mano. “Era divertente?” Domandò Edward scettico, sedendosi davanti a lei.

“Edward, è vero che gli artisti che si affidano a me sono conosciuti e famosi, ma il MoMa è troppo anche per me.”

“Provare non costa niente, no?”

“Esageri sempre.” Gli schioccò un’occhiataccia, sistemando i documenti e rimettendoli nelle cartelline.

“Dote di natura.” Edward sbadigliò, stirando le braccia. “Ripeto: provare non costa niente, Isabella.”

“Ora basta.” Bella chiuse l’ultima cartellina con più forza, puntandogli un dito contro. “Ora abitiamo insieme, volente o nolente. Ed io odio quando le persone mi chiamano Isabella.

“E’ il tuo nome.” Disse Edward, con ovvietà.

“Lo so che è il mio nome, Edward. Ma non chiamarmi Isabella. Siamo persone adulte, ormai. Basta con questo giochetto, perché anche se abbiamo trent’anni, continua ad innervosirmi.”

“Giochetto?” Bella sorrise amaramente.

“Non è uno stupido gioco che va avanti da quando ci siamo conosciuti?”

“Aspetta. Tu credi che ti chiamo Isabella per darti fastidio?” Facendo quella domanda si era alzato, aveva superato il tavolo e si era avvicinato a Bella.

“Non è così?”

“No.” Le diede un piccolo buffetto sulla fronte. “Ti chiamo Isabella perché è un nome che mi piace. Molto più di Bella. Ed ora, vado a dormire. Buonanotte.” Allungò la mano destra portandola dietro il collo di Bella, avvicinando lentamente la testa di lei a quella di lui. A pochi centimetri di distanza, le schioccò un bacio sulla fronte. Dopo qualche minuto, era già salito al piano superiore.

Lasciando per la seconda volta la ragazza con la bocca mezza aperta e gli occhi sbarrati, attaccata al piano cottura. E con la stessa domanda che le rimbombava nella testa.

Cosa diamine stava succedendo?

   
 
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