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Autore: Agnese_san    10/04/2014    1 recensioni
LUGLIO 1944
I suoi occhi si aprirono al rumore, la consapevolezza di dove si trovava non arrivò immediatamente. Da qualche parte tra il buio e la luce, rifletté, strizzando gli occhi per aggiustarli alla silenziosa semioscurità che la circondava.[...]
L’uomo le dava le spalle, piegato sopra un piccolo dispositivo a forma di cono. Scintille illuminarono per un momento la caverna, proiettando un arco d’argento contro l’alto soffitto. Immaginò che si trattasse di una saldatrice. [...]
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Liz Parker, Max Evans
Note: Missing Moments, Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

Lei sentì tendersi il corpo di lui e i suoi bicipiti, mentre la posava delicatamente a terra. Sopra di loro, i raggi della luna pendevano dalle nuvole come nastri. Gli occhi di lui, che brillavano leggermente, stavano riflettendo quella luce ed erano pieni di stupore, mentre le tracciava la linea della mascella con le sue dita.

"Cosa ricordi di me?" le mormorò, la voce roca, mentre le sue labbra si aprivano in un sorriso pieno di domande.

"Tutto. Che ti ho raccolto sotto la pioggia, la caverna … " lei esitò. "E che mi hai baciato."

Lui rise. Una piccola risata nervosa. "Ma ancora di più … mi sembra di averti già conosciuto da prima, come se questa non fosse la prima volta che ci siamo incontrati." Lei attese, il cuore che le martellava contro il petto, non sicura di quale sarebbe stata la reazione di lui a quelle parole.

In quel momento, lui fu prigioniero dell’importanza di quella situazione. Quella missione era essenziale. Il destino del suo pianeta dipendeva dall’occultamento del Granilith. Lui avrebbe dovuto semplicemente liberarsi di lei. E alla svelta. Non avrebbe dovuto fare altro che toccarla e spedire l’energia che le avrebbe fermato il cuore … o avrebbe potuto tenerla come prigioniera. Rinchiuderla nella caverna, con cibo e acqua sufficienti a sostenerla, fino a quando lui non fosse tornato, la settimana successiva.

Forse avrebbe potuto procurarsi altre istruzioni su come pulirle la mente, una tecnica differente che avrebbe potuto farle dimenticare. O avrebbe potuto, semplicemente, fidarsi di lei. C’erano stati degli umani che avevano mantenuto il segreto della loro esistenza. Ma solo qualcuno. Avrebbe potuto considerarla una di quelli?

Ponderò attentamente le tre scelte. Ucciderla, tenerla prigioniera fino a che non avrebbe trovato un rimedio alla resistenza della sua mente o rivelarle il motivo della sua venuta su quel pianeta e avere fiducia che lei non lo tradisse.

Alla fine, decise di seguire il suo cuore. Lei non gli era sembrata falsa o pericolosa. Lei gli aveva toccato l’anima e lui voleva scoprire perché. Era molto di più che semplice curiosità. Era imperativo che lui scoprisse la ragione del perché lei poteva influire così tanto su di lui. L’intensità e lo splendore della sua aura lo attraeva – riverberava in ogni atomo e in ogni molecola del suo essere. Ci sarebbero state molte domande per gli anziani che avevano scritto il Libro del Destino, dopo il suo ritorno su Antar.

Abbassando la testa, le toccò la fronte con la sua, le prese una mano e se la posò sul cuore.

"Se ti lascio andare, mi prometterai di non parlare con nessuno di quello che hai scoperto stanotte?" le sussurrò dolcemente.

Sentì la piccola mano di lei prendere la sua, sollevarla e posarla sulle piccole rotondità del suo seno, imitando il suo gesto.

"Lo prometto." gli rispose in un sussurro, senza traccia di paura nella voce. "Ad una condizione."

"Tu non sei in posizione tale da porre condizioni." le disse, con un leggero sorriso che gli increspò la bocca.

"Me ne rendo conto." ribatté lei, con un sorriso raggiante. "Ma so che tu vuoi vedermi ancora. Posso capirlo, sentirlo. Inoltre, credo che tutti e due abbiamo domande che hanno bisogno di una risposta."

Lui annuì. "Tra una settimana. Domenica. Ti aspetterò nello stesso posto in cui ci siamo incontrati." Allungando una mano, le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

"La mia vita … la vita di questo corpo è nelle tue mani. Ricordalo." disse lui, tornando sui suoi passi e dirigendosi verso la caverna.

Arrivato a metà strada, sentì la voce di lei che lo chiamava. Si voltò a guardarla.

"Il tuo nome." chiese lei. "Ti sei dimenticato di dirmi come ti chiami." Lei vide l’atteggiamento di lui cambiare sotto i suoi occhi. Raddrizzandosi, guardò verso di lei, la sua espressione illeggibile, la sua postura improvvisamente maestosa.

"Zander, ma tu puoi chiamarmi Zan." le rispose formale. "E il tuo?"

"Elizabeth, ma TU puoi chiamarmi Liz." rispose lei, prendendosi gioco del suo tomo imperioso. Il suono della risata di Liz lo seguì su per la collina.

* * * * *

La settimana passò lentamente. Perfino le ore passate a lavorare al quadro di comando, ore che di solito volavano, passarono lentamente. E le notti furono più lunghe e piene di sogni di lui. Lei si chiese se avesse un aspetto differente. Il suo sorriso era cambiato? Il suo sguardo l’avrebbe tradita? Divenne cauta nelle sue conversazioni con colleghi ed amici, timorosa di lasciarsi scappare qualcosa e di rivelare il suo segreto.

Lei sapeva che il Dottor Andrews avrebbe percepito la sua ansia, ma sapeva che l’avrebbe attribuita alle notizie che le aveva dato. E non erano belle notizie. Il dottore le aveva prescritto pillole per il dolore, pillole per farla dormire e altre pillole per calmarle i nervi. Ma non c’erano medicine per il suo cuore o per il desiderio di trovarsi ancora tra le braccia di Zan. Il suo corpo le doleva, ma non per la malattia. Le doleva per il desiderio di essere toccata da Zan, per i suoi baci.

La domenica, svolse il suo turno come volontaria all’U.S.O., cercando il viso di lui tra la gente, tra i soldati che venivano per ballare con le ragazze del posto. Apriva le bottiglie di birra da servire ai soldati, mentre la musica del jukebox suonava nel locale pieno di fumo. Uscì un po’ prima e guidò fino al punto in cui l’aveva visto la prima volta.

Aspettò. Vide il sole arrossire nel tramonto, espresse un desiderio alla Stella della Sera e rimase incantata dal sorgere della luna. Sognando. Sperando. Contando ogni minuto, fino a che lui non fosse comparso. Poté quasi udire la sabbia del deserto cantare, quando i piedi di lui lo portarono dove lei lo stava aspettando. C’erano così tante cose che lei avrebbe voluto sapere e c’era così poco tempo.

Lui la osservò, stagliata contro la luce della luna. Il luccichio argentato della luce, nel buio della notte, si modellava contro la seta dei suoi capelli. Anche da quella distanza riusciva a vedere gli occhi di lei. Occhi che lo stavano cercando. Occhi pieni di domande. Trattenne il respiro, un’ ondata di gioia che gli pervase la pelle. Lei era bellissima.

Quella donna. Quella umana. Quella parte della sua anima. Gli anziani glielo avevano confermato, una volta che lui aveva rivelato loro l’esperienza avuta il primo giorno sulla Terra. Come poteva dirle quello che aveva saputo ed aspettarsi che lei capisse? E come avrebbe potuto lasciarla andare, ora che lui sapeva?

la forza improvvisa del piccolo corpo che volò tra le sue braccia, lo fece incespicare all’indietro.

"Sei qui." gridò lei con la voce piena di gioia. "Sei tornato."

"Come ti avevo detto." rispose lui, sorpreso dalla sfrenata esibizione delle sue emozioni.

"Bene. Allora andiamo." lei rise, afferrandogli la mano e tirandolo verso la macchina. "Andiamo a fare un giro."

Lui la seguì, ipnotizzato dal vento che giocava con le ciocche dei capelli di lei. Nessuna brezza del deserto avrebbe potuto raffreddare il fuoco che si stava accendendo nei suoi lombi. Si lasciò cadere nel sedile accanto a lei, prigioniero volontario, catturato dal suo sorriso. Si chiese se lei fosse lontanamente consapevole del potere che aveva su di lui. Che un bacio delle sue labbra avrebbe potuto mettere in ginocchio un Re. Aveva così tante cose da dirle e c’era così poco tempo.

 
   
 
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