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Autore: oOLeylaOo    13/07/2008    1 recensioni
Fanfiction su sweep, la serie di Cate Tiernan. La storia è ambientata dopo l'ultimo libro uscito in italia. Visto che sto scrivendo anche un altra storia l'aggiornamento sarà un pò lento! Scusate in anticipo.
Genere: Generale, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti, so che stavolta è passato un bel pò di tempo, ma ero ipersommersa dagli esami. Nell'attesa è uscito l'altro libro della Tiernan... quanto sono lenta -.-

Capitolo 10

-Veri amici-

@Andy@

Una distesa di sabbia bianca si stendeva ai miei piedi mentre saltellavo felice: era bellissima, come il blu del male che vedevo in lontananza, il sole splendeva bruciante in un cielo azzurro senza nuvole. Ero a casa! Casa!
L’aeroporto è situato appena fuori la Pacific Coast Highway e non era troppo distante da casa. Vivevo in un modesto appartamento a Long Beach ed ero abituata al sole perenne e al mare, temperature non inferiori ai tredici gradi, gli stessi tredici gradi che avevo più o meno trovato a Window’s Vale. Okay, forse non erano tredici, ma era decisamente troppo freddo per i miei gusti “calienti”.
Adoravo il mare, il mio mare. Mi era mancato.  Con un sospiro mi voltai e mi diressi verso il vialetto asfaltato, dalla parte opposta del mare, con un sospiro triste, ripromettendomi però di tornarci appena depositati i bagagli e infilato il costume. Mentre attraversavo le strade per arrivare all’appartamento dove vivevo con i miei genitori, la mia mente ritornò agli ultimi giorni e sentii una fitta del senso di colpa stringermi lo stomaco: me ne ero andata in quel modo, senza dire niente a nessuno. Avevo lasciato un biglietto. Si sarebbero sicuramente preoccupati.
Il senso di colpa divenne enorme e mi schiacciò quasi, ma poi il volto di Killian, i fiori e gli eventi strani mi si accavallarono nella mente e fu come se una gru tirasse su gigantesco macigno che avevo sulle spalle, mi sentii subito meglio.
Ero lontana da Killian, da Morgan, dal suo ragazzo inglese di cui avevo totalmente rimosso il nome e da qualunque cosa magica ci fosse a questo mondo.
Entrai nell’ascensore del mio condominio: un palazzo a cinque piani con un garage sotterraneo, a circa cento metri dal mare. All’esterno il palazzo era completamente bianco, persino le persiane era banche, ma dentro le pareti erano di uno spento verde chiaro che ricordava un po’ quella dell’ospedale. Ovviamente noi stavamo all’ultimo piano e di solito c’era un caldo infernale, ma fortunatamente ero riuscita a convincere i miei a mettere l’aria condizionata, perciò in casa si stava decisamente bene.
L’ascensore aveva le pareti gialle e uno specchio da una parte, mi ci appoggiai evitando di guardare il mio riflesso, preferivo di gran lunga non sapere che aspetto avevo. Appena le porte si chiusero lasciai cadere a terra la sacca/valigia con i miei vestiti e chiusi gli occhi mentre aspettavo di arrivare al mio piano. Ci mise tre minuti buoni, quel coso era dannatamente lento!
Quando finalmente si fermò afferrai la sacca prima che le porte si aprissero e appena possibile mi fiondai fuori diretta alla porta del mio appartamento, che ovviamente era dietro all’ascensore. Ovviamente appena fuori sentii l’abbaiare concitato del barboncino della signora Pain. Lo ignorai come facevo di solito e andai diritta alla cassetta rossa contenente l’estintore, nascosta all’interno c’era la chiave di casa. La presi e andai alla porta, ma quando girai la chiave si aprì subito: questo era strano perché mio padre quando partiva aveva l’abitudine di chiudere la porta con tre giri di chiave.
Entrai nell’appartamento senza pulirmi le scarpe allo zerbino e di nuovo restai sorpresa: le persiane erano tirate in alto e le portefinestre che davano sul terrazzo erano aperte. Il caldo-umido era soffocante e mentre abbandonavo il mio bagaglio accanto al divano arancione del salto e mi dirigevo verso la portafinestra sentii la voce di mia madre.
-Allora questa sera alle sei …- disse mentre mi avvicinavo piano alla porta, passando tra il televisore e il tavolino basso di vetro arrivai alla porta. -Si… si va bene.- riprese a parlare.
Stava parlando al telefono.
-Si, i documenti per il divorzio sono tutti pronti. -
Divorzio? Ma il viaggio non era per tentare di appianare le divergenze?
-No, Andy non lo sa. L’abbiamo mandata dal fratello di Alan proprio per questo. Pensavamo di parlarle a fatto compiuto.-
Feci un passo indietro, barcollando. Mi avevano mentito. Fin dall’inizio e per tutto il tempo avevano continuato a mentirmi, invece che affrontarmi … Mi sentivo svenire e avevo voglia di scappare il più lontano possibile … di nuovo … e di nuovo lo feci. Mi voltai e corsi verso la porta, la spalancai e mi fiondai giù per le scale. Corsi, corsi fino a non avere più forza, corsi e arrivai a casa di J., alla fine andavo sempre lì.
Non me ne ero neanche accorta, non l’avevo scelta consapevolmente, ma finiva sempre così: tutte le volte che c’era qualcosa che non andava finivo da lui.
I genitori di J erano spaventosamente ricchi: vivevano in un grattacielo sull’Atalantic aveneue, avevano un appartamento a due piani, non chiedetemi come faceva un appartamento ad avere due piani perché non lo so, gli architetti sono strani. (vampira, questa me la farai pagare? Non era diretta a te.)
J. abitava all’ultimo piano (o agli ultimi due se così vogliamo dire) e aveva quindi una vista migliore della mia sulla città, ma arrivare al suo piano era impossibile a piedi e fortunatamente il suo ascensore era molto più veloce del mio.
Arrivai e feci praticamente irruzione nell’ingresso, dove una guardia mi salutò con un cenno mentre entravo come una furia nell’ascensore premetti il pulsante senza nemmeno farci caso, mi lasciai andare contro la parete d’acciaio dell’ascensore mentre saliva velocemente all’ultimo piano e appoggiai il mento alle ginocchia.
“Divorzio” …
Suonava strana quella parola nella mia mente … “divorzio”. No, non mi piaceva, era troppo … strano. Divorzio. Okay che erano superindaffarati, già così li vedevo poco, dopo poi sarebbero totalmente scomparsi dalla mia vita. Non erano mai stati particolarmente uniti, da che ricordavo loro erano sempre in contrasto, ma si preoccupavano di me. In fin dei conti erano dei bravi genitori anche se non dei bravi coniugi. Ultimamente litigavano molto più spesso e più violentemente di prima, è verissimo, però … divorzio. E senza dirmi niente, senza chiedermi un accidenti di niente! Insomma! Come avevano potuto comportarsi in modo tanto egoista? Era insopportabile! Pensavano di mettermi davanti al fatto compiuto? E perché poi? Non potevano parlarmene? Dirmi quello che stava succedendo? Spiegarmi per bene la situazione? Pensavano che mi intestardissi? Che dicessi che dovevano stare per forza insieme? Io non volevo che stessero insieme! Litigavano continuamente o al contrario si ignoravano, se divorziavano per me andava bene. Davvero. Non mi importava. Era okay. Sul serio, era okay.
Alzai lo sguardo e lo incrociai con la mia immagine riflessa: avevo il volto rigato di lacrime, non mi ero accorta di piangere. Asciugarmi le lacrime con una manica non servì a niente perché non smettevano di scendere. Maledizione! Non volevo che J. mi vedesse così! Avevo un aspetto orribile! Mi avrebbe preso in giro per un ora buona!
Le porte dell’ascensore si aprirono con il rumore di un campanello. Mi rimisi faticosamente in piedi e calpestando la moquette rossa del pavimento andai a bussare alla spessa porta di legno dell’appartamento di J. La musica dei Linkin parck si sentiva fino a fuori. Ovviamente nessuno venne alla porta, pensai quasi di fargli uno squillo con il cellulare, ma quando lo cercai ricordai di averlo lasciato nella borsa a casa.
Scoraggiata provai a suonare il campanello per due volte e ad attendere. Niente. Suonai di nuovo, già pronta a rifugiarmi nella mia gelateria preferita e a ordinare gelati fino a farmi venire un mal di stomaco con i fiocchi.
Improvvisamente sentii una voce che sovrastava la musica.
-Avverto chiunque sia che se non ha un problema fottutamente grosso può andarsene all’inferno o ce lo spedisco io appena apro la porta.- disse la voce di J. dall’altra parte, era un po’ più roca del solito.
Ebbi appena il tempo di asciugami di nuovo le lacrime che lui spalancò di colpo la porta e rimase pietrificato a guardarmi. Era praticamente nudo, aveva solo i boxer addosso oltre alle decine di orecchini che oltre a riempire il suo lobo sinistro, spuntavano qua e la sul suo corpo. I capelli neri cortissimi sembravano essere l’unica cosa non trasandata in lui. La sua espressione sembrava sinceramente sorpresa.
-Cazzo. Mi sa che oggi andrò in bianco …- disse con voce neutra.
Mio malgrado feci un sorriso -Ho interrotto qualcosa?-
Lui si guardò intorno come se la risposta giusta fosse scritta sul muro o da qualche parte e lui potesse semplicemente leggerla. -No … cioè si … non importa. - farfugliò guardandomi e grattandosi il sopracciglio con il piercing -Posso farlo anche dopo.-
Si fece da parte per farmi entrare e io sgusciai dentro l’immenso ingresso di casa sua.
Il pavimento era rivestito di moquette bianca, un tavolino di mogano antico era sistemato alla sinistra dell’appendiabiti, con sopra il telefono, alcuni blocchetti bianchi e una penna. Notai anche uno zaino, non suo,abbandonato accanto al mobile.
Intuendo il motivo per cui era venuto ad aprire la porta completamente nudo arrossii leggermente.
-Posso tornare dopo.- assicurai facendo marcia indietro.
Lui mi bloccò con una mano e la cosa un po’ mi disgustò perché il pensiero andò a cosa aveva fatto prima che arrivassi con quella mano, il che mi fece diventare se possibile ancora più rossa.
-Non importa.- si affrettò a dire. -Hai un aspetto veramente schifoso, sembra che ti sia passato sopra un auto camion. Faccio un salto in camera a vestirmi e torno, tu va in salotto.- concluse lasciandomi.
-Posso usare il bagno?- chiesi.
-Accomodati.- assentì mentre saliva le scale verso la sua stanza.
Mi rifugiai nel piccolo bagno al pian terreno, dove mi sciacquai la faccia e il braccio, poi tornai in salto in tempo per vedere J. che baciava Tracy Jefferson, la popolarissima cheerleader del nostro liceo che lui aveva preso in giro strenuamente, prima di lasciarla andare. Rimasi ferma sulla soglia del bagno, incerta sul da farsi.
Ma accidenti! Che cavolo aveva tutto in questi giorno? Io me ne ero andata solo per un giorno e mezzo e torno e trovo il mio migliore amico che sta con l’oca più oca della scuole e i miei che divorziano. Il mondo va a rotoli!
-Che significa?- domandai facendomi coraggio.
J. sussultò voltandosi.
-Cavolo! - imprecò piano. -Ecco … so che sembra una frase fatta, ma non è come sembra.-
-Vai a letto con la Jefferson.- non era una domanda.
Lui rise. -Allora è esattamente come sembra.-
-Come è successo?- chiesi inclinando la testa.
Lui sorrise andando a buttarsi sul divano. -Non sai come nascono i bambini?- scherzò.
Mi andai a sedere accanto a lui e accavallai le gambe. -Ma uffa, vado via un solo giorno e succede il finimondo! Che altro mi sono persa? Ebony si è improvvisamente tinta i capelli di biondo e ha iniziato a venerare Hello Kitty?-
-No.- rispose, sentii che allungava la mano ad accarezzarmi la schiena. -Sei venuta qui per prendermi in giro?- domandò divertito.
Rimasi in silenzio, d’improvviso sentivo un groppo in gola. Mi lasciai andare all’indietro e appoggiai la testa sulla sua spalla.
-I miei genitori hanno deciso di divorziare.- bisbigliai, sentendo le lacrime che iniziavano a scendere. J. mi avvolse in un abbraccio senza dire niente e io mi limitai a piangere appoggiata alla sua spalla.
J. non era mai stato molto bravo a consolare, non sapeva mai che dire ne cosa fare, ma quando c’era qualcosa che non andava o quando volevi divertirti lui era il tipo giusto perché sembrava sempre sapere come comportarsi. Ovviamente sempre che non ci fossero di mezzo le lacrime.
Mentre tentavo di ricompormi, inutilmente visto che continuavo a piangere in modo vergognoso, notai per la prima volta quanto forti fossero le sue spalle e quanto muscolose fossero le braccia. Non avevo mai notato simili dettagli prima, ma a quanto pare non era cresciuto solo in statura. Questo distogliere la mente mi calmò un po’ e mi permise di ricompormi.
Smisi di singhiozzare, anche se le lacrime scendevano ancora.
-Sei un po’ più calma?- domandò lui allentando la presa, incerto come al solito su cosa fare.
- Si.- dissi allontanandomi. Mi asciugai gli occhi. -Grazie.-
-Sei tornata perché i tuoi ti hanno detto che divorziano?- domandò con la sua solita, totale mancanza di tatto.
-No.- bisbigliai senza guardarlo.
-Allora ti hanno chiesto di tornare per dirtelo.-
Scossi la testa.
-Cosa accidenti ci fai qui ?- chiesi alla fine, esasperato.
-Sono tornata perché … beh…- “perché un tizio strano mi ha mostrato qualcosa di totalmente assurdo e soprannaturale che nemmeno nella serie streghe se lo sarebbero immaginato, e poi ha detto che sono una strega. E la cosa assurda è che visto quello che è successo quasi ci credo alla roba del tipo magia” -diciamo che è successo qualcosa di spiacevole. E quando sono tornata ho sentito mai madre al telefono che diceva che doveva firmare i fogli per il divorzio. Hanno divorziato.- mi rimisi a piangere appena pronunciata la parola “Divorzio”, ma almeno stavolta erano solo lacrime, niente singhiozzi.
-Comportamento pessimo, decisamente. Beh… ti va uno schoch?- domandò
Gli lanciai un occhiataccia anche tra le lacrime, lui afferrò la scatola di clinex sorpa il mobile accanto al divano e me la passò. Ne presi un paio e mi asciugai gli occhi, soffiandomi il naso.
-Dovrei avere del whiskey alla menta in frigo. La mia matrigna voleva provare qualcosa di nuovo.- spiegò alzandosi -Ti va?-
-Vuoi che affoghi la tristezza e il trauma nei superalcolici?- chiesi fingendomi offesa, lui si limitò a guardarmi. -Se è in frigo senza ghiaccio.- mi limitai a rispondergli lasciandomi nuovamente andare indietro sul divano.
-Arriva subito. Dormi qui?- domandò andando in cucina, che era dalla parte opposta del salotto.
-Se non do fastidio. Non ho davvero voglia di tornare a casa.- risposi alzando la voce, era un po’ roca perché avevo pianto. Non sentii risposta, probabilmente era indaffarato in cucina e non mi sentiva.
Torno pochi minuti dopo con un bicchiere con dentro tre cubetti di ghiaccio e la bottiglia, si verso un po’ di bevanda verde nel bicchiere e mi passò l’intera bottiglia: ne era rimasta poco meno di metà.
Buttai il tappo sull’elaborato e antico tavolino di mogano che avevo davanti e mi attaccai alla bottiglia.
-Hai il mio CD dei new phornography?- domandò
Mi staccai dopo appena un sorso per rispondere. -Non è molto forte.- dissi guardando la bottiglia, poi mi voltai verso di lui -No, è a casa.-
-Anche se non è molto forte non berne troppo.-
-Se non volevi che ne bevessi troppo perché mi hai dato la bottiglia.-
-I tuoi divorziano: hai il sacrosanto diritto di ubriacarti!- sentenziò, bevendo un sorso da suo bicchiere. -Troppo dolce.- giudicò posando il bicchiere sul tavolo senza sottobicchieri.
Mi attaccai nuovamente alla bottiglia, sentendomi un po’ stupida, e ne bevvi un bel sorso, poi la posai sul tavolino. -Non male.- valutai leccandomi le labbra.
Lui scrollò le spalle. - Chiamo le altre.- disse alzandosi dal divano, presi il suo bicchiere e ci versai un altro po’ di whiskey alla menta, lo tracannai senza pensarci mentre lo sentivo parlare con Ebony.
Forse, pensai con sempre meno lucidità, ero fuggita dalla cosa sbagliata.
– Stanno arrivando. – mi ha informato J tornando a sedersi accanto a me.
Ho abbassato il bicchiere posandolo sul tavolo. – Vorrei evitare di ubriacarmi da sola. –
Lui rise. – Con quello è difficile, è abbastanza leggero. – poi fissò la bottiglia – anche se visto quanto ne hai bevuto tutto è possibile –
Scrollai le spalle, in effetti non ero molto lucida – Chi viene? – domandai.
– Sam e Jessica – rispose con un ghigno.
– Jessica si arrabbierà se la chiami così. – misi la mano sopra la bocca – Cioè, volevo dire Ebony. –
Lui rise. – Non dirmi che sei già per quella via. –
Sbuffai – Non sono su nessuno via, a parte … – non continuai.
– A parte? – ripeté lui curioso.
– Ehm … diciamo che … m … – farfugliai. – non so come spiegarlo – ammisi.
Lui sospirò – Come è andata dalle tue cugine? – domandò improvvisamente.
Mi lasciai andare indietro e appoggiai la schiena al divano, lanciando un occhiata di traverso a J. – Perché riesci sempre a individuare l’unico argomento di cui proprio non voglio parlare? –
Inarcò un sopracciglio – Non dirmi che è andata così male?! –
Mi limitai a guardarlo.
– Okay, pessime cugine, i genitori che divorziano … –
Lo interruppi – Non erano male. –
– Allora che è successo? –  
Rimasi in silenzio pensandoci su, poi mi sporsi verso il tavolino, versai un altro po’ di whiskey nel bicchiere e lo sorseggiai appoggiandomi nuovamente alla spalliera del divano. – Lunga storia – farfugliai infine, senza dire altro.
j. mi prese il bicchiere e bevve il contenuto, poi fece una smorfia. – Basta con questa roba – disse prendendo la bottiglia e sparendo nuovamente in cucina.
Mi sentivo la mente lievemente annebbiata, ma ero abbastanza lucida da ricordare quello che era successo a Window’s vale e rabbrividire. Magia… esisteva la magia. E mia cugina ovviamente di che cosa era appassionata? Niente libri d’appendice, o gattini, o cani o pupazzi. Niente passione per i film o i musical. Insomma niente passioni idiote ma accettabili. No! Per lei magia!
Sbuffai così sonoramente che J. mi corse incontro con un panino e un aria preoccupata. – Che succede? – domandò
– Niente – assicurai – Stavo solo ripensando a una cosa. – non dissi altro e lui lasciò cadere il discorso rimanendo in silenzio. Mi pose il piatto con il panino, ma io lo scansai, avevo lo stomaco chiuso.
– Se non mangi qualcosa ti sentirai male. – mi fece notare.
Scossi la testa che inizio a vorticare. Chiusi gli occhi massaggiandomi le tempie. – Non ho fame.
– Mangia comunque qualcosa. – mi porse di nuovo il piatto con il panino.
Controvoglia ne staccai un pezzetto e iniziai a mangiucchiarlo: tonno, maionese e lattuga, il mio preferito. Senza nemmeno rendermene conto finii per mangiarlo tutto.
– Meno male che non avevi fame! – disse divertito.
Gli feci la linguaccia. – C’è un po’ d’acqua? –chiesi.
Lui si alzò per prenderla ma qualcuno suonò il campanello, andò ad aprire e in un attimo mi ritrovai davanti a Sam e Ebony. Sam aveva i lunghi capelli neri mossi raccolti con una pinza, la pelle era di un marrone d’orato per via dell’abbronzatura e i suoi profondi occhi blu erano preoccupati. Dei capelli erano sfuggiti dalla pinza e le ricadevano sul viso dalla forma ovale, dei grandi orecchini a cerchio le pendevano dai lobi e aveva una lunga catena blu con conchiglie al collo, indossava un vestito bianco e un paio di sandali.
Ebony invece era vestita di nero, non so come faceva con quel caldo: indossava una camiciola nera attillata, strappata di lato e tenuta insieme da alcune spille da balia, e una paio di pantaloni a scacchi rossi e neri con una cintura con un teschio al centro. Al collo aveva uno di quegli assurdi collari pieni di borchie appuntite, tutto quel nero spiccava sulla sua pelle bianca in modo incredibile. Aveva i capelli castani corti, con meche nere e viola. Gli occhi erano nocciola e esprimevano ansia. Nonostante il suo aspetto Ebony era la più dolce di noi, la più gentile. Si mise a sedere sul divano e mi strinse forte.
–Che cosa è successo? – domandò con voce musicale.
Feci un respiro profondo mentre Sam si sedeva dall’altra parte e mi metteva un braccio intorno alla vita. Fissando il muro iniziai a parlare: gli dissi di Morgan, di Killian, di Hunter, della magia e poi del divorzio dei miei genitori. J. mi guardava dalla poltrona di lato al divano con aria preoccupata, mentre io raccontavo tutto tra i singhiozzi.
– Gesù Andy, non posso credere a tutto quello che mi hai detto. – sbottò Sam alla fine.
– I tuoi non posso essere bastardi fino a quel punto. –
Mi limitai ad appoggiare la testa alla sua spalla ,mentre mi dava un bacio gentile sulla tempia e bisbigliava – Che bastardi. – anche i genitori di Sam erano divorziati.
– Già. Però Andy dovresti parlarci. – mi suggerì Ebony stringendomi la mano, lei aveva un ottimo rapporto con i suoi genitori. – E poi devi farmi conoscere tua cugina e questo Killian, anch’io voglio diventare una strega. –
Sbuffai. Sempre la solita.
– Erano solo trucchi Eby. Non esiste la magia. – fece petulante Sam.
Io guardai J. ignorando i loro battibecchi. – Che ne pensi? – chiesi. 
Lui scrollò le spalle. – Hai fatto bene a tornare a casa. – si limitò a rispondere.
Mi alzai, andai a sedermi sulle sue ginocchia e gli circondai il collo con le braccia mentre lui appoggiava il mento alla mia testa. – Sono a casa. – bisbigliai – Mi siete mancati.
Ero a casa … era dai miei amici più cari … tutto andava bene.

  
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