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Autore: Miss Fayriteil    16/04/2014    1 recensioni
Questa storia è nata un po' per caso, volevo provare a scrivere un romanzo rosa, nello stile di Lauren Weisberger o Sophie Kinsella, che mi piacciono molto. Mi sono ispirata un po' anche alla coppia che amo di più in Grey's Anatomy. Capirete perchè. La trama... è un romanzo, una storia d'amore. La donna single che trova l'amore della sua vita. Spero vi piaccia!
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non morire, amore mio
 



Ali era arrivata all’ospedale in ambulanza e stava ancora malissimo. Avevano dovuto sedarla perchè continuava ad agitarsi e a chiedere di sua moglie e di sua figlia.
  «Donna, trentaquattro anni, investita da un’auto. Ferite sulla maggior parte del corpo e fratture a gamba e braccio sinistri. Probabilmente ha anche un paio di costole rotte» disse un secondo paramedico mentre entravano nel pronto soccorso. La trasferirono dalla barella a uno dei letti e lei in quel momento riprese lucidità. «Dov’è Dana?» gemette. «Dov’è Erica? Dov’è la mia bambina?»
  «Signora Donnell, deve stare tranquilla» disse un’infermiera. «Sua moglie sta arrivando».
  La moglie in questione si era appena ripresa dallo shock e si stava preparando per andare in ospedale. Prese il telefono e fece un numero familiare.
  «Pronto?» rispose la voce di Tracy. Dana si impose di smettere di tremare e di parlare normalmente.
  «Mamma... mamma sono Dana. Devi venire qui appena puoi, devi badare a Erica, io devo andare in ospedale e non posso portarla, non posso... è troppo...»
  «Dana tesoro, calmati» disse sua madre. «Vengo senza dubbio a badare a Erica. Perchè devi andare in ospedale, cos’è successo, qualcosa di brutto?»
  «È Ali» singhiozzò lei. «Mi hanno appena chiamata da un’ambulanza, è stata investita da un’auto e credo che sia una cosa grave, ed è tutta colpa mia».
  «Che vuoi dire che è tutta colpa tua?» fece Tracy sconcertata. Poi aggiunse: «Senti, metto giù adesso. Arrivo subito, aspettami e stai tranquilla». Riattaccò e Dana cominciò a vestirsi, poi andò da Erica. La prese in braccio e la strinse, lasciando che la sua presenza le facesse ricordare che valeva la pena di essere viva. Non voleva rimanere vedova, ma si rendeva conto che perdere la testa non sarebbe servito a niente. Poco dopo sentì bussare alla porta, mise giù Erica di nuovo e corse ad aprire. Sulla soglia c’era sua madre e Dana le si gettò tra le braccia ricominciando a piangere. Tracy la strinse e le diede un bacio sulla fronte. «Vieni entriamo in casa» le disse. Fece un passo avanti e chiuse la porta dietro di sè, poi portò, anzi quasi trascinò la figlia verso il divano. «Sono sicura che Ali starà bene, adesso all’ospedale si staranno prendendo cura di lei. Vai da lei, sono sicura che ha bisogno di te. Ma prima spiegami perchè è tutta colpa tua. Che cosa hai combinato?»
  «Settimana scorsa abbiamo litigato e ho cominciato io, l’ho insultata senza motivo e lei se n’è andata. Poi mi ha tradita, ma sono sicura che se io non le avessi dato della stronza lei non avrebbe fatto niente, e inoltre quando me l’ha detto mi ha fatto arrabbiare e le ho dato uno schiaffo. Non ci parlavamo da giorni e sono sicura che è per colpa mia se l’hanno messa sotto. Avrà attraversato la strada senza guardare perchè era sovrappensiero, di sicuro».
  «Va bene, la risolviamo dopo. Adesso corri in ospedale, forza» disse sua madre facendola alzare. Dana annuì, prese la giacca e la borsa e uscì di corsa. Mentre guidava decise di avvisare Taylor e la chiamò con l’auricolare. Sperò di riuscire a mantenere il controllo.
  «Pronto?» rispose la voce di sua suocera. Lei deglutì e si asciugò gli occhi. Non doveva piangere.
  «Taylor, ciao sono Dana. Devo dirti una cosa importante ed è meglio se ti siedi» disse. Sentì la donna prendere una sedia. «Sono in macchina, sto andando in ospedale. È... è successa una cosa. Non farti prendere dal panico, ma Ali è finita sotto una macchina. Non so come sia successo perchè io ero a casa. Adesso è al pronto soccorso dell’Harborview e io sto andando lì. Venite anche voi?»
  «Oh Santo Cielo, è stata investita? Okay... okay hai ragione, niente panico. Va bene, avviso Chris e ci vediamo lì. Grazie per avermelo detto, Dana». Riattaccarono e Dana decise di non frenarsi in quel momento e sentì le lacrime che le scorrevano sulle guance. Poco dopo arrivò all’ospedale e parcheggiò subito, poi entrò correndo nel pronto soccorso. Si avvicinò all’accettazione e disse: «Aliana Donnell è qui? Sono... sono sua moglie, la devo vedere, la prego...»
  «Ma certo» le disse la donna dietro il banco, quasi preoccupata per la sua agitazione. «È in pronto soccorso, letto tre». Dana la ringraziò e corse via. Il letto tre era vicino all’ingresso e la vide quasi subito. Ebbe un leggero mancamento: Ali era sdraiata con gli occhi chiusi e la testa fasciata. Aveva anche un braccio e una gamba ingessati e le avevano messo un tubo nel naso per aiutarla a respirare.
  «Ali! Tesoro! Oh Dio, ma che ti è successo? Mi dispiace tanto...» le prese una mano e le si sedette accanto. Ali non aveva più ripreso conoscenza, da quando l’avevano sedata di nuovo in ospedale, ma all’improvviso aprì gli occhi e mise a fuoco la sagoma di sua moglie seduta accanto a lei. Sorrise.
  «Dana...» mormorò con voce rauca. «Sei venuta...»
  «Ma certo... come potevo non venire? Anche se abbiamo litigato rimani sempre mia moglie. Ma cos’è successo? Ho avvisato i tuoi, arriveranno da un momento all’altro. Raccontami».
  «Sono una stupida» rispose Ali con un sorriso debole. Le faceva male dappertutto, anche se il braccio e la gamba stavano un po’ meglio. Respirare però era ancora faticoso. Tossì leggermente e continuò: «Ero andata a vedere se eri passata a prendere Erica all’asilo e poi ho riattraversato la strada senza guardare perchè stavo pensando... a noi e niente ero sovrappensiero... non ho visto la macchina e mi ha fatto cadere. Per fortuna che qualcuno ha chiamato subito il 911».
  «Ne ero sicura. L’ho detto alla mamma che di sicuro era andata così» disse Dana con le lacrime agli occhi. Nonostante tutto era sollevata nel vedere che Ali stava bene. «Ali io... mi dispiace tanto per quello che è successo tra noi e...» ma in quel momento sua moglie si irrigidì e il suo sguardo si perse nel vuoto. Subito dopo il monitor accanto al suo letto impazzì e cominciò a lampeggiare e il regolare pigolio aumentò di volume e velocità. «Ali? Ali che cosa succede?» urlò Dana terrorizzata. Si sporse dal lettino e gridò a chiunque la ascoltasse: «Aiuto! Serve un medico qui!»
   «Che succede?» fece un medico giovane arrivando di corsa. Poi vide Ali e imprecò. «Maledizione è andata in arresto, bisogna rianimarla. Signora deve uscire di qui».
  «No, voglio restare» replicò Dana con lo sguardo fisso su Ali. Non poteva pensare all’eventualità che sarebbe potuta morire. Arrivò un infermiere che la prese per un braccio. «No. No! Ali!» urlò mentre lottava per divincolarsi dalla presa ferrea dell’uomo. «Ali non te ne devi andare, capito? Non te ne andare, io ho bisogno di te!»
  Uscì dal pronto soccorso e andò in sala d’attesa, ma non riusciva a stare seduta, perciò rimase in piedi a passeggiare nervosamente. Intanto al letto di Ali i medici stavano tentando di rianimarla. «Carica a 300! Libera! Andiamo, andiamo!» le piastre premettero sul petto di Ali e le fecero fare un leggero sobbalzo sul letto. Il suo cuore riprese a battere normalmente e anche i dati del monitor si stabilizzarono. Ci fu un generale sospiro di sollievo. Il giovane medico che era arrivato di corsa poco prima disse: «Vado ad avvisare la moglie, torno subito». Uscì dal pronto soccorso e la vide ancora intenta a camminare avanti e indietro. Insieme a lei c’era anche una coppia, un uomo e una donna che potevano avere circa sessant’anni. Dana lo vide e gli andò incontro. «Come sta?» gli chiese con aria preoccupata. «Ce la farà?»
  «Sì, sta bene. L’abbiamo rianimata in tempo. Loro sono...» disse accennando a Taylor e Chris. Dana si voltò verso di loro. «È il medico di Ali» spiegò. Poi si rivolse di nuovo a lui. «Sono i suoi genitori, sono arrivati solo pochi minuti fa».
  «Quindi... quindi sta bene?» balbettò Taylor. Si accasciò su una sedia con la faccia tra le mani. Chris le si sedette accanto e le mise un braccio attorno alle spalle. «Grazie a Dio, grazie a Dio!»
  «Volete vederla?» chiese il ragazzo. Taylor annuì e si precipitò nel pronto soccorso seguita dal marito. Dana invece rimase lì. Aveva avvisato Faith e voleva aspettarla. Mezz’ora dopo Faith arrivò: era da sola, ed era giusto così. Voleva vedere la sua migliore amica e non aveva bisogno della famiglia. Quando vide Dana corse ad abbracciarla. «Come... come sta?» le chiese.
  «Bene credo» rispose Dana. Si sedettero vicine in sala d’attesa. «Era andata in arresto poco fa, ma l’hanno rianimata, quindi... va bene...»
  «Dana mi dispiace tanto» mormorò Faith abbracciandola di nuovo. A quel punto decisero di andarla a trovare entrambe. Entrarono nel pronto soccorso e si avvicinarono al suo letto. Ali quando la vide vicino a lei si illuminò. «Fay... non ci posso credere, che cosa ci fai qui?»
  «La mia migliore amica finisce sotto una macchina e io non vado a trovarla?» fece Faith con un sorrisetto. «Ma per chi mi hai presa?»
  «È bello vederti, Fay» replicò Ali stringendola con il braccio sano. A quel punto arrivò un’infermiera che vide tutta la gente attorno a lei. Si avvicinò cominciando ad allontanarli.
  «Siete in troppi qui. Massimo due persone per volta. Via via!» esclamò. Taylor e Chris si allontanarono subito e dopo un po’ Dana disse: «Rimani tu, Fay. Mi sembra giusto». Seguì i suoceri e insieme tornarono in sala d’attesa. Sedettero uno vicino all’altro e rimasero a guardare nel vuoto in silenzio.
  «Credete che morirà?» chiese Dana a nessuno in particolare. Erano stati in silenzio tanto a lungo che parlare le sembrò improvvisamente strano. Taylor le prese una mano e la strinse.
  «No Dana» disse. «Non credo che morirà. Stai tranquilla». Le prese il mento tra due dita e la fece voltare verso di lei. Le sorrise e l’abbracciò. «Sai, credo che dovresti chiamare tua madre».
  «Che cosa? Perchè?» disse Dana confusa. Taylor la lasciò andare.
  «Penso che ad Ali farebbe bene vedere Erica per un po’» rispose con semplicità.
  «Hai ragione» osservò l’altra. Prese il telefono e chiamò a casa. Tracy prese subito il telefono. Era sicura che fosse sua figlia. Le disse di raggiungere tutti in ospedale, ma non parlarono a lungo, perchè Tracy riattaccò praticamente subito dopo aver detto di sì. Richiuse il cellulare e lo rimise nella borsa e qualche istante dopo si accorse che Taylor la stava guardando fisso.
  «Che c’è?» chiese. Taylor incrociò le braccia sul petto.
  «Mi è venuto in mente adesso che quando io e Chris abbiamo parlato con Aliana ci ha confessato di essere molto sorpresa di averti vista qui. Come mai? Non dovrebbe essere sorpresa che tu sia qui, visto che siete sposate. È successo qualcosa?»
  «Io... sì è successo qualcosa. Abbiamo litigato» confessò Dana timidamente. «Qualche sera fa. Per la verità ho cominciato io, lo ammetto. L’ho aggredita senza motivo e...»
  «Avete problemi di qualche tipo?» la interruppe Chris. Taylor, invece, la fissò accigliata.
  «Perchè avresti fatto una cosa del genere? Spiegati» disse.
  «Avevo avuto una brutta giornata, e in casa c’era solo lei. Ma comunque... io l’ho aggredita» continuò Dana. Era determinata a dire le cose come stavano. «Ma lei è andata a letto con un’altra».
  Se ne pentì subito. Non voleva dirlo in quel modo davanti ai suoi genitori.
  «Prego?» chiese Taylor dopo un attimo di silenzio sconcertato. Si voltò verso le porte del pronto soccorso come se riuscisse a vedere la figlia. Dana annuì.
  «È per questo che l’hanno investita, me l’ha detto lei poco fa. Era sovrappensiero e non ha guardato la strada mentre attraversava».
  «Ti ha tradita...» mormorò Taylor avviandosi verso le porte automatiche, però Dana la fermò.
  «Non dirle niente intanto. È ferita, è stanca... lasciala in pace per adesso». Taylor si lasciò di nuovo cadere sulla sedia accanto a lei. Annuì bruscamente.
  «E va bene. Ma appena starà meglio mi starà a sentire». Incrociò le braccia e si mise a lanciare occhiate truci tutto attorno.
  Un discorso simile stava avvenendo al di là delle porte. Faith si era seduta accanto al letto di Ali e si stava apprestando a interrogarla.
  «Allora? Cosa sarebbe questa storia che tu e Dana avete litigato?» chiese con sguardo severo.
  «Andiamo Fay... ho appena avuto un incidente, ho rischiato di morire... dobbiamo per forza parlarne adesso?» si lamentò Ali.
  «Sì dobbiamo parlarne adesso. Anche perchè stai bene, non rischi di morire. Che diavolo è successo?» incalzò la sua migliore amica. Ali sospirò.
  «Guarda che è stata lei a cominciare! È tornata a casa scazzata e io non c’entravo niente. Ha iniziato ad aggredirmi così gratuitamente e poi mi ha detto di andarmene. E io me ne sono andata poi, cosa pretendi? Ero arrabbiata e ho agito senza pensare. Dopo un po’ mi sono pentita di averla tradita».
  «Dopo un po’?! Che cacchio vuol dire dopo un po’? Dovevi pentirti subito, in quello stesso momento! Senti va bene, eri arrabbiata, ma non è una buona ragione per andare a letto con un’altra!» esclamò Faith con le braccia incrociate. Ali sbuffò e le voltò le spalle.
  «Lo so Fay... lasciami in pace, adesso» disse. Faith fece per metterle una mano sulla spalla, ma poi ci ripensò e si limitò a scuotere la testa.
  «Come vuoi. Senti... mi dispiace che abbiate litigato, spero che riusciate a risolvere. È giusto per voi e lo dovete a vostra figlia. Cosa dirai all’assistente sociale se ti vedrà in questo stato?» chiese. Ali restò per un attimo in silenzio. Non ci aveva ancora pensato, ma la soluzione arrivò quasi immediamente. Era semplice, davvero.
  «Dirò che stavo attraversando» disse. «E che un ubriaco è spuntato all’improvviso e mi ha investita. È così che è andata in realtà. Non è necessario dire che non stavo guardando la strada. Quel tizio è fuggito, nessuno sa chi è, non può testimoniare. Poi probabilmente era davvero ubriaco».   
  «E va bene. Io devo andare adesso. Vuoi che ti chiami Dana?» fece Faith cominciando a rivestirsi per uscire. Ali la guardò per qualche istante in silenzio, poi annuì.
  Uscì dal pronto soccorso e vide che nel frattempo era arrivata anche Tracy, insieme a Erica. Si avvicinò a Dana e le disse: «Ali ti vuole vedere. Penso che potresti portare anche la bambina». Dana annuì e prese in braccio Erica poi entrò nel pronto soccorso mentre fissava confusa la nuca di Faith che si allontanava. Sembrava arrabbiata per qualcosa.
  «Ali guarda chi ti ho portato» annunciò mentre si avvicinava al suo letto. La guardò e per un attimo l’immagine di lei nuda, con addosso mani che non erano le sue le balenò davanti agli occhi e fu assalita da un senso di nausea. Ci aveva pensato spesso negli ultimi giorni, ma non si era mai trovata sua moglie tanto vicina. Decise di non pensarci in quel momento, l’ospedale non era il luogo adatto.
  «Erica!» esclamò Ali quando vide sua figlia. Aveva voglia di tenerla un po’ con sè. Dana le si sedette accanto e gliela passò. Ali la prese subito in braccio e la strinse. «Ciao piccola, mi sei mancata».
  «Anche tu le sei mancata» rispose Dana. Dopodichè sospirò e aggiunse: «Ali...»
  «Sì tesoro?» disse l’altra continuando a sorridere, mentre Erica le toccava i capelli. Dana fece un leggero sorriso, nel sentire come l’aveva chiamata.
  «Dobbiamo parlare, credo» osservò. Ali la guardò senza parlare. «Di quello che è successo, intendo».
  «Lo so» rispose Ali con un sospiro. «Mi dispiace tanto. So che... che tu non mi avresti detto quelle cose apposta. Lo so che ti sei sfogata con me perchè non c’era nessun altro con cui farlo. E per questo mi dispiace ancora di più di averti tradita. Non so perchè ho deciso di farlo. Volevo ferirti e... mi dispiace tanto di averlo fatto. Potrai mai perdonarmi?»
  «Prima devo cercare di... come dire? Di non farmi venire il vomito ogni volta che ti penso insieme a quella» tappò le orecchie di Erica con la mano e aggiunse, «puttana». Detto questo si risedette come prima. La bambina non si era accorta di niente e continuava a giocare distrattamente con i capelli della madre. Ali annuì. «E questo vale anche per il dormire insieme, immagino».
  «Sì. Per un po’ non penso di riuscire a volerti nel letto. Penso che capirai...»
  «Certo che capisco» osservò Ali. «Hai ragione. Ma comunque... per un po’ di tempo rimarrò qui, quindi... non potrei dormire con te in ogni caso». Dana annuì poi le venne in mente un’altra cosa.
  «A proposito, cos’è successo con Faith prima? L’ho vista, mi sembrava arrabbiata...»
  «Abbiamo litigato più o meno. Per quello che è successo con te, l’ha presa molto male. Non volevo che si arrabbiasse. Le telefonerò appena posso, quando esco di qui».
  «E quando esci di qui?» le chiese Dana con un tono di voce improvvisamente preoccupato.
  «Settimana prossima, credo. Mi hanno dovuto sistemare le fratture e bisogna aspettare che le costole guariscano da sole. Per fortuna anche se ho battuto la testa non mi è successo niente. E neanche al cuore, anche se prima sono andata in arresto» rispose lei. Sua moglie la guardò meravigliata.
  «Parli come un medico» osservò. Ali ridacchiò, ma smise subito perchè le faceva male.
  «Ho ascoltato i medici che ne parlavano» disse. In quel momento si avvicinò un’infermiera che spingeva una barella. Dana si alzò immediatamente.
  «Che volete farle?» esclamò. La donna le fece segno di spostarsi.
  «Dobbiamo trasferirla in una stanza» spiegò. «E temo che lei debba andare via, adesso».
  «Ma noi siamo sposate» protestò Ali. «Lei deve stare qui».
  «Lo so questo» replicò l’infermiera senza scomporsi. «E trovo fantastico che siate così innamorate, ma gli orari di visita sono uguali per tutti, mi dispiace». Dana annuì e prese di nuovo in braccio Erica.
  «Torno domani appena posso, Ali» disse. Le si avvicinò e rimase per un attimo indecisa, poi le diede un bacio sulla guancia. «Buonanotte».
   «Buonanotte Dana» rispose lei. Poi si sporse quanto poteva e diede ad Erica un bacio sulla testa. «Buonanotte anche a te piccola».
  «Erica dì: buonanotte mamma» disse Dana prendendole la mano per farla salutare. Le sorrise un’ultima volta e se ne andò. L’infermiera aiutò Ali a spostarsi sulla barella e mentre la spingeva decise di fare quello che la divertiva di più: impicciarsi della vita dei pazienti.
  «Cos’è successo tra voi due?» chiese. «Mi sembrate una bella coppia, ma allo stesso tempo ho capito che ci sono stati dei problemi. E non so perchè, ma ho la sensazione che c’entrino con il fatto che lei adesso si trova qui. Mi sbaglio?»
  «No, non sbaglia» sospirò Ali. «Abbiamo litigato e io l’ho tradita. Ma non voglio parlarne».
  «D’accordo, ha ragione. Non sono affari miei» rispose l’infermiera. Si fermò davanti a una stanza aperta ed entrò. Era doppia, ma al momento non c’era nessuno. Si avvicinò a uno dei letti e aiutò Ali a salirci, poi le disse: «Un medico dovrebbe venire a visitarla fra poco».
  «Perfetto, grazie» rispose Ali con un sorriso. Poi si rese conto di avere fame. «Posso mangiare?»
  «Sì immagino che le porteranno qualcosa» fece l’infermiera, poi se ne andò sempre spingendo la barella, ormai vuota. Ali rimase sola. Stava giusto pensando che non era poi così male avere un po’ di tempo per sè, quando la porta si aprì di nuovo e due medici entrarono nella stanza.
  «Allora, signora Donnell» esordì quello vestito di scuro. «Come si sente?»
  «Meglio» rispose Ali. «Mi fa ancora un po’ male respirare, ma per il resto sto bene».
  «È normale che faccia fatica a respirare, intanto. Le costole ci metteranno un bel po’ a riaggiustarsi, temo. Ma tenuto conto di quello che le è successo, è stata davvero molto fortunata». Ali annuì, se ne rendeva conto anche lei.
  I due medici la visitarono velocemente, poi se ne andarono di nuovo. Nelle ore seguenti, non arrivò più nessuno, a parte l’ausiliario che a un certo punto le portò da mangiare. Alla fine si sdraiò nel letto e si mise a riflettere. Era stata una giornata strana: aveva avuto un incidente terribile e se l’era cavata con un paio di fratture. Di sicuro il destino aveva voluto che succedesse in modo che lei potesse avere una possibilità di chiarire con sua moglie. Sorrise tra sè, chiuse gli occhi e poco dopo si addormentò.
 
 
Dana invece era tornata a casa in macchina, insieme a Erica, dopo aver salutato il resto della famiglia. Fu strano rientrare in una casa vuota e sapere che sarebbe stata così per un’altra settimana. In quella precedente Ali dormiva nella stanza accanto alla sua, ma era lì. Adesso invece era in un letto d’ospedale, ferita e reduce di un brutto incidente che avrebbe potuto ucciderla.
  «Andrà tutto bene, vedrai» disse a Erica in braccio a lei, mentre chiudeva la porta. «La mamma presto tornerà a casa e tutto tornerà come prima».
  Andò a dormire cercando di non pensarci più, ma per la prima volta da giorni si voltò verso il lato vuoto del letto e sfiorò il cuscino con una mano, sentendo la mancanza di sua moglie. Non credeva che sarebbe successo tanto in fretta. Prese il cellulare per chiamarla, ma poi si ricordò che in ospedale non si potevano usare i cellulari e che di sicuro in quel momento Ali stava dormendo. Doveva riposare, aveva avuto un incidente. Si girò dall’altra parte e pianse in silenzio. In quel momento se l’avesse avuta davanti l’avrebbe perdonata immediatamente: non poteva sopportare di sentirla così lontana da lei.
  Il mattino dopo si alzò e mentre si preparava per andare al ristorante squillò il suo cellulare. Rispose e fu stupita di sentire dall’altra parte la voce del capo di Ali.
  «Signor Hayes! Che sorpresa, che succede?» esclamò.
  «Buongiorno, mi dispiace disturbarla a quest’ora. Volevo solo sapere cos’è successo a sua moglie, perchè stamattina non si è presentata in ufficio». Dana rimase a bocca aperta.
  «Lei... lei non sa niente? Oh, accidenti, perchè nessuno le ha detto niente?» mormorò più a se stessa che a lui passandosi una mano sul viso.
  «Cosa? Cosa dovevano dirmi?» chiese Hayes ora con voce preoccupata.
  «Ali... Ali ha avuto un incidente ieri sera. È stata investita da un’auto e ora è in ospedale. Si rimetterà, ma per un bel po’ sarà fuori gioco, temo».
  «Non ci posso credere» mormorò Hayes. «E ora cosa faccio? Va bene, grazie Dana e mi dispiace».
  «Lo so, anche a me, arrivederci signor Hayes». Riattaccarono e lei finì di vestire Erica, poi la prese e uscì di casa. Aveva preso un permesso al ristorante per tutta la settimana come prima cosa; sarebbe andata solo di mattina e poi sarebbe andata in ospedale. Aveva deciso che sarebbe rimasta là tutto il giorno, se necessario. Voleva restare accanto alla sua donna il più possibile, il lavoro poteva aspettare. Mentre guidava pensò a tutto quello che le era successo e quando arrivò al ristorante tutti la salutarono con aria preoccupata.
  «Ciao Dana» la salutò Jamie, uno dei camerieri, correndole incontro. «Come stai? Come sta Ali?»
  «Meglio credo» rispose lei. «Oggi pomeriggio vado da lei in ospedale».
  «Certo, certo hai ragione» riprese lui. «So che hai preso il permesso e hai fatto bene, lo farei anch’io al posto tuo. Tu devi stare con tua moglie e riusciremo a sostituirti».
  «Grazie. Comunque stamattina rimango qui. Quindi non pensiamoci più e cominciamo a lavorare» disse cercando di essere autorevole. Gli altri la guardarono. «No, sul serio non devo pensarci finchè rimango qui, altrimenti impazzisco». Ci furono cenni di assenso e lei sparì in cucina. Sarebbe stata una lunga mattina e le ci sarebbe voluto tutto il suo autocontrollo per resistere.
 
 
Ali si era svegliata di un umore strano. Non aveva dormito molto bene, non poteva muoversi e il letto dell’ospedale era abbastanza scomodo, perciò si era svegliata molto presto e si era trovata un po’ spaesata. Il buio era quasi completo, una cosa a cui lei non era abituata e il silenzio un po’ opprimente, reso ancora più fastidioso dal regolare pigolio del monitor accanto al suo letto. Era rimasta distesa sulla schiena con gli occhi aperti per un tempo indefinito, senza pensare, ascoltando il suo respiro e rendendosi conto con chiarezza che quando inspirava le faceva male. Appoggiò la mano sulla fasciatura, premendo leggermente e il dolore aumentò. La lasciò subito. «Mai più» si disse.
  Dopo un po’, non avrebbe saputo dire quanto, la porta della sua stanza si aprì ed entrò uno dei suoi medici, quello vestito di azzurro. Entrò in punta di piedi, probabilmente credendo che stesse ancora dormendo, ma visto che non era così, si schiarì la gola per farglielo capire. Il ragazzo sobbalzò.
  «Oh, è già sveglia! Bene... meglio... come si sente?»
  «Abbastanza bene, mi sembra. Non ho dormito un granchè, ma a parte questo è tutto okay. Mi sono accorta adesso che respirare mi fa ancora male e se premo è peggio. È grave?»
  «No, è normale» rispose lo specializzando. «Si è rotta due costole. Non le hanno bucato il polmone, altrimenti sarebbe stato peggio, comunque per qualche giorno le farà male». Ali annuì e il medico cominciò a visitarla. Alla fine ripose lo stetoscopio e aggiunse: «Verrà qualcuno a trovarla oggi?»
  «Mia moglie dovrebbe venire di sicuro. So che ha preso un permesso al lavoro. Poi forse verranno anche i miei genitori e magari anche mio fratello. Spero ce la faccia».
  «Perchè non dovrebbe farcela? Dove abita?»
  «A Portland, in Oregon. È un medico anche lui» disse Ali con un leggero orgoglio nella voce. Il medico annuì distrattamente, mentre scriveva qualcosa sulla sua cartella. Le sorrise e se ne andò. Ali rimase di nuovo sola e la mattina passò così, con gente che entrava ogni tanto a visitarla e verso mezzogiorno le portarono un vassoio con dentro il pranzo. L’unico evento interessante fu quando arrivò una nuova paziente che andò nel letto accanto al suo. Non era sveglia e seppe che aveva avuto un incidente simile al suo, ma più grave e che c’era la possibilità che finisse in coma. La vita non le era mai sembrata così bella. E non vedeva l’ora che arrivassero Dana e gli altri a trovarla.
  Ben presto si rese conto che la vita in ospedale, se sei un paziente e stai mediamente bene, è molto noiosa. Avrebbe voluto fare un giro, ma con un braccio e una gamba ingessati l’unico mezzo possibile era una sedia a rotelle e nessuno degli infermieri era abbastanza libero da poterla portare in giro. Si rassegnò ad attendere il pomeriggio e per il momento si limitò a scendere dal letto e a sedersi nella poltrona lì accanto. Fu una fatica incredibile. Aveva il lato sinistro del corpo tra i gessi e la fasciatura praticamente immobilizzati. «D’ora in poi andrò in giro con l’armatura» pensò. Rimase seduta in poltrona per il resto del tempo, gettando di tanto in tanto un’occhiata alla sua compagna di stanza.
 
 
Quel pomeriggio ricevette di nuovo delle visite e come aveva sperato arrivò anche Benji, scusandosi per non aver portato i bambini. Comunque le promise che nei giorni seguenti avrebbe fatto il possibile. Tornarono anche i suoi genitori e Ali notò che Taylor sembrava arrabbiata con lei per qualche motivo e non potè fare a meno di pensare che forse Dana le aveva raccontato di quello che era successo. Per sicurezza glielo chiese: «Mamma, per caso hai parlato con Dana?». Taylor annuì. Anche Ali annuì, rassegnata. «E per caso ti ha detto che noi...»
  «Già» rispose sua madre interrompendola. Ali sospirò. Era davvero fantastico.
  «Mamma, ascolta...» cominciò lei, ma Taylor la fermò.
  «Tua moglie mi ha detto di aspettare quando starai meglio. E ha ragione». Ali si sentì ancora più preoccupata. Se voleva aspettare che stesse meglio c’era da chiedersi quanto volesse urlarle contro.
  Ma l’incontro più atteso fu quello con Dana. Più che altro perchè voleva parlare ancora con lei. Quando arrivò acconsentì a farle fare un giro con la sedia a rotelle e intanto decisero di parlare.
  «Mi manchi» disse Dana improvvisamente, dopo un lungo silenzio. Ali sentì una lacrima scorrerle lungo la guancia. Era un bene che le desse le spalle, non voleva che Dana la vedesse piangere, anche se non era del tutto sicura del perchè.
   «Mi manchi anche tu» replicò. «Ma sai, quando tornerò a casa andrà meglio. Potremo parlare sempre. Non vedo l’ora di tornare a casa, stare qui è insopportabile».
  Come il giorno precedente Dana rimase lì fino alla fine dell’orario di visita. Alla fine si congedò da Ali con un bacio sulla guancia e tornò a casa. Taylor aveva tenuto Erica quel pomeriggio, era andata anche a prenderla all’asilo, dove erano rimasti tutti scioccati nel sapere dell’incidente di Ali. Lei quella sera si preparò a trascorrere la sua seconda notte in ospedale. Guardò di nuovo l’altra donna. Non aveva ancora ripreso conoscenza e si ritrovò a pregare per la sua vita. Nella sua le cose andavano bene, nonostante tutto, e non voleva che andassero male in quella di qualcun altro.
 
 
 

 
 
NdA: Eccomi con il nuovo capitolo! Ci ho messo un po’, ma spero che ne sia valsa la pena. Grazie a tutti come sempre e buona lettura! Intanto non me la sento ancora di dirvi “have fun”.
 
 
  
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