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Autore: Angie Mars Halen    16/04/2014    1 recensioni
Nikki sta attraversando il periodo più buio della sua vita e ha l’occasione di incontrare Grace. Dopo il loro primo e burrascoso incontro, tra i due nasce una profonda amicizia e Grace decide di fare del suo meglio per aiutare e sostenere il bassista. Inizialmente Nikki è felice del solido rapporto che si è creato tra lui e questa diciassettenne sconosciuta, ma subentrerà la gelosia nel momento in cui lei inizierà a frequentare uno dei suoi compagni di band. Mentre dovrà fare i conti con questo, Grace, che è molto affezionata a lui e quindi non vuole abbandonarlo, dovrà fare il possibile per non essere trascinata nell’abisso oscuro di Sikki.
[1987]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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30) TOMMY

Dopo la serata al Whisky in cui mi ero imbattuto di nuovo in Elisabeth, non mi era più capitato di vedere Grace, ma non credevo che la seconda volta in cui l’avrei incontrata me la sarei ritrovata davanti pronta a farsi in due per il mio migliore amico. Quella sera arrivò terrorizzata a casa mia verso le sei insieme a Beth e cominciò a parlare senza nemmeno lasciarmi il tempo di darle il benvenuto.

“Devi correre a Van Nuys,” mi ordinò in preda all’agitazione e fissandomi con gli occhi fuori dalle orbite per la tensione. “Sei l’unico che conosce Nikki abbastanza bene da farlo ragionare, o almeno provarci. Adesso sta molto male e so che vorrebbe averti al suo fianco.”

La guardai di sbieco, domandandomi che accidenti ci facesse quella sconosciuta a casa mia a dirmi come dovevo comportarmi con il mio migliore amico, ma lei continuava a tenermi gli occhi puntati addosso, implorandomi di saltare in sella alla motocicletta e correre da Nikki.

“Vuoi entrare? Almeno ci sediamo,” le chiesi con gentilezza mentre mi guardavo intorno sperando che tutto quel trambusto non avesse attirato l’attenzione dei vicini.

Grace scosse il capo. “Non c’è tempo da perdere. Devi correre a Van Nuys prima che sia troppo tardi.”

Inarcai le sopracciglia, sempre più confuso. “Tardi per cosa?”

“Perché quell’incosciente del tuo amico si ammazzi per davvero,” scandì a pochi centimetri dal mio viso.

Trasalii e arraffai la giacca e le chiavi della motocicletta per tenermi pronto. “E va bene, ci vado, però prima voglio sapere cos’è successo a Nikki.”

Grace deglutì a vuoto, sempre immobile sulla soglia e con dietro Elisabeth che ci guardava senza fiatare. “Non so cosa gli passi per la testa, fatto sta che mi ha messo del sonnifero o qualcosa di simile nel bicchiere. Se non me ne fossi accorta lo avrei bevuto e non voglio nemmeno pensare a cosa sarebbe potuto accadere dopo.”

“Merda,” esclamai mentre attraversavo il giardino per raggiungere la mia Harley. “E per quale motivo vuoi che vada subito a casa sua?”

Lessi della vera preoccupazione nello sguardo di Grace. “Quando sono scappata era disperato, e io lo so che quando si incazza si chiude nella cabina armadio. Stavolta l’ho visto molto arrabbiato, quasi fuori di sé, e–”

“Okay,” la interruppi. Non avevo bisogno di ulteriori spiegazioni. “Grazie per avermelo detto. Probabilmente Nikki non mi avrebbe neanche chiamato, anzi, l’unico numero che ha composto sarà sicuramente stato quello del suo spacciatore. Voi andate da qualche parte a distrarvi, ci penso io a lui.”

Grace disse qualcosa ma non le diedi ascolto: adesso dovevo correre da Nikki e sperare che non si fosse veramente cacciato nei guai. Che diamine combinava, quel deficiente? Se aveva veramente fatto quello che aveva detto Grace, allora doveva essere veramente fuori.

Guidai con un groppo in gola fino a Van Nuys, pregando che non fosse davvero troppo tardi, e lasciai la motocicletta davanti al cancello senza curarmi di legarla con la catena e il lucchetto. Non persi nemmeno tempo a suonare: scavalcai direttamente il cancello senza fare troppa fatica e feci una corsa intorno alla casa finché non trovai una finestra rotta dalla quale intrufolarmi. Entrai dalla cucina e notai che nel lavandino si erano accumulate almeno una decina di bottiglie vuote, mentre una pila di cartoni di pizza con dentro qualche avanzo ammuffito erano stati abbandonati in un angolo e le formiche li avevano presi d’assalto. Passai per il salotto messo a soqquadro e reso buio dalle tende di velluto pesante che avevano tutto l’aspetto di sipari teatrali, salii le scale facendo due gradini alla volta, intimorito dall’assenza di rumori eccetto quello che le mie suole di cuoio producevano a contatto con il marmo, e finii violentemente addosso a un gargoyle a causa della poca visibilità. Mi ritrovai davanti il suo brutto grugno e gli occhi di pietruzze rosse mi fissavano come se avessero voluto spaventarmi per farmi tornare indietro.

“Ma vattene a ‘fanculo, mostro del cazzo,” sibilai mentre coprivo la statua di pietra con un lenzuolo abbandonato in un angolo del pianerottolo. Quei cosi malefici sembravano i guardiani della Villa degli Orrori. Erano come le statue delle divinità di un santuario macabro.

Ripresi a correre. Il tempo pareva non passare mai e mi sembrava di non riuscire ad andare avanti abbastanza velocemente, proprio come negli incubi. Quella però era la realtà e, che mi piacesse o meno, l’avrei affrontata. Mi lanciai contro la porta della stanza da letto con entrambe le mani aperte e la spalancai, sapendo già che Nikki non l’avrei trovato lì, poi mi diressi verso la cabina armadio senza indugiare. Da dentro provenivano dei lamenti sommessi perché evidentemente mi aveva sentito e mi aveva scambiato per un’allucinazione. Non avevo voglia di assistere a quella scena per l’ennesima volta, ma fui costretto ad aprire la porta e a sforzarmi di non fargli vedere quanto mi facesse stare male. Nikki, il mio migliore amico, quello con cui avevo sempre condiviso le più grandi cazzate della mia vita, i momenti belli e quelli tristi, se ne stava rannicchiato sulla moquette come un bambino nel ventre materno, e in effetti quello era tutto il suo mondo, l’unico posto in cui si sentiva sicuro. Indossava solo un paio di boxer neri e logori, la pelle aveva uno spaventoso colorito giallastro, i capelli erano stopposi come se fossero stati sintetici, e il suo volto era rigato dal trucco colato con le lacrime e contorto in un’espressione disperata. Intanto teneva stretto a sé il fucile a doppia canna, quell’arma maledetta che temevo che un giorno gli avrebbe portato un sacco di guai. Non riconoscevo più mio fratello e mi chiesi dov’era finito il mio Nikki che faceva il culo a tutti, rigorosamente con me al suo fianco.

“Vattene,” mi ordinò sottovoce e con il viso nascosto contro le ginocchia mentre cercava di allontanarsi, ma finì per scivolare goffamente quando appoggiò male una mano sul pavimento insozzato da vomito, alcolici e Dio solo sa che altro.

Ecco a cosa l’aveva ridotto la sua schifosissima roba: a un animale. Il mio Nikki, un animale. No, cazzo, no. Mi rifiutavo di accettarlo.

Una morsa mi prese il cuore e mi inginocchiai di fianco a lui per abbracciarlo. “Devi alzarti da qui, Sixx, dobbiamo andare via.”

Nikki appoggiò la testa alla mia spalla, ormai privo di forze. “Non ci riesco, T-Bone. lo vorrei tanto, ma non ci riesco.”

“Sì che ci riesci, invece,” ribattei. Passai un braccio intorno alla sua vita ossuta e lo aiutai ad alzarsi in piedi, ma per me era troppo grande e lui non era abbastanza in forma nemmeno per reggersi sulle sue stesse gambe. Con una spalla che strisciava contro il muro, uscii dallo sgabuzzino e lo feci sedere sul letto, dove vomitò un paio di volte mentre lo sostenevo affinché non scivolasse di lato.

“Vai via, T-Bone, questo non è un bel posto,” rantolò. Dopo tutto l’alcol che si era scolato e il pianto che si era fatto, la sua gola doveva essere avvolta dalle fiamme.

“Scordatelo. Non ti lascio da solo in questo porcile.”

“Cosa intendi fare, stare qui a farmi da puntello per evitare che cada a faccia in giù nella merda che spargo in giro per casa?” sibilò.

“Tanto per cominciare, ti serve un bel bagno perché puzzi così tanto che tra poco sbocco anch’io,” constatai prima di tornare ad abbracciarlo per aiutarlo a camminare.

“Domani sarò sporco uguale,” si lamentò Nikki biascicando.

“Quanto meno finché resterò qui sarai pulito.”

Il bagno distava pochi passi dal letto, ma con Nikki appeso al collo come un peso morto rischiai di cadere per ben due volte. Appena riuscii a entrare e ad accendere la luce, scansai con un piede gli innumerevoli indumenti sporchi abbandonati sul pavimento, tolsi un ammasso di coperte da dentro la vasca e ci ficcai dentro Nikki con ancora le mutande indosso, incurante delle sue proteste e dei deboli pugni che mi infliggeva sulla schiena. Usava così poco quella vasca che all’inizio l’acqua uscì sporca di ruggine, macchiando le pareti di smalto bianco ma, appena cominciò a scorrere limpida, puntai il getto ancora freddo addosso al mio amico. Farfugliò qualcosa di incomprensibile mente l’acqua colava lungo il suo corpo giallastro e denutrito e cercò di divincolarsi per uscire dalla vasca ma, ora che l’avevo messo a sedere, riuscivo a tenerlo fermo, e potei continuare il mio lavoro facendo molta meno fatica. Appesi la giacca di pelle alla maniglia della finestra, l’unico posto pulito di tutto il bagno, e ribaltai i mobiletti alla ricerca di qualcosa che potesse assomigliare a del sapone e dello shampoo. C’erano barattoli pieni di cotone idrofilo, due boccette di disinfettante aperte, svariati medicinali e una bomboletta di schiuma da barba, ma alla fine riuscii a trovare del bagnoschiuma. Nella fretta non riuscii nemmeno ad aprirlo correttamente, allora staccai il tappo intero e feci cadere una grande quantità di sapone bianco e profumato sulla schiena di Nikki.

“Che cazzo fai?” sbraitò lui.

“Ti insapono per bene,” ribattei. “Fai così tanta puzza che non ti si riesce a stare vicino.”

“Allora stammi lontano!” gridò mentre mi davo da fare.

Continuai a strofinare la sua pelle senza dargli ascolto. “Che cazzo, Nikki, sei peggio di me da piccolo quando mia madre doveva farmi il bagno. Saltavo da tutte le parti, l’acqua schizzava sullo specchio e mia mamma si incazzava. Io però me ne frego perché questa è casa tua. Tanto poi non pulisci nemmeno.”

Non gli lasciai il tempo per rispondere e gli rovesciai dell’altro bagnoschiuma sui capelli arruffati. Cominciai a sfregare con forza, cerando di districarli senza fargli male, ma erano così stopposi che dovetti accanirmi su di essi aiutandomi con una spazzola sdentata.

“Tommy, stronzo, mi fai male!” urlò Nikki mentre mi stringeva un polso.

Gli passai una mano insaponata sulla faccia. “Zitto e collabora.”
Quando la spostai il trucco nero era colato ancora di più sulla sua pelle sottile, attraverso la quale si intravedevano chiaramente i capillari sofferenti, poi gli sciacquai il viso e lo tamponai con l’angolo più pulito di un asciugamano che avevo rinvenuto nel fondo di un armadio. Ora che il suo volto non era più rigato dall’eye-liner colato e dalla sporcizia, sembrava appartenere a un’altra persona – al mio Nikki.

“Hai finito di torturarmi?” mi domandò seccato mentre tenevo il suo viso tra le mani per guardarlo in tutta la sua genuinità, senza rimmel né cerone né altra merda.

“Adesso andiamo di là, va bene?” gli chiesi con calma dopo avergli buttato un asciugamano sulle spalle tremanti.

Nikki annuì debolmente e sembrò tranquillizzarsi, poi mi tese una mano. “Mi aiuti?”

Gli passai un braccio intorno alla vita e lo sostenni nel fare quei pochi passi necessari per raggiungere la sua stanza. Si sedette sul letto che chissà da quanto tempo non veniva rifatto e si guardò intorno seccato, stringendosi nel telo ruvido.

“Te ne andrai?” domandò senza guardarmi in faccia.

Incrociai le braccia e scossi il capo. “No, bro. Resterò qui con te finché non sarò sicuro che per oggi l’avrai piantata di combinare cazzate.”

Nikki roteò gli occhi arrossati e si fece più in là per chiedermi di sedermi accanto a lui. Obbedii dopo aver spalancato la finestra con la speranza che, così facendo, il cattivo odore di chiuso se ne andasse, poi Nikki si lasciò cadere sulla schiena e fissò il soffitto ornato da un antico lampadario color oro. “Perché sei venuto qui?”

“Perché Grace mi ha raccontato quello che è successo oggi,” risposi mentre mi stendevo di fianco a lui, privo di forze dopo aver faticato tanto per restituirgli un aspetto dignitoso e degno di lui.

Nikki si portò le mani sul viso e tirò indietro il ciuffo umido di capelli corvini, chiudendo gli occhi e sbuffando. “Spero tu non voglia farmi la predica.”

Incrociai le mani sul grembo. “Vorrei solo sapere cosa stavi per darle e perché. Lei mi ha detto che si trattava di whiskey e sonnifero. È vero?”

Nikki scattò a sedere e si portò le mani sul viso. “Nemmeno io so cosa mi sia preso, T-Bone. La mia testa marcia credeva che sarebbe stata una bella idea ficcarle nel bicchiere un po’ di quella roba e l’ho fatto, così anche lei avrebbe potuto provare qualcosa che prendo anch’io. E no, non era sonnifero, ma un intruglio di medicinali che mi stordisce abbastanza da non farmi sentire il dolore quando sono in astinenza da troppo tempo.”

Strinsi le palpebre finché non bruciarono. “L’hai mischiato a del cazzo di alcol, Sixx. Avrebbe potuto farle male, te ne rendi conto?”

“Lo so, ma non era quella la mia intenzione, credimi!” esclamò scuotendomi per un braccio.

Mi sedetti anch’io e gli diedi una pacca sulla schiena.

“Ascoltami bene, una volta per tutte,” Nikki cercò di aprire di più gli occhi, ma la stanchezza glielo impedì, tuttavia fece il possibile per dimostrarmi che aveva intenzione di ascoltarmi. “Ti stai uccidendo con le tue stesse mani, amico. Devi fare qualcosa prima che sia troppo tardi.”

Nikki rivolse lo sguardo spento da un’altra parte e parlò con tono piatto e flemmatico. “Non ce la faccio più a vivere in queste condizioni. Non c’è più niente che io possa fare.”

“Non c’è perché non vuoi,” ribattei, prendendo il suo volto per rivolgerlo verso di me. “Apri bene gli occhi, guardati intorno e osserva quante cose belle ci sono che ti stai perdendo.”

Continuava a fissarmi con lo sguardo allucinato senza neanche darmi la soddisfazione di aver capito. “Ah, sì? Non vedo niente, perché non me lo dici tu?”

“Ci sono io, il tuo amico di sempre,” dissi saltando in piedi e indicando la mia persona. “C’è la band, la musica che ami tanto. C’è Mick, anche se ultimamente ha i suoi problemi. C’è quel vecchio marpione di Vince, e adesso anche Grace, poi se cerchi bene puoi trovare tanti altri amici, una fidanzata e vedere quanto c’è di bello oltre le mura di questa villa che non vede luce ma solo polvere ed è teatro di tutte le tue illusioni.”

“Grace mi odia,” mormorò Nikki dondolandosi appena avanti e indietro in modo compulsivo, stretto nell’asciugamano inzuppato che aveva sulle spalle. “E ha ragione. Deve odiarmi, e me lo merito.”

Distolsi lo sguardo da lui per un attimo e decisi che era giunto il momento che lo sapesse. “Non è vero, e ne sono sicuro perché poco fa si è presentata a casa mia, tremando per la paura, e mi ha detto che dovevo correre da te perché stavi male e sapeva che ero l’unica persona che ti avrebbe fatto piacere avere accanto.”

Subito si accigliò, poi voltò lentamente il capo verso di me e i suoi occhi sembrarono riprendere vita dopo un tempo infinito. “Davvero? Voglio dire... davvero lei si è preoccupata per me? Nessuno si è mai preoccupato per me a parte te, è bello che qualcuno si preoccupi per me, nemmeno mia madre si preoccupava per me quando ero piccolo, e–”

Appoggiai una mano sulla sua spalla e mi sentii sollevato nel vederlo abbozzare un sorriso. “Okay, bello, adesso calmati.”

“Non puoi immaginare quanto mi senta felice per questo!” esclamò ad alta voce. Sarei stato pronto a giurare che, se non ci fossi stato io, avrebbe pianto di gioia. “Mi sento così... così... amato e apprezzato. Hai visto, la mia Grace, quanto bene mi vuole?”

“Be’, ‘la tua Grace’ non è proprio il modo migliore per definirla,” lo corressi.

Nikki inarcò un sopracciglio e si morse un labbro. “È vero che adesso se l’è presa quel maledetto di Vince. Che cazzo…”

“Non vedo quale sia il problema visto che siete solo amici, o almeno questo è quello che mi avevi detto.”

“Vince è un bastardo che la farà soffrire e lei è troppo buona e non si merita di stare male,” si lamentò Nikki con tono quasi infantile.

“Temo proprio che questa volta Vinnie abbia perso la testa per davvero. Sinceramente non so quanto potranno durare, però intanto si è cotto a puntino.”

“Non era già abbastanza perso prima?” Nikki arricciò il naso, imbronciato, poi aggiunse. “Be’, mai quanto me.”

Raccolsi una T-shirt da un angolo della stanza e, una volta che mi fui accertato che fosse abbastanza pulita, gliela porsi. “Mettiti qualcosa addosso e vattene a dormire. Smettiamola di parlare di quei due e vedi di fartene una ragione. Grace non ha detto che non verrà più a trovarti, e al posto di Vince ci sarebbe potuto essere chiunque.”

Nikki sbuffò mentre si vestiva. “Grazie per essere venuto fin qui, T-Bone, ma adesso puoi tornare a casa. Credo che dormirò, o almeno così spero.”

Mi sedetti su un angolo del materasso a braccia incrociate. “Scordatelo, io resto qui. Anzi, spostati, voglio sdraiarmi anch’io. Ho sonno.”

“Dobbiamo per forza dormire vicini?” borbottò Nikki contrariato.

Lanciai le scarpe sul pavimento e mi stesi. “Sì. E vedi di lasciarmi un po’ di coperta, ché stanotte fa più fresco del solito.”

“Che le temperature si stiano abbassando?” domandò retorico dopo un lungo sospiro liberatorio.

“Me lo auguro. È quasi Natale e c’è bisogno di un po’ di freddo. Buonanotte, Sixx.”

Spensi la luce e lo sentii sbuffare nel buio. “Buonanotte, T-Bone.”

Per quella volta l’avevo salvato, pensai, e speravo di essere sempre così veloce, ma dovevo tenere in conto che, probabilmente, un giorno avrei potuto non farcela. Mi morsi un labbro per interrompere quel pensiero così doloroso: e invece io ce l’avrei fatta – dovevo per forza.



N. d’A.: Buonasera a tutti!
Dunque, anche Tommy fa finalmente la sua comparsa, eh? ;) Be’, spero che sia stato di vostro gradimento nonostante sia un po’ più drammatica delle altre... ma il peggio non è finito qui...
Come sempre, grazie a chi segue e recensisce! You rock, guys!
Ci si legge mercoledì prossimo!
Intanto vi auguro buone Vacanze!
Un bacio,

Angie

   
 
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