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Autore: sereve    18/04/2014    2 recensioni
Raf e Cry, una storia romantica in uno sfondo apocalittico, ma, come si sa, non si può decidere quando l'amore ti colpirà.
tratto dal ... capitolo: "Mi ritrovai davanti ad un paio di occhi grigi; quasi facevano paura da quanto erano chiari. Cercavo di muovermi ma ero come bloccata, ipnotizzata, quasi, da quello sguardo, che sembrava volermi leggere dentro. Vidi dietro di lui uno spostamento d’ombre e osservai, terrorizzata, il mostro che avanzava lentamente verso il ragazzo sconosciuto, puntando dritto al suo collo."
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate
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buongiorno! scusate se ieri non ho più pubblicato niente, ma sono tornata a casa distrutta dopo più di tre ore di viaggio :/
nuovo capitolo per la vostra gioia! baci, sereve

CONOSCERSI

~~
Quando mi svegliai, realizzai tre cose: A)non avevo sognato niente (stranamente); B) non provavo il solito dolore che mi assaliva appena sveglia; C) c’era qualcosa sopra la mia pancia. In un primo momento mi preoccupai solo della prima, poiché svegliarsi senza dolori una volta tanto era veramente bello. A questo pensiero, sorrisi involontariamente; feci per girarmi di fianco, ciò che mi stavo sopra mugulò contrariato e si mosse. Spaventata, urlai aprendo di scatto gli occhi, trovando sopra le coperte il muso più carino che avessi mai visto: un piccolo di rottweiler nero con il muso, le zampe e la pancia marroncini mi stava fissando con i suoi occhioni neri.
Alzai la mano, titubante, e iniziai ad accarezzargli la faccia, mentre sia io che il cane ci rilassavamo. A turbare la nostra quiete fu il padrone del secondo; sentendo la serratura della porta scattare e l’uscio aprirsi, il piccolo saltò giù dal letto, giunse ai piedi del solito ragazzo e iniziò ad abbaiare e saltare, felice.
Feci per alzarmi, ma venni subito bloccata da un’occhiataccia da “occhi grigi”; mi misi seduta, coprendomi le gambe con il piumino blu, e aspettai che parlasse.
-come stai?- chiese dopo aver fatto uscire il cane con una pallina da tennis logora.
-meglio … grazie- ammisi sincera.
-mi fa piacere. Quando sei svenuta Raf ha quasi avuto un attacco di cuore- si intromise una terza voce. Alzando gli occhi sulla nuova figura, mi trovai davanti un altro ragazzo: era alto approssimativamente come lo scemo (ricordavo vagamente il perché di quel soprannome)ma, a differenza sua, invece che essere biondo, il nuovo arrivato aveva i capelli marroni, come gli occhi. I due si assomigliavano molto, probabilmente erano fratelli, o almeno imparentati, visto i tratti di viso simili.
-non è affatto vero!- esclamò il biondo, imbarazzato.
-non fare il timidone, dai! Comunque piacere Red!- si rivolse a me il moro, facendo qualche passo e offrendomi una mano, che strinsi incerta.- come ti chiami tu invece?- chiese poi imperterrito.
-se te lo dico, tu mi rispondi ad una domanda?- rispondei.
-tutto quello che vuoi- e ammiccò dalla mia parte.
-chi è Raf?
A quel quesito, Red scoppiò a ridere; continuò per più di dieci minuti, in cui la mia stizza cresceva sempre di più.
-sono io- intervenì il biondo, così da farmi scoprire la vera identità. Un momento. Se lui era Raf, allora … Rafael. Oddio, in che casino mi ero cacciata? Perché mia sorella mi ha mandato proprio da lui? Una sfiga cronica, ecco cos’è. Dovetti essere sbiancata di colpo, perche Raf mi guardò preoccupato; sguardo che ignorai bellamente e cercai di riprendermi.
-ok e ora rispondi a me- interruppe Red.
- Mongomery – risposi velocemente.
-si, ma di nome?- chiese impazientemente
- uffa … Christine. per i conoscenti Cry, quindi per te.. Christine.- dissi ironicamente, mentre il biondo si piegava in due dalle risate provocate dalla mia pessima battuta e il moro mi fissava con la bocca semi aperta, privo di parole.
-simpatica- borbottò infine.
-ora lasciaci; dobbiamo discutere di cose serie da soli- affermò Raf, continuando a guardarmi insistentemente e facendomi innervosire.
-ok! A dopo, Krikri!- salutò Red ridendo della mia smorfia per il soprannome orribile.
Appena si richiuse la porta alle spalle, nella stanza scese un silenzio carico di tensione e opprimente. Dovevo assolutamente dire qualcosa, o almeno avrebbe dovuto dirlo lui, sennò sarei impazzita dall’agitazione: infondo era lui che aveva voluto parlarmi in privato. Mentre cercavo di formulare una frase di senso compiuto, iniziò a parlare.
-quindi.. Christine, giusto?
-ehm, già- e il premio per la risposta più articolata del mondo va a.. Christine Mongomery! applausi, applausi gente! Prima o poi avrei trovato il modo di togliere quella vocina interiore che tanto odiavo.
-come, scusa?- chiese il biondino che avevo davanti.
-mm? – chiesi risvegliandomi dai miei pensieri; solo allora notai che si era avvicinato, forse anche troppo per i miei gusti.
-hai borbottato qualcosa con uno sguardo assassino. Facevi veramente paura- ci scherzò su.
Probabilmente avevo insultato senza accorgermene Summer, come succedeva spesso. Cercai di cambiare discorso, imbarazzata per la figuraccia appena fatta, quindi iniziai a dire: -quindi sei tu Rafael.
-e tu sei Christine
-Preferisco Cry. Tornando a noi, conoscevi per caso Lucy Mongomery?- chiesi senza giri di parole. Amavo essere diretta, incurante delle reazioni degli altri.
- vediamo- si mise a pensare, portandoli l’indice al mento e iniziando a picchiettare a intervalli di due secondi – no, non mi dice questo nome. Dovrebbe?
Non risposi; abbassai la testa e incomincia a scuoterla in senso di diniego: possibile che fosse lui il ragazzo di cui Lu mi aveva fatto promettere di fidarmi? Certo, si chiamava Rafael, ma ce n’erano miliardi in tutta l’Inghilterra, per non dire nel mondo. Volevo tanto vedere la mia sorellina, per avere spiegazioni, per sgridarla, tirarle le orecchie, abbracciarla, toccarla. Ma non potevo fare niente del genere.
Le lacrime cercavano di uscire dagli occhi, ma io mi ostinavo a non lasciarle andare per nulla al mondo; mi lasciai scappare una risata amara mentre abbassavo le palpebre. Non volevo vedere lui, quella stanza, il mondo in rovina. In quella settimana erano successe troppe cose, avevo solo bisogno di svagarmi, non pensare per un po’; proprio quando formulai questo pensiero il morso rincominciò a dolere e a pulsare. Istintivamente mi portai una mano al collo, mentre cadevo in ginocchio sul pavimento della stanza; mi serviva assolutamente la pomata per farlo passare, sennò sarebbe potuto durare anche ore. Spaventato dai miei gemiti di dolore, si chinò davanti a me e mi alzò delicatamente il viso. Mi ritrovai a fissare quegli occhi in tempesta, supplicandolo implicitamente di darmi il Belthezer . come se mi avesse letto nel pensiero, si alzò di scatto e usci di corsa dalla stanza, per andare a recuperare la medicina. Io intanto non riuscivo neanche più a stare chinata, mi distesi lentamente sopra il tappeto rettangolare blu e rosso.
Quando Rafael entrò come una furia, sussultai spaventata; lui mi vide, accucciata su un fianco con le gambe avvolte in un mio braccio e lo sguardo lucido: probabilmente qual che lacrima era uscita quando il tremore che mi aveva impossessato era iniziato.
Il ragazzo si spremette il tubicino sulla mano e si avvicinò lentamente a me.
-posso?- chiese gentilmente. Annuì, troppo provata per riuscire a pronunciare anche solo una sillaba; tolse la mia mano da sopra il morso e appoggiò la sua, calda e grande il doppio della mia, per spalmare la viscosità trasparente che teneva in quella mano. Con l’altra, invece, mi teneva i capelli, cosicché non si appiccicassero sopra la ferita.
Mi sentì subito meglio: quella sostanza faceva miracoli! Con un sospiro, chiusi gli occhi e mi lasciai cullare dalle carezze leggere di Rafael.
-va meglio?- mi domandò cautamente.
Aprii gli occhi verdi puntandoli nei suoi grigi e risposi:- si, grazie. Non so cosa avrei fatto sennò. È già la seconda volta che lo fai, sai?
-allora mi devi un favore- disse, allargando l’abbozzo di sorriso che gli si era formato con la mia frase precedente.
-non ci provare, bello! Sei tu quello che poi mi ha chiuso in camera a chiave, quindi non ti devo niente- affermai con la mia testardaggine.
Lui, per risposta, scosse la testa divertito e si finse offeso, dicendo che era per il mio bene che lo faceva, come no.

 
  
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