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Autore: Shannonwriter    19/04/2014    1 recensioni
La mia è una specie di rivisitazione della storia di Alice In Wonderland in chiave moderna che però non segue necessariamente gli avvenimenti narrati nei libri o nel cartone. Alice ha diciassette anni e vive a New York. Apparentemente ha tutto quello che le serve, è stata ammessa alla Juilliard e potrebbe diventare una grande pianista un giorno, allora perché non è contenta? L'unico a stare sempre dalla sua parte è Hartley, il suo migliore amico. è buffo, uno spirito libero e un giorno si presenta con un cilindro in testa che, sostiene, potrebbe aiutarla perché è magico. Ma sarà vero? E c'è qualcosa di più di una semplice amicizia tra Alice e Hartley? Scopritelo leggendo (è la mia prima originale, omg!).
Genere: Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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Note: devo chiedere scusa per l'aggiornamento in super ritardo!! Il mio computer è passato a miglior vita e ora ne ho uno uno nuovo :) vi posso dire che il prossimo capitolo sarà bello lungo e arriverà il più presto possibile. Ah, mi scuso se ho pubblicato con dei caratteri un pò piccoli ma non sono riuscita a fare diversamente, con questo pc devo ancora capire come fare!


Alice si alzò dal divano e prese a camminare nervosamente avanti e indietro da una parte all'altra della stanza.
 “Alice?” la richiamò Hartley incerto sul da farsi.
Nessuna risposta, continuava a girare.
 “So che è molto da digerire--”
 “Molto da digerire??” scattò Alice bloccandosi al centro della stanza con gli occhi sbarrati. “Molto da digerire dice lui...” mormorò tra sé e sé riprendendo a camminare.
 “Quindi non credi che io sia pazzo?” chiese Hartley guardingo.
Alice rallentò fino a fermarsi di nuovo. Rifletté bene prima di parlare. “No che non lo credo ma sono...scioccata, sconvolta, scegli tu!”
 “Lo so, Alice” rispose lui calmo “sono rimasto scioccato anch'io quando sono arrivato dall'altra parte.”
La ragazza si porto le mani ai fianchi. Doveva darsi una calmata e alla svelta. Aveva promesso di ascoltare, di tenere la mente aperta perché quel veggente le aveva detto che se non l'avesse fatto allora Hartley sarebbe anche potuto morire. Gli aveva creduto così facilmente! Senza alcun dubbio, per quale motivo? Tuttavia aveva avuto ragione perché seguendo i suoi suggerimenti era riuscita a far vuotare il sacco all'amico. E ora doveva assolutamente fargli finire la storia, non importa quanto era incredibile. “Ok, vai avanti” gli disse tornando a sedersi sul divano. “Sei andato a...Wonderland. E poi? Perché ci sei rimasto così a lungo?” Alice ricordava bene i cinque giorni che aveva trascorso prima preoccupata per lui e poi furiosa. Poi l'aveva incontrato per caso tornando dalla festa di Justin e l'aveva trattata malissimo.
Hartley iniziò a torturare le maniche della sua maglietta. “Beh, ecco, il fatto è che il tempo scorre in maniera diversa di là rispetto a qui e mentre credevo di essere stato via un giorno in realtà qui ne erano passati già cinque” spiegò velocemente. Era agitato anche lui.
La ragazza assimilò anche quella informazione. “D'accordo. E che cosa è successo là?”
Hartley si passò una mano tra i capelli disordinati. “Il tizio del cappello mi ha detto di andare da questo tipo a chiedere Fortuna per Jeff. Così l'ho cercato e quando l'ho incontrato lui mi ha accontentato. È stato facile” disse Hartley ritrovando un po' della sua solita disinvoltura.
Al contrario Alice faticava a tenere la mascella ben salda ed evitare che toccasse il pavimento. “Tutto qui?”chiese allibita “Non mi dici niente di questa persona, di cosa ti ha chiesto in cambio?”
Hartley si sporse verso di lei e le offrì addirittura un sorriso. “Non ti devi preoccupare di lui. È una persona a posto, fa del bene agli altri.”
Alice non se la beveva. Qualunque cosa significasse 'chiedere Fortuna' doveva esserci un prezzo piuttosto alto per averla ottenuta visto il lavoro splendido che era stato fatto sul Wondercafè. “Quindi sei tu il misterioso benefattore di Jeff” concluse.
Hartley annuì. “Si”
 “E lui lo sa?”
 “No”
 “Wow” commentò. Non avrebbe mai immaginato, neanche in un milione di anni, che dietro all'improvvisa segretezza di Hartley ci fosse questa storia. Cercò di riordinare le idee. “Va bene, non voglio sapere i dettagli di come tu abbia fatto a sistemare il locale in così poco tempo ma...è questo il motivo per cui sei stato così cattivo con me? Non volevi che lo scoprissi?” gli chiese rendendosi conto che c'era comunque qualcosa che non quadrava.
Hartley si irrigidì e prese un respiro. “No. C'è dell'altro.”
Alice aveva appena incominciato a rilassarsi credendo che il peggio fosse passato ma evidentemente non era così.
 “Poco dopo essere tornato qui sono stato contattato da due uomini. Venivano da Wonderland e hanno detto di avermi visto lì. Hanno anche detto di conoscere il tipo che mi ha dato la Fortuna e per questo mi sono fidato di loro. Voglio dire, se tu avessi visto quel posto, Alice, così pieno di colori, vegetazione rigogliosa, bellezza...non crederesti mai che possa esistere la cattiveria là!”
Alice sentì un brivido lungo la schiena. Si ricordò della notte in cui l'aveva chiamata con il cerca-persone e l'aveva trovato sciupato, delirante, diverso. Di che cosa aveva farneticato quella notte? “Aspetta...hai detto che delle persone ti avevano fatto del male, che eri fuggito...parlavi di questi due?”
Hartley annuì con un cenno della testa.
Che altro aveva detto? “Sei fuggito perché...volevi avvertirmi di qualcosa. Hai detto che io dovevo andare a Wonderland” disse con un filo di voce realizzando di non aver dato importanza alle parole di un Hartley fuori di sé quando invece avrebbe dovuto. La paura cresceva dentro di lei. “Oddio Hart, che cosa c'entro io con tutto questo?”
Il ragazzo le prese subito la mano, come se volesse assicurarsi che lei rimanesse lì. “Quegli uomini avevano bisogno di aiuto per cercare una persona ma erano solo in due e gli avrebbero fatto comodo altre paia di occhi. Hanno detto che era importante e io ho accettato di aiutarli.” continuò. Alice sentiva che non sarebbe finita bene. “Cercavano una ragazza, non sapevano il suo nome, solo che si trovava a New York e per trovarla avevano solo un ritratto. Ma quando me l'hanno mostrato mi sono tirato indietro”
 “Perché?”
 “Eri tu, Alice”
Per un attimo pensò di aver sentito male. Ma Hartley aveva smesso di parlare, rimaneva fermo a guardarla, attendeva la sua reazione. Che cosa voleva dire con 'eri tu'? Come poteva essere che delle persone provenienti da un altro mondo la conoscessero? Le girava la testa.
 “Alice” Hartley le strizzò la mano leggermente e la chiamò con voce sottile. “Parlami”
Il suo sguardo era torvo quando gli rivolse la parola. “Tu hai saputo questa cosa per settimane e non mi hai mai detto niente?” chiese incredula, ferita.
Quella consapevolezza si diramava dentro di lei, tanta rabbia la seguiva a ruota.
 “Alice, avrei voluto dirtelo, credimi! Ma non sapevo come! Dovevo assicurarmi che tu fossi al sicuro e starti lontano era l'unico modo per proteggerti dagli uomini che cercavano entrambi!” si giustificò con l'urgenza nella voce.
Alice si alzò in piedi, incapace di starsene lì immobile. Scacciò la mano di Hartley come se la disgustasse. “E come mi avresti protetto, sentiamo!? Tenendomi all'oscuro del pericolo che correvo?”
Anche lui si alzò. “Non è così! Quelle persone non avevano idea di dove cercarti, né di chi tu fossi! Ma avevano conosciuto me e volevano farmela pagare per aver rifiutato di aiutarli nella ricerca dopo che avevo detto di si! Se ti avessero trovata con me...”
 “Non voglio ascoltarti! Tutto questo è assurdo, non può essere reale!”
Hartley provò ad avvicinarsi. “Mi dispiace Alice, ho sbagliato a stare zitto così a lungo e ora lo so”
Alice sentiva il rimorso e il dolore nelle sue parole ma la sensazione di tradimento che provava era troppo forte e prevaleva su tutto il resto. “Queste persone mi stanno comunque ancora cercando, Hartley! E che cosa pensi che vogliano farmi, poi?”
 “Io non lo so, mi hanno solo detto di essere stati incaricati di trovarti e portarti al più presto a Wonderland” spiegò il ragazzo.
Alice afferrò la giacca che aveva posato su una sedia. “Io vado a casa” annunciò gelida senza guardare Hartley.
Il ragazzo le fu accanto in un lampo e le toccò il braccio. “Aspetta, non puoi andarci da sola. Chiama un taxi o il tuo autista...”
Di nuovo Alice si scansò. Gli lanciò uno sguardo carico di ira. Non avrebbe mai pensato di poterlo guardare così, proprio lui di tutte le persone. “Non ti è interessato in tutto questo tempo, perché preoccuparsi ora?”
Aprì la porta e la sbatté dietro di sé sperando che non la rincorresse. Non lo fece.

-
 

Quando la verità viene fuori non puoi fingere di non sapere. Vorresti poter tornare al momento prima che tutto andasse in malora e scappare. Si, perché ora tutto era diverso. Ogni angolo, ogni persona vestita di scuro, ogni luogo isolato era diventato spaventoso, minaccioso, una probabile trappola messa lì per catturarla. Il panico aveva accompagnato Alice sulla via di casa, premuta contro il sedile della sua auto privata, con l'irrazionale paura che qualcuno la potesse vedere anche oltre i finestrini oscurati. Aveva vissuto per giorni, settimane, senza sapere che era in pericolo. Aveva girato per la strada completamente sola e avrebbe potuto venire rapita in qualsiasi momento. Non era successo però ed era stata fortunata, almeno per quello. Come aveva potuto Hartley essere così sprovveduto? E tutto mentre lei pensava a come abbattere i muri che lui aveva innalzato, mentre temeva per la sua vita! Si sentiva, indifesa ora, stupida, e odiava sentirsi così. E quel che è peggio, era per colpa del suo migliore amico.
Scese dall'auto in fretta, a testa bassa, e si infilò dalla porta dell'edificio. Persino prendere l'ascensore le creava ansia. Dovette autoconvincersi a respirare normalmente. 'Quel signore accanto a te è innocuo, deve persino averlo visto altre volte salendo a casa. Non avere paura' si ripeté nella sua mente. Il 'ding' dell'ascensore fu una liberazione e in un attimo era a casa, al sicuro. Era stanca, così stanca, si sarebbe chiusa in camera e avrebbe dormito fino a dimenticare quella mattinata; si, forse dopotutto si era inventata tutto, era solo un sogno.
Era certa che sua madre si trovasse al lavoro a quell'ora ma dovette ricredersi quando passando davanti al suo studio sentì dei rumori. Le porte scorrevoli erano semi-chiuse ed Alice sbirciò all'interno. Riuscì a vedere che la stanza era buia tranne per la luce proveniente dallo schermo del portatile della madre. La donna vi era seduta davanti, alla scrivania, e guardava un video. Quando Alice si rese conto di cosa stava guardando le mancò il respiro. Vide suo padre. Era più giovane di come lo ricordava, rideva e faceva boccacce alla telecamera. Insieme a lui c'era sua madre. Era così diversa che era difficile riconoscerla. Portava i lunghi capelli biondi sciolti, indossava un largo vestito blu che conteneva una pancia in crescita. Suo padre si sporgeva per accarezzarla e le parlava perfino. Era passato così tanto tempo che sembrava quasi un film, un'altra vita. Lei ancora no era nata ma mancava poco e i suoi genitori avevano tutta l'aria di esserne felici, anche la Signora Abrhams che raramente mostrava delle emozioni. In quel video, anche lei sorrideva, aveva un po' vergogna della videocamera, ma si vedeva che era serena. Lo sguardo di Alice passò sulla donna che guardava il filmato e si accorse che si passava una mano sul viso. Impossibile, che stesse davvero piangendo? D'istinto aprì del tutto le porte e rivelò la sua presenza. La luce entrò nello studio e la Signora Abrhams si voltò asciugandosi in fretta le guance. “Alice, che cosa ci fai-” si interruppe quando vide bene la sua espressione, esausta, sull'orlo del pianto. “Mamma!” la chiamò andandole incontro. Per la prima volta dopo anni sentiva il bisogno di averla vicina. Alice l'abbracciò e scoppiò in un pianto liberatorio.

   
 
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