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Autore: jadeyaye    20/04/2014    4 recensioni
Per tutto questo tempo mi ha illusa, facendomi credere che provava veramente qualcosa per me. Facendomi credere che fosse tutto reale, quando invece non c'era un bel niente di reale.
Era tutto finto. Un'illusione, una menzogna. Lui è come un attore, bravo a recitare, bravo a far credere cose non reali. Bravo.
Mi aveva solo illusa, ed adesso eccomi qui, a piangere per un coglione che non aveva niente di meglio da fare che prendermi in giro. Eccomi qui, mentre mi rigiro tra le dita i miei capelli azzurri, che lui diceva sempre di amare. Quei capelli che amavo anche io, ma che in questo momento non volevo più vedere, perché mi ricordavano lui. L'azzurro era il nostro colore, proprio come il colore del frullato che lui mi rovesciò per sbaglio in testa la prima volta.
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OS. [AUSTIN MAHONE & BEA MILLER]
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Little Blue'
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                                 HIM.

 

Chiusa in camera, stesa sul letto con le gambe strette al petto e il mento poggiato sulle ginocchia. Le lacrime scendevano dai miei occhi, ormai rossi dal pianto, e arrivavano alle goti fino alla curva della bocca.
Ormai ero rinchiusa in camera da non so quanto, con il cellulare spento. Non volevo sentire sentire la voce nessuno. Non volevo leggere nessun messaggio, perché sapevo benissimo che tra tutti, ci sarebbero state le prese in giro.

Si, prese in giro. Perché lui mi aveva sputtanato davanti alla scuola intera, prendendo in giro tutte le frasi romantiche che ci eravamo detti in questi bellissimi sei mesi. Avevamo sempre tenuto tutto nascosto, perché i suoi amici non avrebbero capito, loro non capivano mai. Almeno, questo era ciò che mi diceva sempre, quando gli chiedevo per quale motivo non potevamo farci vedere insieme.

Ora sapevo benissimo la verità.

Tra tutte le persone, non avrei mai pensato che lui potesse farmi questo.

Lui, il ragazzo che è entrato nella mia vita.

Lui, il ragazzo che mi ha rialzata.

Lui, il ragazzo che è stato il mio migliore amico.

Lui, il ragazzo che mi ha fatto innamorare.

Lui, il ragazzo che mi ha protetta e difesa.

Lui, il ragazzo che mi ha fatto credere..

Lui, il ragazzo che mi ha mentito.

Si, mi ha mentito.

Per tutto questo tempo mi ha illusa, facendomi credere che provava veramente qualcosa per me. Facendomi credere che fosse tutto reale, quando invece non c'era un bel niente di reale.

Era tutto finto. Un'illusione, una menzogna. Lui è come un attore, bravo a recitare, bravo a far credere cose non reali. Bravo.

Mi aveva solo illusa, ed adesso eccomi qui, a piangere per un coglione che non aveva niente di meglio da fare che prendermi in giro. Eccomi qui, mentre mi rigiro tra le dita i miei capelli azzurri, che lui diceva sempre di amare. Quei capelli che amavo anche io, ma che in questo momento non volevo più vedere, perché mi ricordavano lui. L'azzurro era il nostro colore, proprio come il colore del frullato che lui mi rovesciò per sbaglio in testa la prima volta.

Sorrisi al pensiero di quel giorno, quando per la prima volta la maschera che in questi sedici anni di vita avevo creato si era disintegrata. Tutto grazie al suo sguardo, grazie ai suoi occhi color nocciola.

 

 

.. e poi mi ha dato il numero! Oddio, ancora non ci credo!”

Sorrisi mentre sentivo la mia migliore amica, Maddie, parlare di come il ragazzo di cui aveva una cotta le aveva chiesto un appuntamento. Finalmente.

Mi aveva tormentata per mesi interi su quanto fosse stupendo Kian e, sinceramente io non vedevo l'ora che questo ragazzo si accorgesse di lei.

Vedevo sempre quanto soffriva per il fatto che nessuno si fosse mai accorto di lei, e la cosa mi stupiva sempre. Maddie era bellissima: alta, con un fisico da modella, dei bellissimi capelli castano scuro che le incorniciavano il viso sottile e le ricadevano sulle spalle, continuando il percorso fino alla vita. La cosa più bella di lei, però, erano gli occhi. Occhi che, a prima vista erano innocui di un colore castano scuro, ma che se guardavi attentamente, vedevi un mondo tutto diverso dal nostro.

Perché, si, Maddie viveva per la maggior parte del tempo in un mondo tutto suo, dove c'era la pace e l'amore. Infatti lei ripeteva spesso la frase “pace e amore”, seguito dal suo bracciale con il segno della pace. Era una sognatrice.

Ed io ero lì, seduta sul marciapiede, ad ascoltarla mentre mi parlava di Kian. Mentre esprimeva tutta la felicità che aveva in corpo. Non potevo far altro che essere felice per lei.

..ma non dici niente? Ehi?”.

Ritornai alla realtà, quando la mano di Maddie si poggiò sulla mia spalla, iniziando a scuotermi.

Scossi la testa, spostando le ciocche dei capelli da davanti alla faccia e annuendo “Si, si. Ti stavo ascoltando, tranquilla”.

La guardai, sorridendo, cercando di farle capire quando felice fossi per lei. Non feci in tempo però ad aggiungere altro, che qualcosa mi finì in testa.

Lancia un urlo, alzandomi di colpo ad occhi chiusi, per paura che qualsiasi cosa mi fosse finita sui capelli, arrivasse ad essi. Lentamente, poi li apri toccando quella cosa, e sentì un liquido.

Portando la mano davanti agli occhi, la vidi sporca di qualcosa di azzurro.

Scusa! Non l'ho fatto apposta!”.

Senti una voce tentare di scusarsi dietro di me, e mi voltai, pronta a dirne quattro al tizio. Ma, appena girata, mi bloccai.

Davanti a me, in tutta la sua bellezza, c'era Austin Carter Mahone. Era uno dei ragazzi più amati della mia scuola, un ragazzo definito da tutto -d'oro-. Lo vedevo delle volte in giro per i corridoi, ma non lo calcolavo molto. Avevo sempre avuto sei problemi con i ragazzi.

Adesso invece, eccolo qui davanti a me, mentre mi chiede scusa per aver sporcati i miei bellissimi capelli biondi.

Non.. non importa”, mormorai come incantata.

Mi ero bloccata a guardare i suoi occhi, così belli. Non riuscivo più a distogliere lo sguardo da lui. Ero ipnotizzata da lui.

Sicura?”. Si avvicinò di più a me, facendomi sentire più bassa di quanto non fossi già. Il mio metro e sessantacinque non aiutava per niente con la sua di altezza. Gli arrivavo giusto sotto il mento.

Mi riscossi, annuendo con il capo, cercando di non apparire tanto strana, per quanto il liquido azzurro sui miei capelli me lo permettesse.

Ma cos'é?”, chiesi con un filo di voce, indicando con il dito la cosa azzurra.

Be', prima era il mio frullato al puffo, ora puo' sembrare più uno shampoo per capelli”, cercò di sdrammatizzare, accennando una risata mentre parlava.”Magari, potrei chiamarti -Frullato Al Puffo-.

Io stetti al gioco, sorridendo appena e facendo un cenno affermativo con la testa, guardando con dispiacere i miei capelli.

Dai, magari un giorno me li potrei tingere di azzurro. Non sarebbe male”, dissi poi, alzando di nuovo lo sguardo verso di lui, cercando però di non guardarlo negli occhi per non ipnotizzarmi di nuovo.

Lo sentì ridere “Visto? Non è male”. Mi sorrise allungando la mano verso di me “Comunque, piacere. Io sono Austin, Austin Mahone.”

Annuì, allungando la mano e stringendo la sua rispondendo al sorriso “Io sono Beatrice Miller, ma chiamami semplicemente Bea”.

 

Sembrava così dolce, così simpatico, così sincero. Ed invece era solo uno scherzo, tutto un illusione, una fottutissima illusione.

Mi viene voglia di colorarmi i capelli di rosa o di bianchi, di rasarli addirittura. Tutto pur di distruggere il ricordo dell'azzurro.

Non sarei più stata il suo Frullato Al Puffo, anzi, non lo sarei proprio mai più stata.

Voglio distruggere tutto ciò che mi ricorda lui. Ogni messaggio, ogni chiamata registrata, ogni frase dolce scritta sul mio diario, ogni ricordo. Tutto.

Dovrei smetterla di pensare a lui, dovrei smetterla di soffrire per lui. Dovrei smetterla, ma non ci riesco.

Perché devo sempre essere l'amica di scorta, perché devo sempre essere l'amica della ragazza bella, perché devo sempre essere il gioco di tutti.

Perché tutti si divertono a farmi soffrire? Perché? Cos'ho fatto? Niente.

A fatica riesco ad alzarmi, scendendo dal letto e andando verso la porta. Mi sembra di non avere più la forza di aprire la porta, tanto che devo fare più pressione del solito per tirare giù la maniglia. Prendo un respiro profondo, e lentamente tiro con delicatezza la porta verso di me, aprendola, e quando fui del tutto fuori dalla mia camera, decisi di andare in bagno.

Non potevo farmi vedere da mia madre in questo stato. Mi avrebbe di sicuro fatto delle domande, e rispondere era proprio l'ultima cosa che volevo fare.

Entrata in bagno, mi misi davanti al grande specchio dietro il lavandino, e vidi subito gli occhi. Erano più rossi di quando pensassi e quasi sembrava che stessi perdendo sangue. Il mio viso era rigato dalle lacrime, e si vedeva ancora il segno di quelle ormai seccate.

No, non potevo assolutamente farmi vedere in questo stato. Né da mia madre, né dal resto del mondo. Aprì il rubinetto, e rinchiusi un dell'acqua sui palmi delle mie mani, per poi lanciarmela in faccia. Ripetei l'azione un paio di vole, fino a quando la ragazza riflessa nello specchio non mi sembrò abbastanza accettabile.

Dopo essermi passata l'asciugamano sulla faccia, ed essermi data una sistemata ai capelli, scesi le scale e andai in soggiorno, dove si trovava mia madre.

Stava dormendo. Meglio per me, almeno non parleremo proprio. Quando sono arrivata a casa sono corsa subito su per le scale, rinchiudendomi poi in camera senza salutare. Quando aveva provato ad entrare le avevo chiesto nel migliore dei modi di non entrare e di lasciarmi in pace, perché ero stanca.

Sentì bussare alla porta. Ero indecisa se andare ad aprire o lasciare che chiunque fosse la fuori morisse di caldo, sotto il sole di maggio. Dopo il decimo colpo, decisi di andare ad aprire, capendo che il “qualcuno” la fuori non aveva la minima intenzione di evaporare.

Arrivai alla porta, e abbassando la maniglia aprì la porta, ma me ne pentì subito.

Davanti a me, si presentava un Austin Mahone, con tanto di berretto, maglietta maniche corte rossa, pantaloncini e scarpe da ginnastica.

“Che vuoi?”. Cercai di usare il tono più freddo che avevo, cercando di far rialzare quel muro di ghiaccio che proprio lui aveva distrutto con uno sguardo.

“Voglio che tu mi ascolti”, replicò con tono deciso, cercando di entrare in casa, ma lo bloccai poggiando la mano sul lato su cui si trovava.

Scossi la testa, disgustata. “Tu osi venire qui, aspettandoti che io ti ascolti e che ti accolga in casa mia, dopo quello che mi hai fatto?!”, quasi urlai. Non volevo svegliare mia madre, ma il suo modo di fare mi stava facendo venire i nervi. Dovevo trattenermi dal prenderlo a pugni su quel vicino d'angelo che si ritrovava. Viso che non rispecchiava per niente il suo carattere.

Lui mi guardò, con uno sguardo serio, uno sguardo che non ho mai visto comparire sul suo viso.

“Bea, mi devi ascoltare. Ti prego”, le ultime due parole le disse in un sussurro. Sembrava quasi che stesse per scoppiare a piangere.

Incrociai le braccia al petto, battendo ripetutamente il piede a terra e mordendomi l'interno guancia, pensando a cosa fare. Ascoltarlo o no? Tanto, cos'ho da perdere?

Infine annuì “Va bene. Hai dieci minuti, fatteli bastare, perché sono stata anche abbastanza gentile”.

Le sue labbra s'incurvarono in un sorriso, che mostrava i suoi denti perfetti. “Basteranno”.

Chiusi la porta e lui si allontanò da me, andandosi a sedere sugli scalini della casa. Io mi limitai a sedermi un gradino sopra di lui, rimanendo in silenzio. L'unica cosa che si sentivano erano i nostri respiri e il vento leggero, che mi spostava i capelli. Poi parlò.

“Bea, io non ti ho mai mentito. Tu sei davvero importante per me, non ti sto ingannando.”, cominciò. Ero già intenzionata di picchiarlo. Come poteva dire queste cosa? Come poteva continuare a mentire? Perché non diceva semplicemente la verità?
“Perché non dici la verità, per una fottuta volta”, sussurrai appoggiandomi con gli avambracci sulle cosce e guardandomi i palmi delle mani.

“Non sto mentendo. Sto dicendo la verità”, sentivo la tristezza nella sua voce. Si, tristezza di 'sta minchia.

Voltai la testa verso di lui, guardandolo in ogni centimetro del viso e poi, scossi la testa. “No, stai mentendo. Mi hai illusa per tutto questo tempo”.

Lui scosse la testa con forza.

“No. Non è vero. Io non ti ho mai illusa. Ogni cosa che ti ho detto o scritto era vera. Tutto, come quello che ti sto dicendo ora”, sussurrò guardandomi negli occhi.

Erano lucidi.

Distolsi lo sguardo, non potendo resistere a quella scena. Non poteva piangere lui. Non aveva niente per cui piangere.

Lui si alzò di uno scalino, sedendosi su quello su cui ero seduta pure io e poggiò la fronte contro la mia tempia, chiudendo gli occhi.

Io non feci niente. Rimasi immobile, a guardare le mie mani e i miei polsi, pieni di bracciali. Amavo i miei bracciali, e amavo ancora di più metterli tutti insieme. Esprimevano il mio carattere.

Tra quei braccialetti c'era anche il nostro, quello con le iniziali “A&B” messe come ciondolo. Me l'aveva regalato lui per il mio sedicesimo compleanno. Non l'avevo mai tolto, neanche dopo quello che era successo.
Mi accorsi dopo che la sua mano era andata a finire proprio su quel braccialetto, e che in quel momento se lo stava rigirando con le dita.
Lo sentì sorridere “Non l'hai tolto”.

“No”, mormorai scuotendo debolmente la testa, lasciando che delle ciocche mi finissero in faccia,

Austin con la mano le tolse e poi mi fece girare il viso verso il suo, guardandomi negli occhi.

“Justin non ti sopporta. Dice che sei utile a niente, che non dovresti esistere, ed io ho detto di essere d'accordo”.

Queste affermazioni mi fanno stare solo peggio. Sapere che lui è d'accordo con questo mi fa capire solamente quanto lui sia orribile.

Non rimarrò un altro minuto. Mi alzo di colpo salendo l'ultimo scalino e avviandomi verso la porta e aprendola. Una mano, però, le da un colpo facendola chiudere di scatto e prendendomi dal gomito mi fa girare, schiacciandomi con la schiena contro il legno.

Il viso di Austin è a pochi centimetri dal mio, e sento il suo dolce alito sulla mia faccia.

“Non voglio più vederti”, cerco di liberarmi, ma lui posa entrambe le mani sui miei fianchi, bloccandomi.

“Ho detto che sono d'accordo, ma subito dopo gli ho tirato un pugno nello stomaco e me ne sono andato via”, sussurrò tenendo gli occhi puntati nei miei.

“Austin..”

“No. Ascoltami. Io ho detto quelle cose perché se Justin avesse scoperto qualcosa avrebbe fatto di tutto per sputtanarti davanti a tutti. In un modo o nell'altro lui sarebbe riuscito a trovare qualcosa di intimo su di te”, lo sguardo si fece molto più serio.

Io non risposi. Mi limitai ad abbassare lo sguardo, incapace di reggere il suo.

“Io non posso stare senza di te, Frullato Al Puffo."



GIADAWRITER:

Ok, questa è una piccola cavolata che mi è venuta in mente ieri alle dieci di sera. Non so, ho visto delle foto, ho ascoltato delle canzoni e mi è venuta in mente questa cosuccia qui.

Non è granché, lo so, ma non è neanche uno schifo. Ditemi che ne pensate ;)

PS: per chi non la conoscesse, Beatrice Miller è una cantante uscita da X-Factor UK.

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