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Autore: Cottage    21/04/2014    4 recensioni
Una banconota da 100 Pokè oscillava costantemente davanti ai miei occhi. "Ecco, questa è una cosa sospetta" avevo quindi detto, a Daisuke, il quale l'aveva già superata, non badandoci e dicendo "Sbrigati che siamo quasi arrivati"
Io, per tutta risposta, avevo sorriso, ridendo della mia distrazione "Hai ragione, scusa, si vede da lontano un miglio che questa è una trappola!" Quindi, dal nulla, erano scese altre banconote da 200 e 300 Pokè. "Oh, beh, direi che questo è un gran colpo di fortuna" Avevo ammesso, cambiando idea a facendo voltare un Daisuke stupito. Il mio lato taccagno aveva preso il sopravvento. Sembravo una bambina a cui la mamma aveva comprato un sacchetto di caramelle. Tante caramelle.

Madeleyne, Maddy, Madd-madd, chiamatela come più vi sembra comodo, è una ragazza normale (?), leggermente sarcastica e taccagna, che da un giorno all'altro decide di diventare allenatrice di Pokèmon e partire per una nuova regione.
In questo lungo -sì, si preannuncia lungo- viaggio incontrerà amici e nemici, persone divertenti e strambe e capirà che, dopotutto, stare chiusa in casa non è poi così divertente…
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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~ A Bordo di un Lapras ~

 

 
 
 
"Cosa ti è saltato in mente?!"
Daisuke era arrabbiato.
"E' stato un gesto estremamente irresponsabile. Ti rendi conto di quel che poteva esserci, alla fine di quel tunnel?  Certo che no, tu non ti fermi mai a pensare!"
Correzione: era fuori di sé dalla collera.
"Grazie alla tua idea geniale abbiamo causato dei danni al ristorante!"
Normalmente avrei ribattuto, ma in quelle condizioni particolari avevo deciso di lasciar correre.
Da quando eravamo sgattaiolati dentro all'attrazione, Daisuke non aveva fatto altro che lamentarsi di come l’avevo praticamente sequestrato, facendogli compiere azioni illecite a sua volta. Il che era un’esagerazione, a dir la verità; cosa c’era di male nell’irrompere in un parco dei divertimenti senza pagare, rompere una pila di piatti, cadere addosso ad una cameriera ed innervosire un paio di clienti?
"Per non parlare delle persone che hai fermato per strada! Non ho mai visto nessuno di più sfrontato-"
"E da quando fare dei complimenti è considerato maleducato?" Borbottai con noncuranza, tastando la parete. La giostra era ancora in fase di prova e quindi la sicurezza aveva deciso di bloccare l’accesso al pubblico, chiudendo a chiave l'entrata. Nulla che un paio di forcine non avessero potuto risolvere.
L’unico impiccio era, pertanto, l’oscurità che regnava in quel posto, completamente separato dal resto del parco.
 
Ahah! Fortuna che ho il mio fido Dexi ad aiutarmi! Gongolai e, ficcata una mano nella borsa, iniziai a rovistare fra gli oggetti. Il Pokédex che il professor Mattew ci aveva imprestato si era rivelato una vera e propria manna dal cielo: non solo era stato capace di riconoscere ed analizzare ogni pokèmon che aveva tentato di uccidermi, ma era anche un distributore d’informazioni sullo stato dei miei piccoli alleati – il che era utile se mi dimenticavo il loro livello. E loro mosse. E il loro tipo.
Ecco come mai, quando la mia mano si ritrovò a sfiorare la sua superficie liscia, non riuscii a reprimere un moto di orgoglio. Orgoglio, e possessività.
Sentii le labbra incresparsi in un ghigno.
Dexi non mi avrebbe mai abbandonato per uno stupido litigio.
Non mi avrebbe mai lasciato sola nel bel mezzo del pericolo.
Non avrebbe tentato di—
 
"Erano degli sconosciuti!"
"Cosa centra?" Per tutto il tempo, il mio tono era rimasto indifferente. Stavo ancora cercando di capire se l'enorme flusso di coscienza del mio compagno di viaggio fosse una buona o una cattiva novità. Era la prima volta che parlava così tanto, e, a dir la verità, ero incuriosita.
"Hai detto a quella signora che ti piacevano i suoi capelli."
Strabuzzai gli occhi, cercando di ricordare la donna di mezza età a cui avevo chiesto informazioni.
Una volta usciti dal ristorante, mi ero resa conto che non avevo la minima idea di dove dirigermi. Sapevo solamente che se mi fossi fermata il padrone del locale avrebbe potuto catturarci e costringerci di risarcire i piatti rotti.
Così mi ero messa a chiedere informazioni a chiunque mi passasse sotto tiro, alla ricerca di qualcuno che potesse indicarmi la locazione dell'unica giostra fuori uso del Luna Park. Non molte persone l'avevano notata, e i pochi che effettivamente ne erano a conoscenza non erano stati affatto efficienti ad indicarci la strada.
"Certo che mi piacevano, erano stupendi. Hai visto quanto erano luminosi i suoi boccoli biond-"
"Era una parrucca." Tagliò a corto lui, dandomi il tempo di rifletterci su.
Per un minuto rimasi in silenzio, concentrandomi solo sul rumore dei nostri passi. A mano a mano che ci allontanavamo dall'entrata il brusio delle persone, gli schiamazzi dei bambini e le musichette gioviali delle altre attrazioni apparivano sempre più ovattate.
"... ma era una bella parrucca, no?"
Daisuke, non riuscendo a contenersi, ricominciò a borbottare maledizioni contro di me e le mie idee strampalate. Lo lasciai fare, convinta che quel suo chiacchiericcio avrebbe servito la funzione benefica di valvola di sfogo. E Daisuke, di sfogarsi, secondo me ne aveva veramente bisogno.
 
Capii di essere arrivata al capolinea non appena mi scontrai con qualcosa di gelido, alto fino ai miei fianchi. Mi ritrovai a fare una capriola in avanti e, non riuscendo ad aggrapparmi a niente, ricaddi dolorosamente sulla schiena, soffocando un gemito.
Non ebbi nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo, che sentii una scarpa schiacciarmi la spalla. Presi a strepitare; non tanto per il dolore, bensì per il timore che il piede potesse esercitare una maggior pressione e dislocarmi definitivamente l’articolazione.
Daisuke si scostò istantaneamente. Mi raggomitolai, indolenzita, cercando di ripararmi da eventuali altri attacchi.
“Cos’è successo?”
Decisi di ignorarlo, rispondendo invece all’effettiva domanda che lui, come essere umano, avrebbe dovuto pormi.
"Se non contiamo che sette delle mie vertebre dorsali stanno andando incontro allo sbriciolamento, che la mia spalla sta bruciando più ardentemente di quanto non possa una strega sul rogo e che la mia autostima sta ancora cercando di sviluppare anticorpi per combattere tutto il veleno che hai continuato a rifilarmi da quando siamo qui…” Avevo la strana impressione che Daisuke stesse alzando gli occhi al cielo. “Beh, direi di stare benone.”
“Come sei finita a terra?” Ripeté più espressamente.
"Sono inciampata su… qualcosa.”
“Grazie, ora sì che mi sento illuminato.”
A quel tono sarcastico gli scoccai un’occhiataccia. “So solo che è rigido e molto, molto freddo. Un palo, forse. Scommetto che qualcuno l’ha messo qui per impedirci di proseguire. Potrebbe essere stato un pokèmon di tipo ghiaccio, a costruirlo." Venni colpita da una rivelazione. "E se ci fosse lo zampino del Team Blyzzard?!”
Sentii distrattamente Daikke che frugava nelle sue tasche.
“No, a quest'ora ci avrebbero già beccati.” Ammisi. "Ma allora devo essere per forza inciampata su un robot! No, no, su un UFO! Finalmente riuscirò dimostrare che Jack è un Avatar, venuto sulla Terra per— ARGH! I MIEI OCCHI!"
 
Avvertii le mie pupille prendere fuoco e di conseguenza presi a rotolare di qua e di là. Non riuscivo a vedere nient’altro che il bianco più totale. Fra i vari rantolii maledissi il bagliore che era penetrato all’interno dei miei bulbi oculari fino ad arrivare ai nervi ottici, carbonizzandoli.
“UFO scellerato, non mi avrai mai!” Esclamai d’un tratto, cercando di alzarmi per tentare la fuga.
Nell’aria riecheggiò un rumore, sordo e allo stesso tempo raccapricciante, che per qualche bizzarro motivo mi ricordò di quella volta che zia Gertrude, dopo una feroce disputa con mia nonna, si era messa a fracassare senza pietà cumuli e cumuli di Baccastagne con un martello da campeggio.
Solo dopo mi sorse il dubbio che il suono avesse preso origine dalla mia testa.
Cessato quello, parve che qualcuno avesse premuto il tasto ‘mute’, facendo cadere il mondo nel silenzio.
Un piccolo capogiro. Daisuke che muoveva le labbra, espressione urgente. Sbattei le palpebre; gli oggetti avevano dei contorni confusi. Quand’ero finita sul pavimento?
Tentai di sbatterle ancora una volta, ma fra la testa leggera e un’insolita stanchezza, gli occhi rifiutarono di aprirsi di nuovo.
 


~ ♪ ~
 
 
Daisuke restò per un momento immobile, colto alla sprovvista.
Madeleyne era svenuta.
Madeleyne aveva sbattuto la testa contro un palo di acciaio. Ed era svenuta.
Trovava la situazione alquanto surreale, fin troppo stupida.
Notando che però la sua compagna non accennava a riprendersi, s’inginocchiò vicino a lei.
"Madeleyne?" Nessuna risposta.
Provò a chiamarla un'altra volta, solo per ottenere lo stesso risultato. Risultato che poteva implicare una miriade di effetti secondari, di cui nessuno dei quali poteva essere definito piacevole.
 
Si rese improvvisamente conto di essere l'unica persona – cosciente, almeno – a sapere della loro ubicazione. Nessuno sarebbe venuto a cercarli, men che meno in una zona che era ipoteticamente vietata al pubblico.
Daisuke realizzò per la prima volta la gravità della situazione: se la ragazza non si fosse risvegliata entro qualche minuto, implicando pertanto ripercussioni più gravi di un semplice mal di testa, sarebbe toccato a lui cercare aiuto.
Fuori.
Nel Luna Park.
Fra centinaia di sconosciuti.
Si sentì trapassare da un brivido; la sensazione durò un istante, ma gli lasciò appresso uno sgradevole senso d’urgenza. Si concesse una manciata si secondi, per poi scuotere la testa: non doveva saltare alle conclusioni.  Decretando che restare con le mani in mano non avrebbe condotto a niente di positivo, iniziò a controllare i segni vitali della ragazza.
 
Ma, a dir la verità, non c’era molto da appurare: a prima vista, infatti, non pareva aver perso una sola goccia di sangue e, considerando il ritmo regolare con cui si alzava e abbassava il suo petto, non doveva aver sviluppato alcun tipo di problema respiratorio. Ora sarebbe semplicemente bastato accertarsi che non vi fossero irregolarità nelle contrazioni cardiache…
Daisuke si voltò adagio, individuando con lo sguardo la mano della sua compagna. La stessa mano con cui lei l’aveva energicamente trascinato, spintonando la gente e correndo a perdifiato, attraverso la folla di persone. Fece una piccola smorfia.
Per un attimo indugiò. Poi scrollò la testa e, con un gesto deciso ma allo stesso tempo riguardoso, le sollevò la mano con la destra, mentre con l’indice e il medio della sinistra prese a tastarle il polso.
“Battito normale…” Constatò a bassa voce, ritrovandosi a rilasciare un respiro che non si era accorto di star trattenendo.
 
Quasi lo avesse udito, la mano che stava tenendo elevata s’irrigidì debolmente. Daisuke l’appoggiò a terra, sollevando il Pokédex, in precedenza lasciato sul pavimento, e lo rivolse verso Madeleyne. Questa dapprima mugugnò qualcosa, poi strizzò le palpebre un paio di volte. Daisuke riuscì a malapena ad intravedere i suoi occhi, che questi si chiusero con violenza.
“Ugh…” Bofonchiò, alzando fiaccamente un braccio per schermarsi dalla luce. “Fantastico… ho sempre desiderato essere dissezionata dagli alieni.” Daisuke abbassò lo schermo del congegno elettronico, ma prima di parlare si costrinse a contare fino a dieci.
“È il mio Pokédex.” Si limitò a riferirle, osservando mentre questa riapriva cautamente gli occhi.
“Oh. Daikke.” Daisuke represse un conato, ma l’altra continuò, imperterrita. “È da quando ti ho incontrato che sospettavo non fossi di questo mondo.”
Daisuke si massaggiò il setto nasale, percependo l’arrivo di un’emicrania.
“Se non hai niente d’intelligente da dire, limitati a tacere.” Risollevò il Pokédex, puntandoglielo negli occhi. “Guarda la luce.” Aggiunse poi, vedendo come la ragazza si era precipitata a schermarsi con il braccio.
“Ho già visto questa scena innumerevoli volte e ti posso assicurare che no, non ci voglio andare verso la luce.” Ribatté lei, con una punta di nervosismo.
“La luce.” Daisuke socchiuse gli occhi a due fessure minacciose.
“Se non ricordo male è proprio colpa di quell’affare che mi sono ritrovata ad arrancare a terra. Cosa ti fa pensare che voglia ripetere l’esperienza?”
“Sto cercando di assicurarmi che tu, con la tua ‘esperienza’, non abbia subito alcun trauma cranico.” Sbottò, impaziente. “Ma a quanto vedo non lo reputi necessario, quindi…”
Il ragazzo fece per allontanarsi, quando l’altra discostò entrambe le braccia, guardandolo con espressione sorpresa. Prese a farfugliare un misto di parole confuse, come non sapesse nemmeno lei cosa volesse dire. Alla fine, si limitò a un semplice ‘Scusa’. Le sue guance avevano acquistato una colorazione rosata.
 
Daisuke si passò una mano fra i capelli, attento a non arruffarli, e, a malavoglia, si rimise all’opera. Mentre la ragazza si costringeva a fissare lo schermo dell’enciclopedia elettronica senza sbattere le ciglia, lui fece un respiro profondo: era difficile restare calmi quando la propria compagna di viaggio non faceva altro che blaterare idiozie a ripetizione, che si trovassero in una situazione di pericolo o che lei fosse ferita gravemente. Non c’era via di scampo.
“Quindi, per quanto sono rimasta svenuta?” Daisuke diresse la luce da un occhio all’altro, verificando con sollievo che le pupille sembravano rispondere agli stimoli luminosi.
“Circa un minuto. Forse meno.”
“Così poco? Ma nei film-“
“Questa è la realtà.” Tagliò corto lui, abbassando il Pokédex. “Se una persona non si sveglia entro pochi minuti, deve essere immediatamente portata al pronto soccorso.”
“Altrimenti muore?” Chiese Madeleyne, con uno strano tono di voce. Daisuke decise di non indagare, limitandosi ad alzarsi in piedi.
“A volte si corre il rischio di rimanere paralizzati a vita. Altre si hanno disfunzioni a livello mentale o intellettuale.” Fece spallucce, per poi confermare: “Altrimenti il soggetto decede.”
 
Madeleyne scorse sopra la sua testa il cancello metallico girevole, costituito da quattro pali di ferro piantati orizzontalmente alla sommità di un palo identico, ma verticale e poggiante a terra. Era una di quelle piccole strutture che si trovavano abitualmente al termine delle code, prima di poter salire su una giostra. Gli dedicò uno sguardo pieno di risentimento, riconoscendolo come la causa principale della sua perdita di coscienza, ma alla fine lo afferrò saldamente, usandolo per tirarsi su.
A Daisuke non sfuggì la smorfia che le attraversò i lineamenti.
 
Dopo aver scavalcato il cancello con un salto, fece qualche passo avanti, ritrovandosi davanti ad un Lapras di legno che presentava, al posto del guscio grigio, dei sedili dotati di sbarre. Si guardò attorno, ma per sua sfortuna la stradina che avevano percorso s’interrompeva proprio in quel punto. Capendo che non c’erano altri modi per proseguire, salì sul mezzo di trasporto, che traballò. Evidentemente avrebbero attraversato un canale d’acqua.
Madeleyne si lasciò cader di peso di fianco a lui, abbassando la sbarra metallica sulle loro ginocchia. La giostra partì quasi immediatamente, trasportandoli attraverso il condotto privo di luce.
Più si allontanavano dal cancello, più l’aria acquistava una nota umida e calda.
 
“Perciò, inabilità degli arti o istupidimento celebrale?” Domandò la ragazza, stravaccandosi sul sedile in modo da combattere la variazione di temperatura. Pareva disinteressata, ma con la coda dell’occhio la vide sbirciare nella sua direzione.
Daisuke fece del suo meglio per ricordarsi i sintomi di una possibile lesione cerebrale. “Provi nausea, giramenti di testa?”
“No.” Replicò, pensandoci su.
“Vuoti di memoria, vertigini, affaticamento?”
“Mmh-mmh.” Scosse il capo. A giudicare dal sussulto che seguì, doveva essersene pentita.
“Allora no, non morirai, se è questo che ti preoccupa.” Concluse, dissolvendo i timori che la ragazza non aveva espresso esplicitamente.
E quello era il momento giusto per smettere di interagire. Daisuke era vagamente cosciente della secchezza della sua gola, dovuta probabilmente a tutte le maledizioni che aveva sferrato alla ragazza poco prima. Dubitava di essere mai dovuto ricorrere a così tante parole in un solo giorno. Era più che comprensibile che egli desiderasse un po’ di quiete, dopo tutto quell’affanno.
Perciò non riuscì a trattenere la sua sorpresa quando si ritrovò a voltarsi verso di lei, le parole che non avevano mai smesso di affiorare nella sua mente già sulla punta della sua lingua.
“Ti fa male la testa?” Gli scappò dalle labbra, facendogli sbattere diverse volte le palpebre in preda alla confusione. Che senso aveva chiedere qualcosa di cui sapeva già la risposta?
Madeleyne non ci fece caso, troppo impegnata a passarsi delicatamente una mano sulla testa. Trasalì quasi immediatamente. “Sembra in procinto di spaccarsi in due. Appena usciremo da qui la gente arriverà a calche per chiedermi se il Digglet che ho in testa è frutto di un esperimento genetico o di qualche incidente avvenuto durante il mio periodo embrionale.”
Daisuke sospirò, preferendo non commentare. “Quando torneremo al Centro Pokémon cercheremo di farti avere un sacchetto di ghiaccio. Prima, però, dobbiamo trovare la capopalestra.” Le scoccò un’occhiata di avvertimento. “Cerca di non ucciderti, nel frattempo.”
“Accidenti, e dire che mi era venuta una gran voglia di— qualcosa si è mosso!” Esclamò con urgenza, allontanandosi immediatamente dal parapetto del suo sedile e schiacciandosi – con gran fastidio dell’altro – addosso a Daisuke. Questo puntò il Pokédex oltre la ragazza, ma non riuscii a vedere niente a eccetto una parete vetro trasparente.
 
Come se si fossero rese conto di essere state scoperte, le pareti presero a lampeggiare, per poi stabilizzarsi ad un livello di illuminazione né troppo debole, né accecante.
Daisuke, a mano a mano che i suoi occhi si abituavano alla luce, comprese perché l’aria era diventata soffocante. Il Lapras meccanico stava difatti nuotando attraverso una minuscola galleria, con la sola differenza che, al posto di normali muri, erano circondati da un coloratissimo acquario che pareva andare avanti all’infinito. Seguendo con lo sguardo le pareti, notò che esse si congiungevano sopra di loro in una sorta di arco trasparente - sopra cui stava sguazzando allegramente un branco di Goldeen – per poi scomparire sotto di loro, lasciando il posto ad un tranquillo, ma profondo fiume d’acqua, sulla quale stavano navigando.
 
Daisuke corrugò la fronte, pensieroso. Sebbene fosse un’opera impressionante, non si poteva ignorare che fosse attualmente chiusa al pubblico. Ciò significava che i costruttori non avevano ancora verificato la sicurezza dell’attrazione e che quindi, se qualcosa fosse andato storto, si sarebbero ritrovati in un mare di guai.
“Questo, cioè… questo…” Ma a quanto pareva era l’unico a pensarla in quel modo.  Madeleyne non riusciva a venire a capo di una proposizione di senso compiuto. Per lei esistevano solo il turbinio di colori, le bolle d’aria che per un gioco di luci brillavano di colori accesi, e, naturalmente, i Pokémon acquatici.
“Solo, wow … è-“
“Un acquario.” Completò lui, osservando un Buizel che, nuotando ad alta velocità, passò in mezzo ad un branco di Remoraid, lasciandoli in stato confusionale.
“Sei decisamente a corto di spirito poetico.” Madeleyne spostava lo sguardo ovunque, senza fermarsi un attimo. Sembrava non volersi perdere niente dello spettacolo.
Daisuke alzò gli occhi al cielo. “E allora come lo chiameresti?”
“Beh, probabilmente...” Per un attimo, Daisuke temette che la ragazza potesse insistere, fornendogli una delle sue incoerenti supposizioni. Si accorse di essersi sbagliato solo quando Madeleyne, ormai, si era lanciata verso di lui, afferrando con forza il bordo del Lapras e puntando un dito verso il vetro.
UNA SIRENA!” Strillò, seguendo con l’indice i movimenti della presunta creatura.
Daisuke, cercando di risparmiarsi quella dose di contatto fisico, aveva finito con lo schiacciarsi contro l’imbottitura del suo sedile. Quell’improvvisa vicinanza lo soffocava. Era come se qualcuno si fosse introdotto a casa sua sfondando porta e finestre. Avrebbe dato una lavata di capo alla ragazza, se solo non fosse stato distratto dall’assurdità di quel che andava dicendo.
 
Aggrottò la fronte. “… quello è un Vaporeon.” E, fra sé e sé, anche Daisuke era intrigato. Dopotutto, i Vaporeon erano rari, e il proprietario del parco doveva essere davvero molto benestante per potersi permettere un esemplare così in salute.
Il Vaporeon, come se avesse intuito di essere stato chiamato in causa, piroettò a gran velocità verso di loro. Per un istante Daisuke credette che il pokémon Bollajet si sarebbe schiantato, rompendo il vetro e causando la fuoriuscita di tonnellate e tonnellate d’acqua che, inevitabilmente, avrebbero finito per annegarli. Ma questo, arrivato a pochi centimetri di distanza dall’unica barriera di protezione che lo separava dall’esterno, rivolse loro un sorrisetto derisorio, per poi dissolversi in un turbinio di molecole d’acqua, dapprima fluorescenti, poi completamente indistinguibili dalle altre.
Daisuke arricciò il naso a quel pomposo sfoggio di abilità.
 
A pericolo scampato, il ragazzo concentrò la sua attenzione su Madeleyne, che stava fissando il vetro con lo sguardo perso nel vuoto. Era l’occasione perfetta per dirle di ritornare al suo posto. Non avrebbe sopportato un minuto di più quella vicinanza indesiderata.
“Madeleyne …” Non sono un cuscino, spostati. Avrebbe voluto dirle.
Ma le parole gli morirono in gola non appena i loro occhi s’incontrarono, facendogli rendere conto di quanto, effettivamente, i loro volti fossero vicini.
A quella distanza poteva facilmente discernere le lunghe, ricurve ciglia che contornavano le pupille della ragazza; poteva fare un computo dei pochi, ma pur sempre in rilievo, capillari scarlatti che le attraversavano le cornee arrossate, dovuti probabilmente alla fatica di quegli ultimi giorni; poteva registrare ogni cambiamento di espressione da parte della ragazza, un momento impensierita, con la fronte leggermente corrugata, un altro confusa, con le labbra che andavano via via dischiudendosi, come se nemmeno lei fosse sicura di ciò che stesse succedendo. Il volto della ragazza era così vicino...
 
Troppo vicino.
 
Distolse rapidamente lo sguardo, sentendosi attanagliare lo stomaco da un’ansia familiare; ma il gesto non lo aiutò a scrollarsi di dosso la soffocante consapevolezza di essere osservato.
Scrutato.
Si aggrappò al bordo del sedile con le mani sudate, nel flebile attento di ristabilire un contatto con la realtà. Si sentiva stordito, disorientato dal ritmo frenetico con cui aveva preso a battergli il cuore.
Giudicato.
Un’ondata di panico gli attraversò il corpo, dalla testa ai piedi.
No. Lei non l’avrebbe fatto. Lei non poteva farlo. Aveva detto di essere sua amica…
Ma quanto valeva la sua parola?
Essere amici? Essere compagni di squadra? Cosa gli assicurava che quel rapporto non celasse altro che scherno e pietà? Che quella relazione non si fondasse sul misero sfruttamento, mirato a prosciugarlo di tutte le cose che aveva da offrire? Che tutto ciò non fosse altro che una cupa e rivoltante farsa?
Daisuke cercò di schiacciarsi ancor di più contro lo schienale.
Si rese vagamente conto di stare tremando.
Poteva davvero fidarsi di lei?
 
“Come ti sembra?”
Sussultò, distolto dai pensieri che lo stavano logorando. Sollevò lentamente lo sguardo.
Trovò la ragazza addossata con entrambi i gomiti sulla sbarra di sicurezza, la testa adagiata sui palmi delle mani. Aveva un’espressione assorta, quasi tormentata. Poi, registrando di aver ottenuto la sua attenzione, quest’ultima si dissolse, lasciando che uno sfavillio pericolosamente sospetto si facesse strada per i suoi lineamenti.
Daisuke strabuzzò gli occhi, disorientato; gesto che Madeleyne interpretò come una sorta di domanda inespressa.
“Berenice Reidcett.” Le sue labbra s’incresparono in un sorrisetto. “Il tuo nuovo nome.”
Daisuke per tutta risposta si chiese se le sue angosce alla fine non si fossero evolute in visioni allucinogene prive di senso.
“Personalmente lo trovo piuttosto elegante.” Completamente all’oscuro della sua apprensione, quella prese a massaggiarsi il mento, come se nella sua testa stesse compiendo un’importante decisione. “Ma se cerchi qualcosa di più familiare, beh, possiamo sempre recuperare dal bidone della spazzatura il caro, vecchio Daisandrosia.”
 
Daisuke impallidì, sconvolto. Doveva aver sentito male. Era sicuramente opera di una qualche ripercussione dovuta all’offuscamento mentale che aveva subito, ripercussione che rendeva distorta e agghiacciante ogni parola che giungeva al suo orecchio.
Sì, deve essere quello. Razionalizzò, cercando di ignorare il crescente senso di nausea che si stava rapidamente andando a sostituire al suo precedente stato confusionale.
 
Ma, Berenice? Daisandrosia?
 
“Sono … sono nomi da femmina.” Registrò, e in cuor suo sperava ancora di sentire la sua compagna scoppiare in una fragorosa risata, dicendogli che era stato tutto un terribile scherzo.
“Idea geniale, vero?” Gli angoli della bocca di Madeleyne parvero arricciarsi in un sogghigno compiaciuto. “L’unica cosa mancante per completare la tua nuova identità è una parrucca con le trecce. Oh, e una gonna. Ma a quello penseremo più tardi…”
“Non indosserò mai una gonna!” Sbottò lui, avvampando, agitazione completamente dimenticata.
Madeleyne scrollò le spalle, rivolgendosi a lui con un tono amareggiato e arreso al tempo stesso. “Hey. Non sei tu che dovrai convivere con barba e basettoni per il resto dei tuoi giorni.”
Seguì alla dichiarazione un silenzio colmo di aspettative.
Daisuke stava avvertendo dentro di sé il montare di un turbinio di emozioni contrastanti, ma cercò di imporsi un minimo di controllo. Doveva trattare il problema con mente lucida.
Madeleyne si era rivelata una continua fonte di guai fin dal loro primo incontro, ancor prima che iniziassero a viaggiare assieme – i motivi per i quali aveva accettato la folle richiesta del Professore, poi, se li era da tempo dimenticati. Ormai credeva di essere riuscito ad abituarsi alle sue eccentriche conversazioni, dalla logica tanto ingegnosa quanto distorta.
E invece, rimaneva ogni volta spiazzato.
Però sapeva come conviverci. E sapeva anche che, sotto quegli strati di ironia, impulsività e sano egoismo, Madeleyne era tremendamente insicura.
 
Daisuke corrugò la fronte, scegliendo accuratamente le sue prossime parole e ponendole nel modo più delicato possibile.
“Hai inghiottito dell’inchiostro di Octillery?”
La risposta non tardò ad arrivare.
“… Octochè?”
Daisuke si sbatté una mano in faccia, per poi indicare con l’altra un grosso esemplare della suddetta specie, nascosto all’ombra di una roccia artificiale. L’Octillery li salutò con un versetto, agitando uno dei suoi lunghi tentacoli rossi. Madeleyne, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia, sventolò a sua volta un braccio in aria.
“Comunque”, riprese, “Sai dov’è il porto più vicino? Dobbiamo imbarcarci per Sinnoh, stasera.”
“Aspetta. Sei seria?” Daisuke spalancò gli occhi.
Lei sbuffò, chiaramente offesa. “Certo, che credevi? Sbarcando in un’altra regione sarà molto più facile iniziare la nuova vita come Rufus e Berenice. Senza contare che a Sinnoh ci sono le Bilie… ” La sua voce aveva assunto un tono così roco che di riflesso gli venne da rabbrividire.
Daisuke aveva semplicemente voglia di scoccarle un’occhiataccia, scuotere la testa e rivolgersi verso la sua sinistra, in modo tale da poter ignorare completamente le cospirazioni della sua compagna.
Eppure non fece nulla di ciò, sorpreso per la seconda volta dall’incapacità delle sue labbra di trattenere parole che avrebbero solo condotto ad ulteriori discorsi futili.
“Da quando questo improvviso interessamento al travestitismo?”
Daisuke detestava immischiarsi in discorsi frivoli, bislacchi o senza alcuno scopo utilitario. Ciononostante, odiava ancor di più non essere al corrente di ciò con cui aveva a che fare: il senso d’inferiorità che derivava dalla sua ignoranza riguardo in un determinato argomento, l’impossibilità di prendere il controllo della situazione, erano per lui intralci troppo gravosi per non arrecargli disturbo.
Anche in quel momento; era come se si trovasse davanti ad un enorme puzzle mancante solo di un singolo, piccolo, vitale pezzo. Un pezzo capace di dare un senso all’intero quadro.
E se c’era una cosa che lo infastidiva, era non essere in grado di trovare quel pezzo.
 
“In vista dei recenti avvenimenti, che domande.” La sua espressione si fece crucciata. “Insomma, se ci facciamo beccare dal proprietario di questo posto passeremo guai seri. Potrebbe pensare che siamo stati noi a causare l’incidente. Potrebbe chiamare la polizia, oppure spedirci direttamente in galera.” Sussultò, realizzando qualcosa. “O ancora peggio, potrebbe chiederci il risarcimento dei danni!”
“Di quali danni stai parlando?” Domandò lui, terminando con una spiccata punta di frustrazione.
Madeleyne alzò la voce, indignata.
“Te lo sei già dimenticato? È successo non più di qualche minuto fa!”
“Magari se la smettessi di girare attorno alla questione e rispondessi alla domanda-“
“Non sto girando attorno alla questione!”
“L’hai appena fatto.”
“Sentilo, il genio! Dato che sei così intelligente, perché non adoperi il tuo IQ per capire quel che è successo?“
“Questo è il punto, non è successo proprio niente!”
Niente?“ Spalancò gli occhi, mentre il suo volto si tingeva gradualmente di rosso. “Un Vaporeon è morto davanti a noi, e questo lo chiami niente?!”
Daisuke si fermò di colpo, la voglia di risponderle per le rime completamene evaporata.
Fissò il volto oltraggiato della sua compagna, ripetendo nella mente ciò che lei gli aveva appena sbraitato, riuscendo quasi a sentire il suono del moto proveniente dagli ingranaggi del suo cervello.
 
D’un tratto, incastrò l’ultimo pezzo del puzzle. Risolse il mistero. Raggiunse il Nirvana.
“Fammi capire. Tu … tu credi che il Vaporeon sia morto?
Madeleyne esitò, cercando di mantenere un’espressione arrabbiata, nonostante non capisse dove lui volesse arrivare. Poi annuì.
Lui non rispose: qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe comunque riuscita a convogliare il appieno il suo messaggio.
 
Possibile che fosse così ingenua?
Momenti di quella giornata presero ad affiorargli alla mente. Madeleyne che lo assillava per andare al Luna Park. Lui, incapacitato a entrare nel passaggio. Madeleyne che lo trascinava fra la folla, perché le sue gambe non volevano saperne di muoversi. Il Vaporeon e le sue manie di protagonismo. L’improvvisa vicinanza, la sensazione di inadeguatezza, la nausea, il panico.
E ora Madeleyne, che organizzava piani degni degli evasi di prigione perché era convinta di aver contribuito alla morte di un pokémon.
 
Daisuke provò una sorta di leggerezza al petto.
Poi scoppiò a ridere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

~ Author’s Corner (with spiderwebs too!)

Salve fanciulli e fanciulle. Chiedo venia.
E congratulo dal profondo del mio cuoricino chiunque abbia avuto il coraggio e la pazienza di continuare a leggere questa fanfiction *veloce applauso*.
Vi dico solo che pubblicare questo capitolo è stato alquanto difficile, sia perché lo trovo assolutamente inutile ai fini della trama (ma tremendamente importante per l’evoluzione e lo sviluppo dei personaggi), ma anche perché, beh… è imbarazzante. Non so se andrà bene.
Siete liberi di lamentarvi e di chiedere spiegazioni, dato che, in effetti, ci sono certi pezzi che potrebbero apparire confusi. Come ad esempio l’affare sul quale Maddy prima inciampa, poi contro cui si sfracella la testa. Ecco. Emh. Non so come diamine si chiami, nonostante le varie ricerche che ho fatto. In pratica, sono quella sottospecie di pali d’acciaio rotanti che fanno sì che dalla fila di gente passi solo una persona alla volta. Si trovano negli autogrill, prima delle varie giostre, per entrare nei musei e nei castelli etc…
Ho parlato fin troppo, ma vi lascio così:

Buone Vacanze di Pasqua!

~ Cottage (precedentemente GloGlo_96)

   
 
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