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~ A Bordo di un Lapras
~
"Cosa ti è saltato in mente?!"
Daisuke era arrabbiato.
"E' stato un gesto estremamente irresponsabile. Ti
rendi conto di quel che poteva esserci, alla fine di quel tunnel? Certo che no, tu non ti fermi mai a
pensare!"
Correzione: era fuori di sé dalla collera.
"Grazie alla tua idea geniale abbiamo causato dei danni al
ristorante!"
Normalmente avrei ribattuto, ma in quelle condizioni
particolari avevo deciso di lasciar correre.
Da quando eravamo sgattaiolati dentro all'attrazione,
Daisuke non aveva fatto altro che lamentarsi di come l’avevo praticamente
sequestrato, facendogli compiere azioni illecite a sua volta. Il che era
un’esagerazione, a dir la verità; cosa c’era di male nell’irrompere in un parco
dei divertimenti senza pagare, rompere una pila di piatti, cadere addosso ad
una cameriera ed innervosire un paio di clienti?
"Per non parlare delle persone che hai fermato per
strada! Non ho mai visto nessuno di più sfrontato-"
"E da quando fare dei complimenti è considerato
maleducato?" Borbottai con noncuranza, tastando la parete. La giostra era
ancora in fase di prova e quindi la sicurezza aveva deciso di bloccare
l’accesso al pubblico, chiudendo a chiave l'entrata. Nulla che un paio di
forcine non avessero potuto risolvere.
L’unico impiccio era, pertanto, l’oscurità che regnava in
quel posto, completamente separato dal resto del parco.
Ahah! Fortuna che ho il mio fido Dexi ad
aiutarmi! Gongolai e, ficcata una mano nella borsa, iniziai a rovistare fra
gli oggetti. Il Pokédex che il professor Mattew ci aveva imprestato si era
rivelato una vera e propria manna dal cielo: non solo era stato capace di
riconoscere ed analizzare ogni pokèmon che aveva tentato di uccidermi, ma era
anche un distributore d’informazioni sullo stato dei miei piccoli alleati – il
che era utile se mi dimenticavo il loro livello. E loro mosse. E il loro tipo.
Ecco
come mai, quando la mia mano si ritrovò a sfiorare la sua superficie liscia,
non riuscii a reprimere un moto di orgoglio. Orgoglio, e possessività.
Sentii le labbra incresparsi in un ghigno.
Dexi non mi avrebbe mai abbandonato per uno stupido litigio.
Non mi avrebbe mai lasciato sola nel bel mezzo del pericolo.
Non avrebbe tentato di—
"Erano degli sconosciuti!"
"Cosa centra?" Per tutto il tempo, il mio tono era
rimasto indifferente. Stavo ancora cercando di capire se l'enorme flusso di
coscienza del mio compagno di viaggio fosse una buona o una cattiva novità. Era
la prima volta che parlava così tanto, e, a dir la verità, ero incuriosita.
"Hai detto a quella signora che ti piacevano i suoi
capelli."
Strabuzzai gli occhi, cercando di ricordare la donna di
mezza età a cui avevo chiesto informazioni.
Una volta usciti dal ristorante, mi ero resa conto che non
avevo la minima idea di dove dirigermi. Sapevo solamente che se mi fossi
fermata il padrone del locale avrebbe potuto catturarci e costringerci di
risarcire i piatti rotti.
Così mi ero messa a chiedere informazioni a chiunque mi
passasse sotto tiro, alla ricerca di qualcuno che potesse indicarmi la
locazione dell'unica giostra fuori uso del Luna Park. Non molte persone
l'avevano notata, e i pochi che effettivamente ne erano a conoscenza non erano
stati affatto efficienti ad indicarci la strada.
"Certo che mi piacevano, erano stupendi. Hai visto
quanto erano luminosi i suoi boccoli biond-"
"Era una parrucca." Tagliò a corto lui, dandomi il
tempo di rifletterci su.
Per un minuto rimasi in silenzio, concentrandomi solo sul
rumore dei nostri passi. A mano a mano che ci allontanavamo dall'entrata il
brusio delle persone, gli schiamazzi dei bambini e le musichette gioviali delle
altre attrazioni apparivano sempre più ovattate.
"... ma era una bella parrucca, no?"
Daisuke, non riuscendo a contenersi, ricominciò a borbottare
maledizioni contro di me e le mie idee strampalate. Lo lasciai fare, convinta
che quel suo chiacchiericcio avrebbe servito la funzione benefica di valvola di
sfogo. E Daisuke, di sfogarsi, secondo me ne aveva veramente bisogno.
Capii di essere arrivata al capolinea non appena mi scontrai
con qualcosa di gelido, alto fino ai miei fianchi. Mi ritrovai a fare una
capriola in avanti e, non riuscendo ad aggrapparmi a niente, ricaddi
dolorosamente sulla schiena, soffocando un gemito.
Non ebbi nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo, che
sentii una scarpa schiacciarmi la spalla. Presi a strepitare; non tanto per il
dolore, bensì per il timore che il piede potesse esercitare una maggior
pressione e dislocarmi definitivamente l’articolazione.
Daisuke si scostò istantaneamente. Mi raggomitolai,
indolenzita, cercando di ripararmi da eventuali altri attacchi.
“Cos’è successo?”
Decisi di ignorarlo, rispondendo invece all’effettiva domanda
che lui, come essere umano, avrebbe dovuto pormi.
"Se non contiamo che sette delle mie vertebre dorsali
stanno andando incontro allo sbriciolamento, che la mia spalla sta bruciando più
ardentemente di quanto non possa una strega sul rogo e che la mia autostima sta
ancora cercando di sviluppare anticorpi per combattere tutto il veleno che hai
continuato a rifilarmi da quando siamo qui…” Avevo la strana impressione che
Daisuke stesse alzando gli occhi al cielo. “Beh, direi di stare benone.”
“Come sei finita a terra?” Ripeté più espressamente.
"Sono inciampata su… qualcosa.”
“Grazie, ora sì che mi sento illuminato.”
A quel tono sarcastico gli scoccai un’occhiataccia. “So solo
che è rigido e molto, molto freddo. Un palo, forse. Scommetto che qualcuno l’ha
messo qui per impedirci di proseguire. Potrebbe essere stato un pokèmon di tipo
ghiaccio, a costruirlo." Venni colpita da una rivelazione. "E se ci
fosse lo zampino del Team Blyzzard?!”
Sentii distrattamente Daikke che frugava nelle sue tasche.
“No, a quest'ora ci avrebbero già beccati.” Ammisi. "Ma
allora devo essere per forza inciampata su un robot! No, no, su un UFO! Finalmente riuscirò dimostrare che
Jack è un Avatar, venuto sulla Terra per— ARGH! I MIEI OCCHI!"
Avvertii le mie pupille prendere fuoco e di conseguenza
presi a rotolare di qua e di là. Non riuscivo a vedere nient’altro che il bianco
più totale. Fra i vari rantolii maledissi il bagliore che era penetrato all’interno
dei miei bulbi oculari fino ad arrivare ai nervi ottici, carbonizzandoli.
“UFO scellerato, non mi avrai mai!” Esclamai d’un tratto, cercando
di alzarmi per tentare la fuga.
Nell’aria riecheggiò un rumore, sordo e allo stesso tempo raccapricciante,
che per qualche bizzarro motivo mi ricordò di quella volta che zia Gertrude, dopo
una feroce disputa con mia nonna, si era messa a fracassare senza pietà cumuli
e cumuli di Baccastagne con un martello da campeggio.
Solo dopo mi sorse il dubbio che il suono avesse preso
origine dalla mia testa.
Cessato quello, parve che qualcuno avesse premuto il tasto
‘mute’, facendo cadere il mondo nel silenzio.
Un piccolo capogiro. Daisuke che muoveva le labbra, espressione
urgente. Sbattei le palpebre; gli oggetti avevano dei contorni confusi. Quand’ero
finita sul pavimento?
Tentai di sbatterle ancora una volta, ma fra la testa
leggera e un’insolita stanchezza, gli occhi rifiutarono di aprirsi di nuovo.
~ ♪ ~
Daisuke restò per un momento immobile, colto alla
sprovvista.
Madeleyne era svenuta.
Madeleyne aveva sbattuto la testa contro un palo di acciaio.
Ed era svenuta.
Trovava la situazione alquanto surreale, fin troppo stupida.
Notando che però la sua compagna non accennava a
riprendersi, s’inginocchiò vicino a lei.
"Madeleyne?" Nessuna risposta.
Provò a chiamarla un'altra volta, solo per ottenere lo
stesso risultato. Risultato che poteva implicare una miriade di effetti
secondari, di cui nessuno dei quali poteva essere definito piacevole.
Si rese improvvisamente conto di essere l'unica persona –
cosciente, almeno – a sapere della loro ubicazione. Nessuno sarebbe venuto a
cercarli, men che meno in una zona che era ipoteticamente vietata al pubblico.
Daisuke realizzò per la prima volta la gravità della
situazione: se la ragazza non si fosse risvegliata entro qualche minuto,
implicando pertanto ripercussioni più gravi di un semplice mal di testa, sarebbe
toccato a lui cercare aiuto.
Fuori.
Nel Luna Park.
Fra centinaia di sconosciuti.
Si sentì trapassare da un brivido; la sensazione durò un istante,
ma gli lasciò appresso uno sgradevole senso d’urgenza. Si concesse una manciata
si secondi, per poi scuotere la testa: non doveva saltare alle conclusioni. Decretando che restare con le mani in mano non
avrebbe condotto a niente di positivo, iniziò a controllare i segni vitali
della ragazza.
Ma, a dir la verità, non c’era molto da appurare: a prima
vista, infatti, non pareva aver perso una sola goccia di sangue e, considerando
il ritmo regolare con cui si alzava e abbassava il suo petto, non doveva aver
sviluppato alcun tipo di problema respiratorio. Ora sarebbe semplicemente bastato
accertarsi che non vi fossero irregolarità nelle contrazioni cardiache…
Daisuke si voltò adagio, individuando con lo sguardo la mano
della sua compagna. La stessa mano con cui lei l’aveva energicamente trascinato,
spintonando la gente e correndo a perdifiato, attraverso la folla di persone. Fece
una piccola smorfia.
Per un attimo indugiò. Poi scrollò la testa e, con un gesto
deciso ma allo stesso tempo riguardoso, le sollevò la mano con la destra,
mentre con l’indice e il medio della sinistra prese a tastarle il polso.
“Battito normale…” Constatò a bassa voce, ritrovandosi a rilasciare
un respiro che non si era accorto di star trattenendo.
Quasi lo avesse udito, la mano che stava tenendo elevata s’irrigidì
debolmente. Daisuke l’appoggiò a terra, sollevando il Pokédex, in precedenza
lasciato sul pavimento, e lo rivolse verso Madeleyne. Questa dapprima mugugnò
qualcosa, poi strizzò le palpebre un paio di volte. Daisuke riuscì a malapena
ad intravedere i suoi occhi, che questi si chiusero con violenza.
“Ugh…” Bofonchiò, alzando fiaccamente un braccio per
schermarsi dalla luce. “Fantastico… ho sempre desiderato essere dissezionata
dagli alieni.” Daisuke abbassò lo schermo del congegno elettronico, ma prima di
parlare si costrinse a contare fino a dieci.
“È il mio Pokédex.” Si limitò a riferirle, osservando mentre
questa riapriva cautamente gli occhi.
“Oh. Daikke.” Daisuke represse un conato, ma l’altra
continuò, imperterrita. “È da quando ti ho incontrato che sospettavo non fossi
di questo mondo.”
Daisuke si massaggiò il setto nasale, percependo l’arrivo di
un’emicrania.
“Se non hai niente d’intelligente da dire, limitati a
tacere.” Risollevò il Pokédex, puntandoglielo negli occhi. “Guarda la luce.”
Aggiunse poi, vedendo come la ragazza si era precipitata a schermarsi con il
braccio.
“Ho già visto questa scena innumerevoli volte e ti posso
assicurare che no, non ci voglio andare verso la luce.” Ribatté lei, con una
punta di nervosismo.
“La luce.” Daisuke socchiuse gli occhi a due fessure
minacciose.
“Se non ricordo male è proprio colpa di quell’affare che mi
sono ritrovata ad arrancare a terra. Cosa ti fa pensare che voglia ripetere
l’esperienza?”
“Sto cercando di assicurarmi che tu, con la tua ‘esperienza’,
non abbia subito alcun trauma cranico.” Sbottò, impaziente. “Ma a quanto vedo
non lo reputi necessario, quindi…”
Il ragazzo fece per allontanarsi, quando l’altra discostò
entrambe le braccia, guardandolo con espressione sorpresa. Prese a farfugliare
un misto di parole confuse, come non sapesse nemmeno lei cosa volesse dire.
Alla fine, si limitò a un semplice ‘Scusa’. Le sue guance avevano acquistato
una colorazione rosata.
Daisuke si passò una mano fra i capelli, attento a non
arruffarli, e, a malavoglia, si rimise all’opera. Mentre la ragazza si
costringeva a fissare lo schermo dell’enciclopedia elettronica senza sbattere
le ciglia, lui fece un respiro profondo: era difficile restare calmi quando la
propria compagna di viaggio non faceva altro che blaterare idiozie a
ripetizione, che si trovassero in una situazione di pericolo o che lei fosse
ferita gravemente. Non c’era via di scampo.
“Quindi, per quanto sono rimasta svenuta?” Daisuke diresse
la luce da un occhio all’altro, verificando con sollievo che le pupille
sembravano rispondere agli stimoli luminosi.
“Circa un minuto. Forse meno.”
“Così poco? Ma nei film-“
“Questa è la realtà.” Tagliò corto lui, abbassando il
Pokédex. “Se una persona non si sveglia entro pochi minuti, deve essere
immediatamente portata al pronto soccorso.”
“Altrimenti muore?” Chiese Madeleyne, con uno strano tono di
voce. Daisuke decise di non indagare, limitandosi ad alzarsi in piedi.
“A volte si corre il rischio di rimanere paralizzati a vita.
Altre si hanno disfunzioni a livello mentale o intellettuale.” Fece spallucce,
per poi confermare: “Altrimenti il soggetto decede.”
Madeleyne scorse sopra la sua testa il cancello metallico girevole,
costituito da quattro pali di ferro piantati orizzontalmente alla sommità di un
palo identico, ma verticale e poggiante a terra. Era una di quelle piccole strutture
che si trovavano abitualmente al termine delle code, prima di poter salire su
una giostra. Gli dedicò uno sguardo pieno di risentimento, riconoscendolo come
la causa principale della sua perdita di coscienza, ma alla fine lo afferrò
saldamente, usandolo per tirarsi su.
A Daisuke non sfuggì la smorfia che le attraversò i lineamenti.
Dopo aver scavalcato il cancello con un salto, fece qualche
passo avanti, ritrovandosi davanti ad un Lapras di legno che presentava, al
posto del guscio grigio, dei sedili dotati di sbarre. Si guardò attorno, ma per
sua sfortuna la stradina che avevano percorso s’interrompeva proprio in quel
punto. Capendo che non c’erano altri modi per proseguire, salì sul mezzo di
trasporto, che traballò. Evidentemente avrebbero attraversato un canale
d’acqua.
Madeleyne si lasciò cader di peso di fianco a lui, abbassando
la sbarra metallica sulle loro ginocchia. La giostra partì quasi
immediatamente, trasportandoli attraverso il condotto privo di luce.
Più si allontanavano dal cancello, più l’aria acquistava una
nota umida e calda.
“Perciò, inabilità degli arti o istupidimento celebrale?”
Domandò la ragazza, stravaccandosi sul sedile in modo da combattere la
variazione di temperatura. Pareva disinteressata, ma con la coda dell’occhio la
vide sbirciare nella sua direzione.
Daisuke fece del suo meglio per ricordarsi i sintomi di una
possibile lesione cerebrale. “Provi nausea, giramenti di testa?”
“No.” Replicò, pensandoci su.
“Vuoti di memoria, vertigini, affaticamento?”
“Mmh-mmh.” Scosse il capo. A giudicare dal sussulto che
seguì, doveva essersene pentita.
“Allora no, non morirai, se è questo che ti preoccupa.”
Concluse, dissolvendo i timori che la ragazza non aveva espresso
esplicitamente.
E quello era il momento giusto per smettere di interagire.
Daisuke era vagamente cosciente della secchezza della sua gola, dovuta
probabilmente a tutte le maledizioni che aveva sferrato alla ragazza poco
prima. Dubitava di essere mai dovuto ricorrere a così tante parole in un solo
giorno. Era più che comprensibile che egli desiderasse un po’ di quiete, dopo
tutto quell’affanno.
Perciò non riuscì a trattenere la sua sorpresa quando si ritrovò
a voltarsi verso di lei, le parole che non avevano mai smesso di affiorare
nella sua mente già sulla punta della sua lingua.
“Ti fa male la testa?” Gli scappò dalle labbra, facendogli
sbattere diverse volte le palpebre in preda alla confusione. Che senso aveva
chiedere qualcosa di cui sapeva già la risposta?
Madeleyne non ci fece caso, troppo impegnata a passarsi
delicatamente una mano sulla testa. Trasalì quasi immediatamente. “Sembra in
procinto di spaccarsi in due. Appena usciremo da qui la gente arriverà a calche
per chiedermi se il Digglet che ho in testa è frutto di un esperimento genetico
o di qualche incidente avvenuto durante il mio periodo embrionale.”
Daisuke sospirò, preferendo non commentare. “Quando
torneremo al Centro Pokémon cercheremo di farti avere un sacchetto di ghiaccio.
Prima, però, dobbiamo trovare la capopalestra.” Le scoccò un’occhiata di
avvertimento. “Cerca di non ucciderti, nel frattempo.”
“Accidenti, e dire che mi era venuta una gran voglia di— qualcosa si è mosso!” Esclamò con
urgenza, allontanandosi immediatamente dal parapetto del suo sedile e
schiacciandosi – con gran fastidio dell’altro – addosso a Daisuke. Questo puntò
il Pokédex oltre la ragazza, ma non riuscii a vedere niente a eccetto una
parete vetro trasparente.
Come se si fossero rese conto di essere state scoperte, le
pareti presero a lampeggiare, per poi stabilizzarsi ad un livello di
illuminazione né troppo debole, né accecante.
Daisuke, a mano a mano che i suoi occhi si abituavano alla
luce, comprese perché l’aria era diventata soffocante. Il Lapras meccanico
stava difatti nuotando attraverso una minuscola galleria, con la sola
differenza che, al posto di normali muri, erano circondati da un coloratissimo
acquario che pareva andare avanti all’infinito. Seguendo con lo sguardo le pareti,
notò che esse si congiungevano sopra di loro in una sorta di arco trasparente -
sopra cui stava sguazzando allegramente un branco di Goldeen – per poi
scomparire sotto di loro, lasciando il posto ad un tranquillo, ma profondo
fiume d’acqua, sulla quale stavano navigando.
Daisuke corrugò la fronte, pensieroso. Sebbene fosse
un’opera impressionante, non si poteva ignorare che fosse attualmente chiusa al
pubblico. Ciò significava che i costruttori non avevano ancora verificato la
sicurezza dell’attrazione e che quindi, se qualcosa fosse andato storto, si
sarebbero ritrovati in un mare di guai.
“Questo, cioè… questo…” Ma a quanto pareva era l’unico a
pensarla in quel modo. Madeleyne non
riusciva a venire a capo di una proposizione di senso compiuto. Per lei esistevano
solo il turbinio di colori, le bolle d’aria che per un gioco di luci brillavano
di colori accesi, e, naturalmente, i Pokémon acquatici.
“Solo, wow … è-“
“Un acquario.” Completò lui, osservando un Buizel che, nuotando
ad alta velocità, passò in mezzo ad un branco di Remoraid, lasciandoli in stato
confusionale.
“Sei decisamente a corto di spirito poetico.” Madeleyne
spostava lo sguardo ovunque, senza fermarsi un attimo. Sembrava non volersi
perdere niente dello spettacolo.
Daisuke alzò gli occhi al cielo. “E allora come lo
chiameresti?”
“Beh, probabilmente...” Per un attimo, Daisuke temette che
la ragazza potesse insistere, fornendogli una delle sue incoerenti supposizioni.
Si accorse di essersi sbagliato solo quando Madeleyne, ormai, si era lanciata
verso di lui, afferrando con forza il bordo del Lapras e puntando un dito verso
il vetro.
“UNA SIRENA!”
Strillò, seguendo con l’indice i movimenti della presunta creatura.
Daisuke, cercando di risparmiarsi quella dose di contatto
fisico, aveva finito con lo schiacciarsi contro l’imbottitura del suo sedile. Quell’improvvisa
vicinanza lo soffocava. Era come se qualcuno si fosse introdotto a casa sua
sfondando porta e finestre. Avrebbe dato una lavata di capo alla ragazza, se
solo non fosse stato distratto dall’assurdità di quel che andava dicendo.
Aggrottò la fronte. “… quello è un Vaporeon.” E, fra sé e
sé, anche Daisuke era intrigato. Dopotutto, i Vaporeon erano rari, e il
proprietario del parco doveva essere davvero molto benestante per potersi
permettere un esemplare così in salute.
Il Vaporeon, come se avesse intuito di essere stato chiamato
in causa, piroettò a gran velocità verso di loro. Per un istante Daisuke credette
che il pokémon Bollajet si sarebbe schiantato, rompendo il vetro e causando la
fuoriuscita di tonnellate e tonnellate d’acqua che, inevitabilmente, avrebbero
finito per annegarli. Ma questo, arrivato a pochi centimetri di distanza dall’unica
barriera di protezione che lo separava dall’esterno, rivolse loro un sorrisetto
derisorio, per poi dissolversi in un
turbinio di molecole d’acqua, dapprima fluorescenti, poi completamente
indistinguibili dalle altre.
Daisuke arricciò il naso a quel pomposo sfoggio di abilità.
A pericolo scampato, il ragazzo concentrò la sua attenzione
su Madeleyne, che stava fissando il vetro con lo sguardo perso nel vuoto. Era
l’occasione perfetta per dirle di ritornare al suo posto. Non avrebbe
sopportato un minuto di più quella vicinanza indesiderata.
“Madeleyne …” Non sono
un cuscino, spostati. Avrebbe voluto dirle.
Ma le parole gli morirono in gola non appena i loro occhi
s’incontrarono, facendogli rendere conto di quanto, effettivamente, i loro
volti fossero vicini.
A quella distanza poteva facilmente discernere le lunghe, ricurve
ciglia che contornavano le pupille della ragazza; poteva fare un computo dei
pochi, ma pur sempre in rilievo, capillari scarlatti che le attraversavano le
cornee arrossate, dovuti probabilmente alla fatica di quegli ultimi giorni;
poteva registrare ogni cambiamento di espressione da parte della ragazza, un
momento impensierita, con la fronte leggermente corrugata, un altro confusa,
con le labbra che andavano via via dischiudendosi, come se nemmeno lei fosse
sicura di ciò che stesse succedendo. Il volto della ragazza era così vicino...
Troppo vicino.
Distolse rapidamente lo sguardo, sentendosi attanagliare lo
stomaco da un’ansia familiare; ma il gesto non lo aiutò a scrollarsi di dosso la
soffocante consapevolezza di essere osservato.
Scrutato.
Si aggrappò al bordo del sedile con le mani sudate, nel
flebile attento di ristabilire un contatto con la realtà. Si sentiva stordito,
disorientato dal ritmo frenetico con cui aveva preso a battergli il cuore.
Giudicato.
Un’ondata di panico gli attraversò il corpo, dalla testa ai
piedi.
No. Lei non l’avrebbe fatto. Lei non poteva farlo. Aveva detto di essere sua amica…
Ma quanto valeva la
sua parola?
Essere
amici? Essere compagni di squadra? Cosa gli assicurava che quel rapporto non celasse
altro che scherno e pietà? Che quella relazione non si fondasse sul misero
sfruttamento, mirato a prosciugarlo di tutte le cose che aveva da offrire? Che
tutto ciò non fosse altro che una cupa e rivoltante farsa?
Daisuke cercò di schiacciarsi ancor di più contro lo
schienale.
Si rese vagamente conto di stare tremando.
Poteva davvero fidarsi
di lei?
“Come ti sembra?”
Sussultò, distolto dai pensieri che lo stavano logorando. Sollevò
lentamente lo sguardo.
Trovò la ragazza addossata con entrambi i gomiti sulla
sbarra di sicurezza, la testa adagiata sui palmi delle mani. Aveva
un’espressione assorta, quasi tormentata. Poi, registrando di aver ottenuto la
sua attenzione, quest’ultima si dissolse, lasciando che uno sfavillio pericolosamente
sospetto si facesse strada per i suoi lineamenti.
Daisuke strabuzzò gli occhi, disorientato; gesto che
Madeleyne interpretò come una sorta di domanda inespressa.
“Berenice Reidcett.” Le sue labbra s’incresparono in un
sorrisetto. “Il tuo nuovo nome.”
Daisuke per tutta risposta si chiese se le sue angosce alla
fine non si fossero evolute in visioni allucinogene prive di senso.
“Personalmente lo trovo piuttosto elegante.” Completamente
all’oscuro della sua apprensione, quella prese a massaggiarsi il mento, come se
nella sua testa stesse compiendo un’importante decisione. “Ma se cerchi
qualcosa di più familiare, beh, possiamo sempre recuperare dal bidone della
spazzatura il caro, vecchio Daisandrosia.”
Daisuke impallidì, sconvolto. Doveva aver sentito male. Era
sicuramente opera di una qualche ripercussione dovuta all’offuscamento mentale che
aveva subito, ripercussione che rendeva distorta e agghiacciante ogni parola
che giungeva al suo orecchio.
Sì, deve essere quello.
Razionalizzò, cercando di ignorare il crescente senso di nausea che si stava
rapidamente andando a sostituire al suo precedente stato confusionale.
Ma, Berenice?
Daisandrosia?
“Sono … sono nomi da femmina.” Registrò, e in cuor suo
sperava ancora di sentire la sua compagna scoppiare in una fragorosa risata,
dicendogli che era stato tutto un terribile scherzo.
“Idea geniale, vero?” Gli angoli della bocca di Madeleyne
parvero arricciarsi in un sogghigno compiaciuto. “L’unica cosa mancante per
completare la tua nuova identità è una parrucca con le trecce. Oh, e una gonna.
Ma a quello penseremo più tardi…”
“Non indosserò mai
una gonna!” Sbottò lui, avvampando, agitazione completamente dimenticata.
Madeleyne scrollò le spalle, rivolgendosi a lui con un tono
amareggiato e arreso al tempo
stesso. “Hey. Non sei tu che dovrai convivere con barba e basettoni per il
resto dei tuoi giorni.”
Seguì alla dichiarazione un silenzio colmo di aspettative.
Daisuke stava avvertendo dentro di sé il montare di un turbinio
di emozioni contrastanti, ma cercò di imporsi un minimo di controllo. Doveva
trattare il problema con mente lucida.
Madeleyne
si era rivelata una continua fonte di guai fin dal loro primo incontro, ancor
prima che iniziassero a viaggiare assieme – i motivi per i quali aveva
accettato la folle richiesta del Professore, poi, se li era da tempo
dimenticati. Ormai credeva di essere riuscito ad abituarsi alle sue eccentriche
conversazioni, dalla logica tanto ingegnosa quanto distorta.
E
invece, rimaneva ogni volta spiazzato.
Però
sapeva come conviverci. E sapeva anche che, sotto quegli strati di ironia,
impulsività e sano egoismo, Madeleyne era tremendamente insicura.
Daisuke corrugò la fronte, scegliendo accuratamente le sue
prossime parole e ponendole nel modo più delicato possibile.
“Hai inghiottito dell’inchiostro di Octillery?”
La risposta non tardò ad arrivare.
“… Octochè?”
Daisuke si sbatté una mano in faccia, per poi indicare con
l’altra un grosso esemplare della suddetta specie, nascosto all’ombra di una
roccia artificiale. L’Octillery li salutò con un versetto, agitando uno dei
suoi lunghi tentacoli rossi. Madeleyne, con un sorriso a trentadue denti
stampato in faccia, sventolò a sua volta un braccio in aria.
“Comunque”, riprese, “Sai dov’è il porto più vicino? Dobbiamo
imbarcarci per Sinnoh, stasera.”
“Aspetta. Sei seria?” Daisuke spalancò gli occhi.
Lei sbuffò, chiaramente offesa. “Certo, che credevi? Sbarcando
in un’altra regione sarà molto più facile iniziare la nuova vita come Rufus e Berenice.
Senza contare che a Sinnoh ci sono le Bilie…
” La sua voce aveva assunto un tono così roco che di riflesso gli venne da
rabbrividire.
Daisuke aveva semplicemente voglia di scoccarle
un’occhiataccia, scuotere la testa e rivolgersi verso la sua sinistra, in modo
tale da poter ignorare completamente le cospirazioni della sua compagna.
Eppure non fece nulla di ciò, sorpreso per la seconda volta
dall’incapacità delle sue labbra di trattenere parole che avrebbero solo
condotto ad ulteriori discorsi futili.
“Da quando questo improvviso interessamento al
travestitismo?”
Daisuke detestava immischiarsi in discorsi frivoli,
bislacchi o senza alcuno scopo utilitario. Ciononostante, odiava ancor di più
non essere al corrente di ciò con cui aveva a che fare: il senso d’inferiorità
che derivava dalla sua ignoranza riguardo in un determinato argomento,
l’impossibilità di prendere il controllo della situazione, erano per lui
intralci troppo gravosi per non arrecargli disturbo.
Anche in quel momento; era come se si trovasse davanti ad un
enorme puzzle mancante solo di un singolo, piccolo, vitale pezzo. Un pezzo
capace di dare un senso all’intero quadro.
E se c’era una cosa che lo infastidiva, era non essere in
grado di trovare quel pezzo.
“In vista dei recenti avvenimenti, che domande.” La sua espressione
si fece crucciata. “Insomma, se ci facciamo beccare dal proprietario di questo
posto passeremo guai seri. Potrebbe pensare che siamo stati noi a causare
l’incidente. Potrebbe chiamare la polizia, oppure spedirci direttamente in
galera.” Sussultò, realizzando qualcosa. “O ancora peggio, potrebbe chiederci
il risarcimento dei danni!”
“Di quali danni stai parlando?” Domandò lui, terminando con
una spiccata punta di frustrazione.
Madeleyne alzò la voce, indignata.
“Te lo sei già dimenticato? È successo non più di qualche
minuto fa!”
“Magari se la smettessi di girare attorno alla questione e
rispondessi alla domanda-“
“Non sto girando attorno alla questione!”
“L’hai appena fatto.”
“Sentilo, il genio! Dato che sei così intelligente, perché
non adoperi il tuo IQ per capire quel che è successo?“
“Questo è il punto, non è successo proprio niente!”
“Niente?“ Spalancò
gli occhi, mentre il suo volto si tingeva gradualmente di rosso. “Un Vaporeon è
morto davanti a noi, e questo lo chiami niente?!”
Daisuke si fermò di colpo, la voglia di risponderle per le
rime completamene evaporata.
Fissò il volto oltraggiato della sua compagna, ripetendo
nella mente ciò che lei gli aveva appena sbraitato, riuscendo quasi a sentire
il suono del moto proveniente dagli ingranaggi del suo cervello.
D’un tratto, incastrò l’ultimo pezzo del puzzle. Risolse il
mistero. Raggiunse il Nirvana.
“Fammi capire. Tu … tu credi che il Vaporeon sia morto?”
Madeleyne esitò, cercando di mantenere un’espressione
arrabbiata, nonostante non capisse dove lui volesse arrivare. Poi annuì.
Lui non rispose: qualsiasi cosa avesse detto non sarebbe
comunque riuscita a convogliare il appieno il suo messaggio.
Possibile che fosse così
ingenua?
Momenti di quella giornata presero ad affiorargli alla mente.
Madeleyne che lo assillava per andare al Luna Park. Lui, incapacitato a entrare
nel passaggio. Madeleyne che lo trascinava fra la folla, perché le sue gambe
non volevano saperne di muoversi. Il Vaporeon e le sue manie di protagonismo. L’improvvisa
vicinanza, la sensazione di inadeguatezza, la nausea, il panico.
E ora Madeleyne, che organizzava piani degni degli evasi di
prigione perché era convinta di aver contribuito alla morte di un pokémon.
Daisuke provò una sorta di leggerezza al petto.
Poi scoppiò a ridere.
~ Author’s Corner (with spiderwebs too!)
Salve fanciulli e fanciulle. Chiedo
venia.
E congratulo dal profondo del mio
cuoricino chiunque abbia avuto il coraggio e la pazienza di continuare a
leggere questa fanfiction *veloce applauso*.
Vi dico solo che pubblicare questo
capitolo è stato alquanto difficile, sia perché lo trovo assolutamente inutile
ai fini della trama (ma tremendamente importante per l’evoluzione e lo sviluppo
dei personaggi), ma anche perché, beh… è imbarazzante. Non so se andrà bene.
Siete liberi di lamentarvi e di
chiedere spiegazioni, dato che, in effetti, ci sono certi pezzi che potrebbero
apparire confusi. Come ad esempio l’affare sul quale Maddy prima inciampa, poi contro
cui si sfracella la testa. Ecco. Emh. Non so come diamine si chiami, nonostante
le varie ricerche che ho fatto. In pratica, sono quella sottospecie di pali d’acciaio
rotanti che fanno sì che dalla fila di gente passi solo una persona alla volta.
Si trovano negli autogrill, prima delle varie giostre, per entrare nei musei e
nei castelli etc…
Ho parlato fin troppo, ma vi lascio
così:
Buone Vacanze di Pasqua!
~ Cottage (precedentemente GloGlo_96)