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Autore: Creepy Doll    21/04/2014    2 recensioni
Nella grande sala circolare,
C'erano quattro imponenti troni,
Lì sedevano le quattro potenti regine.
Tutti dormivano nella grande sala cullati da una musica continua..
Ma se quella musica si fosse fermata?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Aprii l'armadio alla ricerca di qualcosa da mettermi mentre la piastra si scaldava.
Mi guardai la pancia. Mangiavo sempre poco niente prima di uscire e cercavo di andare in bagno il più possibile per evitare il gonfiore. Se c'era una cosa a cui tenevo era mantenere il mio fisico perfetto dato che il mio viso era un totale disastro. Presa dall' "estro creativo" mi pesai e presi il metro da sarta che tenevo nel comodino.
Quando salii sulla bilancia, però, capii che era stata un'idea orribile: 53.4kg.
Ero in intimo, quindi non potevo accusare i vestiti del mio peso eccessivo. Reprimendo un grido di disperazione presi il metro e mi misurai; prima i fianchi, poi la vita e il seno.
Ispirai ed espirai un paio di volte prima di controllare quanti centimetri fossero, ma era tutto apposto. 90 cm giusti, giusti.. la prima era andata.
Salii di poco e avvolsi il metro attorno alla vita, ansia. Guardai: 64 cm. Dramma. Potevo capire un centimentro o due, ma quattro.. Ingoiai l'amaro boccone e continuai salire.
Il seno di solito era la parte più traumatica di tutte, perchè ero perfettamente consapevole che non sarei arrivata al numero tanto desiderato, ma la speranza è sempre l'ultima a morire giusto? Guardai il metro: 85 cm.
Mi guardai rassegnata.
Non che me ne fregasse qualcosa del pensiero altrui, io volevo che il mio fisico fosse perfetto. Era una mia scelta, forse una delle poche cose di cui ero sicura nella mia vita. Il viso non lo potevo salvare, le lauree in chirugia estetica non cadevano dal cielo così per caso, i capelli forse potevano essere tinti, ma il corpo era nato per essere qualcosa di invidiabile e lo sarebbe stato. 
Mi piastrai i capelli alla velocità della luce intanto che esploravo il mio armadio mentalmente.
Cosa metto? Ero in ritardo.
Cosa metto? Cominciai a rimpire la solita borsa di pelle nera sperando nell'illuminazione divina.
Cosa metto? Lampadina: accesa.
Tolsi il reggiseno in fretta e in furia mentre litigavo con la cerniera laterale del corsetto nero stando attenta a non toccare il pizzo. Una volta riuscita nell'impresa mi accorsi che i pantaloni che avevo indossato prima per evitare di andare in giro di casa in mutande andavano perfettamente bene. Sistemai una delle stecche che mi dava fastidio al fianco, mi sarei truccata in macchina. Non avevo più tempo, la mia amica era già lì fuori.
Controllai che le chiavi fossero in borsa e che tutto fosse chiuso, quindi mi fiondai verso l'uscita pregando di non aver dimenticato il portafoglio.
Le scarpe non le scelsi, chiusi gli occhi sul milione di scatole piene di tacchi, zeppe e quant'altro e indossai il primo paio che toccai. Erano delle decollete classiche nere in pelle, rese straordinariamente comode dal plateau. Ringraziai la mia mano e, indossato il giubbino in pelle, uscii.
Per quanto dovessi ammettere di avere problemi con le persone e i posti che l'umanità frequentava il sabato sera era la mia unica serata di sfogo e quando ero presa da questo bisogno le mie paure si facevano da parte. Quasi mi incoraggiavano dicendo che tanto chi doveva guardare una come me, non c'era il minimo pericolo.
Questo accadeva solo quando ero con i miei amici o in posti dove nessuno mi conosceva o con persone che non avrei visto mai più o quando vedevo qualcuno che aveva bisogno di essere protetto o qualcuno che conosceva paura e dolore come me e altre cose simili. Purtroppo la classe non rientrava in queste e solo a pensare agli sguardi dei miei compagni mi veniva la nausea.
 Il fatto che mi venisse la nausea mentre mi mettevo il rossetto però era contro producente al massimo quindi cercai di non pensarci. Tra i miei amici, che in realtà consideravo la mia vera famiglia, ero abbastanza nota per le mie camminata su tacchi alti, per i vestiti non esattamente.. puritani o convenzionali e altro. Quando scesi dall'auto anche il resto del mondo si accorse di questi due piccoli tratti della mia personalità, che tanto Naga amava.
E accadde esattamente nel momento in cui lasciai scivolare il giubbotto di pelle dalla spalle in modo che mi coprisse solo la parte bassa della schiena e l'avambraccio. Infilai il telefono in tasca mi diressi verso il bancone del bar mentre la musica metal delle mie cuffie lasciava posto a quella della discoteca in cui mi avevano portato. Adesso il giubbotto era sparito del tutto, l'avevo lanciato a un mio amico insieme alla borsa. Erano arrivati prima di noi ed erano già in fila per il guardaroba quindi, se ne sarebbero occupati loro.
Li aspettammo davanti al bancone del bar mentre muovevamo le gambe a ritmo, per così dire, ascoltando la musica. Avevo bisogno di bere, tanto bisogno. 
Una volta arrivati tutti ordinammo, io ero sempre l'ultima se il barista era un uomo perchè ero abbastanza brava a farmi regalare sconti o cocktails fatti "solo per me". Dicono: se hai un dote sfruttala. 
Il primo bicchiere non mi diede problemi, il secondo neanche, il terzo forse un pochino, il quarto era il mio "intruglio" preferito: Daiquiri. I soldi erano finiti. Fumai circa dieci sigarette e in poco tempo mi accorsi di non averne altre. La mente era annebbiata, perfetto. Avevo bisgno di dimenticare della mia fantastica esistenza per una serata e divertirmi, forse più che divertimi distrarmi.. insomma quello che era.. 
Non so che malcapitato mi regalò un pacchetto di sigarette pieno perfettamente nuovo, ancora sigillato. Ne fumai metà mentre qualcun'altro mi affriva altri due bicchieri, troppo pieni problbilmente, di rum liscio. Ora non capivo più nulla davvero, bellissimo.
Andai in centro alla folla che ballava e sentii quasi subito delle mani sui fianchi, quanti morti di fame (per non dire altro) c'erano in giro.. lo vidi con la coda dell'occhio, non era bello, proprio no.. ma io facevo sempre così. Tentò di baciarmi e io non opposi resisenza, la mia bocca andava a scoppio ritardato. Il mio corpo doveva capire che dovevo muovere labbra e lingua ci voleva un paio di scarti per frglielo capire. Da lì in poi, funzionavo alla perfezone. Il quarto ragazzo era carino. Era qualche centimetro più alto di me e, considerando il tacco da 13 cm che indossavo, non era poco. Aveva un viso accettabile e muscoli erano ben evidenti sotto la maglietta. Mi piaceva, poteva andare. 
Con lui fu il primo vero bacio della serata, finimmo sui divanetti ai lati del locale, avevo ricoperto la sua schiena di graffi e le labbra quasi sanguinavano,, doveva fargli male, ma non sembrava dispiacergli. 
Una cosa che amavo dell'alcol è che ti fa dimenticare nel vero senso della parola, il giorno dopo non riuscivo a ricordare cosa fosse successo dopo se non per piccoli inutili sprazzi. La mia mente amava resettare e, per una volta, non potevo biasimarla. 
  
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