Quinto capitolo – Zitella acida
26 Settembre 2001
“MIA!” Bella urlò
a squarciagola, con il pettine in una mano e due elastici rosa
nell’altra.
Dopo pochi minuti, trovò
quella peste nascosta sotto il suo letto.
“Tesoro”,
iniziò, sconsolata “Dobbiamo sistemare quei capelli.” A
differenza di Emma, Mia aveva corti capelli ricci. Talmente ricci, che per
pettinarli ogni giorno era un problema.
“No.” La
risposta secca arrivò alle orecchie di Bella.
“Amore, dobbiamo
fare due codini. Ti prometto che sarai la più bella della scuola.” Con quelle poche parole, Mia era uscita dal suo
nascondiglio e si era messa davanti a Bella.
“Davvero?”
“Te lo
prometto.”
Emma aveva preso la testa
dura di Alice, mentre la più piccola aveva la mania della moda,
già a tre anni. Decideva da sola cosa voleva mettersi la mattina per
andare a scuola, scartando i vestiti che Isabella le preparava la sera prima.
“Pasta che non mi fai male.”
“Farò
piano.”
Con un sospiro rassegnato
si sedette sulla sedia, mentre Bella si posizionò
dietro di lei ed iniziò a pettinarle quei ricci con cautela.
“Ieri zio Edward mi
ha staccato i capelli.”
Isabella cercò di reprime una risata.
“Diciamo che zio
Edward non è abituato a pettinare le bambine.”
“Ma
ero tutta psettinata!”
“Invece stamattina
sarai bellissima. Ho quasi finito.” Bella strinse l’elastico
intorno ai capelli, e ammirò soddisfatta quello che aveva fatto.
“Ecco. Non sei forse bellissima?”
“Mmmh.” Rimase davanti allo specchio per qualche
minuto. “Pecché
Emma ha i capelli nunghi
e io no?”
“Tesoro, Emma ha i
capelli lisci. Anche i tuoi sono lunghi, ma sono ricci. Fra qualche anno avrai
dei capelli lunghi e bellissimi.”
“Uffa.” Non
era contenta della risposta, ma scese ugualmente al piano inferiore senza
ribattere, facendo dondolare la sua gonnellina rossa e lasciando Bella da sola.
“Non so chi sia peggio.”
“Se la giocano.
Emma non sta un minuto zitta, mentre Mia starebbe ore
ed ore davanti allo specchio. Diciamo che nessuna delle due ha preso il
carattere mite di Jasper.”
“Purtroppo.”
Edward sospirò, sistemandosi il nodo della cravatta.
“ZIA BELLA! FORZA!”
“Appunto.”
Disse lei, ubbidendo all’urlo che proveniva dal piano inferiore.
“Sicura
di non avere del lavoro da sbrigare?” Chiese Edward, seguendola per
andare giù.
“Tranquillo.”
Liquidò con una mano. “Ho delle cose da sbrigare in centro, e poi
ho promesso ad entrambe che le avrei accompagnate a
scuola. E lo sai come sono fatte.”
“Se non mantieni la
promessa, sono guai.”
“Bravo.”
Bella finse un applauso, mentre Edward alzava gli occhi al cielo.
Entrarono in cucina, e
Isabella si diresse verso la credenza per cercare qualcosa da mangiare.
“Non manciare
quello!” Rimase con la barretta al cioccolato a mezz’aria,
guardando Mia.
“Perché?”
“Ti fa male. Io mi
stono sentita male, l’altra volta.”
“Male?”
“Sì.”
Intervenne subito Emma. “Quando sei andata a quella cosa per lavoro. Mia
ha mangiato tutta la scatola di barrette al cioccolato e si è sentita
male.” Bella lanciò un’occhiataccia
a Edward, che con disinvoltura fissava l’interno della tazza che teneva
in mano.
“Perché non
vengo mai a sapere le cose spiacevoli che accadono, quando non ci sono?”
“Stai
esagerando.” Disse lui, posando la tazza nel lavello. “E’
stato un piccolo errore di percorso.”
“Pfff. Ma se hai chiamato James e quasi piangevi
perché non sapevi cosa fare.”
“EDWARD!”
“EMMA!”
Parlarono insieme. Isabella sgridò Edward, mentre lui sgridava
la bambina, che in quella casa era la bocca della verità.
“Non potevi
chiamare me?”
“No. Avevi quella
cosa di lavoro, e non volevo disturbarti.”
“Non è vero.
Diceva a James che diventavi la solita zitella acida se venivi a sapere questa
cosa. E poi ti arrabbiavi con lui.”
“Zitella acida?” Bella puntò
un dito contro Edward. “Cos’è questa storia, scusa?”
“Niente!”
Alzò le mani per difendersi. “E poi non ho detto questo.”
“Ah, davvero? E
cos’hai detto?”
“Basta. Dobbiamo andare a scuola.”
Emma li interruppe, salvando Edward da una situazione un po’ tragica.
Uscirono
tutti dalla casa, e prima di entrare in macchina Bella puntò di nuovo il
dito contro Edward: “Resta una questione aperta, Edward. Ne riparleremo dopo.” E
così dicendo, chiuse con forza lo sportello
della Volvo, facendo trasalire il suo proprietario.
“Non mi
piace.”
“Ma
se ci hai parlato per cinque minuti!”
“Noi donne abbiamo
un sesto senso. Non mi piace. E poi, hai visto com’era
vestita?”
“Molto bene.”
Isabella diede una
spallata a Edward, che continuava a guidare in mezzo al traffico di New York.
“Ahi!”
“Te la sei
cercata.”
“
“Oh, quanta
generosità. Ti sei mai chiesto il
perché?”
Edward soffocò una
risata, perché conosceva benissimo il motivo.
“Basta ora. Dove ti
devo portare?”
“Non c’è bisogno, Edward. Posso anche prendere un
taxi.”
“Vorresti scendere
da questa bellissima macchina, con i sedili in pelle,
profumatissima, per entrare in un taxi sudicio?”
“No. Però
non voglio che fai tardi a lavoro.”
“Sono i vantaggi di
essere il Capo, Isabella.”
“Bla bla bla.” Lo scimmiottò lei, alzando la testa
al cielo. “Comunque, undicesima a ovest, cinquantesima strada.”
“Scherzi?”
Bella abbassò la testa, senza rispondere. “Oh. Oh. Io, lì? Non mi calcoleranno mai. Bla bla bla.”
Edward ripeté la scena di poco prima, rendendosi conto che in quella
strada si trovava il MoMa.
“Infatti
non è nulla, Edward. Soltanto un colloquio. Dicono che la direttrice del MoMa sia la più
spietata del mondo.”
“Tu sei la
più spietata del mondo, per quanto riguarda il lavoro.”
“Non è
vero.”
“Vogliamo parlare
di quell’artista emergente che trovai anni fa sul mio piano, mentre
piangeva ininterrottamente? Perché Isabella Swan
l’aveva liquidato con un semplice ‘fare arte non fa
per te.’”
“Era la
verità, Edward. Bisogna sempre dire la
verità, in questi casi.”
“Se la
verità della direttrice del MoMa
sarà spietata, non venire a piangere da me.”
“Oh, non ti
preoccupare. A proposito, dobbiamo parlare di una cosa.”
“Cosa
c’è ora?”
“Dobbiamo fare un
calendario?”
“Eh? Quella roba
che Alice e Jasper ci spedivano per Natale, con foto per ogni mese? Non credo
proprio.”
Isabella sbuffò,
pensando che era una causa persa parlare con Edward.
“No. Un calendario
con i nostri impegni. Ci saranno dei giorni in cui tu non potrai guardare le
bambine, e ci sarò io. E viceversa.”
“Ieri sei andata
via per tutto il pomeriggio, e ci sono stato io. Qual è il
problema?”
“E se invece fossi
stato impegnato? Dobbiamo sapere anticipatamente i nostri impegni. Si chiama organizzazione.”
“Sono il Dio
dell’organizzazione, Isabella.”
“Oh, mi scusi Dio
dell’organizzazione.” Bella si rese conto che erano
arrivati fuori al MoMa, e di avere le mani che
sudavano.
“Non ce la
farò mai.” Sussurrò, guardando l’edificio da fuori.
“Entra.”
Quello di Edward non era un consiglio, ma un ordine.
“Ci vediamo
oggi.” Aprì lo sportello e scese dalla Volvo.
“Isabella?”
“Sì?”
“In bocca al
lupo.” Bella assottigliò gli occhi, perché Edward sapeva
benissimo cosa c’era dietro a quell’augurio. Che lei detestava. Non
fece in tempo a rispondere, che sgommò via con la sua macchina.
Intanto lei non ci
pensò due volte, e decise di entrare. Non era la prima volta che entrava
al MoMa, ma era la prima che
lo faceva come una possibile cliente.
“Salve!”
Salutò la ragazza alla reception con un sorriso tirato. “Sono Isabella Swan.”
“Oh! La signora la sta aspettando,
un secondo.”
La stavano aspettando.
La ragazza digitò
un numero sul telefono, e poco dopo una porta alle sue spalle si aprì.
Notò
immediatamente che quella non era una signora. Ma una
donna bellissima, quasi surreale.
Indossava un tailleur
nero, che definiva le sue curve magnificamente. Alti decolté ai piedi, e
dei capelli biondi che sembravano lunghissimi raccolti in un
chignon scomposto.
“Isabella Swan.” Rimase colpita anche dalla sua voce, bassa e
suadente. “E’ un piacere incontrarla. Io sono Rosalie Hale.”