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Autore: Alexandra e Mac    23/04/2014    6 recensioni
Il Passato e il Futuro si mescolano in questo racconto che conclude la trilogia iniziata con Giochi del Destino. Per tutti coloro che hanno amato i personaggi storici da noi inventati.
Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Harmon 'Harm' Rabb, Sarah 'Mac' MacKenzie
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Scritto nel Destino'
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Capitolo II

All' alba



Sentiva solo il suo respiro; il respiro e il rumore sordo e cadenzato dei passi che battevano sul bagnasciuga, scandendo il ritmo della sua corsa mattutina. Ogni tanto il verso di qualche gabbiano a caccia della colazione.

L’alba era sorta da poco.

Era uscito quando le prime luci del giorno illuminavano appena la linea dell’orizzonte e l’aria fredda e umida della notte non aveva ancora lasciato il posto al lieve tepore del sole; aveva indossato un paio di short e una canottiera, come sempre, ma aveva aggiunto una felpa leggera per sopportare l’aria frizzante del mattino almeno finché la corsa non lo avesse riscaldato a sufficienza.

La spiaggia era deserta.

Si era prefissato di correre per circa un’ora, non importava fin dove sarebbe arrivato. Avrebbe pensato più tardi a come rientrare. Dopo una colazione abbondante in un caffè lungo la spiaggia, avrebbe chiesto un passaggio. Oppure avrebbe potuto affittare una bici. O ritornare a piedi, così com’era arrivato.

Il tempo, in quei giorni, non importava. Era suo. Soltanto suo.

Un paio di settimane prima aveva messo piede in quel piccolo paese francese affacciato sulla costa atlantica e fin dal primo momento aveva provato l’irrefrenabile desiderio di correre su quella spiaggia solitaria e selvaggia, forse perché ben si addiceva al suo stato d’animo in quel periodo: solitario e selvaggio.

Dal giorno successivo il suo arrivo l’aveva fatta diventare una piacevole abitudine.

L’anno appena trascorso era stato davvero difficile: la promozione del suo ultimo romanzo aveva richiesto una campagna pubblicitaria pressante e faticosa ed era stato costretto dal proprio agente a soddisfare le richieste dell’editore.

Ma sarebbe stata l’ultima volta.

Non gli importava se i suoi libri vendevano centomila o duecentomila copie. Non a lui. Quelle cifre importavano solo a quei due pescecani. A lui importava solo di scrivere.

Scriveva per i lettori, ovviamente; ma aveva iniziato a scrivere, brevi racconti  oltre al suo diario e a penosi tentativi di poesia, soprattutto per se stesso e si era ripromesso che quello sarebbe stato sempre il suo obiettivo principale. Invece le cose avevano preso una piega diversa da quella decisa quando, improvviso, era arrivato il successo proprio con il suo primissimo romanzo, pubblicato a soli venticinque anni.

Dopo cinque best-seller, praticamente uno all’anno, si era accorto che certe cose non facevano per lui. O meglio: se n’era accorto molto prima, ma aveva permesso che gli eventi lo travolgessero.

Era giunta l’ora di cambiare la situazione e riappropriarsi della propria vita e, soprattutto, della propria creatività.

Aveva abbandonato il suo loft di New York ed era partito per l’Europa.

Indeciso fino all’ultimo sulla meta, una sera aveva aperto un vecchio atlante (ne conservava ancora uno tra i suoi numerosi libri) su una pagina a caso e il caso l’aveva condotto in Francia. Non ci aveva pensato due volte: l’idea di quindici giorni, un mese… forse anche due, in uno sperduto paesino sulla costa atlantica, dove nessuno lo conosceva, l’aveva attratto in maniera irresistibile. Si era immaginato una specie di novello Ernest Hemingway a caccia di esperienze, di nuovo ossigeno per la propria ispirazione. Magari avrebbe ambientato proprio in Francia il suo prossimo romanzo.

Già, il suo prossimo romanzo: aveva solo qualche idea confusa che ogni tanto gli frullava nella mente; andava e veniva, senza soffermarsi. Ancora nulla di concreto.

Non aveva la trama giusta, non sapeva bene neppure dove né in quale periodo storico ambientare la vicenda ma, soprattutto, non aveva ancora un titolo. Quando arrivava il titolo, la storia c’era. Ed era quella giusta. Purtroppo finché il titolo restava un mistero, le idee gli riempivano la mente, ma tutto il processo creativo si fermava lì.

Non arrivavano immagini, non arrivavano parole. Continuavano ad arrivare solo idee confuse, che si accavallavano senza sosta, l’una sull’altra.

Solamente il titolo metteva fine a tutto quel disordine e chiariva ciò che ancora restava oscuro. Da quel momento in poi era in grado di scrivere per ore ed ore, senza interruzione, finché le pagine non assumevano la forma desiderata: le immagini descritte diventavano quelle che aveva visto con gli occhi della mente e le parole sul foglio erano le stesse che aveva sentito risuonare nelle proprie orecchie.

Purtroppo negli ultimi mesi non era arrivato proprio nulla, se non poche idee vaghe. Di immagini e parole neanche l’ombra.

In quel nulla totale, c’era un’unica cosa di cui finalmente si era reso conto e della quale ormai era assolutamente certo. Non era mai accaduto, infatti, che trascorresse così tanto tempo senza che qualcosa prendesse forma nella sua testa; sapeva che la maggior parte della colpa era da attribuire alla sensazione di disagio che lo assaliva quando un libro era terminato e la sua pubblicazione imminente, ma il fatto che quel vuoto assoluto durasse così a lungo doveva pur dirgli qualcosa.

Sempre più di frequente le idee per il nuovo romanzo, che già cominciavano ad affacciarsi al suo subconscio quando ancora non aveva scritto la parola fine al lavoro che stava terminando, finivano con lo scomparire, soffocate proprio da quel disagio; a suo avviso, però, il protrarsi della mancanza d’ispirazione stava a significare che c’era qualcosa in più: desiderava un cambiamento. Un cambiamento rispetto a ciò che aveva scritto fino a quel momento.

Aveva sempre odiato tutto ciò che comportava il successo e il lancio di un nuovo libro: le interviste, la pubblicità, scegliere le immagini per la copertina… tutti dettagli che a lui non interessavano, ma che richiedevano il suo tempo.

L’unica cosa che a lui interessava, invece, era potersi concentrare su quelle nuove idee che gli frullavano nella testa, quei teneri e indifesi germogli che sarebbero scomparsi immediatamente se non coltivati con sufficiente pazienza e attenzione.

Purtroppo quello era il prezzo del successo, e, mentre le nuove idee svanivano così com’erano affiorate alla mente, a lui restavano soltanto tutte quelle incombenze da soddisfare. Ma fino ad allora, terminato il periodo legato alla promozione del suo ultimo romanzo, le idee tornavano con la stessa rapidità con la quale erano scomparse, e lui poteva immergersi di nuovo nella scrittura, finché terminava un nuovo best-seller e il ciclo ricominciava.

Per fortuna, con un po’ d’astuzia, era riuscito almeno a convincere l’editore ad evitare servizi fotografici, di qualunque tipo e per qualunque motivo.

Odiava l’idea di essere sotto i riflettori,  eppure sua madre continuava a dirgli che era così bello che avrebbe potuto benissimo fare il modello… forse aveva ragione, pensò sorridendo, meditando sulla corporatura forte e atletica che Madre Natura gli aveva donato. Alto e con ampie spalle, aveva la fortuna di possedere anche un volto affilato, dai bei lineamenti finemente cesellati. La carriera di modello, tuttavia, non era la sua strada.

Lui desiderava scrivere. Solo scrivere, fin da quando era ragazzo.

Senza smettere di correre, si levò la felpa e la legò in vita. L’aria cominciava a riscaldarsi.

Sorrise divertito, ricordando l’espressione dell’editore quando lo aveva visto per la prima volta di persona: si era sfregato le mani al pensiero di poter mettere in copertina l’immagine di un giovane scrittore tanto attraente. I libri avrebbero venduto di più, gli aveva detto compiaciuto. Era probabile che sognasse già cartelloni pubblicitari con la sua immagine in formato gigante. Ma lui aveva stroncato sul nascere quell’entusiasmo: appena aveva scorto quel particolare luccichio negli occhi dell’editore, subito si era visto costretto a sopportare anche la tortura di sfibranti servizi fotografici e così lo aveva convinto ad abbandonare l’idea di sfruttare la sua prestanza fisica per incrementare le vendite, con la brillante trovata di creare attorno alla propria persona un alone di mistero che, in un mondo dove l’immagine ormai contava più d’ogni altra cosa, avrebbe incuriosito più del suo volto sul retro della copertina.

Aveva esteso la storiella anche ad eventuali foto per interviste… in pratica s’era creato il personaggio dello scrittore senza volto, e l’idea aveva fatto centro. Ai lettori era piaciuto l’alone di mistero che circondava la sua persona e acquistavano i suoi romanzi perché avvincenti e ben scritti e non perché l’ultima produzione dello scrittore bello e sexy!

L’editore era contento, il suo agente pure ed entrambi non avevano più insistito con le foto in copertina. Ora erano proprio loro i primi a tutelare la sua immagine e a controllare che ogni intervista fosse priva di un qualunque servizio fotografico, persino del minimo scatto effettuato da un cellulare.

E così almeno quella tortura se l’era risparmiata!

Guardò l’orologio e scoprì di aver corso per più di mezz’ora.

Non si sentiva per niente stanco. Anzi, ad ogni passo, ad ogni respiro, ad ogni tensione dei muscoli, sentiva una nuova energia impadronirsi di lui, come non gli accadeva da settimane.

Aveva fatto bene a staccare la spina e scomparire per un po’.

Si sentiva libero, finalmente. Libero e selvaggio, proprio come quella spiaggia deserta. Avrebbe tanto desiderato avere con sé Joy, la sua cavalla araba, uno splendido esemplare dal mantello nero che aveva acquistato con i proventi del suo primo romanzo; quando era in California, a casa dei suoi genitori, ogni mattina poco prima dell’alba montava in sella a piedi scalzi e con indosso solo un paio di vecchi jeans e la lanciava in un galoppo sfrenato lungo la spiaggia... correvano insieme, criniera e capelli al vento, due animali selvaggi, finché Joy non decideva che era l’ora di rientrare; allora le permetteva di ricondurlo a casa al passo, mentre si godeva il sole che lentamente sorgeva ad illuminare la giornata.

Invece aveva lasciato Joy in America, per evitarle lo stress di un viaggio oltreoceano solo per soddisfare il suo desiderio di libertà.

Avrebbe dovuto accontentarsi delle proprie gambe, quel mattino, per sentirsi libero.

 

  
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