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Autore: RandomWriter    27/04/2014    4 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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CAPITOLO 4: TIRI MANCINI
 
La maggior libertà di cui godevano gli studenti durante il pomeriggio giustificava il via vai e la rumorosità all’interno dell’edificio scolastico. Erin sfruttò questa situazione a suo vantaggio, chiedendo in giro se qualcuno avesse visto una palla da basket.
Chi le rispondeva con un cenno di diniego, chi scrollava le spalle, chi le rivolgeva un’occhiata perplessa, ma tutti erano unanimi nell’asserire di non aver mai visto palloni da basket al di fuori della palestra. L’unica consolazione per la ragazza era che in quell’occasione aveva conosciuto facce nuove tra le quali quelle identiche dei gemelli Alexy e Armin del quinto anno.  
Passata in rassegna tutta l’ala ovest, mensa compresa, l’esploratrice si spostò a est.
Passò davanti all’auditorio dove si riunivano i membri del club di teatro. Con il timore di disturbarli, aprì lentamente la porta per sbirciare all’interno chiedendosi se gli attori le avrebbero permesso di fare la sua ricerca indisturbata.
Sul palco di legno, che si ergeva ad un metro e mezzo da terra, una ragazza alta e dal viso scarno stava recitando un monologo. I dettagli del suo vestito erano di un’impressionante bellezza: complicati ricami dorati seguivano la forma del busto che era cucito con un’ampia gonna di raso color verde oliva.
“se vuoi assistere alle prove, devi prima chiedere il permesso”.
Nella penombra dell’ambiente, due occhi felini le si erano parati davanti con fare intimidatorio.
Appena riuscì a distogliere l’attenzione dal quello sguardo ipnotico, Erin ampliò il suo campo visivo su tutta la figura che aveva davanti: una ragazza dai lunghi capelli argentei, occhi talmente chiari da sembrare gialli e lineamenti simmetrici le aveva sbarrato la strada. Il suo primo pensiero fu rivolto alle ragazze che aveva conosciuto fino a quel momento: Ambra, Charlotte, Lin... possibile che in quel liceo ci fossero così tante potenziali vincitrici di Miss America? Anche Iris, nella sua semplicità e genuinità era una bella ragazza, con i suoi occhioni chiari e nemmeno Violet con i suoi lineamenti delicati non era da meno. Possibile che solo lei, Erin, dovesse essere così nella norma?
“Rosalya vieni qui!”
Una voce alle spalle della ragazza dagli occhi gialli la richiamò, ed Erin si ritrovò una porta sbattuta in faccia.
“per la serie, più sono belle più sono str***” pensò tra sé e sé.
Passò al club di musica, poi a quello di cucina ed infine per quello di basket. Quest’ultimo locale scolastico era talmente scontato, che Erin l’aveva tenuto per ultimo. Passando davanti ai distributori automatici, l’occhio le cadde sull’orologio appeso alla parete. Erano già le tre e quaranta.
Svoltò l’angolo ed entrò in palestra; la squadra si stava allenando ma nessuno prese in considerazione la sua presenza. Castiel stava parlando con un ragazzo di colore, mentre il resto della squadra era impegnato in una partita. Le era venuto il dubbio che Castiel avesse nascosto la palla nello spogliatoio maschile, ma non osava intrufolarsi là dentro.
“ti do un indizio: non è negli spogliatoi” la informò Castiel non appena si accorse di lei.
“adesso mi legge anche nel pensiero” borbottò Erin mentre frugava nel ripostiglio degli attrezzi.
In quell’occasione vide una trave appoggiata alla parete. Le venne un nodo alla gola pensando a quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che c’era salita. Prima di fare danza, Erin da bambina, aveva frequentato un corso di ginnastica artistica per ben cinque anni. In quel genere di sport era davvero brava, era in quelli di squadra che faceva pena. Accarezzò la trave, ricordandosi quanto le sembrasse alta quando era piccola. Era tutto relativo: a quell’epoca quando ci saliva sopra, le sembrava di svettare sul mondo e le piaceva fare acrobazie su di essa, deliziandosi dell’attenzione che calamitava su di sé, soprattutto di quella voce così simile alla sua che la incitava:
“vai così Erin!”
Si morse il labbro e uscì dal ripostiglio. Strisciò fuori dalla palestra senza farsi notare e tornò nei corridoi con la consapevolezza che le possibilità di successo si stavano esaurendo inesorabilmente.
Aveva bisogno di fare un po’ il punto della situazione, ma prima doveva soddisfare i suoi bisogni fisiologici per cui si diresse verso il bagno. Una volta finito, andò a lavarsi le mani ma un odore inequivocabile la fece voltare: Ambra e Lin, appoggiate al termosifone, erano intente a fumare; tra le tre ci fu uno scambio di sguardi; Erin decise di ignorare le presenti, ma Ambra non era dello stesso avviso:
“come va la ricerca del pallone?”
La domanda non sorprese Erin. Tutta la scuola era ormai a conoscenza della sua missione. Prima di entrare in bagno un paio di ragazzi le avevano rivolto la stessa domanda.
“va’” rispose semplicemente Erin che non intendeva dilungarsi troppo a parlare con Ambra.
“e se io sapessi dov’è?” la stuzzicò la bionda.
Erin si girò di scatto. Aveva ancora il sapone tra le mani e smise di strofinarsele rimanendo immobile.
“beh, che ti aspettavi? Sono o non sono la ragazza di Castiel?” commentò Ambra sistemandosi le ciocche dorate.
Erin guardò Lin per cercare di capire se la stavano prendendo in giro, ma la cinesina aveva un’espressione neutra.
“allora? Non dici nulla? Non vuoi sapere dove si trova?”
“non lo troverò imbrogliando”
Ambra guardò Lin poi scoppiò a ridere:
“ahahah! la paladina della giustizia! Che senso dell’onestà ammirevole” e detto questo, la ragazza aprì la porta della toilette e gettò nel water quello che rimaneva della cicca.
Si voltò a dare un’ultima occhiata ad Erin e, evidentemente non ancora soddisfatta, squadrò con aria sprezzante i capelli della compagna di classe: erano lunghi fino a metà coscia, troppo lunghi, tanto da essere sfibrati.
“posso farti una confidenza? Non mi dispiacerebbe vederti con meno capelli in testa” e con una risatina acida uscì dal bagno seguita da Lin che nel frattempo aveva replicato il gesto di Ambra e si era sbarazzata dalla sigaretta.
Erin si guardò allo specchio. Per quanto detestasse ammetterlo, Ambra aveva ragione: aveva dei capelli orrendi. Troppo lunghi tanto che Castiel il primo giorno l’aveva battezzata Raperonzolo. Ma se non altro in quell’occasione era riuscito a zittirlo con la sua stessa moneta. Quelli di Ambra invece erano di una perfezione che solo una modella in copertina poteva avere.
“che faccia da profuga” disse Erin assumendo una posa in stile urlo di Munch.
“ahahaahaha”
Si voltò di scatto. Dietro di lei, una ragazza con i capelli castani e lunghi, vestita in modo molto femminile la stava osservando.
“scusa, non volevo prenderti in giro” si scusò con educazione “ma mi hai fatto ridere”
“ah non preoccuparti” replicò Erin osservandola con curiosità.
“mi chiamo Erin”
“si lo so”
Era già la terza volta nell’arco di una giornata che Erin riceveva quella risposta e la cosa cominciava a darle fastidio e la sua interlocutrice parve captare il suo disappunto.
“scusa, non volevo guardarti male!” si giustifico Erin grattandosi la nuca imbarazzata “è che sembra quasi che la mia identità sia di dominio pubblico: tutti sanno come mi chiamo e io non conosco quasi nessuno” spiegò alludendo a Nathaniel e alla professoressa Joplin.
“beh, non ci hai messo molto a farti notare. La notizia della tua sfida con Castiel sta facendo il giro della scuola”
“comunque non mi hai ancora detto come ti chiami” puntualizzò Erin con un sorriso conciliante.
“Melody”
Finiti i convenevoli, Erin salutò la nuova conoscenza e tornò alla sua missione. Stava per mettere mano sulla maniglia e uscire, quando la porta del bagno si aprì e sbucò la testolina di Lin:
“ehi Erin, se hai cambiato idea, posso dirti io dove si trova la palla”.
Erin rimase sorpresa ma mentre stava per ribadire il suo rifiuto, Lin la informò:
“è in presidenza. A quest’ora non c’è nessuno perché la preside non c’è mai di pomeriggio. La porta però la lascia sempre aperta”
Detto questo, guardandosi nervosamente intorno, Lin sparì con la rapidità di un furetto che rientra nella tana dopo aver avvistato un predatore.
Erin sospirò. Non era sua intenzione vincere così, avrebbe davvero voluto trovare da sola quella maledetta palla, ma ormai non poteva far finta di non sapere dove fosse. Contro ogni aspettativa, Lin si era rivelata gentile a dirle dov’era, e quell’informazione Ambra non gliel’avrebbe certo data gratis. Sin da quella mattina, Erin aveva avuto l’impressione che Lin non sopportasse l’amica o quella che avrebbe dovuto essere tale e a giudicare da quella cortesia nei suoi confronti, c’aveva visto giusto.
Salutò frettolosamente Melody, tanto da non accorgersi che stava per aprir bocca, e uscì nei corridoi.
 
Si diresse in gran foga verso la presidenza fantasticando su come avrebbe sfilato davanti a Castiel con il suo trofeo tra le mani.
Come aveva detto Lin, la porta era aperta. Erin entrò titubante ma ad ulteriore riprova delle informazioni che aveva ricevuto, l’ufficio era deserto.
“certo che è da irresponsabili lasciare incustodita la presidenza… con la porta aperta che chiunque possa entrare” riflettè Erin mentre apriva un pesante armadio. Ora che era dentro, la cosa le sembrò ancor più strana e la sua crescente perplessità cominciò a sfociare nella consapevolezza di essere caduta in una trappola.
“E LEI COSA CI FA QUI??”
L’urlo della preside arrivò quando Erin stava per richiudere l’anta di uno scaffale.
L’intrusa sbiancò per lo shock.
“i-io…” ma prima che potesse aggiungere altro la preside di voltò a parlare con una persona alle sue spalle:
“signorina Ambra, dal momento che non c’era nessuna siringa, può andare. Parleremo un’altra volta di quello che pensa di aver visto in cortile. Ora ho da fare”
Con le gambe che le tremavano, a quel punto Erin non sapeva più se la paura o la rabbia avessero preso il sopravvento. Ambra e Lin si erano messe d’accordo per farle quel tiro mancino e lei c’era cascata come un’allocca. Detestava fare la parte dell’ingenua. Prima Castiel con la sua scommessa del cavolo, ora Ambra: aveva forse stampato in faccia la parola “INGENUA: INFIERIRE A PIACERE”?
“glielo devo ripetere? Cosa ci fa lei qui?” tuonò la preside tornando a rivolgersi all’intrusa e sbattendo con violenza la porta alle sue spalle. Per quanto minuta e pagnottosa, quella donnina aveva una forza bruta pensò Erin sconvolta.  
“allora?!”
In quel momento bussarono alla porta:
“sono occupata!” sbottò la preside.
“Preside sono io”
Quando Erin udì quella voce, sentì nuovamente il sangue andarle al cervello e il cuore riprendere le sue funzioni.
Nathaniel entrò con passo deciso, avvicinandosi a Erin alla quale lanciò uno sguardo rassicurante.
“la scusi preside ma è tutta colpa mia. Vede, avevo chiesto ad Erin di aiutarmi a consultare l’archivio biografico degli studenti per ricercare il suo fascicolo, ma mi ero allontanato un attimo lasciandola da sola. Si fidi, non aveva nessuna cattiva intenzione. Del resto è appena arrivata… cosa potrebbe esserci qua dentro ad interessarla?”
La preside sembrò calmarsi, ma rimaneva ancora visibilmente irritata:
“non dovresti lasciare l’ufficio alla mercé degli altri studenti. Se manca qualcosa riterrò te responsabile”
“allora non avresti dovuto lasciarlo incustodito, vecchia babbiona” pensò Erin ma si morse il labbro per evitare di fare ulteriori danni.
Si concentrò sul suo principe azzurro del ventunesimo secolo. Guardarlo la rasserenava e le calmava il caratteraccio che nelle situazioni di stress esplodeva come uno tsunami.
“stia tranquilla, mi fido di Erin, altrimenti non avrei chiesto a lei”
“beh, ma la conosci da appena un giorno!” obiettò la vecchia.
“modestamente, ho un buon intuito nel giudicare le persone dalla prima impressione” ribattè Nathaniel con un sorriso conciliante.
Erin si chiese se poteva esistere un ragazzo più perfetto.
La preside sospirò:
“mi fiderò della tua parola Nathaniel… mi scusi signorina Travis per averla aggredita così, ma durante il pomeriggio il mio ruolo richiede una maggior attenzione perché gli studenti sono più indisciplinati.  A proposito Nathaniel, come si è conclusa la faccenda del rubinetto dello spogliatoio maschile? È venuto fuori il colpevole?”
 
Erin si congedò, ma nonostante il poco tempo che le rimaneva per portare a termine la sua ricerca, non poteva andarsene senza ringraziare il suo salvatore. Nathaniel uscì di lì a pochi minuti ed Erin gli afferrò il polso.
“grazie” disse con intensità.
“figurati” replicò il ragazzo un po’ sorpreso per quel contatto.
“come facevi  sapere che ero qua?”
“Melody è venuta da me ad avvertirmi di quello che ti ha detto Lin. Non le hai lasciato il tempo di informarti che non c’è niente di più falso del dire che la preside non è presente. Lei è onnipresente!” precisò Nathaniel con aria solenne.
“a volte sono troppo impulsiva” si scusò Erin mortificata.
“è anche per questo che mi sei simpatica”
Erin arrossì lievemente mentre Nathaniel si schiarì la voce:
“per caso con Lin c’era anche Ambra?” le chiese d’un tratto Nathaniel.
“erano in bagno insieme”
“lo immaginavo… queste sono il genere di trovate di Ambra”
“la conosci davvero bene. Si vede che sei il delegato degli studenti. Del resto una str*** del genere non può passare inosservata”
“come sorella poi è anche peggio”
“sicuramente, ma non credo che dopo di lei i suoi genitori abbiano voluto altri figli”.
“no, infatti lei è nata un anno dopo di me” disse Nathaniel con un sorrisetto divertito.
Erin ammutolì:
“ch-che? No dai mi stai prendendo in giro!” protestò incredula.
Nathaniel rise e in quel momento incrociarono Castiel.
Il ragazzo si limitò a tamburellare l’indice sul polso a simboleggiare la morsa del tempo che stringeva.
Tuttavia ciò che le aveva appena detto Nathaniel aveva la precedenza sui suoi pensieri:
“tu e Ambra siete fratelli?”
“a-ah” le rispose il ragazzo incapace di smettere di sorridere di fronte allo stupore della ragazza.
“oddio scusami, avrei evitato di insultarla se l’avessi saputo…che figuuura”
“non preoccuparti… del resto sono d’accordo con te”
Erin sospirò sollevata:
“siete così… diversi” farfugliò Erin scrutando gli occhi nocciola del ragazzo. In quel color così caldo e accogliente, in quello sguardo così gentile le era impossibile ravvedere una qualche somiglianza con l’arpia che chiamava “sorella”.
“i fratelli mica si devono sempre assomigliare” obiettò Nathaniel
“concordo” concluse Erin e assunse un’aria pensierosa.
“scusami Nathaniel ma devo assolutamente vincere una scommessa che ho in corso con Castiel e mi rimane poco tempo”
“posso aiutarti?”
Quel tono così gentile la commosse. Per l’ennesima volta l’impulso prese il sopravvento sulla ragazza: si alzò in punta di piedi e gli stampò un bacio sulla guancia. Nathaniel rimase impietrito.
“hai fatto anche troppo” e detto questo volò via perché sentiva il viso andarle in fiamme.
Dal canto suo Nathaniel si massaggiò la guancia e scompigliandosi leggermente i capelli, tornò in sala delegati con un sorrisino beato stampato in faccia.
 
Erano ormai le cinque. Erin era riuscita ad intrufolarsi nel teatro non appena era rimasto deserto, ma la sua ricerca si concluse con l’ennesimo insuccesso.
Gli studenti stavano uscendo e la scuola diventava sempre più silenziosa.
Di lì a poco il personale addetto alle pulizie dei locali scolastici avrebbe iniziato i lavori: la scuola sarebbe rimasta aperta fino alle sei e mezza e se stava attenta a non farsi beccare, Erin avrebbe avuto un’altra ora e mezza di tempo. Aveva intravisto Nathaniel allontanarsi alle 17.30 assieme a Melody. Vedendoli insieme, la ragazza sentì un tuffo al cuore: possibile che tra di loro ci fosse qualcosa? Del resto una persona dall’animo così gentile come Melody non poteva non stare bene in coppia con Nathaniel.
Era talmente assorta nei suoi pensieri, che anziché prestare attenzione a non farsi trovare, si mise a passeggiare per i corridoi. I bidelli ci misero cinque minuti a cacciarla fuori dall’edificio:
“questa è bella. In dieci anni che sono qua non ho mai visto uno studente trattenersi dopo le lezioni” borbottò una donna tenendo in mano una scopa
“a parte Nathaniel” puntualizzò la collega mentre teneva aperto un sacco della spazzatura.
“ma quello non è un normale studente. È un uomo fatto. Gli piace trattenersi dopo le cinque per ultimare ciò che non è riuscito a concludere durante la giornata… ah se avessi vent’anni di meno…”
Erin non poté sentire altro perché ormai era troppo lontana. Per uscire doveva passare per il cancello sul retro dal momento che quello principale era stato chiuso.
Passò per la pista di atletica e arrivò al cortile.
L’indomani avrebbe potuto approfittare della pausa pranzo dalle 12.30 alle 14 ma sarebbe stato inutile. Non aveva più idee, non sapeva dove potesse ancora cercare quella maledetta palla… forse… e l’unica alternativa che non aveva mai considerato, finalmente le balenò in testa. Era ormai certa che Castiel si fosse sbarazzato del pallone buttandolo fuori dalla scuola o in qualche altro modo cosicché per Erin sarebbe stato impossibile ritrovarlo. Chissà quante risate si sarà fatto alle sue spalle assieme alla sua fidanzatina Ambra. Come coppia non potevano essere più trovati.
Dal canto suo, Erin si era impegnata tanto per risparmiarsi l’umiliazione della sconfitta e ora invece scopriva di essersi resa ridicola agli occhi di tutta la scuola. Chissà quanti studenti, conoscendo Castiel, avevano intuito quanto concreta fosse la possibilità che il pallone fosse al di fuori delle mura scolastiche. Eppure nessuno aveva pensato ad avvertirla.
“stupida, stupida, stupida” ripeté a se stessa mentre passava accanto alla pista di salto in alto.
 ♪ ♫ “mhmmm”  ♪ ♫
Erin si guardò attorno: le sembrava di aver udito una melodia cantata a bocca chiusa. Il suono diventò più articolato e definito fino a trasformarsi in un vero e proprio canticchio.
 ♪ ♫ “nananaananna”  ♪ ♫
Erin si guardò attorno incapace di trovare la fonte di quella voce. A conferma di quanto sentivano le sue orecchie, il suono non proveniva da terra, ma dal cielo. Sollevò lo sguardo e vide una scala antincendio esterna che permetteva l’accesso ad una sorta di terrazzo la cui ringhiera era a filo con il tetto degli spogliatoi. Gli spogliatoi infatti erano in comunicazione con la palestra: quelli maschili al piano terra, mentre quelli femminili al primo. Il tetto di quel blocco quindi non distava più di sette metri dal suolo.
Erin salì la scala antincendio e sentì che stava avvicinandosi alla sorgente: con l’aumentare dell’intensità della voce, aumentava la sua curiosità.
Arrivò al piccolo terrazzo e allungò il collo verso il tetto.
Un ragazzo con i capelli bianchi teneva in mano un block-notes in cui stava scrivendo qualcosa.
Era talmente assorto nei suoi pensieri da non essersi accorto della presenza della ragazza, finché Erin, nel tentativo di scavalcare la ringhiera e salire sul tetto, fece rumore:
“oh, quale celestiale visione in questa giornata così scarlatta” commentò il ragazzo.
Erin non capì se ci fosse dell’ironia nelle sue parole. 
“è da molto che sei qui?” gli chiese.
“da quando gli altri studenti se ne sono andati. Di solito ci rimango per un’oretta”
Facendo attenzione a non fare passi falsi, Erin gli si avvicinò. Il tetto era poco inclinato e a giudicare dalla tranquillità con cui il ragazzo la osservava muoversi, stava tenendo un buon equilibrio.
“a cosa devo l’onore di questa compagnia?” chiese il ragazzo dopo un po’.
“alla curiosità che ha suscitato il motivetto che stavi canticchiando” replicò Erin. Ora che lo osservava da vicino, la ragazza notò l’eterocromia dei suoi occhi che tuttavia non erano il primo tratto che balzava all’occhio. Il ragazzo infatti vestiva in stile vittoriano ma anziché risultare ridicolo, era molto affascinante. La sua voce poi, bassa e calma, le aveva rasserenato l’umore.
“capisco” e tornò a scrivere qualcosa sul libricino nero che aveva in mano e quando ormai Erin si era convinta che fosse meglio lasciarlo in pace, lui lo richiuse e se lo ficcò in tasca.
“quassù si è immersi in un altro mondo, lontano da tutto. Ci si può concentrare sui propri pensieri. E tu, come mai sei ancora a scuola?”
“sto, o meglio, stavo cercando un pallone da basket, ma è una causa persa”.
“ ma se ce ne sono parecchi nel cesto in palestra” obiettò lo strano interlocutore con un’aria perplessa.
“si ma io ne cerco uno in particolare. È bianco e blu” spiegò Erin sorprendendosi dell’ovvietà di quella frase. Evidentemente quello strano tipo non era a corrente della scommessa.
“blu come? Oltremare? Di Prussia? Marino?” puntualizzò il ragazzo mentre Erin lo fissava sempre più spazientita. La stava prendendo in giro anche lui?
“ma che importa la tonalità! Comunque era un blu… tipo…tipo… “ e si guardò attorno ricercando il colore che facesse per lei
“tipo quello di quella palla laggiù!” esclamò indicando un pallone appoggiato al camino.
Tornò a guardare il ragazzo poi, sgranò gli occhi e ritornò a fissare il punto che lei stessa aveva appena indicato.
 “L’HO TROVATO!” esultò, mettendosi in piedi.
“attenta!” la ammonì il ragazzo, ma Erin, con il suo passato da ballerina, riuscì a rimanere perfettamente in equilibrio.
“NON CI POSSO CREDERE. L’HO TROVATO!” non poteva fare a meno di ripetere, avvicinandosi al pallone.
Si stampò in faccia un sorriso ebete e abbracciò il pallone come una bambina con il suo peluche preferito.
“in effetti è il posto più logico in cui può nascondersi un pallone” convenne l’altro con un sorriso.
“diciamo che non è finito qui di sua spontanea volontà” borbottò Erin pensando all’espressione malefica di Castiel mentre lo nascondeva.
“comunque grazie. Se non fosse stato per te, non l’avrei mai trovato. Sono Erin” disse la ragazza porgendogli la mano.
Il ragazzo afferrò con una delicatezza signorile la candida mano che gli era stata offerta e la sfiorò con le labbra.
“Lysandre. È stato un piacere conoscerti Erin”.
 
Nota dell’autore:
“Lo ammetto. Ci sto prendendo gusto. Mi sto imponendo di prendermi il mio tempo per sistemare i capitoli ma ogni volta che ne finisco uno, non riesco a trattenere l’impazienza di pubblicarlo per sentire cosa ne pensate. Spero che la lettura non vi risulti pesante perché, ahimè, tendo ad essere un po’ prolissa”

 
 
  
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