Fanfic su artisti musicali > Avril Lavigne
Segui la storia  |       
Autore: Cruel Heart    27/04/2014    3 recensioni
C'è sempre un modo per raccontare le storie tristi.
C'è chi vuole addolcirla, come se si trattasse di una tazzina da caffè un po' amara, o c'è chi vuole renderla ancora più tragica di quanto lo sia già.
Sarebbe bello narrare di due adolescenti che si sono innamorati improvvisamente, magari al liceo.
Ma non è la verità, o, per lo meno, non lo è di questa storia.
I piccoli segreti sono ovunque.
Sto parlando di segreti non del tutto svelati, di argomenti tenuti nascosti e di scheletri troppo grandi per essere rinchiusi in un armadio.
E se tutto quello in cui lui credeva, si rivelasse una mera finzione?
E se tutto quello che lei riteneva impossibile, fosse la dura realtà?

Ecco: questa è la verità che voglio raccontarvi.
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Little secrets - Missing Moments'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve gente, come state?

Io non benissimo, anzi

Ho un mal di stomaco terribile, la febbre e, come se non bastasse, domani si ritorna a scuola e ho il compito di matematica.

Evviva! *Fa cadere coriandoli ovunque*

Comunque, eccomi qui ad aggiornare di nuovo con il primo capitolo.

Spero che vi piaccia. Alla prossima con il secondo.

Bye.

~ Cruel Heart.

 

***

Avril Lavigne - My World

 

***

Free Image Hosting at www.ImageShack.us

 

Napanee,Ontario, Canada, 4 Febbraio 2001

 

Avril's pov

 

«Ciao Avril!»

 

Mi girai, per sentire a chi appartenesse quella voce. «Oh… Ciao Scott.»

La naturale propensione di Scott - l'autista dell'autobus che mi riaccompagnava a casa ogni pomeriggio - di sorridere e di salutare chiunque incontrasse, mi faceva sentire a disagio.

 

«Ehi, salutami tua madre.» ammiccò, aggiustandosi il buffo cappellino dei Lakers, la sua squadra di basket preferita.

 

«Lo farò.» risposi, con le guance in fiamme. Se prima ero a disagio, adesso stavo chiedendo direttamente alla terra di aprirsi sotto di me e di inghiottirmi. Non era il massimo quando un ultracinquantenne pelato e panciuto chiedeva di salutare tua madre ammiccando.

 

Scesi dall'autobus in tutta fretta e per poco non rischiai di inciampare negli scalini che dividevano il mezzo dall'asfalto.

 

Cercai di dimenticare l'imbarazzante scambio di battute a cui avevo partecipato e rivolsi il cervello immediatamente da un'altra parte. Feci un rapido rewind di tutto ciò che mi era successo nella mattinata.

La giornata a scuola non era stata particolarmente esaltante: sempre gli stessi corridoi, sempre le stesse facce, sempre le stesse raccomandazioni per la fine del semestre...

 

Nonostante il secondo semestre fosse iniziato da appena quattro giorni, i professori non perdevano occasione di ricordarci che dovevamo studiare sempre e comunque, se non volevamo diventare "superciucci".

Una cosa era certa: per quanto gli insegnanti si sgolassero, cercando di impedire la nostra trasformazione in complete capre ignoranti, non tutti ce l'avrebbero fatta a superare gli esami finali a Luglio, quest'anno.

 

In particolare, sperai che qualcuno non li superasse. Mi riferivo a Travis Michigan.

Per mia sfortuna, frequentavamo lo stesso corso di educazione alimentare e oggi aveva dato spettacolo, mostrando il peggio di sé in corridoio.

Infatti, la suddetta capra, mi aveva rubato il mio fantastico panino al pomodoro e al prosciutto crudo e agitandolo, aveva gridato:«Lavigne, mi deludi, questo non fa bene alla tua alimentazione!»

Il tutto fu accompagnato da un ghigno che mi fece scattare.

 

Due pugni sul naso dopo, ero riuscita a riavere il mio pranzo e avevo fissato Michigan con uno sguardo assassino. Nonostante tutto, non si toglieva quel ghigno irritante dalla sua faccia appena tumefatta.

Lo superai a passo di carica e andai in mensa per consumare il mio pranzo.

 

Mi ero appena seduta al primo tavolo libero che avevo trovato, quando vidi l'orrore di tutti gli orrori esistenti a questo mondo: una fetta di formaggio sbucava dalle due fette di pane.

 

Bastardo. Michigan sapeva della mia avversione.

Dire che il formaggio non mi piaceva era un eufemismo.  

Io odiavo quel colore così giallo, quell'odore intenso, per non parlare poi del sapore…

Era la cosa più brutta che potesse esistere.

 

Ritornai con la mente al presente. Fissavo il marciapiede sotto di me, mentre mi dirigevo verso casa.

Piccoli fili d'erba fuoriuscivano dalle mattonelle fissate male, che sembravano essere lì da secoli.

Se la situazione era relativamente tranquilla a scuola, non potevo dire lo stesso di quella a casa.

Mia madre era stanca della nostra situazione, ed ero abbastanza sicura che fosse arrivata ormai al limite.

Il problema era che abitavo da sola con lei, in un piccolo appartamento nella periferia di Napanee, in Canada.

In culo al mondo, per dirla in breve.

In più, mia madre non lavorava da mesi e, per adesso, vivevamo con i soldi che aveva racimolato con il suo precedente lavoro da insegnante.

Guardai verso il cielo. Mentre continuavo a camminare, osservavo tutte le nuvole, cercando di dare loro una forma nella mia mente.

Tutte quelle persone - poche, a dir la verità - che erano a conoscenza della nostra situazione, ci chiedevano come mai mio padre non rientrasse dall'Afghanistan per stare con la sua famiglia.

Beh, quella del soldato in missione di guerra, era la versione inventata da mia madre, Judy.

La realtà, invece, era ben diversa.

La leva militare, per mio padre, non era mai esistita, così come non era mai esistito nemmeno lui, in fondo...

Già. Non c'era mai stato nessun padre per me, nessuna figura maschile a cui poter aggrapparmi nei momenti più difficili. Non sapevo neanche quale fosse il suo nome.

 

Eravamo state sempre e solo io e mia madre. Lui, invece, l'aveva abbandonata quando era incinta di me, forse per le troppe responsabilità.

 

Riabbassai lo sguardo verso la punta delle scarpe, e mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio sinistro.

Forse era meglio non pensarci, per ora.

 

Cinque minuti dopo, ero arrivata a casa. 

Immediatamente, notai una busta che spuntava fuori dalla cassette delle lettere. Così, presi il mazzo di chiavi dalla cerniera dello zaino, aprii la piccola teca in metallo ed estrassi la lettera.

La carta era completamente liscia e bianca, eccezion fatta per il nostro indirizzo scritto sul retro.

Probabilmente sarà un'altra bolletta.”, pensai amareggiata.

Come avevo già detto, non navigavamo nell'oro, e in più non avevamo nessuno che potesse aiutarci nelle spese.

Feci un paio di passi in avanti, cercando di trovare il modo più gentile per darle quell'altra brutta notizia. Scelsi un'altra piccola chiave dal mazzo, la inserii nella toppa e feci scattare la serratura della porta d'ingresso.

Un dolce profumino di patate arrosto invase completamente le mie narici.

«Mamma! Sono tornata!»

 

Tolsi le chiavi dalla toppa, sempre più preoccupata. Sbattei la porta, richiudendola,  e percorsi il corridoio, per andare in cucina.

 

Posai la busta sul tavolo, delicatamente - per non far degenerare ulteriormente la situazione - e salutai mia madre con un bacio veloce sulla guancia. Stava infornando le ultime patate.

 

«Scott mi ha detto di salutarti.» Decisi di iniziare con quell'argomento, per metterla più a suo agio.

 

«Cosa? Oh, sì, Scott. È un brav'uomo. Ha persino tentato di spedirmi alcuni centinaia di dollari per lettera, il mese scorso, ma ovviamente ho dovuto portarglieli indietro.»

 

Mi diressi verso il frigo, prendendo la bottiglia d'acqua e dissetandomi. Stavo cercando deliberatamente di ignorare le parole "Scott", "spedirmi" e "dollari". Non era bello venire a sapere che il fastidioso autista non solo ammiccava a tua madre, ma le faceva persino l'elemosina.

 

«Ah, a proposito di lettera, ne ho trovata una, appena sono entrata.» dissi, indicando con un cenno la busta sul tavolo da pranzo.

 

Mia madre si spazzolò il grembiule e aprì la lettera con un coltello.

Iniziò a far scorrere gli occhi sulle prime righe.

Aveva uno sguardo accigliato, e capii che, come me, stava pensando ad una sola cosa: bollette.

Poi, però, qualcosa cambiò.

Ad ogni riga che leggeva, si strofinava sempre più velocemente le mani sul grembiule, e il suo sguardo, da accigliato, si fece sorpreso, poi disperato, e poi di nuovo calmo, come se non fosse successo alcunché.

«Avril... Dobbiamo parlare.»

 

Bene, quando qualcuno pronunciava quelle due parole, c'era solo una cosa da fare: un brevissimo resoconto della propria noiosissima vita, per vedere dove si stanavano gli errori più madornali e capire il motivo di quella frase.

 

Allora, bisognava partire dall'inizio.

Il mio nome era Avril Ramona Lavigne. Avevo 17 anni e un colore di capelli - portati sempre lisci - indefinito, che andava dal biondo scuro al castano chiaro.

Ero bassina, con forme femminili non ancora pervenute.

La bellezza e la grazia che tutte le fidanzate dei vari Travis Michigan possedevano, per quanto mi riguardava, erano fuggite da qualche parte e non erano mai più tornate. Ma, soprattutto, ero l'unica responsabile della separazione dei miei genitori. E solo con la mia nascita.

Credevo che questo fosse il mio mondo, ma non sapevo ancora come questo stesse per cambiare totalmente.

 

Guardai mia madre negli occhi. «Dobbiamo partire. Domattina stessa.», disse.

 

Il tonfo del mio zaino, sul pavimento, parlò per me.

 

Cosa?

 

***

 

Judy's pov

 

Io non… non riuscivo a crederci.

Un attimo fa stavo preparando il pranzo per me e per mia figlia, e adesso… era tutto diverso.

La guardai negli occhi, mentre sentivo il suo zaino cadere a terra.

“Ma se questo vuol dire proteggerla”, pensai, “allora andrei anche in capo al mondo.”.

Era il mio segreto e io dovevo custodirlo. Per lei.

 

***

 

Please tell me what is takin' place,

'cause I can't seem to find a trace.

Guess it must have got erased somehow.

Probabilly 'cause I always forget,

everytime someone tells me their name,

It's always gotta be the same.

(In my world).

 

Never wore cover-up.

Always beat the boys up.

Grew up in a five thousand population town.

Made my money by cutting grass.

Got fired by fried chicken ass.

All in a small town, Napanee.

[]

I'm off again, in my world.

 

 

Per favore, ditemi cosa sta accadendo,

perché sembra che non riesca a capire nulla.

Credo sia stato cancellato in qualche modo.

Probabilmente, perché dimentico sempre

ogni volta che qualcuno mi dice il suo nome.

Sarà sempre lo stesso.

(Nel mio mondo).

 

Non mi sono mai truccata tanto.

Ho sempre battuto i ragazzi.

Sono cresciuta in una cittadina di 5000 persone.

Ho fatto i soldi tagliando l'erba.

Sono stata licenziata da un culo di pollo fritto.

Il tutto in una piccola cittadina, Napanee.

[]

Sono di nuovo spenta, nel mio mondo.

 

~ Avril Lavigne - My World.

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Avril Lavigne / Vai alla pagina dell'autore: Cruel Heart