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Autore: SvaleG_3    28/04/2014    1 recensioni
il suo mondo è perfetto. completamente perfetto. lei non ha difetti, tranne uno. lo stesso difetto che tom ha sempre vantato, ma che non ha mai approvato. è così difficile affezionarsi a qualcuno? è così difficile sentirsi coinvolti con anima e corpo? a quanto pare si. e la vita mondana non aiuta di certo ad essere più umani e meno automatici. ma forse una sorella o un fratello si.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: Lemon, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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11.

TOUR

 

 

Tom bussò alla porta di Jennifer e l’aprì, senza aspettare il suo consenso. Nella stanza, la luce era soffusa, proveniente dalla lampada sul comodino e lei teneva in mano un libro, inforcava gli occhiali e una coperta di lana sopra le gambe, altrimenti nude.

Si girò a guardarlo e gli sorrise, mentre lui chiudeva la porta. Lo osservò mentre si avvicinava, poi si sistemò meglio sul letto e chiuse il libro. Tom si sedette e le sorrise a sua volta, togliendole gli occhiali. Lei chiuse gli occhi alle sue nocche che le sfioravano la pelle, poi li riaprì e lo fissò mentre li poggiava sul comodino.

In mano teneva una piccola scatolina d’oro, con un nastro del medesimo colore a chiuderla.

-Sei bella anche con gli occhiali, ma senza almeno non mi fai pensare a qualche professoressa sexy che non ho mai avuto.- scherzò, facendola ridere. La sua risata era delicata e cristallina, i suoi denti bianchi erano leggermente coperti dalle labbra per quanto erano carnose. La osservò mentre buttava indietro la testa e poi si rimetteva dritta, emettendo quel dolce suono e se ne riempì i ricordi. Rise anche lui, contagiato, e osservò la stanza che David aveva fatto sistemare a posta per lei, convenendo sul fatto che fosse perfetta per il suo carattere. Inoltre, da quando lei l’abitava, tutto aveva preso il suo dolce profumo al mirtillo, che lo costringeva a inspirare forte ogni volta che varcava quella soglia.

-Che hai lì?- gli chiese lei, ancora sorridente, indicando il pacchettino. Lui le sorrise furbo, rigirandoselo tra le mani, poi alzò e riabbassò due volte le sopracciglia, meritandosi uno schiaffo sul braccio.

-Brutto pervertito!- lo canzonò, facendolo ridere.**

-Aprilo, su!- la spronò, porgendole il pacchetto. Jen lo prese e lo scosse leggermente, facendogli emettere un rumore sordo, poi se lo poggiò sulle gambe e iniziò lentamente a tirare il nastro.

-Dài!- la rimproverò. –Non abbiamo tutta la notte!- Allora Jennifer sciolse in fretta il fiocco e tolse il coperchio alla scatola. Aprì i due veli di carta velina bianca e poi sgranò gli occhi e spalancò la bocca, coprendosela subito dopo con la mano.

Emise un gridolino, poi si poggiò la mano sul petto, facendo ridere Tom.

-Non ci voglio credere!- urlò, guardandolo. Lui rideva e non accennava a smettere, come sempre quando Jennifer si dimostrava meno robotica del solito, come una ragazza con dei sentimenti.

Mise da parte la scatolina e gettò le braccia al collo di Tom, buttandosi nel suo petto. Lui la accolse volentieri e la abbracciò con un solo braccio, riuscendo a circondarle tutto il torace.

-Grazie, grazie, grazie!- gli strillò nell’orecchio, poi si ritirò. Riprese la scatolina e tirò fuori la chiave che conteneva. Se la fece oscillare per qualche secondo davanti agli occhi, contemplando i quattro cerchietti che splendevano sul portachiavi.

-Non è un’R8, ma…- disse Tom, facendo spallucce. Jen gli sorrise, con un sorriso che Tom aveva visto solo quando Roscoe e Bonnie erano arrivati lì. Forse quello per i cani era stato leggermente più grande.

-Comunque devi ringraziare i ragazzi, non ho fatto tutto da solo. È un regalo da parte dei Tokio Hotel.- precisò, evitando di beccarsi poi tante di quelle botte da Bill da rimanere stupido.

-Ragazzi, siete gli amici migliori che una ragazza possa avere!- disse e Tom lo apprezzò, perché sapeva che Jennifer quando parlava di sentimenti come amore e amicizia era perché le cose che diceva le pensava davvero e ne fu orgoglioso.

-È giù, nel caso tu voglia vederla.- la informò, indicando la porta con il pollice. Subito, Jen scattò in piedi e corse velocemente verso le scale. Si fermò in salotto, dove i ragazzi erano seduti sui divani a vedere la televisione e li abbracciò uno ad uno, baciandoli su entrambe le guance, più volte. Per loro piacere, si era dimenticata di indossare solo una maglietta e un paio di brasiliane. O forse, solo per il piacere di Tom, dato che gli altri si erano quasi abituati ad avere una modella super pagata e bellissima che gira mezza nuda per casa loro.

Quando Jennifer spalancò il portone vide un’Audi A1, bianca con le rifiniture rosse e lucidissima che le sorrideva. Tirò un urlo e corse verso la portiera del conducente, aprendola e infilandocisi dentro. I ragazzi, che l’avevano seguita fuori, le sorridevano, mentre lei metteva in moto la sua nuova macchina.

-È una favola dentro quella macchina.- sentenziò Gustav, poggiandosi allo stipite con una spalla. Georg lo guardò e sorrise.

-Se è per questo, è una favola anche senza quella macchina.- disse. Bill lo guardò accigliato, poi guardò Tom che si era chinato su di lei per spiegarle tutte le funzionalità che quell’auto possedeva.

-Non dire certe cose di Jen.- disse Bill. Georg lo guardò aggrottando le sopracciglia.

-Che ho detto? Le ho fatto un complimento.- si giustificò.

-Sarà meglio per te!- rispose il cantante. –Altrimenti ti spezzo le gambe, se solo provi a pensare a lei a quel modo.- Georg tirò indietro la testa, sentendosi punto sul vivo.

-Ma io non penso a lei a quel modo!-

-Sei geloso, Bill?- gli chiese Gustav, al ché Bill incrociò le braccia al petto e sospirò.

-No, non sono geloso. Non in quel senso almeno.- Ci fu qualche secondo di pausa, nel quale Georg e Gustav si guardarono con sguardo interrogativo.

-È che la vedo così indifesa, così sola che mi viene voglia di proteggerla. Come se fosse mia sorella.- spiegò. –Ad essere sincero, sono incazzato nero con Tom per il fatto che gli piace e che ci sia andato a letto. È come se l’avesse profanata in qualche modo.-

-Bill, ma lei non è più vergine da un pezzo.- spiegò Gustav, sporgendosi un po’ in avanti. Vide Bill sorridere e alzare la mano in cenno di saluto e si girò a guardare Jennifer che sorrideva e salutava a sua volta. Era felice e tutti e quattro ne erano orgogliosi.

-Non “profanata” in quel senso, idiota!- disse Bill, sempre sorridendo verso Jennifer. In un attimo, però, il suo sorriso si spezzò. –L’ha profanata nel senso che è riuscito a scalfirle la corazza. L’ha indebolita, si vede.- Gustav annuì e Georg gli mise una mano sulla spalla, scuotendo impercettibilmente la testa.

-Non puoi farci niente se si stanno innamorando l’uno dell’altra, Bill.- disse, alzando le spalle. Jennifer sbatté la portiera e chiuse la macchina con il pulsante sulla chiave. Bill riacquistò il suo sorriso da foto.

-È questo che mi preoccupa.- sussurrò, subito prima che Jen lo raggiunse e gli si buttò in braccio, ringraziandolo altre mille volte, come fece poi con Gustav e Georg.

 

***

 

Bill bussò alla porta due volte, prima di aprirla di poco e sporgere dentro la sesta. Jennifer aveva appena tolto gli occhiali e si stava stropicciando gli occhi. Lo guardò e gli sorrise.

-Posso entrare?- le chiese lui. Lei annuì con un gran sorriso.

Entrò nella stanza quasi in punta di piedi, accostando la porta lentamente e si sedette sul letto. Lei aveva le gambe incrociate, e le mani in grembo, che tiravano la maglietta di David per fare in modo che le mutandine fossero coperte.

-Sei contenta, piccola?- le chiese e le sorrise, come se avesse cinque anni.

-Sì. Grazie mille, davvero. Siete grandi.- rispose lei. Bill infilò una mano nella tasca della felpa e ne estrasse un’altra scatolina, più piccola di quella di prima.

-Cos’è, la notte dei regali? Non è Natale!- ironizzò Jen, prendendo la scatolina. La aprì e ne tirò fuori un Rolex tutto placcato in oro, con il quadrante piccolo e tondo e i numeri romani al posto di quelli normali. Se lo rigirò tra le mani e poi alzò lo sguardo sugli occhi di Bill.

-È bellissimo, Bill. Grazie.- Lui le scrutò gli occhi e ne lesse tutta la felicità che una ragazza può provare. Glielo tolse dalle mani e lo osservò.

-Veramente, non è tutto merito mio.- confessò. –Tom mi ha detto qualche giorno fa che l’altra sera in discoteca hai perso l’orologio, quindi te lo abbiamo comprato. Io e lui.- Girò il quadrante al contrario, porgendoglielo di nuovo. Jen lo prese e lesse la scritta incisa sotto:

Sacred. BK TK.

Sorrise.

-È una vostra canzone.- notò, facendo capire a Bill che in realtà lei avrebbe conosciuto la loro band anche se non fosse stata la quasi sorellastra di David. Anche la mattina, nella vasca, aveva cantato qualche loro canzone, non sbagliando mai nota e azzeccando tutti i tempi e tutte le parole.

-Sei brava, Jen. E non solo perché sei una nostra fan in segreto.- Le guance di Jennifer si tinsero di un rosso appena accennato e distolse lo sguardo dai suoi occhi, quindi Bill le carezzò una gota con il pollice e la fece girare verso di lui.

-Io e Tom volevamo solo farti capire che non sei sola. Che qualcuno che ti ritiene sacra c’è, anche per te che sei così automatica.- A quelle parole, Jen scoppiò a ridere e nello stesso momento si stropicciò un occhio, cercando di nascondere una lacrima prima che cadesse; Bill la notò lo stesso.

Lo abbracciò di slancio, ma non come aveva fatto prima, con la macchina. Quell’abbraccio era caldo, dolce e fraterno. Per lui era come abbracciare la sua piccola sorellina, cresciuta troppo in fretta e chiuse gli occhi ad odorare i suoi capelli ancora mossi. Era così bella e allo stesso tempo così intoccabile che quasi stentava a credere che uno come Tom, bravissimo ragazzo ma che andava dietro ad ogni gonnella, fosse riuscito a conquistarla. Poi però capì: lei era una fusione di loro due messi insieme, era la forza spirituale di Tom e il suo narcisismo che nascondeva l’insicurezza, ma era anche la sensibilità di Bill, la voglia di amare ed essere felice per sempre.

Ringraziò il Cielo per il solo fatto di averla tra le braccia; suo fratello sarebbe stato in mani sicure e, cosa più importante, non sarebbe andato via da lui.

Bill sciolse l’abbraccio e si alzò dal letto. Le scompigliò un po’ i capelli e si avviò verso la porta.

-Conta fino a dieci: Tom entrerà tra dieci secondi esatti da questa porta qui.- le disse e Jen scoppiò a ridere mentre infilava l’orologio al polso, sapendo che Bill non sbagliava mai.

Passarono solo nove secondi prima che Tom spalancò la porta senza bussare, come suo solito. Vide Jen che scuoteva il polso circondato dall’orologio, provocando un impercettibile rumorino sordo.

-Ti piace?- chiese, chiudendo la porta e sedendosi sul letto. Lei non lo guardò, ma continuò a guardare il quadrante corrucciata.

-Che cosa sono questi diamantini?- domandò. Tom le prese il polso, facendolo fermare, poi le sorrise, quando lei rilassò il viso.

-Siamo noi, Jen.- rispose Tom. Jennifer guardò i tre diamantini con aria pensierosa e assente, quindi Tom le prese il mento e la fece girare verso di lui.

-Che c’è che non va?- le chiese, con aria dolce.

-Perché?- A quella domanda, Tom corrugò le sopracciglia e la fissò.

-Tom, ci conosciamo da appena un mese, perché sono così importante?- chiarì allora Jen. Tom rilassò la fronte e guardò le sue gambe incrociate, poi tornò ai suoi strani occhi.

-Perché sei riuscita ad importi, Jen. Sei riuscita a metterti in mezzo e dire: “Sono io, sono qui, non dimenticatevi mai di me”. Ed è così. Non dimenticheremo mai quello che sei, chi sei. Ormai sei dentro di noi.- Tirò su una mano e le carezzò una guancia, asciugandola dalla piccola lacrima che le era sfuggita.

Si alzò e se la trascinò con sé. Scansò le coperte dal letto e la fece sdraiare. Gliele tirò fin sopra al mento, facendola sorridere, poi si rimise seduto a bordo del letto. Le accarezzò i capelli.

-Buonanotte, Puffetta.- le augurò, poi si alzò e si chinò verso di lei. Le baciò la fronte, con un piccolo e caldo bacio.

Una volta sulla porta lei lo chiamò e lui si girò.

-Grazie per avermi raccolta e presa con voi. Non sarei felice in questo momento se fosse andata diversamente.- gli disse. Lui le sorrise e si inumidì le labbra con la lingua.

-La tua felicità deve ancora arrivare, piccola.- disse, chiudendo la porta.

Jennifer notò che i gemelli l’avevano chiamata nello stesso modo, ma provocando in lei emozioni completamente differenti: Bill era diventato il suo angelo, il ragazzo che l’avrebbe protetta in tutto e per tutto; Tom era il suo ignoto, il suo punto interrogativo, perché in realtà non sapeva nemmeno lei cosa fosse. Sapeva solo che con quel nomignolo le aveva provocato un brivido che le aveva percorso tutta la schiena e una sensazione che non aveva mai provato e che non accennava ad abbandonarla.

Sorrise, convenendo con la frase di Tom: forse era vero che la sua felicità doveva ancora arrivare.

Chiuse gli occhi e si addormentò.

 

***

 

Tom, in fondo alle scale, sbuffò, guardando l’orologio per l’ennesima volta. Aveva già indossato il cappotto e i guanti, teneva in mano gli occhiali da sole e il cellulare.

Camminò avanti e indietro davanti la scala, poi si appoggiò al corrimano e guardò al piano di sopra.

-Jen, muovi quel perfetto culo del cazzo e scendi, è tardi!- gridò. Bill alzò gli occhi al cielo e li roteò, poi allargò le braccia e se le fece ricadere sui fianchi.

-Possibile che non riesci ad essere più educato con una donna?- Nel momento in cui Bill smise di parlare, dal piano di sopra si sentì un tonfo e subito dopo l’urlo di Jen.

-Tutto ok?- chiese Gustav, affacciandosi per le scale. Tom stava per salire, ma poi la vide mentre camminava all’indietro, faticando nel trascinare qualcosa. Gemeva ogni volta che faceva uno sforzo, con i capelli completamente davanti la faccia e le mani strette al manico della valigia.

Gustav salì di fretta le scale appena Jen ci si fermò in cima, per riprendere fiato. Diventò tutto rosso per tirare su la valigia, ripoggiandola subito a terra.

-Oh, mio Dio, ma ci tieni i morti qui dentro?- chiese, sistemando meglio le mani sul manico. La tirò su e se la issò sulle spalle, poi scese le scale e la posò vicino la porta d’entrata, dove un omone completamente nero la prese senza il minimo sforzo e la portò fuori.

Jennifer intanto scendeva le scale con la stessa andatura di una fatina, reggendosi tranquillamente in punta dei piedi e saltellando quasi, ad ogni passo. Si teneva i capelli con una mano, per non farli ricadete sugli occhi, mentre sull’altro braccio aveva un trench e teneva un paio di scarpe col tacco più basso del solito.

-GusGus, tranquillo, se avessi ucciso qualcuno e lo avessi messo dentro la valigia, ora dovreste trovarvi un nuovo chitarrista.- disse sorridendo, mentre si appoggiava alla mano tesa di Bill per mettersi le scarpe, davanti la porta.

-Avete preso tutto?- chiese David, mentre chiudeva il grande portone con tre mandate di chiave e spingeva un pulsante del telecomando che teneva nel portachiavi verso la casa. L’allarme emise tre potenti Beep.

-Ciao amore mio, mi mancherai tantissimo!- Jen era sdraiata sul cofano della sua Audi e la accarezzava, mentre Bill, vicino a lei, rideva, non riuscendo a staccarla.

-È solo una macchina!- le disse Tom, mentre saliva sul Bus. Gustav urlò un “senti chi parla” dal corridoio del veicolo.

-Non dargli retta, tesoro, è solo invidioso. Ciao amore, ti penserò sempre!- disse Jen, poi salì anche lei sul Bus, sedendosi malamente sul divanetto, accanto a Georg.

-Sei più rompipalle di Tom con quella macchina!- la prese in giro lui, sistemandosi con un braccio sullo schienale del divanetto. Jen si appoggiò alla sua spalla.

-Mi manca già.- disse, sospirando.

-Allora, avete preso tutto?- ripeté David, mentre il Bus partiva e il cancello automatico della grande villa si richiudeva.

-Oh Dio, David, sei paranoico!- lo rimproverò Gustav, seduto accanto a Bill. –Sì, abbiamo preso tutto!-

-E Jen ha preso più cose di Bill e Tom messi insieme. Da non crederci!- aggiunse Georg. Jennifer rise e gli assestò un piccolo pugno sul fianco. Lui si lamentò, facendo finta di essersi fatto malissimo.

-Smettete di giocare!- ordinò David, in piedi vicino a Tom. -È ora di ripetere le regole di questo Tour.- A quella parola, i ragazzi emisero un grande urlo euforico e qualcuno batté le mani.

-Non siate così contenti, le regole sono severe.- disse David, beccandosi un bell’ululato.

-Ragazzi, ragazzi!- urlò. –Allora, regola numero uno: date sempre il massimo! Regola numero due: tu- disse e indicò Jen. –sei qui perché sennò saresti rimasta a casa da sola, quindi non intralciare i ragazzi.-

-Ah, quanto sei palloso!- lo rimbeccò lei, girando gli occhi e sbuffando.

-Sì, sì, come ti pare. Regola numero tre: niente ragazze o ragazzi nel Bus, siamo intesi?- finì David, lanciando sguardi eloquenti a Tom e Jen. Loro si ridestarono subito, lui posò la lattina di RedBull sul tavolino e lei lasciò la spalla comoda di Georg.

-Cosa?- incorarono.

-E dove le porto le ragazze?- chiese Tom.

-Dove do appuntamento ai ragazzi?- domandò invece Jen, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. –Di certo non posso dire loro: “hey, ciao, sono Jennifer e voglio venire a letto con te, andiamo a casa tua?”. Non sono mai andata a casa di nessuno e di certo non comincerò ora!-

-Ragazzi, oltre al Bus, abbiamo a disposizione delle camere d’albergo per i luoghi dove sostiamo per più di una notte, quindi tranquilli.- disse David, facendo cenno di calmarsi con le mani. Roteò gli occhi alle frivole lamentele dei due ragazzi. –In ogni caso non vi farebbe male non andare con chi capita! Meno male che non vi piacete, sennò sareste la coppia con più corna al mondo!- ironizzò. I ragazzi si guardarono tutti e Georg rivolse lo sguardo al finestrino e si coprì la bocca con una mano, per nascondere il piccolo sorriso che non era riuscito a non far uscire. Jennifer diventò tutta rossa e Tom la guardò per qualche secondo prima di scolare la sua bibita.

-Ok, queste sono le regole.- annunciò David, battendo le mani. –Divertitevi!-

Se ne andò, pensando che quei ragazzi non erano del tutto normali

 

***

 

Il viaggio procedeva lento e i ragazzi sbuffavano a turno, ingannando il tempo come potevano.

-Possibile che vi portiate i videogiochi ovunque?- rimproverò Jen, con la testa sulle gambe di Bill, mentre Georg e Tom urlavano imprecazioni al piccolo televisore del soggiorno da una buona mezz’ora.

-Non ti sentono, è inutile.- disse Bill, sbuffando con il naso. Jennifer aprì la bocca e lui ci tirò dentro una gelatina blu, agitando lievemente il pugno in segno di esulto per aver fatto centro.

-Guardate che ho trovato!- urlò Gustav, uscendo da una stanzetta con in mano una grande scatola. Richiuse la porta e mostrò agli altri il piccolo trofeo.

-No, non ci posso credere!- urlò Jennifer, alzandosi dalle gambe di Bill. –Jenga!-

Bill rise di gusto, finendo le ultime caramelle, mentre Jen aveva spento il televisore dei ragazzi, meritandosi tanti e coloriti insulti accompagnati da qualche calcio che Tom le tirò senza prenderla.

-Smettetela di fare i bambini e venite a giocare, idioti!- li canzonò lei. Entrambi si alzarono di malo modo dal salotto e raggiunsero gli altri al tavolo circolare intorno al quale erano seduti. Nel tragitto, Georg tirò a Tom una treccina e lui si fermò e rispose con un pugno su una spalla.

-Ahia!- urlò il ragazzo, massaggiandosi la parte colpita. –Imbecille!-

-Non quanto loro!- rispose Tom indicando Bill, Gustav e Jen con un cenno della mano. Sorrise e si strofinò il lato del naso con il pollice.

-Perché, qual è il problema?- chiese Bill, senza togliere gli occhi dai legnetti di legno che stava impilando con molta precisione e troppa difficoltà.

-Il problema, Bill, è che stiamo giocando ad un gioco di equilibrio, calma e precisione a bordo di un veicolo in movimento!- lo illuminò Tom, sedendosi vicino a lui. –A volte non capisco proprio perché mamma sia stata così cattiva con te. Poteva anche degnarsi di darti un po’ di cervello.-

-Ah, senti chi parla!- s’intromise Jennifer, mentre impilava gli ultimi pezzi. Guardò Georg toglierne uno dal basso e poi fissò i gemelli. –Hai solo paura che ti batta e per tergiversare insulti tuo fratello! E poi, almeno lui è carino.- Fece un lieve cenno con le spalle. Tom alzò un sopracciglio.

-Tu che batti me? Mai nella vita, piccola!- Jennifer alzò gli occhi al cielo e li roteò, cercando di dimenticare il modo in cui l’aveva chiamata, poi tolse un pezzo di legno dal basso, fermandosi un momento, mentre il Bus faceva una curva. Si sentiva gli occhi di tutti addosso, ma quelli che gli pesavano di più erano quelli che aveva di fronte. Li percepiva su tutto il suo corpo, immobili e scrutatori, profondi come l’inferno e grandi come il paradiso. Non aveva mai avuto la sensazione di sentirsi a disagio, ma in quel momento avrebbe preferito volentieri scavarsi una buca nell’asfalto per nascondercisi. Si odiava perché era diventata debole in soli due mesi di coesistenza con Tom Kaulitz e odiava lui perché la stava facendo diventare una gallina da allevamento, una di quelle ragazze che aveva sempre criticato, che si spalmerebbero anche su una pozzanghera se solo un uomo glielo chiedesse. Lei non era mai corsa dietro nessuno, lei lasciava che gli altri le corressero dietro, mentre lei era sempre più veloce e, anche quando sembrava che stessero per raggiungerla, lei aumentava il passo, alzando ancora più polvere. Le rare volte in cui si concedeva non era perché qualcuno l’aveva raggiunta, era perché lei rallentava per la noia di correre da sola. E ora Tom era un bicchiere d’acqua nel bel mezzo dell’aridità del deserto; doveva ricominciare a correre, non poteva fermarsi, perché sennò qualcun altro avrebbe vinto al suo posto. E lei non doveva perdere mai.

Lo guardò, incrociando i suoi occhi per un solo istante, prima che lui li girasse verso Bill, che aveva tirato un sorriso genuino ed enorme.

-Che ti ridi?- gli chiese Tom. Lui si girò e mosse le spalle come in una piccola danza euforica.

-Hai sentito? Io sono carino e tu no!- gli rinfacciò, tirando fuori la frecciatina di Jennifer di poco prima.

-Bill.- Gli occhi di Tom erano semichiusi, l’espressione un misto di pena e superiorità. –Siamo gemelli.-

-E che vuol dire?- si intromise Jen, di nuovo. Tom la fissò con un sopracciglio alzato.

-Vuol dire che se lui è carino, lo sono anche io.- spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. E lo era, ma non era quello che Jennifer intendeva.

-Non sto parlando di aspetto, Tom.- spiegò, infatti.

-Anche nei modi siamo uguali, siamo stati cresciuti nello stesso modo.-

Jennifer alzò le spalle. –Ah, questo non vuol dire nulla.-

-Ma come no?- Tom alzò un pochino la voce. –siamo uguali, se lui è carino lo sono anche io!-

-No, Tom.- negò Jennifer con tutta calma.

-E come mai, Sherlock?- ironizzò lui.

Tolse un altro legnetto dalla torre e glieli mostrò, mettendoli vicini. Avevano la stessa forma e le stesse dimensioni, combaciavano perfettamente, ma erano di due tonalità diverse di marrone legno.

-Per il semplice fatto che se A è uguale a B non è detto che le due lettere siano carine allo stesso modo.- spiegò. Tom alzò entrambe le sopracciglia.

-Ma se A è uguale a B!- indicò i due pezzetti di legno. Jennifer li posò sul tavolo e si aggrappò alla spalla di Gustav per non sbilanciarsi troppo ad una curva. Osservò la torre oscillare e si chiese perché non fosse ancora caduta.

-Si, ma la carineria di A non è uguale a quella di B!- disse con la voce stridula.* Tom la guardò male per qualche secondo, poi iniziò a togliere un pezzo dalla terza fila di legnetti a partire dal basso, mentre borbottava qualcosa sulla “fottuta matematica”, mentre Jennifer rideva senza farsi vedere né sentire. Era quasi riuscito a toglierlo, quando il Bus prese una buca. Sobbalzarono tutti e la torre rovinò sul tavolo e per terra. Dei pezzi finirono sulle gambe di Tom, altri nella scatola che Gustav aveva poggiato a terra e alcuni rimasero sul tavolo.

Tom aveva ancora il pezzetto di legno in mano, il braccio teso verso il centro del tavolo e gli occhi sgranati. Guardava le poche tesserine rimaste ancora impilate e a mala pena respirava. Jennifer lo guardò per un attimo con la bocca socchiusa, poi guardò tutti gli altri, anche loro immobili a ricambiare lo sguardo. Iniziò a ridere lievemente, contagiando tutti, finché la risata non diventò rumorosa e completamente liberatoria.

Georg si chinò a raccogliere delle tesserine insieme a Bill, mentre Gustav raccoglieva quelle sul tavolo e le impilava nel loro contenitore. Tom raccolse quelle che aveva sui pantaloni e le porse al suo amico, mentre Jen contava quelle che aveva in mano.

-Ho dieci pezzi!- urlò, pochi secondi dopo.

-E questo vuol dire che…?- chiese Tom, guardandola con le sopracciglia strette. Jennifer lo indicò e allargò il suo sorriso.

-Hai perso!- Bill scoppiò a ridere di nuovo, mentre Georg batteva delle pacche sulla schiena di Tom, consolandolo per prenderlo in giro. Gustav batté il pugno a Jen.

La guardò, mentre rideva e scherzava con gli altri, rimettendo a posto le tessere del gioco e reggendosi a qualche braccio o a qualche spigolo ogni volta che il Bus faceva una curva, per essere sicura di non perdere l’equilibrio. Riprese i sensi giusto in tempo per frenare l’accenno di sorriso idiota che gli stava increspando le labbra, come gli succedeva qualche volta nella sua camera mentre la pensava. Era bellissima quando sorrideva così genuinamente e Tom stava lottando con tutte le sue forze per non farsela piacere in un senso più profondo di quello sessuale. Nemmeno lui, però, credeva che ci sarebbe riuscito.

 

***

 

Für Immer Jetzt era appena finita e l’uovo si stava richiudendo dietro i ringraziamenti di Bill alle fan, mentre loro urlavano, sbraitavano, piangevano e continuavano a cantare anche senza la musica.

Jennifer aspettava appena dietro le quinte, qualche metro dopo i tre scalini che le separava dal palco e sentiva ancora i brividi lungo le braccia. Non aveva mai assistito ad un loro concerto, anche se apprezzava molto la loro musica.

Sentì dietro di lei David che urlava con degli altri dello staff, poi dei battiti di mani e qualche sonoro cinque battuto alla rinfusa. Si preparò per accoglierli tutti e fare loro le sue congratulazioni, perché su un palco erano davvero molto più grandi di quanto non lo erano già.

Tom scese le tre scalette per primo, con un sorriso soddisfatto stampato sulla faccia e si tolse la chitarra di dosso, mettendola nelle mani di un membro degli addetti agli strumenti. Appena lo vide, Jennifer mostrò il suo sorriso più sincero e gli si buttò al collo, avvinghiandosi con le gambe al suo bacino. Ancora con una mano impegnata con la chitarra, Tom l’afferrò al volo e si mise a ridere, sorreggendola con solo un braccio intorno alla sua piccola vita. Era sudato, ma a Jen non importava davvero niente, tutto quello che desiderava era far capire loro che erano stati davvero magnifici e anche lei in certi momenti si era commossa.

-Bravi, ragazzi!- urlò lei nel suo orecchio, poi si dimenò un po’ per scendere e corse ad abbracciare Bill, non nello stesso modo, ma con lo stesso calore. Però lui aveva il muso lungo, gli occhi scuri e il viso basso. Tom sapeva che era arrabbiato per essere caduto la prima sera, ma a Jennifer sembrava non importare. lo baciò lo stesso più volte sulle guance, sempre con un gran sorriso. Lui l’abbracciò e la lasciò fare, rilassandosi solo un pochino.

-Dai, siete stati grandi!- lo consolò, ma lui la guardò irritato e il suo sguardo sembrava chiedere “mi stai prendendo in giro, stronzetta?”. Gli accarezzò una guancia e i suoi occhi tornarono affranti.

-Sono caduto, Jen. Sono un coglione.- Lei sorrise e si tirò sulla punta dei tacchi per arrivare a bacargli la punta del naso. Lui si curvò un po’ per lasciarla fare.

-Sei un professionista.- lo corresse e lui le sorrise. –Bravo, Bill. Hai fatto una performance bellissima, la tua voce era stupenda e per quella sottospecie di alieni lì fuori, come li hai chiamati tu, è quello che conta. Bravissimo.- Bill sorrise, socchiudendo di poco gli occhi, mentre Jen gli asciugava il trucco colato sulle sue guance.

-Grazie, tesoro.- sussurrò, lasciandola andare con un ultima stretta potente, per poi andare subito a togliersi tutti i fili che aveva sulle spalle.

Quando Jennifer si girò per abbracciare anche Georg e Gustav, li vide davvero in difficoltà, con il batterista steso per terra, i piedi tirati su e il bassista che ne fletteva uno, lasciando l’altro a Tom. Scoppiò a ridere e si accovacciò vicino a Gustav, con gli occhi chiusi e l’espressione sofferente.

-Bravo GusGus.- sussurrò, poi si sporse e gli diede un caloroso bacio sulla guancia. Quando si ritrasse lo vide accennare un sorriso, che fu subito spento da un lamento, mentre si toccava la gamba che fletteva Georg.

-A me niente feste?- chiese quest’ultimo, corrucciando di poco le sopracciglia e storcendo la bocca, mentre stendeva e fletteva sempre lo stesso piede.

-Ti bacerei Georg, ma puzzi davvero troppo!- lo prese in giro lei, scatenando le risate di Tom, che allentò di poco la presa sul piede di Gustav. Lui sussultò e gli rivolse qualche insulto per incitarlo a continuare a flettere.

Jennifer vide il viso imbronciato di Georg, quindi si sciolse in un secondo, decidendo di finire lì quella presa in giro. Gli si aggrappò al collo, mentre ancora lavorava con quel piede e lo tempestò di baci sulla guancia destra. Le sorrise e solo quando Gustav ritrasse le gambe lei si staccò.

-Potrei farci l’abitudine a questi complimenti.- disse Bill ricomparendo con un asciugamano intorno alle spalle e i vestiti di sempre. Il sorriso era tornato sulle sue labbra, anche se un po’ spento.

Il concerto era finito e le risate continue dei ragazzi fecero pensare per l’ennesima volta a Jennifer quanto fosse felice e quanto sua sorella mancasse in quel puzzle quasi perfetto.

 

 

 

  Spazio SvaleG_3:

Eccomi, in completo ritardo come al solito! Prima di tutto spieghiamo gli asterischi:

** per chi non lo avesse capito, Tom intendeva con quella punta di malizia che dentro quel pacchetto ci fossero dei preservativi che Jennifer avrebbe usato (ovviamente) con lui.

*il battibecco l’ho immaginato in inglese prima di tradurlo in italiano, quindi sarebbe dovuto essere: “did you hear, Tom? I’m cute!” “Bill, we are twins!” e così via…in inglese viene molto meglio.

Che altro dire? Mi scuso ancora per il madornale ritardo ma ero ad un punto fermo riguardo il gioco da tavolo al quale i ragazzi hanno giocato sul bus. Mi dispiace che gli ultimi capitoli non siano stati commentati, in ogni caso mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate (come sempre del resto). Vabbè, io ho finito di annoiarvi! Un bacione a tutti e grazie perché seguite la mia ff!

p.s. scusate per gli eventuali errori o ripetizioni, però è tardi e di rileggerla proprio non mi va! :D perdonate la mia pigrizia! Al prossimo capitolo!

  
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