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Autore: Sharymore_    29/04/2014    2 recensioni
Tutti sappiamo quello che è successo a Katniss Everdeen e quello che ha provato dopo essere stata salvata dall'arena dei 75 Hunger games. Ma qual'è invece la storia di Peeta Mellark? Cos'ha provato il ragazzo del pane prima di essere salvato dai ribelli? In che modo sono riusciti a fargli dimenticare quanto grande fosse il suo amore per Katniss?
Ve lo racconto io.
Genere: Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sento un leggero calore sulla guancia, è dolce, piacevole. Decido di aprire gli occhi nonostante la paura di vedere quale sia la sua fonte. Non so con esattezza quanti giorni io sia stato incosciente, ma non devono essere pochi perchè ho un gran mal di testa. Poco prima di aprire penso che sia il sole dell'arena. Quel sole soffocante, cocente. Il solo pensiero mi fa mancare l'aria, mi fa già sudare, ho bisogno di acqua. Ma devo essere forte, ovunque mi trovi Katniss avrà bisogno di me, ed io non posso lasciarla, non posso. Cosi mi faccio forza, apro gli occhi, e quello che vedo va contro ogni mia immaginazione. Mi trovo in una cella, buia, isolata. Quello che sentivo non era il soffocante sole dell'arena, della giungla nel quale mi sono ritrovato durante l'edizione della memoria. Quello che sentivo era un leggero, piccolo, raggio di sole che riesce a passare timidamente tra le sbarre di una finestra che si trova in alto. Una finestra stretta e piccola, troppo piccola per dare qualsiasi speranza di fuga. Ho deciso di utilizzare una sorta di promemoria mentale per ricordarmi le cose fondamentali, dato che non so quello che mi aspetta qui.                                                                                                                    

*Mi chiamo Peeta Mellark. Ho diciassette anni. La mia casa è il distretto 12. Ho partecipato agli Hunger games. Sono ancora vivo. Non so dove mi trovo. Katniss non è con me. Devo trovarla.*              

Cerco di mettere a fuoco la situazione mentre i minuti passano. Ma tutto ciò che vedo sono mura grigio fumo e sbarre di metallo. Per un attimo penso che forse l'arena non era poi cosi male. Se solo riuscissi a ricordare quello che è successo forse riuscirei a dare spiegazione a tutte le domande che si stanno articolando nella mia testa. Ricordo solo l'albero al quale Beetee stava fissando il suo filo metallico, e poi Brutus ed Enobaria, e poi una grande esplosione. Ed ora sono qui, e non so perchè. Ma non è questa la domanda che mi fa mancare il respiro, che mi fa prendere delle fitte proprio alla bocca dello stomaco. Cerco di soffocare quelle parole, no, non voglio sentirle, non voglio pensarci. Ma quelle parole sono incontrallabili, e non fanno che unirsi nella mia testa per formare una sola ed unica frase: Dov'è Katniss? Le possibilità di risposta sono tante, ed una peggiore dell'altra. Se solo fossi rimasto con lei, se solo ce ne fossimo andati prima, ora non mi ritroverei qui in questa squallida cella senza di lei. Se solo fossi morto ai 74 hunger games, se solo l'avessi salvata, ora quella di Katniss sarebbe senz'altro una vita migliore. Già me la immagino, a caccia nei boschi, ad inseguire tacchini e cervi, con Gale. Felice ed al sicuro, con Gale. Se solo avessi mangiato quelle bacche, ora Katniss non si troverebbe sperduta chissà dove. O peggio ancora morta. No. Non è morta, lo so, lo sento. E' troppo caparbia per morire. Lei non può morire. Ma io si, io vorrei essere morto. Non sono riuscito a proteggerla, non sono rimasto con lei. L'ho perduta, per sempre. Per sempre. Questo le avevo promesso. Di restare con lei. Ma ora sono qui, e lei non c'è. Mentre continuo a pensare a tutto questo sento una chiave che gira nella serratura della mia cella. Alzo subito gli occhi e quello che vedo sono due pacificatori che mi prendono con forza e mi portano fuori. Mi coducono in una stanza priva di qualsiasi cosa e mi gettano a terra per poi chiudere la porta. Inizialmente penso che si tratti di un semplicissimo cambio di cella. Forse non ero degno di quel raggio di sole che mi ha scaldato le guance e sono stato portato qui, in questa cella buia, fredda e senza finestre. Solo dopo pochi minuti però mi rendo conto di una cosa. Questa cella non è come tutte le altre. Le sue sbarre metalliche confinano con un'altra stanza. Non c'è un muro che le separa. Vogliono che io veda qualcosa. Non faccio in tempo a riflettere su quanto intuito che due pacificatori trascinano una donna al centro di quella stanza. Inizialmente non riesco a capire chi sia, e cerco disperatamente di vedere il suo volto, coperto ormai da lividi violacei e sangue fresco. Cerco di avvicinarmi alle sbarre, per poter vedere meglio, ed è proprio in quel momento che capisco chi sia quella donna di colore con i capelli vaporosi e gli abiti stravaganti. "Peeta!" urla con quel poco di voce che le rimane. "Portia!" urlo disperatamente. "Portia che ci fai qui?" "Mi hanno presa, non mi lasciano andare" dice piangendo. "Chi ti ha presa? Chi ti ha fatto questo?" le chiedo ripetutamente. Sta per rispondermi quando entra dalla porta un pacificatore che inizia a prenderla a bastonate e a picchiarla come fosse una bestia da punire. Il suo sangue è ovunque e non riesce più muoversi. Mi aggrappo disperatamente a quelle sbarre di metallo e vorrei poter avere la forza per spezzarle. Ma è tutto inutile, anzi, le mie urla sembrano dare soddisfazione. La portano via, ormai in fin di vita. Il dolore che provo è allucinante, ma viene subito sostituito da tante,troppe domande. Perchè le hanno fatto questo? Chi è stato? e cosa più imporante, perchè hanno voluto che io assistessi?            
Passano i giorni, e la mia situazione peggiora sempre di più. Ogni mattina un pacificatore entra nella mia cella, mi inietta una qualche sostanza nel braccio e se ne va. Subito dopo inziano le urla, i pianti, il rumore delle scariche elettriche. Non ho idea di chi siano le persone torturate, le loro urla sono cosi disperate che anche nel migliore dei casi non riuscirei a riconoscere le loro voci. Certe volte mi sembra di sentire la voce di Johanna, o meglio le sue grida disperate, ma poi mi rendo conto che forse è solo una sorta di stratagemma che cerco di creare nella mia mente per sentirmi meno solo. Sto male, mi stanno facendo impazzire, e non tanto per il fatto che stiano torturando delle persone innocenti, ma per il fatto che lo stiano facendo per me. Loro vogliono che io senta, che io senta tutto questo.                    
Giorno dopo giorno è come se una piccola parte di me si staccasse. I miei ricordi felici scompaiono ogni volta un pò di più. Dev'essere colpa di quella sostanza che mi iniettano ogni mattina. Mi fa vedere cose strane, come se avessi delle allucinazioni. Il problema è che ormai sono cosi frequenti che faccio fatica a distinguerle dalla realtà. Lotto continuamente contro quel Peeta che stanno creando. Lotto per rimanere me stesso. Non possono cambiarmi. Non voglio che mi cambino.                                                                                                                                                  

Salve a tutti :) Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto almeno un po! Adoro il personaggio di Peeta, uno dei miei preferiti in assoluto! Beh che dire, questo poverino soffre parecchio per essersi ritrovato solo soletto a Capitol city. Senza dilungarmi troppo ringrazio chi ha letto la storia, chi l'ha recensita e chi lo farà! E' sempre piacevole vedere che qualcuno apprezza il tuo lavoro :) (ma anche le critiche costruttive sono bene accette).                                  A presto, Sara. 

  
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