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Autore: Framboise    29/04/2014    7 recensioni
Italia, anno domini 1381: Eufemia ha diciotto anni ed è figlia di un macellaio piuttosto importante nella Corporazione dei Beccai. Non è come la vorrebbe suo padre, remissiva e pronta ad un buon matrimonio, ma gestisce la bottega di famiglia con pugno di ferro, proprio come un uomo. Quando però arriva un matrimonio combinato ad intralciare i suoi piani, la ragazza non ha che una soluzione: fuggire, nonostante la guerra che da anni insanguina la sua città ed il Comune vicino sia appena ricominciata...
Genere: Avventura, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Capitoli:
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CAPITOLO 4:


Erano passati quattro giorni dal momento in cui Eufemia si era unita all’esercito mercenario. Con i pochi soldi che aveva portato con sé aveva comprato una spada ed una cotta di maglia per proteggersi. Entrambe erano leggermente arrugginite e non erano di qualità ottima, ma avevano comunque l’aria piuttosto resistente ed erano il meglio che si era potuta permettere dopo aver mercanteggiato per ore con l’armaiolo ed il cottaio. Era stata assegnata ad un gruppo di soldati sotto il comando di un certo Agilulf, ma era stato tutto così rapido e confuso che non si era resa completamente conto di tutto ciò che le era successo nelle ultime ore. Inoltre, lo scoprire che l’unico testimone dell’omicidio che aveva commesso era un suo commilitone e che in più faceva parte della sua stessa armata inizialmente l’aveva spaventata.
«Sì, ci si arruolare qui» le aveva risposto quattro giorni prima, quando gli aveva domandato se era nel posto giusto. Quando si era resa conto che si trattava del ragazzo della notte della festa, aveva avuto un attimo di esitazione: era combattuta tra l’istinto di fuggire subito via e di evitarlo per tutta la durata della guerra e quello di sguainare la spada e puntargliela alla gola per scoprire se era stato lui a denunciarla al padre di Giangaleazzo o no. Siccome il ragazzo non dava segno di averla riconosciuta, decise di non mettere in atto nessuno dei due propositi.
«Io sono Alois» si era presentato poco dopo, quando era stata assegnata al gruppo di Agilulf. «Io anche sono nel tuo reparto».
“Santo Cielo, dovrò combattere con lui! Quest’uomo è diventato la mia persecuzione!” pensò la ragazza, ma gli strinse brevemente la mano.
«Io mi chiamo Lodovico» replicò seccamente, usando il nome che si era scelta la notte della fuga. Ormai i suoi timori di venire scoperta erano quasi svaniti, perché fin da quando si era arruolata nei mercenari tutti gli uomini con cui era venuta a contatto la trattavano come uno di loro. Spesso le parlavano con supponenza, perché era uno tra i soldati più giovani, ma a parte questo nessuno la infastidiva particolarmente o mostrava di aver scoperto indizi compromettenti sulla sua identità.
«Ludwig» aveva detto Alois, dopo che si era presentata. «Da me, tu chiami “Ludwig”».
«Ah. Bene» aveva replicato lei, perplessa. Il ragazzo aveva cominciato a parlare nel suo stentato dialetto del Comune, mentre Eufemia cercava di seguire il discorso. Sembrava che per qualche motivo il ragazzo l’avesse presa in simpatia, perché in quei due giorni spesso le dava dei suggerimenti su chi evitare, su come comportarsi con determinate persone... piccoli avvertimenti che potevano sembrare di poco conto, ma che si erano rivelati utili.

«Oggi ti impareranno a usare armi. Tu sa già?» domandò Alois a Femia comparendole improvvisamente alle spalle, distraendola dai suoi pensieri. La ragazza era seduta su una pietra nella boscaglia, poco fuori dalle mura cittadine: si stavano incamminando verso il campo di battaglia. Siccome molti delle nuove reclute non erano soldati esperti (soprattutto coloro che venivano dal Comune, che erano soprattutto mercanti o artigiani completamente privi di esperienza in campo militare), qualcuno doveva insegnare loro come usare una spada, o qualunque arma avessero a disposizione.
«Si dice “ti insegneranno” e “tu sai”» puntualizzò lei, come aveva preso l’abitudine di fare da un po’ di tempo a quella parte. «Comunque no, non ho mai usato una spada. Però conosco le lame... sai, sono figlio di un macellaio».
«Davvero?»
«Sì, lo aiutavo in negozio, quindi sono piuttosto esperto al riguardo!» esclamò la ragazza. D’altronde, non c’era alcun bisogno di mentire su tutto. Inventarsi una nuova storia sarebbe stato controproducente, perché avrebbe reso più facile confondersi e tradirsi. I primi giorni aveva rischiato grosso, perché era capitato un paio di volte che la chiamassero e lei non rispondesse, non ricordando che tecnicamente da quel momento in poi il suo nome sarebbe stato Lodovico: per questo aveva deciso che non avrebbe cambiato molto la propria storia, tranne alcuni dettagli fondamentali.
«Sai già chi ci insegnerà? Il capitano?»
«No, lui importante. È un soldato che vi impa... vi insegnerà» rispose lui, correggendo repentinamente l’errore. La ragazza sorrise soddisfatta, ma in quel momento un uomo che passava di lì li chiamò a gran voce.
«Stanno cominciando ad insegnare come usare le armi! Muovetevi!»
I due lo seguirono e si unirono al loro gruppo. Tutti i soldati di Agilulf si erano disposti in un cerchio al cui centro c’era Ruggero, il luogotenente: un uomo basso e robusto sui cinquant’anni, dai capelli grigi, lo sguardo felino e la voce roca. Non era molto amato tra i suoi uomini: la sua ferocia era leggendaria, così come la sua abitudine di accanirsi sui novellini. Solitamente sceglieva i più giovani e timidi e li tiranneggiava in ogni modo, rendendo la loro vita un vero inferno. “Stai lontano da lui. È brutta persona, come nemici» aveva detto Alois in proposito, adombrandosi ed abbandonando per un attimo il suo abituale buonumore. Eufemia aveva obbedito, cercando di evitarlo il più possibile.
«Eccoli qui, i due ritardatari. Siete delle mezze cartucce!» gridò, vedendoli arrivare.
«Cos’è, ti sei già pentito di esserti arruolato?» domandò a Eufemia, avvicinandosi a lei ed avvicinando il volto rubizzo al suo.
«No, signore» replicò seccamente lei, guardandolo negli occhi. “Non sono venuta fino a qui per lasciarmi maltrattare dal primo idiota che incontro!”
«Ah, abbiamo qui un vero combattente, signori. Immagino che non avrai niente in contrario se comincio da te a mostrare a tutti i rudimenti della nobile arte della guerra» proseguì il luogotenente con un tono viscido.
Ignorando lo sguardo di avvertimento ed il mormorio agitato dell’amico (“Lodovico, no. Vuole provocare te, non ascoltare”) la ragazza si diresse verso il centro del circolo, stringendo la propria arma nella mano sudata ma perfettamente ferma.
«Hai mai preso in mano una spada?»
«No».
«Capisco. Ecco il tipico esempio di pivello che si crede un eroe...» replicò Ruggero, con una luce pericolosa negli occhi. «Adesso vedremo se sarai all’altezza delle tue aspettative».
Il mercenario sguainò la spada, che sibilò fendendo l’aria. Femia si posizionò davanti a lui, senza mai perderlo di vista e sollevando la propria davanti a sé. Ad un tratto l’uomo balzò verso di lei menando un forte fendente, ma lei lo schivò spostandosi indietro. Riuscì a parare anche i seguenti, infatti le due armi cozzavano l’una contro l’altra con un rumore stridente e metallico che le feriva le orecchie. Poteva vedere la furia del suo avversario: forse inizialmente il luogotenente aveva pensato che avrebbe conquistato una vittoria facile, una pura dimostrazione di superiorità nei suoi confronti... ma evidentemente aveva sbagliato a giudicarla. Ad un tratto notò che l’uomo, alzando la spada per colpirla, aveva lasciato senza difese lo sterno: tentò un affondo, ma fu subito bloccata dalla spada dell’altro, che scintillò al sole.
«Cosa credevi di fare? Era un colpo troppo debole e lento» ghignò l’altro, ansimando. I suoi colpi ricominciarono a fendere l’aria, sempre più rapidi e vicini.
“Finora sono riuscita a pararli, ma per quanto riuscirò a continuare così?” si chiese la ragazza, con il sudore che colava lungo la fronte. Attaccare era impossibile, perché il suo avversario era più forte ed esperto, in più le braccia cominciavano a dolerle per il peso della spada ed il sudore le entrava negli occhi, irritandoli ed arrossandoli. Nonostante ciò, sentiva su di sé gli sguardi dei suoi compagni d’arme e udiva i loro mormorii, anche se non avrebbe saputo dire se erano di approvazione o di scherno: non si sarebbe arresa facilmente, non di fronte a tutti loro! Impugnò più saldamente l’elsa con entrambe le mani e si preparò a parare gli attacchi successivi.
Mentre schivava l’ennesimo fendente, sentì gli spettatori zittirsi improvvisamente ed una voce esclamare: «Ben fatto, Geri... vedo che stai già insegnando ai nuovi arrivati a combattere».
Eufemia vide Ruggero voltarsi verso il punto in cui presumibilmente si trovava l’uomo che aveva parlato. Forse aveva una speranza di terminare quel duello con onore. Non perse tempo: approfittando di quell’attimo di distrazione, gli allungò un forte calcio sullo stinco, poi colpì con tutte le sue forze la spada dell’altro. L’uomo, stordito dal dolore, non riuscì a reagire abbastanza in fretta e la spada gli schizzò via di mano, cadendo rumorosamente a terra.

La ragazza, ansante, fece in tempo a registrare alcuni commenti ammirati di alcuni mercenari.
“Però, il pivellino... che grinta!”
La voce parlò di nuovo: era quella di un uomo alto dai radi capelli rossicci. Non era propriamente imponente, ma irradiava calma e decisione. Aveva il ruolo di comandante scritto nelle rughe che cominciavano a segnargli il volto, nella gravità dello sguardo, nei gesti fermi: doveva essere il famoso Agilulf.
«Niente male, ragazzo. Certo, adesso hai avuto fortuna... ma con la pratica diventerai un ottimo soldato. Luogotenente, suggerirei di cominciare a mostrare alle reclute i colpi fondamentali. Resterò qui a vedere come se la cavano. Naturalmente, il vostro duello finisce qui. Intesi?» continuò. Aveva un accento particolare, simile a quello di Alois ma meno marcato.
«Signorsì» replicò Ruggero, tenendosi una mano sulla gamba, poi si raddrizzò e cominciò ad abbaiare agli uomini degli ordini.
Ritornando al proprio posto, Femia vide Alois rivolgerle un sorriso di incoraggiamento. Successivamente, quando si divisero in coppie per esercitarsi con i colpi, il ragazzo si complimentò con lei.
«Ben fatto, Lodovico: tu ha fatto vedere lui!»
«Si dice “gliel’hai fatta vedere”... comunque ho l’impressione di essere nei guai: hai visto come mi guarda?»
«Ha... no, hai ragione. Ora lui odia te, perché hai fatto sembrare lui principiante davanti a uomini» ammise lui, scuotendo preoccupato la testa.
“Ha ragione. Adesso Ruggero vorrà vendetta: dovrò guardarmi le spalle” ragionò la ragazza maledicendosi mentalmente per il proprio orgoglio, mentre cercava di eludere la guardia dell’amico con una finta, come aveva appena visto fare al luogotenente.
Era ormai sera quando Agilulf decise che poteva bastare e permise loro di allontanarsi.
Passandole accanto, Ruggero le lanciò un’occhiata minacciosa: «Me la pagherai, bastardo» sibilò, poi sputò per terra e si allontanò verso la propria tenda. Eufemia rabbrividì: la sua non era stata una mossa saggia, quell’individuo avrebbe potuto rivelarsi pericoloso. Non era pentita di ciò che aveva fatto, ma quello sarebbe stato un problema in più, che andava ad aggiungersi ai tanti che già aveva. Da quel momento in poi avrebbe dovuto stare ancora più attenta a non farsi scoprire.
Unendosi agli uomini, ricevette alcune pacche sulle spalle: decisamente il luogotenente non godeva di grande popolarità. Sedendosi tra l’erba accanto ad un bosco, udì uno di loro mormorare: «Speriamo che oggi ci sia qualcosa da mangiare».
«Non preoccuparti. Forse oggi saremo più fortunati con la caccia» replicò tranquillamente un altro, un soldato dalla pelle abbronzata con una lunga cicatrice che gli attraversava la faccia, partendo dalla tempia e perdendosi nell'ispida barba nera. Fece un fischio basso. Poco dopo una sagoma scura spuntò dal fogliame e volò verso di lui, che tese il braccio. Indossava uno spesso guanto di cuoio su una mano: poco dopo Eufemia capì perché. Su di esso si era appena posato un grosso falco dalle penne scure, che stringeva tra gli artigli quello che sembrava un fagiano.
«Non è molto grosso... dovremo accontentarci» mormorò il suo proprietario, liberando delicatamente la preda dalle grinfie del rapace e cominciando a spiumarlo, mentre l'animale lo fissava attento, socchiudendo il becco adunco. Terminata l’operazione, estrasse un coltello e cominciò a tagliare la carne.
«Aspetta, non si fa così» sbottò la ragazza. Tutti si voltarono a guardarla interrogativamente.
«È sbagliato, vedi? Così è più difficile dividere i vari pezzi, è impossibile che si formino delle parti uguali. Bisogna fare in questo modo». continuò, accigliata, prendendo il proprio serramanico mostrando agli uomini come fare. Lentamente, gli sguardi irritati dei suoi compagni d’arme si tramutarono in occhiate di approvazione, mentre dei pezzi di carne di grandezza più o meno simile cominciavano a prendere forma tra le mani della ragazza.
«Dove hai imparato?»
«Mio padre è un macellaio. Lo aiutavo in negozio, so quello che faccio» replicò lei, con un mezzo sorriso.
Poco dopo i pezzi di carne vennero arrostiti sul fuoco che qualcuno aveva appena acceso, emanando un profumo di selvaggina forte ma gradevole. Mentre cuocevano, Femia cominciò a parlare con Wiligelmo, il falconiere. Era una persona seria e pacata: probabilmente era il più rispettato tra i soldati semplici , per l’autorità che dimostrava senza bisogno di alzare la voce o di ricorrere alle maniere forti. Le raccontò che aveva imparato l'arte della caccia con i rapaci alla corte di un signore: era il figlio dell'addestratore dei rapaci dell'uomo.
Quando il fagiano fu cotto, cominciarono a mangiarlo in silenzio, con i volti rischiarati dalle fiamme che spiccavano nell’oscurità. La ragazza si guardò intorno, pensando che una notte come quella sarebbe stata una delle ultime: presto sarebbero andati in battaglia. Poco dopo i mercenari cominciarono a parlare tra di loro. Alcuni li conosceva di vista, evidentemente erano anche loro dei volontari provenienti dal Comune. Le pareva di ricordare che uno di loro fosse un fabbro, ma non ne era sicura. Naturalmente, ora non lo era più: era diventato un soldato, come tutti loro.
«Com’è? La guerra, intendo» mormorò, rivolta a Wiligelmo. Era la prima volta che osava formulare quella domanda, a cui aveva evitato di pensare fin dall’arruolamento.
«Immagino che lo scoprirai tra non molto» replicò lui, serio. «Di sicuro avrai sentito i cantastorie parlare di cavalleria e di gloria. Ecco, ora devi dimenticare queste parole e sostituirle con “sangue” e “situazioni disperate”. Questo per darti un’idea. In più nessuno ci ringrazierà mai: siamo mercenari, buoni per combattere quando nessun altro è disposto a farlo, ma indesiderabili non appena il conflitto finisce. Benvenuto fra noi!»
Eufemia fissò il fuoco con sguardo assente. In fondo se lo aspettava: era consapevole di ciò che comportava arruolarsi, quando era fuggita di casa.
“Sarà dura, certo, ma non importa. Affronterò anche questo. Ce la farò” si disse, guardando le fiamme guizzare nel buio.

 

 

 

 

 

ANGOLO DELL'AUTRICE:
...Ed è quando qualcuno (moi), che già ha dei tempi di aggiornamento vergognosi, non riesce a rispettare le scadenze che si è prefissato e pubblica un solo capitolo anziche è due promessi, che capisce di essere caduto davvero in basso. Chiedo scusa a chiunque legga la storia e prometto che mese prossimo rimedierò. Non ci saranno impegni, tifoni o invasioni aliene che tengano, ne scriverò due come promesso! ;)

  
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