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Autore: Phantom13    01/05/2014    4 recensioni
L'umanità ha sempre cercato di raggiungere e conquistare la Perfezione. Sempre. Ma questa volta sono più accaniti e determinati del solito... esattamente come lo è il loro "obbiettivo".
In fondo, noi abbiamo sempre cercato, scavato a fondo, analizzato e smembrato con arroganza ogni aspetto di questo mondo ... o quasi.
Ma è il cosa si cerca che fa la differenza. L'obbiettivo che si vuole raggiungere.
E questa volta, l'obbiettivo in questione è il più inviolabile dei diritti: la vita. Artificiale o autentica che sia.
In questo caso, soprattutto artificiale.
Anche se, in fin dei conti, non fa questa grande differenza. La vita è sempre la vita, indipendentemente dal "come" e dal "perchè" ... non ho forse ragione?
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"–Lui è solo un robot fatto di carne e sangue anziché di metallo. Non è una persona, è una macchina.- disse semplicemente, con una calma stomachevole e arrogante sufficienza. –È un oggetto che cammina. Null’altro.-" (cap. 5)
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AVVERTENZA: alcuni contenuti potrebbero urtare la sensibilità del lettore.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Rouge the Bat, Shadow the Hedgehog, Sonic the Hedgehog
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 9
-Assalto-
(parte 1)
 
-Quindi, cosa facciamo?- chiese piano Tails, dopo un interminabile attimo di silenzio. Gli occhi di Sonic, ancora fissi nel punto in cui Shadow e Rouge erano spariti, luccicarono.
-Che domande.- sbottò. –Andiamo a distruggere uno dei laboratori.-
Un’onda di “cosa”, “che” e “come” travolse il riccio blu. Sonic schioccò la lingua. –Non avrete mica creduto alla storiella della precauzione, vero?-
-Ma- Intervenne Amy, gli occhi sgranati. –Il loro ragionamento aveva senso! Sarebbe meglio trovare innanzitutto la loro base principale, con calma, prima della battaglia finale.-
-Battaglia finale…- ripetè piano Knuckles, facendosi scrocchiare le nocche. –Non sarà un giochetto, temo.-
Sonic li guardò esasperato. –Ma davvero non l’avete visto lo sguardo di Shadow?- ai visi smarriti dei compagni, si spalmò una mano sulla faccia. –Beh, allora ve lo dico io. Gli occhi di faker comunicavano una sola parola: massacro! Voi credete davvero che Shadow rimarrà buono e tranquillo nonostante quello che loro hanno intenzione di fare?-
Amy disse piano –In effetti, ho avuto l’impressione che Shadow stesse prendendo questa faccenda un po’ tanto sul personale.- Non ebbe la forza di immaginare in che modo, però.
Sonic si voltò verso di lei, accigliato. Ecco, pensò il riccio, quello non l’aveva notato. Si era fermato alla constatazione della furia a stento repressa del suo doppione, non aveva indagato oltre. Gli era bastato capire che le intenzioni di Shadow erano tutto meno che pacifiste.
Se si trattava di faker, un solo punto di vista era insufficiente per un’interpretazione accurata di ciò che gli frullasse nel cranio. Amy aveva visto una sfumatura, lui un’altra. Soltanto ragionando assieme, circa, si poteva sperare di creare un quadro completo della situazione. Shadow era un enigma dalla punta delle orecchie a quella delle scarpe, sicuro!
Ma su un punto specifico il riccio nero non s’era minimamente scoperto: il perché di tutto ciò. Perché tenerli fuori da tutta quella situazione? Perché non accettare il loro aiuto?
Ovviamente, non c’era risposta. L’unica stava radicata nel cervello del diretto interessato e, a meno che non si fosse telepatici, capire quale essa fosse era impresa impossibile. Tutti sapevano qual era il carattere del loro solitario amico spinato ma, pure da uno come lui, quello scatto improvviso d’antisocialismo non aveva ragion d’essere. Non in quel momento. Cosa stava macchiando davvero Shadow? Impossibile da dire.
-Beh- commentò Sonic, continuando il pensiero di Amy  -L’ultima volta che Shadow ha preso qualcosa sul personale ha quasi disintegrato un pianeta intero … forse è il caso di stare attenti.-
Rimasero per un attimo tutti in silenzio.
-Quindi? Che si fa?- chiese Knuckles in un ringhio.
-Andiamo nei laboratori!- esclamò di botto Tails, facendo sobbalzare tutti per l’improvviso cambio di idea. Tre paia di occhi, due verdi e uno viola, si voltarono verso di lui.
Il volpino passò a spiegare. –Voglio dire, se andassimo in uno dei loro laboratori e se riuscissimo ad intrufolarci nel loro sistema, riusciremmo a trovare quelle informazioni che ci servono. Le coordinate della loro base principale. E distruggendo l’edificio alla fine, riusciremo ad aiutare doppiamente Shadow.-
Fu come se un raggio di luce divina avesse illuminato i neuroni di tutta la banda. Sorrisi si distesero, occhi brillarono, cuori si innalzarono.
Avevano un piano valido e soddisfacente!
Tails continuò. –Per di più, non mi verrebbe in mente dove altro cercare per le informazioni, se non nei laboratori.- ridacchiò –E Rouge ce l’ha anche detto, che le avrebbero cercate loro, ma...-
- …ma senza specificare che l’avrebbero fatto direttamente a casa dei nemici: le avrebbero cercate nei laboratori.- concluse per lui Knuckles.
-Ha senso, in effetti- sussurrò piano Amy, più a sé stessa che ad altri. Forse, che magari Rouge avesse dato loro di proposito una traccia per invitarli a seguirli? Impossibile, non avrebbero fatto tutto quel discorso prima, altrimenti.
-Quindi si va! Questa notte.- dichiarò Sonic, raggiante, scambiando uno sguardo d’intesa con Tails. Il volpino si sentì arrossire quando lesse ammirazione profonda nelle iridi smeraldine del suo fratellone di latte. Mosse le due code, avvolgendosele attorno alle gambe, un po’ in imbarazzo come sempre gli accadeva quando si ritrovava improvvisamente al centro dell’attenzione per un’idea improvvisa.
-In quale delle quattro basi di ricerca, però?-
La domanda rimase sospesa nell’aria.
Avrebbero anche potuto incontrare Shadow, là, se il riccio nero avesse scelto la loro stessa meta.
 
 
Est. Correvano verso est. Il sole stava sfiorando la superficie rugosa della terra alle loro spalle. Là il cielo bruciava, nuvole infiammate lampeggiavano come carboni ardenti. Davanti a loro, invece era già tutto adombrato dall’avanzata della notte, qualche timida stella faceva capolino, qui e là, sopra quel paesaggio collinare che si stendeva tutto attorno a loro per un raggio di diversi chilometri.
Rouge battè le ali, riguadagnando qualche metro di quota. Lo spostamento d’aria di Shadow la trascinava in avanti, a notevole velocità, facilitandole di molto il volo.
Le ali membranose della pipistrella vibrarono ad una corrente trasversale che la investì da sinistra. Due battiti e Rouge riguadagnò l’equilibrio, perdendo però la scia di Shadow. In compenso, si ritrovò a cavallo dello spostamento d’aria del compagno extra che aveva deciso, con tempismo magistrale, di passare a trovarli proprio quel giorno.
Il suono dei suoi motori a reazione era assordante, sì, ma era comunque un rumore rassicurante per lei. Da quando Shadow le aveva chiaramente detto che non intendeva portarsi dietro Sonic e gli altri, Rouge aveva cominciato a preoccuparsi. Forse, si disse, non era stata una decisione brillante. Ma Shadow su certe cose era inamovibile e non stava di certo a lei contestarlo, né tantomeno poteva fargli cambiare idea.
Quindi, in quel momento, era ben felice di avere a disposizione un paio di braccia in più, specialmente se grandi e robuste come quelle di E123Omega.
Le colline tra le quali loro si muovevano zigzagando già da una mezz’ora abbondante cominciarono ad inasprirsi, diventando piccole montagne arrotondate, ricoperte di conifere e pini.  
Il trasmettitore con le coordinate esatte era in mano a Shadow. Il riccio controllò nuovamente la direzione, e scartò bruscamente a sinistra. Omega perse un poco di terreno, meno agile del riccio.
Si infilarono in una stretta valletta incassata tra due colline, particolarmente vicine tra loro, quasi fuse insieme, alla base, tagliata solo da un esile corso d’acqua che scivolava sinuoso in mezzo alle rocce, scavandole.
Shadow lo accostò, correndogli affianco, con Omega e Rouge sempre dietro.
Gli alberi si chiudevano sempre più su di loro, da entrambi i lati, coprendo il cielo con le loro braccia grondanti d’aghi. L’odore di resina e legno era egemone. Cominciarono i problemi per Rouge quando le fronde si strinsero ancor di più sul misero ruscello, diminuendo drasticamente lo spazio rimasto. Quasi quasi, la pipistrella non aveva più nemmeno lo spazio per aprire interamente le ali.
Shadow parve notarlo e rallentò un poco l’andatura, quel tanto da permettere a Rouge di calibrare con più agio il proprio volo. Anche Omega riscontrava problemi non indifferenti, a causa della sua voluminosa figura. Spense i motori a reazione, procedendo così a corsa. Le orecchie incredibilmente fini di Rouge gioirono spudoratamente: niente più frastuono di sottofondo! Solo i suoni del bosco e i profondi passi metallici di Omega che affondavano nello strato di aghi secchi che faceva da tappeto a tutto il bosco, fungendo al contempo da silenziatore naturale. Di tanto in tanto, il crepitio di una pigna schiacciata che crocchiava sotto il peso o del robot o del riccio.
Rouge stava cominciando a chiedersi con frequenza allarmante dove accidenti fosse quel laboratorio e quanta strada ancora ci fosse da fare. Insomma, erano nel bel mezzo del nulla, in un luogo praticamente irraggiungibile! Di chi era stata l’idea di creare lì un laboratorio?
Pure la faccia inespressiva di Omega pareva tradire impazienza. L’unico che non mostrava cedimenti di alcun tipo era Shadow, che procedeva in piena sicurezza, ben conscio di quale fosse la distanza ancora da compiere.
Rouge battè le ali, rischiando di disarcionare uno scoiattolo dal ramo sul quale era appollaiato.
-‘Cidenti, Shadow! Quando manca?- sbottò lei, trapassando una ragnatela dal mostruoso diametro. Rabbrividì d’orrore, agitando le braccia per levarsi di dosso lo spiacevole filamento.
-Non molto- fu la risposta stringata che ricevette dal riccio nero.
Omega per poco non si schiantò a terra, incespicando in una tana di coniglio. –Lo spero.- mugugnò, con la sua voce metallizzata.
Shadow rallentò ancora l’andatura, guardando ora lo schermo ora il paesaggio che gli stava davanti, come comparando la cartina digitale alla realtà. Poco dopo, il riccio nero si arrestò del tutto. –Attenti, adesso. Siamo molto vicini.-
Farsi scoprire, sarebbe stato un bel problema.
Avanzavano ora con estrema cautela, con tutti i sensi a loro disposizione tesi, in particolare il radar di Omega per rintracciare microcamere o altri sistemi d’allarme.
Scovarono di tanto in tanto dei sensori di movimento o di calore. Non erano gran che, come sistema d’allarme, ma in un bosco un qualunque leprotto o cervo avrebbe potuto attivare trappole più complesse. Un semplice ago caduto da un pino avrebbe potuto innescare tranelli anti-intruso.
Non c’era perciò da stupirsi.
Lo era invece il fatto che la foresta taceva. Niente più canti di uccellini, niente più foglie o legnetti smossi da musetti affamati. Solo il fruscio del vento e dell’acqua. Rouge si guardò intorno, preoccupata.
Omega si bloccò. –Telecamera.- annunciò, scovando l’oggetto grazie al suo personale radar. Diede le coordinate e l’ostacolo venne aggirato. Non distrutto, avrebbe attirato attenzioni indesiderate.
Procedettero così, schivando ora telecamere, ora altri sensori di varia natura. Più procedevano, più ne trovavano. Si stavano avvicinando.
Nessuno dei tre parlava, tranne Omega, per annunciare nuove scoperte. Sapevano tutti e tre cosa dovevano fare, i dialoghi erano superflui. L’affiatamento creato nel corso di decine e decine di missioni. Il piano l’avevano già strutturato, salvo soprese ognuno sapeva esattamente cosa fare e dove andare. Non era necessario spendere altre parole al riguardo.
E poi Shadow la vide.
La porta metallica e blindata del laboratorio. Incassata nella roccia che chiudeva quell’angusta valle. Dove le due colline si fondevano definitivamente insieme.
La base di ricerca, dunque, era sotto terra.
 
 
Nord. Scelsero la base a nord. Non avevano preso in considerazione chissà quali motivazioni, semplicemente Sonica aveva puntato il dito sulla cartina esclamando “Là! Il più lontano possibile dal mare!”.
Uno dei laboratori si trovava effettivamente in mezzo all’acqua, su un’isola, sperabilmente. E già solo quella vista era bastata a far venire il latte alle ginocchia al prode eroe.
In ogni caso, se inizialmente una scelta pareva valere un’altra, ora Tails aveva modo di ricredersi.
Ogni singolo pelo sulla sua colonna vertebrale, dal collo fino alla schiena, era ritto come mai lo era stato prima. Le mani non reggevano semplicemente il volante del Tornado X, vi erano praticamente aggrappate, come se quella fosse stata l’unica àncora di salvezza che avesse.
Pure la faccia di Amy aveva un che di spettrale. Loro due, dentro la cabina di pilotaggio dell’aereo stavano ancora, sommato tutto bene.
Sonic e Knuckles, là fuori, aggrappati alle ali del velivolo, non potevano dire altrettanto. Certo, ancora non pioveva, ma l’acqua non avrebbe tardato a cadere, reclamando al riccio blu quel tributo che egli s’era rifiutato di versare al mare, dirigendosi invece in montagna: la coda dell’eroe di Mobius si sarebbe infradiciata comunque.
In tutta la carriera di pilota di Tails, il volpino mai aveva visto un cielo nero come quello. Non c’entrava nulla il fatto che fosse notte.
Un addensamento di nubi senza precedenti soffocava interamente la volta del cielo. Strati su strati di nero, tempestoso, materiale vaporoso si avviluppava e aggrovigliava in sé stesso, caricandosi sempre di più d’acqua ed elettricità. Di tanto in tanto uno tuono scoppiava, sebbene non una saetta né una goccia di pioggia si fossero ancora fatti vedere. Alcuni scintillii non molto rassicuranti illuminavano, di tanto in tanto quella massa informe che ora era il cielo, dando ancor più corpo a quella cupa minaccia che incombeva su di loro.
Il fatto poi che stessero volando, rendeva il titanico fenomeno atmosferico ancor più vertiginosamente vicino. Alzando una mano, forse, avrebbero anche davvero potuto toccare quelle nubi.
Le correnti d’aria parevano impazzite. Si muovevano sibilando in tutte le direzioni, ora salendo, ora scendendo, aggrovigliandosi senza nessun tipo di controllo o regola, rendendo il volo dieci volte più difficile di quello che già normalmente era. E il temporale che prometteva guerra era ancora in fase preparatoria.
Il pilota non osò immaginare cosa sarebbe successo se la tempesta si fosse davvero scatenata, con loro ancora in volo. Frittelle di Tornado X per tutti!
A migliorar la cosa, Tails non solo doveva guidare l’aereo con quella mostruosità sopra la testa, in mezzo a quei venti instabili e ringhianti, ma doveva farlo volando nel mezzo delle montagne più aguzze e ostili che gli era mai capitato di vedere.
Lame di roccia, denti di pietra, sottili come pugnali, snudati dalla vegetazione e dagli alberi, si innalzavano come artigli verso quel cielo furoreggiante. Spuntoni d’ogni forma e dimensione si diramavano dalle vette, come guglie, protendendosi a graffiare le nubi, senza tuttavia riuscire a toccarle. Non erano montagne corpose e massicce, quelle, erano come spade di pietra, esili e perforanti. Predatrici. Fitte come i denti di uno squalo. Roccia nera e scheggiata, glabra, rifletteva il colore e il temperamento del cielo.
Nero sopra, nero sotto. Un aereo in mezzo.
Tails tremava, con gelide gocce di sudore che gli scivolavano giù per il collo.
-Ma come diavolo hanno costruito un laboratorio in un posto del genere?- squittì Amy, guardando di sotto con occhi angosciati. Fuori, sulle ali, i due che si arresero a procedere a piedi si sforzavano violentemente per fare l’opposto, cioè non guardare giù. Loro, da là, probabilmente, avrebbero visto direttamente il fondo della valle che stavano risalendo. Fondo che si trovava quasi tremila metri più in basso. Troppo anche per loro.
-Non lo so come hanno fatto, Amy. Ora però abbiamo la prova del nove che quei tali sono tutti completamente pazzi.-
-Ci pensi? Come hanno fatto a portare fin quassù il materiale per costruire un intero laboratorio?-
-Di sicuro è un posto a prova d’intruso.-
Sonic allungò di colpo una mano, indicando qualcosa. Tails non sentì ciò che il riccio diceva, il vento rapì la sua voce. Seguì però il dito puntato dell’amico, vedendo una vaga sagoma scura, aggrappata su uno spuntone roccioso della montagna difronte a loro. Posizione allucinante sotto ogni punto di vista.
-Trovati!- gioì Amy.
-Già.- deglutì Tails. –E io dove dovrei fare atterrare il Tornado X?-
 
 
Che ci credesse o no, ancora non era riuscito a trovare una spiegazione logica per il nervosismo che si sentiva in corpo. E la cosa gli dava oltremodo fastidio. Uno spiacevolissimo sentimento, forse parente dell’Angoscia, ma non poteva esserne certo.
In ogni caso, il fatto di non capire come si sentisse né tantomeno il perché, lo stava logorando. Magari stando da solo sarebbe riuscito a sbrogliare la faccenda, ragionandoci su con calma. Ma, guarda caso, a migliorare il tutto, Rouge s’era impuntata, insistendo a volerlo seguire, all’interno del laboratorio, stando insieme.
Shadow aveva ribattuto che sarebbe stato meglio dividersi, per trovare più in fretta il database e il generatore elettrico. Ma lei l’aveva guardato fisso negli occhi e aveva detto “no”.
Ed ecco un altro “perché” irrisolto da aggiungere alla lista.
Come mai da quando erano partiti Rouge pareva essere più apprensiva del solito nei suoi confronti?
Forse lei aveva paura … nah, impossibile. Non era di certo una semplice missione d’infiltrazione che metteva timore a Rouge The Bat. Shadow aveva la scomoda sensazione che lei volesse rimanergli accanto come se lui avesse bisogno di sostegno. Inutile dire come ciò lo irritasse.
Aggrottò la fronte, avanzando ancora un po’ nel condotto d’aria. Di nuovo, inscatolati tutti e due in quei tubi asfissianti. Ma quella era una delle regole principali del gioco, niente obbiezioni, dunque.
Omega era rimasto fuori, a fare la guardia. Un robot grande a quel modo non era adatto ad una delicata intrusione come quella.
Si muovevano rapidi, nel condotto d’aria, seguendo i fasci di cavi elettrici, che, sicuramente, li avrebbero condotti da qualche parte, magari ai generatori elettrici o ai database.
Invece, trovarono la sala di controllo.
-Che botta di fortuna!- sibilò Rouge, osservando con occhioni lucidi le schermate con le riprese delle telecamere di sicurezza. Sfondando una delle grate del condotto, piombarono entrambi nella sala, stendendo la solitaria guardia che sedeva pigramente davanti ai monitor. Riposizionarono il corpo privo di sensi in una posa un poco più naturale, come se si fosse addormentato.
Né Shadow né Rouge erano ai livelli di Tails con l’elettronica, ma un paio di giochetti utili li conoscevano anche loro. Come per esempio impostare le telecamere in modo tale che sullo schermo dell’ufficio in questione si vedesse sempre il solito filmato che passava e ripassava, ininterrottamente, mostrando sempre la stessa immagine e lasciando così libero il passaggio a degli eventuali intrusi. O come per esempio, scovare una mappa dell’intero edificio e impiantarla sul loro piccolo palmare di fiducia.
Mentre Rouge finiva di sistemare le telecamere, Shadow studiava la mappa, cercando un percorso adatto.
La prima cosa che il riccio notò fu che non tutte le disposizioni di corridoi e stanze seguivano schemi geometrici precisi, come invece fin ora era sempre stato in qualunque edificio. Molti erano ricurvi, o senza alcuna forma, a volte vagavano, facendo giri e volute del tutto inutili, con porte impiantate in luoghi improbabili collegate invece a passaggi dritti, senza mezza ondulazione, che conducevano a stanze che, secondo la logica, avrebbero dovuto stare vicine e che invece si trovavano a distanza notevole. La maggior parte dei locali non era rettangolare o quadrato, almeno le più grandi, avevano forme indefinite e indefinibili. Shadow impiegò un attimo a capire.
Tutto il laboratorio era stato impiantato in un sistema di grotte naturali già esistenti prima che gli scienziati venissero lì. Cunicoli e caverne erano in parte già presenti. L’uomo vi si era semplicemente inserito, installando ora qui ora là i macchinare e le stanze necessarie per un sofisticato laboratorio di ricerca. Erano stati aggiunti nuovi corridoi, nuovi passaggi e nuove aree aperte dove necessario, quelle che sulla cartina avevano indubbia forma geometrica. Tutto il resto era stato scavato da madre natura.
Per concludere, quel laboratorio era un ammasso di corridoi e stanze aggrovigliati tra loro in un’area tridimensionale che ricordava vagamente una patata, una tremolante e irregolare forma ovoidale, con un’estremità verso la fiancata della collina e l’altro rivolto verso il centro del monte.
Non impiegò molto ad individuare la loro posizione e quella dei loro due obiettivi. E il morale gli crollò sotto ai tacchi.
Loro attualmente erano nella sala controlli, situata sul versante più “esterno” del laboratorio, quello più vicino al fianco della montagna e ai boschi.
Il generatore era abbastanza lontano da dove si trovavano loro ora, ed era nel centro della zona di ricerca, tra le capsule e le celle di contenimento, situate nel lato “interno” del laboratorio, quello più verso il cuore della montagna. Incontrare i frutti degli esperimenti biologici di quel laboratorio dunque non sarebbe stata una scelta facoltativa, dovendo loro, per raggiungerlo, attraversare il laboratorio e la zona di ricerca per tutta la sua estensione.
Il database invece si trovava relativamente più vicino, solo a diversi piani più in basso. Se di “piani” si poteva parlare.
Per di più, se già il tutto aveva un’aria dannatamente arruffata, i condotti d’aria lo erano tre volte tanto. Escluse quindi, anche viste certe dimensioni ristrette di alcuni passaggi, di spostarsi unicamente tramite il sistema di ventilazione, per l’eccessiva complicatezza e l’elevato rischio di perdersi o rimanere incastrati. Dovevano per forza di cose usufruire anche dei corridoi, zigzagando tra un sistema d’allarme e l’altro, in piena vista.
Il riccio sbuffò, grattandosi un orecchio. Avrebbero impiegato tutta la notte per raggiungere prima il database e poi il generatore.
Visto il tempo che avevano impiegato per percorrere la distanza fino alla sala controllo, Shadow calcolò che la lunghezza totale di quel laboratorio era ragguardevole. E procedere con il Chaos Control non sembrava molto prudente, quel posto era sicuramente pieno di trappole, sensori e laser.
A meno che …
-Rouge.- chiamò.
-Mh?- fece lei, alle prese con il pc.
-Non è che si può disinnescare il generatore da qui, vero?-
-Ci avevo pensato anch’io, caro, ma per sicurezza i cervelloni non hanno previsto questa possibilità. Lo spegnimento può essere attuato solo ed esclusivamente manualmente.-
-Lo temevo.-
Rouge si voltò un attimo verso di lui. –Qual è il problema?- chiese.
-Non possiamo muoverci assieme e sperare di finire questa faccenda in fretta. Dobbiamo dividerci, oppure qui facciamo giorno.- fu la risposta.
Le dita della pipistrella esitarono sulla tastiera, per poi riprendere subito il lavoro. Non ci volle molto a Shadow per capire che l’idea non le era piaciuta. Ma lui non poteva farcene molto.
Le espose il piano. -Tu vai al database e prendi le informazioni. Quando avrai finito di cercare le informazioni che ci servono, io avrò raggiunto il generatore e, quando mi darai l’ok, io verrò a prenderti e farò saltare tutto. Va bene?-
Rouge sospirò. –Non vedo altre opzioni.-
Due bip-bip consecutivi annunciarono che la pipistrella aveva finito di taroccare le telecamere. –Fatto.- disse, alzandosi dalla sedia mentre Shadow armeggiava con il picco schermo portatile di Rouge, immettendo in esso una copia della mappa con due puntini luminosi che rappresentavano loro due. Glielo porse, completata l’operazione. Lei lo prese, tenendo gli occhi fissi in quelli di lui. V’era disappunto in essi.
Shadow si voltò, mosse qualche passo. –Andiamo.- disse. Né una domanda, né un’affermazione, né un ordine.
-Aspetta.- disse piano Rouge. Lui si fermò, voltandole sempre la schiena.
Lei continuò, esitando. –Se c’è qualcosa che non va, qualunque cosa, chiamami.-
Shadow aggrottò la fronte. Ma quello lui non lo faceva già di solito?
-E non sto parlando solo delle situazioni di vita o di morte.- aggiunse lei. –Chiamami anche se … se vedi qualcosa di … molto spiacevole.-
La mascella di Shadow si serrò di scatto, mentre un luccichio di rabbia si accendeva nel suo sguardo, sempre di schiena. Ma che diav…?
Riuscì in un qualche modo a non dire niente. Tenne a freno la lingua e riprese a camminare, spiccò un salto sparendo nel condotto d’aria. Per un pezzo di strada poteva ancora riuscire a seguire quel percorso nel sistema d’aerazione.
Rouge, dietro di lui, sospirò, abbassando gli occhi a terra. Sapeva che quello era un “Sì, ma non dovevi dirlo”. Sospirò di nuovo.
Non rimase lì ancora molto, saltò anche lei nel condotto, prendendosi un attimo per studiare la mappa e scegliere che percorso prendere.
 
 
Il problema dell’atterraggio si rivelò insormontabile. In mezzo a quelle montagne aguzze non si sarebbe trovata un posticino per il Tornado neanche a costruirlo a suon di picconate. Dunque, si risolse la questione lasciando il volpino alla guida, con il compito di tenere in aria il Tornado X per tutto il tempo dell’infiltrazione della banda di mobiani. Sorse così automaticamente una seconda problematica di notevole spessore: il carburante. Il Tornado X aveva abbastanza benzina per un massimo di due ore, due ore e mezza di volo. Quindi, Sonic e gli altri avevano un tempo limite per rimanere nel laboratorio scaduto il quale avevano l’obbligo di uscire e imbarcarsi sull’aereo al più presto.
Così, dopo una discussione durata dieci minuti buoni, che vide come partecipi Tails, Amy, il vento e i gesti disperati di Sonic e Knucles, ancora aggrappati sulle ali dell’aereo e ben fuori dalla portata uditiva di un comune orecchio, i tre prescelti per la missione tirarono all’unisono un sonoro sospiro di sollievo quando toccarono il tetto del laboratorio.
Peccato per loro che avessero davvero poco di cui rallegrarsi.
-Sapete?- cominciò l’echidna, guardando con occhio critico il cielo scoppiettante di saette. –Dubito davvero che Tails abbia addirittura due ore e mezza. Secondo me ne avremo al massimo una, forse anche solo mezza, prima che tutta quella roba lassù ci caschi addosso. E allora ciao ciao Tornado X e pilota.-
La doppia occhiataccia che ricevette lo fece irritare. –Insomma, ragazzi. Ciò che è vero è vero. Dovremmo fare in fretta.-
-Knuckster ha ragione.- ammise Sonic, adocchiando quello che sembrava lo sbocco del sistema d’aerazione di tutto quanto l’edificio. –Entriamo da là?- chiese.
Nessuno obbiettò, tutti d’accordo. Si avviarono.
-Domanda: qualcuno di voi sa da che parte dobbiamo andare, una volta là dentro?- domandò Amy.
Gli altri due le fecero spallucce.
 
 
Shadow si teletrasportò in avanti di qualche metro, evitando un’intricata rete di raggi laser. Si trovò ad un bivio, seguì il corridoio di destra. Si mosse rapido, silenzioso, stando accostato alla parete, occhi fissi sulle telecamere messe fuori uso da Rouge, orecchie tese, pronte a cogliere ogni genere di suono. Fin ora non aveva trovato particolari difficoltà. Solo, si doveva fare attenzione con le persone. Farsi vedere da uno scienziato o da un militare sarebbe stato imperdonabile. Militari. Già. Erano ovunque. E la cosa preoccupava Shadow non poco. Ma il riccio nero non aveva avuto il tempo di soffermarsi troppo sulla questione. Aveva solo una marea di dubbi e ipotesi, una peggiore dell’altra.
Svoltò a destra, fece rapidamente marcia indietro, acquattandosi dietro un angolo per lasciar passare una coppia di ricercatori. Poi, si mosse di nuovo, soltanto per trovarsi davanti una massiccia porta blindata, con una serie di sbarre di ferro e lastre d’acciaio ad incastro come sigillo.
La mappa diceva che oltre quell’immenso portone vi era la sezione “esperimenti”, che lui doveva attraversare per raggiungere il generatore.
Shadow scandì lo spazio con il potere di Chaos, cercando un punto adatto per il teletrasporto. Evitò di atterrare nel mezzo del corridoio, magari proprio difronte ad un ricercatore. Optò quindi per una meta più modesta. Impiegò un attimo a calcolare con esattezza il punto d’arrivo del teletrasporto, ma riuscì a materializzarsi in un condotto d’aria, largo quel tanto che gli bastava per non rimanere incastrato a metà.
Sbirciò da una grata e non potè fare altro che rallegrarsi della scelta presa.
Erano cinque le persone lì presenti. Due in divisa militare, tre con il camice bianco.
I due soldati erano di guardia alla porta blindata, i ricercatori invece stavano armeggiando con una serratura di una porta laterale, di metallo pure quella. Il resto del corridoio era vuoto, illuminato da strisce di lampade al neon.
C’era un silenzio innaturale, lì.
Forse su anche per quello che il riccio sobbalzò vivamente, quando la voce di Rouge lo raggiunse attraverso il microcip che aveva vicino all’orecchio.
-Ehi, Shady. Tutto ok?-
Il riccio si permise un sospiro, prima di rispondere. Chissà per quale ottusa ragione la pipistrella s’era impuntata a voler tenere la comunicazione sempre attiva. Ogni due, tre minuti difatti contattava Shadow.
Valutò sinceramente se risponderle o meno. –Tu, piuttosto?- brontolò in risposta.
Silenzio dall’altro lato del ricevitore, solo una mezza risatina di Rouge. Shadow cominciò ad avanzare strisciando. Le due guardie non sentirono né notarono nulla.
Con tutta la silenziosità di cui disponeva, il riccio procedeva, curando ogni singolo movimento con attenzione estrema. Tanta, troppa esperienza l’aveva reso particolarmente abile in quel genere di azioni.
Grazie ad un apposito apparecchio che gli permetteva di vedere i raggi infrarossi tramite una lente speciale posta su di un occhio del riccio, Shadow si bloccò giusto in tempo quando vide gli insidiosi fasci luminosi rossi disposti a rete all’interno del condotto d’aria. Imprecò mentalmente.
Da lì non si poteva di certo passare.
Si mosse all’indietro, fino a raggiungere una piccola grata che aveva superato non troppo tempo prima.
Giù nel corridoio tutto pareva calmo e tranquillo. Nessuna persona. Solo le telecamere messe fuori uso da Rouge.
Si materializzò sul pavimento, contro la parete. Rimase un attimo in ascolto, per accertarsi di nuovo che non ci fosse anima viva o morta. Visto da basso, quel corridoio era anche più inquietante di quanto non lo fosse dal condotto d’aria.
Gelide lastre, forse di metallo, tappezzavano pavimento e pareti, lasciando solo sul soffitto la roccia naturale della montagna, striata dai cavi elettrici, brutalmente legati al soffitto da cinturini di plastica affrancati alla pietra tramite chiodi, per mantenere accese le luci e i sistemi di sicurezza. Segno che, tra l’altro, Shadow si stava muovendo nella direzione giusta.
Quello era un corridoio dritto come pochi. Forse il più regolare che il riccio aveva visto da quando era entrato là dentro. Niente curve dovute alla forma della grotta, niente deviazioni causate dalla friabilità della roccia che talvolta non permetteva di scavarci dentro, niente bozze di pietra sopravvissute agli attrezzi di scavo per la loro eccessiva durezza, che sporgevano invadenti dai muri. Un perfetto corridoio rettangolare.
Vi erano quattro grandi finestre, che si affacciavano sul passaggio in cui ora stava Shadow. Cosa ci fosse oltre i vetri, dalla sua posizione attuale, il riccio non poteva dirlo. Ma la sensazione che aveva in corpo era tutta meno che rassicurante.
Il silenzio che regnava in quel posto era opprimente, soffocante. Non un singolo suono, eccezion fatta per il respiro di Shadow.
Avanzò piano, fremendo ogni volta che le sue scarpe si posavano sul suolo. L’assoluta mancanza di rumori, rendeva infatti quel quasi impercettibile ticchettio un frastuono spaventoso. Così, quando Shadow raggiunse la prima delle tre finestre, una decina di passi più avanti, aveva già in corpo una tale tensione che se Rouge l’avesse chiamato a sorpresa in quel momento, avrebbe davvero rischiato di rilasciare involontariamente un Chaos Blast. E non era solo il fatto di sentirsi dannatamente esposto, lì, in mezzo al corridoio, in tutto quel silenzio. Percepiva qualcos’altro di non ancora decifrato, che prometteva sofferenza.
Raggiunta la prima finestra, intuì da dove arrivasse quella strana sensazione.
Era in tutto e per tutto una cella, ovviamente blindata, di un accecante color bianco vivo. Un piccolo televisore rotto giaceva in un angolo, con lo schermo sfondato, in compagnia di alcuni libri più o meno malconci. E poi Shadow individuò il proprietario di quella cella.
Era accovacciato su sé stesso, in un angolo della stanza, faccia rivolta al muro, con le ginocchia strette al petto, coda sottile avvolta tutto attorno, orecchie rotonde piegate indietro, sul capo nascosto tra le gambe. Dal modo in cui il braccio destro pendeva inerme al fianco della cavia da laboratorio, Shadow intuì che fosse rotto. Il rigonfiamento del gomito, e un altro a metà dell’avambraccio fu la conferma. Doppia frattura.
I tremiti che di tanto in tanto scuotevano quell’essere lasciavano trapelare che stesse piangendo. A giudicare dalle condizioni del braccio, e degli altri lividi, aveva tutte le ragioni per farlo.
Pelliccia grigio-bianca, chiazzata di metallo, sulla spina dorsale e sugli arti. Non sulla testa. Il tutto, ovviamente, rigato da rosse scie di sangue, quasi interamente secco.
Gli occhi di Shadow si assottigliarono, mentre il suo cervello elaborava quell’immagine, in cerca di tutte le possibili spiegazioni.
Quel poveretto aveva combattuto, e le aveva prese di santa ragione. Contro chi? Shadow non s’era scontrato con lui, quindi doveva essere stato qualcun altro. La creatura era forse fuggita dal laboratorio? Oppure aveva dovuto combattere contro … qualcos’altro? Che gli scienziati stesser insegnando alle loro creazioni a lottare? O era “solo” una punizione?
Non potè fare a meno di provare dispiacere per quell’essere, là dentro. Non doveva essere facile.
Ancora per poco, dai. Poi farò saltare tutto e non soffrirai più.
Avanzò ancora, mentre un fastidioso mal di testa cominciava a trapanargli il cranio. Shadow inizialmente non ci fece molto caso. E, in seguito, se ne pentì.
Nella seconda cella una bizzarra catena, puntata verso il soffitto contro tutte le leggi di gravità, si muoveva freneticamente in cerchio, in senso orario, a notevole velocità.
Shadow rimase perplesso, a quella vista, chiedendosi che razza di creatura potesse essere mai quella. Quando si avvicinò al vetro, il moto della catena si immobilizzò all’istante, rimanendo ferma il più vicino possibile alla finestra-specchio, come in attesa, come se stesse studiando chi fosse quel tizio di fuori.
Una cosa era certa: qualunque cosa fosse quella legata all’altro capo di quella catena, aveva dei sensi spaventosi.
Un piccolo altoparlante situato a fianco del vetro, che prima Shadow non aveva proprio notato, impostato sulla modalità ON, riprodusse il fischio viscido e gutturale della cavia attaccata al soffitto. Un ringhio minaccioso che, sebbene disarticolato, non faticava a trasmettere il suo messaggio di minaccia.
E il mal di testa di Shadow aumentò di diversi gradi, tanto da fargli stringere i denti.
Lo conosceva, quel dolore. Lo aveva già provato molte, molte volte, specialmente negli ultimi tempi: era il dolore causato da un ricordo che lottava per riemergere.
Piano piano, in tutti gli anni passati con Sonic e gli altri, circa i due terzi dei suoi ricordi risalenti all’ARK era tornato (anche grazie a Black Doom, per quanto gli dispiacesse ammetterlo). Quindi, ora, poteva affermare di avere un quadro piuttosto completo ed esauriente del suo passato, almeno per ciò che riguardava le parti più rilevanti. C’erano ancora macchie oscure, di amnesia, qui e là, e di tanto in tanto, qui e là spuntavano nuove sorprese, come quella.
Si diede del cretino per non aver riconosciuto prima quel dolore alla testa. E, ovviamente, proprio lì, in quel posto e in quel momento, la sua memoria doveva comunicargli nuove scoperte! Digrignò i denti, ignorando caparbiamente il pulsare pungente che gli tuonava tra le tempie.
Controllò la mappa. Il generatore non era più così distante. In fondo a quel corridoio, poi a sinistra, a destra, dritto per un tratto e a sinistra di nuovo.
Guardando lo schermo, intravvide con la coda dell’occhio una minuscola lucina rossa risplendere sopra all’altoparlante di quella terza cella di contenimento, impostata sull’OFF. Alzò piano gli occhi, e ciò che vide oltre la finestra unilaterale gli riaccese in tutta la sua forza il mal di testa che era appena riuscito ad ignorare.
La stanza era d’un bianco abbagliante, come le altre due, ma, in questo c’era anche un grosso e robusto tavolo, con una capsula colma di liquido viola appena dietro. Furono principalmente tre le cose che Shadow notò.
Il rosso del sangue sotto ai piedi dei chirurghi all’opera.
Le scintille causate dal metallo sotto lavorazione accanita.
Le mani della vittima, strette a pungo, che tiravano con forza mostruosa i lacci che tenevano il corpo legato al tavolo operatorio.
Giusto appena Shadow incrociò gli occhi grondanti di dolore di Teta. Giusto appena notò le sue mascelle spalancate in un grido muto, soffocato all’isolazione sonica di quella stanza.
Sentì la propria mente catapultata all’indietro, nel suo oblio personale. Percepì la coscienza del proprio corpo ben lontana dalla sua possibilità di controllo, sentì l’equilibrio venire a mancare. Provò lo sbilanciamento, la sensazione di stare per cadere, ma non potè fare nulla per rimediare. Come se qualcuno avesse tagliato i cavi che connettevano la sua mente al resto del suo corpo. Ebbe tutto il tempo per formulare una lunga e variopinta imprecazione. Ma ora deveva succedere?
Mentre si sentiva cadere di lato, contro il muro, la sua mente per definitivamente contatto con il resto di sé, e i suoi occhi si misero a guardare una scena già vista, cinquant’anni prima.
 
La mano di Gerald Robotnik sulla sua spalla era pesante. Camminava, e sapeva verso dove.
Dietro, i passetti slanciati in corsa di Maria li stavano raggiungendo. –Nonno!- gridò. –Non puoi farlo! Non è giusto!-
Il sospiro dell’uomo lasciò chiaramente intendere tutto un dolore non espresso. Non si fermò, però rallentò l’andatura. –Lo so che è una cosa brutta, tesoro mio.- disse, a voce bassa. –Ma va fatto.-
-No!- gridò invece Maria, gettandosi sul braccio del nonno, separandolo da Shadow. –Gli farà male!-
Gerald socchiuse gli occhi. –Temo sia inevitabile, piccola mia.-
Lo sguardo color primavera di Maria si tinse di lacrime. –No!- gridò ancora, insistendo. Indietreggiò, allontanando ancora un po’ Shadow dal nonno.
Lo scienziato sospirò, piegandosi sulle ginocchia fino a scendere all’altezza di Maria. La guardò negli occhi. –
-Ci sono …- cominciò lui- …dei controlli che dobbiamo fare. Per vedere se va tutto bene.-
Lo sguardo di Maria si fece ostile. –L’altra volta hai detto che lo volevate studiare, invece!-
Gerald non mosse un muscolo facciale. –Lo dobbiamo studiare per vedere se va tutto bene in lui.- disse lo scienziato.
Agitazione, Shadow provava agitazione. Preoccupazione, nel vedere Maria così spaventata.
Che gli esperimenti fossero una cosa cattiva s’era già capito. Ma vedere Maria così alterata … gli dava quasi le vertigini, si sentiva nello stomaco la sua paura. Deglutì, spostando lo sguardo da uno all’altro. Voleva che la smettessero.
Maria scuoteva la testa. –È una persona, sai? Non puoi fargli questo.-
Il nonno esitò, prima di parlare, con voce solenne e profondamente sincera. –Credimi, tesoro mio, lo so. Lo so quanto voi due siete legati. E so anche che lui è una persona, sebbene non umana. Devi fidarti, se ti dico che non lo farei se non fosse più che necessario. Va bene?-
Maria si mordicchiò un labbro. Spostò lo sguardo su Shadow. –Prometti, nonno- disse invece lei. –Prometti che questa sarà l’ultima volta.-
La bocca dello scienziato si stiracchiò in un triste sorriso. –Sarà l’ultima volta, hai la mia parola.- strinse la manina candida della nipote. –Promessa solenne.- concesse.
L’espressione di Maria però non si rilassò, giusto un mezzo sorriso come ringraziamento, accompagnato da una lunga, intensa occhiata, di quelle irresistibili che solo lei sapeva dare. Poi si voltò verso Shadow. –Ha detto che questa è l’ultima volta.- gli disse.
Il riccio continuava a guardarla, cercando di capire bene cosa stesse succedendo. Per lui, quel mondo, quelle persone, funzionavano ancora troppo rapidamente. Doveva ancora impratichirsi un po’.
Maria, senza preavviso, l’abbracciò. –Poi, quando sarà tutto finito, ti leggerò una storia, va bene? Sì, leggeremo una storia e guarderemo alcuni bei libri con delle grandi immagini. Tu, in cambio, devi resistere ancora quest’ultima volta, va bene?-
Shadow annuì piano. Ovvio che avrebbe resistito, sapeva di poter sopportare ben altro senza alcun problema. Solo, a rimanerci male era lei, non lui.
Si separarono. Shadow e Gerald da una parte, Maria ferma in mezzo al corridoio, lasciata fuori dalla porta, davanti alle lunghe finestre, nelle quali la via lattea scintillava in tutto il suo gelido bagliore.
In tutta sincerità, Shadow dovette confessare che quella stanza cominciava davvero a stargli antipatica. Lì lo osservavano, lo studiavano e tal volta …
 
Shadow ritornò nel proprio corpo, ritrovandosi in ginocchio, senza sapere esattamente come c’era arrivato in quella posizione. Riconquistati muscoli e membra, riuscì in un qualche modo a tirarsi su in piedi, appoggiandosi poi contro la parete. Rimase in quella posizione, schiena al muro, respiro ansante, con in petto ancora il dolore vivo di ciò che era seguito subito dopo l’interruzione del ricordo. Gli era già capitato altre volte, di rivedere alcuni esperimenti che l’avevano avuto come protagonista. Ma non aveva mai notato il fatto che a Maria la cosa mettesse una tale angoscia.
Ecco, oltre la testa, che faceva male per il ricordo riesumato, gli doleva pure la pelle, in ricordo di quei bei momenti passati in laboratorio, e il cuore, per aver rivisto di nuovo quegli occhi troppo limpidi.
Rimase ancora un po’ lì, badando bene a non voltare la testa verso il nemico della sua ultima battaglia, intento a pagare il prezzo delle ferite subìte.
-Shadow!- l’urlo di Rouge per poco non gli divelse un timpano. Sobbalzando, rispose alla chiamata.
-Sì?-
-Che accidenti stavi facendo?! T’ho chiamato due volte! Ma tu non mi rispondevi!-
Il riccio sospirò. Che dirle? Optò per rimanere sul vago. –Non era il momento adatto per poter parlare.-
Intanto, all’interno della cella, il muso di Teta, sotto i ferri, si voltava un po’ troppe volte verso il vetro, il naso fremente, le orecchie puntate, oltre i suoi aguzzini.
-Va tutto bene?- chiese di nuovo Rouge, la voce preoccupata.
-Sì!- ringhiò in risposta Shadow. Realizzò solo dopo che il tono che aveva usato era forse un po’ troppo brusco per la situazione.
Il silenzio indignato della pipistrella lo costrinse a non chiudere lì la conversazione. –Ti stai avvicinando al database?-
-Ci sono quasi.- confermò lei. –Tu?-
-Anche. Manca poco.-
Un rumore di passi mise Shadow in allerta. –Arriva qualcuno. Chiudo.- spense la conversazione. Guardandosi attorno. La testa ancora non gli funzionava bene del tutto, e l’equilibrio ancora non era ottimale. E i passi si avvicinavano dal corridoio che si univa a quello, poco più avanti, oltre la quarta finestra. Shadow si chiese, per un istante, chi mai ci fosse là dentro. Ma non ebbe il tempo materiale per elaborare quell’informazione. Il presente esigeva maggiori e più urgenti attenzioni.
La verità era che lui si trovava completamente esposto, al centro di un corridoio, con la testa in fase ancora disastrata, e con dei passi in avvicinamento rapido. In tutta onestà, dubitò anche di potersi mettere semplicemente in piedi senza il muro di sostegno.
Perfetto, ringhiò. Immobilizzato, in piena vista, senza potersi muovere. Per un attimo pensò anche di usare il Chaos Control e andare a nascondersi, per un attimo, nella cella del primo individuo, quello più malconcio, che, tanto, di sicuro non poteva rappresentare una minaccia, anche se lui era in stato confusionale.
I passi erano sempre più vicini, e l’idea abbozzata era sempre più allettante, quando il ricordo di prima riemerse di nuovo, allagando completamente le facoltà del riccio, che scivolò via di nuovo da sé stesso.
Si sentì accasciarsi contro il muro, e il flash back gli invase il campo visivo e quello percettivo.
La bruciante fretta della situazione presente, andò a cozzare brutalmente contro la tranquillità e la dolcezza del passato. E Shadow dovette arrendersi e lasciare che accadesse ciò che doveva accadere, sperando solo che il ricordo finisse velocemente.
 
Gli faceva male tutto, ogni singola cellula, ogni fibra. Maria l’aveva aspettato davanti alla porta del laboratorio per tutto il tempo. Non era riuscita ad allontanarsi, come se dovesse stargli il più vicino possibile, condividere con lui la brutta avventura e sostenerlo appena terminata. Erano andati in stanza sua.
Ed ora Shadow si trovava seduto sul letto di Maria, con lei seduta affianco, avvolti entrambi dal soffice piumone. Un grande libro illustrato era depositato sulle ginocchia della ragazzina.
Si sentiva bene, nonostante il dolore che andava e veniva. Con Maria accanto non si poteva non stare bene. Shadow, più che sul libro, era concentrato sulla presenza di lei, la sua rincuorante, rassicurante presenza. Si accoccolava al suo calore, rilassandosi completamente, lasciando scivolare via il calore. Solo lei, solo Maria. Nient’altro.
-Vedi?- disse la ragazzina, con gentilezza, puntando il dito sulla pagina. –Questa qui è una zebra. C’è scritto che vive in Africa. Quel continente a forma di triangolo che vediamo sempre dalla finestra ogni pomeriggio, l’hai in mente?- Shadow annuì stancamente. Il manto assurdo di quell’animale lo confondeva, come se non lo fosse già abbastanza di suo. E perché diamine un cavallo doveva avere quel colore improponibile?
-Non è bellissimo?- esclamò invece Maria, tutta affascinata.
Shadow la guardò, interrogativo. Le piaceva davvero?
-A te non sembra?- chiese lei, stupita. –Io lo trovo simpatico. Voglio dire, non sarebbe divertente essere a strisce, così?-
-Io delle strisce bianche non le vorrei …- disse piano Shadow.
Maria rise. –In effetti, il rosso di dona di più. Non ti ci vedrei in bianco.-
-Neppure io.-
La pagina venne voltata, e le zebre sparirono. Solo per venire sostituite da un animale che, invece del codice a barre, aveva sul manto il più pazzesco manto a pallini che Shadow avesse mai visto.
-Leopardo, si chiama.- spiegò Maria, sorridendo.
Sorrise anche lui, lasciando che la stanchezza gli facesse appoggiare la testa sulla spalla di lei. Gli occhi cominciarono a chiudersi, mentre la voce di Maria raccontava vita, morte e miracoli di quel gatto troppo cresciuto dal pelo dipinto.
 
Il ricordo finì, Shadow si riprese. Sempre schiena contro il muro, si portò una mano alla testa. Questa volta, aveva fatto male davvero, anche per i suoi canoni. Alzò lo sguardo, ricordandosi che qualcuno si stava avvicinando e che lui doveva sbrigarsi ad andarsene.
Purtroppo, era rimasto nel suo limbo personale troppo a lungo.
Il largo sorriso di James Herron lo salutò.
-Ma guarda- ghignò l’uomo. –Non pensavo proprio che avremmo avuto un ospite. Te meno degli altri.-
Shadow lo fissò, imponendosi di staccarsi dal muro.
Non disse nulla, rimase semplicemente in silenzio a guardare i due nuovi venuti.
Erano in due. Quell’uomo, che pareva atteggiarsi a gran capo, e una donna, completamente fuori posto in quell’ambiente. Aveva due occhioni terrorizzati, puntati su di lui come se le fosse apparso il Diavolo in persona. Aveva un che di innocente. Dalla targhetta che aveva appuntata sul petto, come quelle degli inservienti, scoprì che si chiamava Lucy Kann.
Shadow imprecò mentalmente, valutando il modo più rapido e silenzioso per togliere di mezzo quei due.
 
 
La faccia di Amy era di un colorito spaventosamente verdognolo, ed era ostinatamente rivolta verso destra, mentre quegli altri due idioti che erano venuti là con lei guardavano affascinati il contenuto organico di quella specie di provetta gigante, conficcata tra il pavimento e il soffitto, una delle molte decine che c’erano nella sala, tutte con lo stesso ripugnante contenuto.
Forse, con molta fantasia, avrebbero potuto assomigliare delle persone, ma si doveva fare lo sforzo di immaginare un essere vivente senza pelle, senza muscoli e senza ossa.
Ed Amy si era già pentita cento volte di essere venuta.
Insomma, un cervello, con nervi vaganti sparsi ovunque, situato in cima a dei polmoni, allo stomaco, al fegato, all’intestino, il tutto avvolto da migliaia di sottilissimi tubicini rossi, detti comunemente vene o arterie, non era un bello spettacolo. Era rivoltante, specialmente se si calcolava che gli occhi, incastonati subito davanti al cervello, fissavano Sonic e Knuckles ricambiando la stessa curiosità.
-Non sapevo che lo stomaco avesse quel colore.- commentò acido Knuckles.
Sonic distolse lo sguardo, raggiunto il proprio limite. –Neppure io.-
-In ogni caso, dove accidenti siamo finiti?- sbottò Amy, sguardo fisso a terra per non vedere cose che le sarebbero sicuramente rimaste impresse a vita.
-Nella casa del creatore di Frankenstein.- le rispose Sonic.
Ecco, come suo solito, quando la situazione era insostenibile, Sonic attivava questa sorta di sua “autodifesa”, cioè l’ironia. Ridere per non piangere, insomma. Sdrammatizzare lo sdrammatizzabile, e non badare troppo alla cruda realtà. Cioè che si trovavano in una vera e propria fabbrica di mostri. O almeno, quella pareva essere una delle prime tappe della catena di montaggio: l’assemblaggio dei singoli organi in un sistema più ampio capace di sopportare la vita.
-È un esercito!- commentò Knuckles.
-Ma James mi aveva detto che soltanto tre di tutte le creature sviluppate sono effettivamente sopravvissute.- disse Sonic.
-Vuol dire che tutte queste decine di … ehm … organismi viventi moriranno?- domandò Amy. Le facevano pena, molta, meri giocattoli nelle mani di gente che si atteggiava a divinità.
-Probabile.- le rispose Sonic.
-È sicuro.- lo corresse Knuckles. -
Cadde uno strano silenzio, interrotto solo dai suoni liquidi provenienti dalle varie capsule, ognuno immerso nei propri pensieri.
Uno strano ragionamento attraversò la mente di Amy. Non aveva potuto fare a meno di notare la poca somiglianza che c’era tra l’ARK e quel posto. Quindi, Shadow non era stato creato a quel modo, giusto?
Ripresero a muoversi, verso dove non ne erano sicuri, ma stare fermi era peggio. Specialmente lì.
Improvvisamente, il passo di Sonic si fece più teso.
Knuckles non tardò a fare lo stesso.
Amy, dopo un primo attimo di confusione, aguzzò pure lei i sensi, ma non percepì nulla. –Ragazzi?- chiese, tenendosi pronta ad evocare il suo fidato martello.
Sonic incrociò lo sguardo con lei. –Qualcuno ci segue.- bisbigliò.
Amy, sapendo ora cosa cercare, si concentrò sul suono dei passi. Loro erano in tre, ma quattro erano le paia che si sentivano, ascoltando bene.
-Sta’ calma.- le sussurrò di nuovo Sonic, notando che la riccia rosa era quasi sull’orlo del panico.
-Ma chi ci potrebbe mai seguire in un posto del genere, eh?- la sua vocetta era particolarmente stridula.
-Farankenstein, appunto.-
-Sono seria.-
-Anch’io.-
La ricetrasmittente che li teneva in contatto con Tails sfrigolò, in cerca di campo.
-Ehi, ragazzi? Vi manca ancora molto? Sapete, io, qui, avrei un problemino …-




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Non so voi, ma a me capita che, scrivendo una storia, più si procede con i capitoli più la stesura diventa semplice. Si prende famigliarità con i personaggi, con l'ambiente, con la trama stessa. Sciaguratamente per me, in questa fic accade l'esatto opposto. Più si procede, più diventa impossibile da scrivere. Mai patito così tanto per una sola, semplice fic!
E pensare che avevo tutt'altri piani per questo capitolo! Ma la realtà effettuale della cosa s'è rivelata dannatamente diversa :/
Dunque, non solo ho dovuto cambiare la mia idea originale e rimandare buona parte degli eventi di un intero capitolo (come per esempio l'indagine di Shell, o la sventura di Eta, già accennati alla fine dello scorso capitolo), ma pure ho dovuto spezzare in due parti ciò che in origine avrebbe dovuto strare tutto insieme in un unico blocco! Diventava troppo lungo, sennò. 
Insomma, ci sono rimasta un po' male ^_^' Ma succede sempre così, quando la realtà finisce per non combaciare con le proprie idee ... vabbè, vorrà dire che a voi toccherà sorbirvi un capitolo in più, e attendere ancora un po' per conoscere il seguito delle vicende di Eta e Shell. 
Chiedo scusa, ma più di questo non ho potuto fare.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto comunque.
Spero anche di riuscire a farvi avere entro breve la seconda parte, ma non prometto nulla. L'ultimo anno di liceo esige il suo tributo di sangue, per gli esami di maturità, e mi tocca davvero mettermi a studiare :/
dunque, abbiate pazienza (e pietà) per la sottoscritta ^.^' 
alla prossima!
 
 
  
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