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Autore: Apricot93    02/05/2014    1 recensioni
[SPOILER 2x07]
Arrivata a casa chiusi la porta alle mie spalle e cominciai a salire le scale, mi sarei buttata a peso morto sul letto, al buio, compatendomi per la mia idiozia in un mare di lacrime... E invece mi bloccai dopo pochi gradini....
«NO. Stavolta no. Non farò due volte lo stesso errore, voglio un'altra possibilità» mi dissi in un motto di entusiasmo.
Mi voltai di scatto ripercorrendo a ritroso la strada fatta solo pochi minuti prima, dovevo parlare con Finn, dovevo risolvere una volta per tutte la situazione...
Aprii la porta ritrovandomi di nuovo sotto la pioggia, la mente ridotta a una matassa di pensieri confusi, volevo trovare le parole giuste, essere chiara, scusarmi.
E se se ne fosse già andato? Dio, speriamo di no, speriamo che...
«Rae... Dove stai andando?» sussurrò una voce a pochi passi da me.
Mi bloccai impietrita riconoscendolo all'istante. Finn era lì, sotto la pioggia, davanti a me. Improvvisamente nella mia testa piena di parole, il vuoto.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archie, Chloe Harris, Finn Nelson, Kester, Rae Earl
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Capitolo 6: Questione di tempismo


Se ogni momento della vita avesse un titolo, questo sarebbe sicuramente "L'attesa", quante volte mi era già capitato nelle ultime settimane?
Avevo passato più tempo nei corridoi dell'ospedale che in qualunque altro posto. Prima Tixie, poi mia madre, ora Liam, mi guardai intorno cominciando a trovare quei luoghi pericolosamente familiari. Chiudendo gli occhi avrei potuto prevedere ogni rumore, ogni odore, qualche voce perfino. Sarebbe stato inquietante senza la compagnia di Archie. Chissà come stava Liam adesso...
«Ma voi due siete ancora qui?» disse Kester interrompendo i miei pensieri, sorpreso, trovando me ed Archie seduti davanti alla porta del suo studio. Erano passate più di due ore ormai dal nostro arrivo in ospedale, e stavo cominciando a pensare che fossero stati inghiottiti da qualche buco nero.
«Ho promesso a Liam che l'avrei aspettato» risposi, «sta meglio adesso?».
Kester sorrise rassicurante «sì, sta molto meglio, tra una decina di minuti potrà tornarsene a casa» disse. Portò dei fogli in segreteria, poi richiuse di nuovo la porta della stanza alle sue spalle dopo averci dato un'ultima occhiata incuriosita.
Ancora in attesa. Per fortuna avevo potuto contare sulla presenza di Archie, era rimasto insieme a me per tutto il tempo. Dopo quelle imbarazzanti confessioni iniziali avevamo continuato a chiacchierare di tutto e niente e bevuto vagonate del tè insipido del distributore. Ero felice di averlo lì, molto, ma sapevo anche che probabilmente Liam si sarebbe imbarazzato trovando anche lui.
«Archie puoi tornare a casa se vuoi» dissi «non è più necessario che tu rimanga qui. Hai sentito Kester».
«Non vuoi che vi accompagni a casa?» domandò premuroso, guardandomi dritto negli occhi per assicurarsi che gli dicessi la verità.
«Penso che fare quattro passi ci farà bene. Dopo una mattina come questa un po' d'aria fresca è quello che ci vuole» conclusi con convinzione.
Ci pensò su un attimo, poi si alzò, prese la giacca, e mi abbracciò forte «ok allora, ti voglio bene Rae, ci vediamo domani» mi sussurrò all'orecchio.
«Anch'io Arch, tantissimo, grazie ancora di tutto». E lo vidi andare via.

Erano passati solo pochi minuti quando finalmente la porta dello studio di Kester si aprì di nuovo, stavolta fu Liam a fare capolino.
Aveva l'aria stanca, un' espressione corrucciata, ma per fortuna stava bene. Tirai un sospiro di sollievo poi andai ad abbracciarlo.
«Stai bene?» gli chiesi, preoccupata.
«Sì» rispose «grazie per essere rimasta» disse abbracciandomi forte.
Kester arrivò un attimo dopo, salutò Liam rivolgendo uno sguardo d'intesa a me, poi si incamminò per il corridoio chiacchierando con un collega.
«Andiamo» disse Liam con una certa fretta «non vedo l'ora di essere fuori di qui» e mi tirò una manica della giacca.
Fuori il cielo sereno della mattina aveva lasciato il posto a una serie di nuvoloni neri poco rassicuranti, era mezzogiorno passato quando uscimmo dall'ospedale.
Liam inspirò profondamente una boccata d'aria fresca «andiamo prima che inizi a piovere», disse dopo aver lanciato un'occhiata al cielo.

Adesso che era di nuovo in sé, o almeno così sembrava, Liam aveva riacquisito quella sicurezza di facciata che tanto mi aveva incuriosita di lui all'inizio. Camminava a passo svelto in silenzio, buttando un occhio di tanto in tanto nella mia direzione per assicurarsi che non rimanessi indietro. Non aveva alcuna voglia di fare conversazione, era evidente, ma non mi importava.
«Allora, cos'è successo?» chiesi rompendo il silenzio.
Mi lanciò un'occhiataccia con l'espressione strafottente di sempre «cosa pensi che sia successo?» disse con aria di sfida, «non è la prima volta, no? Lo sai bene anche tu» rispose seccato.
«Sì, ma stavolta mi sono preoccupata sul serio, sembrava che niente riuscisse a calmarti, perché?» continuai «sai che puoi parlarne con me, chi potrebbe capirti meglio?».
«Rae è così e basta!» gridò, «a volte comincio ad avere la mente affollata di pensieri, e puff, vado fuori di testa. Il resto lo sai» tagliò corto.
«Non avresti dovuto mollare la terapia. Ci tornerai, vero?» chiesi insistendo, nonostante lo vedessi sempre più innervosito.
A quelle parole si fermò, mi guardò dritto negli occhi e strinse i pugni «Rae, quello che devo o non devo fare non è affar tuo» chiarì, visibilmente arrabbiato «ti ringrazio per avermi accompagnato in ospedale, e ti ringrazio per essere rimasta con me, l'ho apprezzato moltissimo, ma ....»
«Beh non sembra proprio!» lo interruppi alterata senza lasciarlo terminare la frase.
«Perché vuoi trovare spiegazioni e soluzione dove non ce ne sono?!» tuonò. «So come sono fatto, conosco i miei problemi, stamattina ho avuto una discussione con mia madre che mi ha innervisito più di quanto non fossi già, e le conseguenze le hai viste. Ora per favore smettila di farmi il terzo grado» concluse ricominciando a camminare.
Non c'era apertura da parte sua, qualsiasi cosa avessi detto in quel momento l'avrebbe presa come una sfida. Iniziai a sentirmi frustrata e in colpa mentre pensavo che forse avrei fatto meglio a farmi gli affari miei quella mattina. Poi sentii la sua mano prendermi il braccio.
«Mi dispiace Rae» disse rivolgendomi uno sguardo amareggiato, «non volevo aggredirti, è che ho un pessimo carattere... Senza di te stamattina non so proprio come sarebbe andata a finire. E anzi ringrazia anche il tuo amico da parte mia».
«Archie» puntualizzai, stavolta senza alzare la voce.
«Archie» confermò lui «siete stati in gamba... Non che ne sia particolarmente sorpreso» ammise in fine.
Liam continuava a camminare con lo sguardo rivolto a terra, sembrava triste adesso, niente a che vedere con la spocchia dimostrata pochi minuti prima. Avrei voluto aiutarlo, avrei voluto spronarlo a cercare delle soluzioni, ma sapevo fin troppo bene che niente di quello che avrei potuto dirgli avrebbe cambiato le cose. Conoscevo il suo pensiero, sapevo quanto poco credesse nel cambiamento, e come si ancorasse all'idea di poter convivere con quella versione di sé stesso.
«Perché tua madre ce l'aveva con te?» chiesi poi, ripensando alle sue parole.
Mi lanciò uno sguardo rassegnato «è per mio padre» ammise, «lui è andato via di casa quando avevo più o meno 12 anni. Mia madre non l'ha mai accettato, di tanto in tanto si sfoga con me, è il suo modo per scaricare i nervi» mi rivelò ironico.
«Mi dispiace molto» risposi abbracciandolo. Ormai eravamo arrivati davanti alla porta di casa sua.
Dal giorno in cui avevo chiarito la natura del nostro rapporto non avevamo più toccato l'argomento, eravamo amici e basta, glielo avevo detto ed era la verità, amavo Finn, tutto qui. Per questo rimasi così stupita quando improvvisamente mi baciò. Fu un attimo.
«Ma che fai?!» dissi scansandolo di botto dopo che le sue labbra avevano toccato le mie.
Liam sembrava sorpreso «perché? Rae io e te siamo uguali, non c'è niente di più giusto di questo» disse avvicinandosi ancora.
«No, invece!» lo respinsi di nuovo. «Liam ho un ragazzo adesso, ti voglio bene, ti voglio bene davvero, ma come amico, niente di più» chiarii.
«Ah sì, il tuo ragazzo, vi ho visti al parco qualche giorno fa» mi assecondò ironico. «Rae quel tipo non ha niente a che fare con te, siete due mondi troppo diversi. Non potrà mai capirti come ti capisco io, né tantomeno accettarti per quello che sei davvero» continuò fissandomi dritto negli occhi, «con lui passerai il tuo tempo cercando di aggiustare il tiro, sperando di non dire o fare la cosa bagliata. Lo sai che è così, scommetto che già lo fai» insinuò.
Ero ferita da quelle parole, ferita e amareggiata da tanto astio immotivato «non è così» risposi, glaciale. «Finn non è quel tipo di persona, lui mi ha sempre vista per quello che sono e mi ha accettata. Capisco che ti senta spaesato adesso, ma non hai il diritto di mettere bocca su cose di cui non sai nulla» e su persone di cui non sai nulla, pensai.
«Se vuoi complicarti la vita a tutti i costi...» disse ridacchiando, un'altra volta strafottente.
Non c'era possibilità che capisse in quel momento «vado a casa, prenditi cura di te» conclusi voltandogli le spalle.

Stranamente quelle parole non mi avevano colpita come sarebbe successo in passato. Ero sicura di me, ero sicura di Finn, la realtà che stavo vivendo quotidianamente con lui non si avvicinava nemmeno lontanamente alle parole di Liam. È vero che gli avevo tenuto nascoste molte cose, ma non perché avessi paura di essere respinta.
Avevo deciso di non tornare subito a casa e concedermi invece una passeggiata al parco, mi piaceva andare in giro in quelle giornate incerte, e la pioggia che leggerissima cadeva di tanto in tanto non mi dava alcun fastidio. Mi sentivo bene, mi sentivo capace di fare tutto, in qualche strano modo che non riuscivo a spiegarmi la discussione con Liam mi aveva fatto bene. Respingere le sue insinuazioni mi aveva resa più sicura. Ed ero felice, mi sentivo fortunata.
Erano le due passate quando arrivai a casa, davanti alla porta, seduto su uno scalino, c'era Finn.
Mi venne incontro col passo incerto e la caviglia fasciata, ma stava decisamente meglio di due giorni prima. Un sorriso comparve automaticamente sul mio viso.
«Ehi straniero» lo salutai «come stai?». Lui mi sorrise, rispondendo alla mia domanda con un bacio «va meglio vedo» constatai.
«Sì, oggi va meglio, sono ancora dolorante ma riesco a camminare, vedrai che tra un paio di giorni sarò di nuovo in campo» dichiarò fiero ridacchiando.
«Certo, l'altra caviglia sarà invidiosa immagino!» dissi prendendolo un po' in giro. Aveva i capelli appena bagnati dalla pioggia «sei rimasto qui fuori per molto?» chiesi.
«No, solo pochi minuti» rispose «dove sei stata finora piuttosto?».
Gli avrei raccontato di Liam e di quella strana mattina, ma pensai che non fosse quello il momento giusto per farlo. Non volevo rovinare il clima disteso e felice tra noi per niente al mondo «al college, come sempre» risposi.
Finn mi guardò negli occhi, con quei dolci, bellissimi, profondi occhi nocciola, e mi baciò di nuovo «devo andare ora, avevo detto a mio padre che sarei passato 2 minuti a salutarti» sembrava quasi di fretta adesso.
«Ma no aspetta ancora un po', sono qui da 5 minuti» dissi prendendogli la mano. In quel momento però il suo sguardo si fece diverso, indefinibile, non so esattamente cosa fosse cambiato, quel che è certo è che il sorriso lucido e sereno di qualche minuto prima sembrava come sparito all'improvviso. E non capivo perché «cosa c'è?» domandai avvicinandomi a lui.
«Niente» sorrise «la caviglia comincia a darmi qualche problema. Vado davvero» E lo vidi allontanarsi sul viale.

Etrai a casa con una strana sensazione addosso, non ero preoccupata o nervosa, ma sentivo di essermi persa qualche passaggio in quei 5 minuti fuori «naaaa sono troppo paranoica» dissi tra me e me.
«Rae sei tu?» mia madre doveva avermi sentita entrare, ero convinta non ci fosse.
«Sì, mamma» dissi raggiungendola in cucina, era intenta a preparare la cena, «pensavo saresti tornata più tardi».
«No, Karim doveva lavorare» rispose, «come sta il tuo amico? Quando mi hai chiamata stamattina mi sono preoccupata» disse distogliendo per un attimo lo sguardo dalla pentola.
«Sta bene, sta bene, per fortuna si è sistemato tutto» la rassicurai.
«Meno male. Hai incontrato Finn?» mi chiese così, dal nulla.
La guardai evasiva «come dici?».
«Finn. È uscito da qui 10 minuti fa, l'hai visto?» ribadì.
Che strano, avevo capito che mi avesse aspettato fuori «sì, l'ho incontrato... ma è rimasto qui per molto?» domandai, cominciando a sentirmi nervosa.
«Mah un quarto d'ora, forse qualcosa di più» rispose tra un assaggio e l'altro, «gli ho preparato un thè e l'ho fatto accomodare, poverino stare in piedi con quella caviglia sarà fastidiosissimo. Anche lui si è preoccupato per il tuo amico quando gliel'ho detto» sganciò la bomba atomica, inconsapevole. «Ma gli ho spiegato che c'era anche Archie con te» concluse, senza immaginare minimamente cosa fosse appena successo. La lascia ai suoi fornelli, spaesata.
Merda. Merda. Merda, merda, merdaaa!!! Ecco cos'era, ecco perché tutto d'un tratto era diventato serio prima. Lui sapeva! Gli ho mentito e lui lo sapeva! O mio Dio. Sa anche che Archie era con me...
Mi chiusi in camera mia cominciando a massaggiarmi le tempie, cercavo di respirare profondamente «devo calmarmi, devo ragionare lucidamente» continuai a ripetermi.
Ma inutilmente, un attimo dopo mi precipitai in strada. Con la caviglia malandata avrebbe camminato di sicuro più lentamente, forse potevo farcela, forse sarei ancora riuscita a raggiungerlo. Corsi più veloce che potevo continuando a guardarmi intorno nella speranza di vederlo apparire, ma nonostante andassi avanti di lui non c'era più traccia.
Perché ci avevo messo tanto ad uscire?? Perché mia madre gli aveva raccontato di Liam?? Perché era venuto a casa mia??
.....«Perché sono stata così stupida??» chiesi a me stessa.

   
 
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