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Autore: LonelyWriter    05/05/2014    1 recensioni
La lunga pace guadagnata nella terra di Labryn subisce una piccola scossa.
Ma anche attraverso la più piccola crepa, l'acqua si scava un fiume.
Erik è il primo a trovarsi coinvolto. Il destino mette a repentaglio tutto quello che più ama.
Krystal è ormai cresciuta, e le sue azioni tagliano il sottile filo che la manteneva legata alla società in cui viveva.
Qualcuno muove i fili di oscuri eventi che si moltiplicano sulla strada di una sfortunata compagnia di mercenari.
Nessuno di loro sa quanto in realtà siano legate le loro strade.
--
-“Io credo che...”-
-“Silenzio!”- Si scatenò la voce proveniente dalla maestosa figura, immersa nell’oscuritá.
-“Manderò qualcuno a fare il lavoro. Sicuramente cadranno con qualcosa di semplice.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Doveva fare qualcosa e doveva farlo subito. Pensó in fretta e si rialzó. Era caduta proprio sul guerriero, che aveva parzialmente attutito la caduta.
Superando il dolore, la giovane ladra corse tra le gambe della talpide, cercando di distrarla dalla facile preda dei compagni svenuti. La talpide abboccó all’esca e si giró
nella sua direzione. Diana la colpí al naso con la sua daga, tagliandone un pezzo. La bestia ruggí e la serró in un angolo. Stava per aprire su di lei le fauci quando si bloccò,
emettendo un verso lamentoso e si giró. Raven le aveva sferrato un fendente alla zampa con tutta la sua forza, tagliandola per metá e rompendo l’osso.
L’animale si giró nuovamente, debilitato. Il guerriero sferró un altro colpo, verticalmente, che aprí un taglio sul fianco della talpide. La creatura con un rapido movimento
prese tra i denti la spada di Raven, il quale non molló la presa e venne lanciato contro la parete del tunnel. Prima che la talpide potesse caricarlo si mise a starnutire violentemente
e ripetutamente. Anche Tarol si era ripreso e aveva buttato una polverina verde sulla grande narice ferita dell’essere. Gli saltó in cima e gli cavó un occhio con il suo coltello ricurvo.
Raven approfittó per arrivare da dietro la creatura e piantargli la spada nella colonna vertebrale. Rigiró con forza la lama e la bestia rimase immobilizzata.
Il trambusto cessó e solo si sentivano i respiri affannati dei compagni di viaggio. Raven sorrise all’elfo e a Diana.
 
-”Ce l’abbiamo fatta!”- disse.
 
-”Grazie ai Protettori”- sospiró Diana dolorante.
 
Risvegliarono il mago, che stava bene, era solo indebolito. Con una magia di levitazione risalirono il buco. I cavalli erano un po’ lontani ma c’erano tutti e tre.
Il cavallo bollito di Tarol era sul bordo del buco.
 
-“Accidenti il mio povero cavallo!”- Si lamentò l’elfo.
 
Ripresero la marcia e approfittarono del tempo vuoto per conversare.
 
-“Non mi piace quello che sta succedendo.”- Cominciò Raven.

-“Sono d’accordo,”- disse l’elfo -“So bene che i lupi mannari si manifestano solo tramite evocazione. Qualcuno ce li ha mandati contro.”-
 
-“Dovremo chiedere un po’ di spiegazioni in quanto torniamo da quel maledetto. Sempre che torniamo”- 
Obbiettò il mago, massaggiandosi la schiena, dove aveva ricevuto il colpo della caduta.
 
Calò un silenzio meditativo. 
 
-“Sì. Non penso sia una coincidenza che lupi mannari evocati ci incontrino giusto nel mezzo della foresta mentre andiamo in cerca di questa gemma.
Credo che chiunque l’abbia rubata non sia un banale ladro. Forse qualcuno ha scoperto che la gemma non è più al sicuro, e la vuole per lui.”- Disse Raven studiando la situazione.
 
-“Sono propenso per la seconda possibilitá.”- Enunciò il mago.
 
-“Cosa te lo fa pensare?”-
 
-“Se il grassone avesse saputo che un suo nemico aveva rubato la gemma, non avrebbe mandato noi a cercarla nelle montagne di Quilk. Probabilmente qualche birbante comune
ha effettuato un colpo fortuito, magari i Colobodi o qualche spia avrá informato a questo personaggio di aver trovato la gemma, o che fosse stata rubata.”- Spiegò.
 
-“Può essere. Vedremo cosa ci aspetta.”- Concluse il guerriero.
 
Quella sera giunsero alle paludi nere.
Davanti a loro si estendevano alberi contorti e oscuri che crescevano su un terreno putrido e maleodorante. Un luogo pericoloso, paludoso e punteggiato di sabbie mobili e
animali velenosi. Alcune leggende raccontavano di animali mitci e creature malvage che ospitavano quel posto desolato, ma nessuno aveva visto qualcosa per davvero.
Si narrava anche della cittá perduta, in vecchie pergamene e racconti, abbandonata a causa della palude cresciente, molti secoli addietro, piena di scritti e tesori,
e che ora ben pochi osavano cercare e che molti avevano dimenticato.
 
-“Accampiamoci. I cavalli sono provati dal deserto e noi pure. Domattina partiremo presto.”- Annunciò Raven.
 
Non fu facile dormire tranquilli, nonostante fossero molto provati. Raven rimase sveglio per ore, osservando con i suoi occhi azzurri il muoversi delle liane della palude
a loro limitrofa. Carezzava la spada, intuendo i pericoli a cui andavano incontro. Osservò la esile ragazza che dormiva con la testa poggiata sulla pancia dell’elfo dai capelli verdi,
pensando a come potesse un fiore dall’aspetto così delicato appartenere ad una compagnia tanto battagliera e dura. Eppure conosceva bene il suo passato.
Quella ragazza aveva la volontà di un toro. La sua espressione seria si accese di un sorriso malinconico. La ferita si stava rimarginando molto velocemente,
ed entro la mattina si sarebbe chiusa del tutto.
Con la coda dell’occhio notò che nemmeno il mago si era ancora addormentato. Come faceva molto raramente, si era tolto il cappuccio per avere un po’ più libertà.
I suoi capelli neri e corti erano radi come quelli di un anziano, e le sue occhiaie erano tanto marcate da notarsi anche da lontano. Non poteva apparire più lontano dal volto
del ventenne che era. Con un gesto istintivo il mago gli girò le spalle. Tutti nella compagnia conoscevano bene il suo volto, ma Pewar provava ancora l’istinto di coprirsi.
Raven non potè fare a meno di navigare nei ricodi del suo passato. Quando si addormentò, si trovò ancora una volta nelle terre desolate del nord, in mezzo al freddo,
alla neve ed al ghiaccio. Era giovane come i suoi compagni allora, anche di più. I suoi capelli corvini si dimenavano, sferzati dal vento gelido della tundra. Era una notte felice.
Aveva superato l’iniziazione, ed era un vero uomo. Era riuscito ad uccidere l’orso bianco, ed ora riposava beato nella sua folta pelliccia, indossando una collana di denti
che ancora sanguinavano. Sorrideva, ancora sveglio per l’eccitazione. Il volto duro di suo padre quel giorno brillava di orgoglio. Ma non sorrideva.
Avrebbe sorriso solo se Raven fosse stato vivo alla sua dipartita. Nessun padre deve vivere più di un figlio, gli aveva detto. Purtroppo suo padre gli sorrise qulla notte stessa.
Quando la tribù dei Tomak, loro rivale li attaccò, ci fu una battaglia tremenda. Raven uscì dalla tenda brandendo il suo spadone, pronto a combattere.
A pochi passi da lui suo padre strisciava sanguinante verso la tenda. Gli afferrò una caviglia, alzò lo sguardo, e gli sorrise. 
 
-“Và, figlio mio.”- Fu tutto quello che riuscì a dirgli prima di concedersi al sonno eterno.
 
Quella notte la spada del guerriero fu temprata nel sangue dei barbari Tomak.
I sopravvissuti si potevano contare sulle dita di un monco. Raven fu costretto ad abbandonare la sua terra.
Raggiunse le terre calde del sud e vi vagò per anni, conducendo una vita travagliata e misera. Solo l’affetto di quei due mascalzoni, Diana e Tarol,
avevano risvegliato in lui la fierezza del suo popolo. Fu così che riprese a combattere. Combatteva per chi gli aveva voluto bene, e per chi glie ne voleva ora.
Era l’unica moneta con cui poteva pagare un amore senza prezzo. Avrebbe volentieri speso la sua vita per il bene dei suoi compagni.

 
Si risvegliò ai primi raggi dell’alba. Osservò i suoi amici dormire ancora, ristorati da una notte sulla sabbia morbida.
La vicinanza con la palude aveva permesso alla temperatura di rimanere sufficentemente mite. Si rialzò, scrollandosi di dosso i granelli che gli ostruivano gli anelli dell’armatura
di maglia. Ben presto gli sarebbe mancata la sensazione di quella sabbia secca sulla pelle, pensò guardando la palude.
  
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