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Autore: Cass_Pepper    06/05/2014    6 recensioni
-Kadar!- il suo urlo era straziante –Kadar! Perché? Kadar! KADAR!-.
Si aggrappava spasmodicamente alle mie spalle, come se cercasse di non scivolare in un burrone.
Infilò la testa all'incavo del mio collo, con la faccia rivolta verso l’esterno, le ciocche rosse mi solleticavano la pelle del collo e le sue lacrime, scivolavano dalla spalliera per finire poi a bagnarmi la tunica.
-Perché, Altaïr? Perché lui...?- Non riuscì a finire la frase. Pianse ancora, singhiozzando, strinse più forte la presa, come se avesse bisogno di una prova che fossi lì, che non fosse sola.
Nella mia mente, la frase poteva avere un solo esito:
"Perché lui... e non tu?"
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Desmond Miles, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Assassin's Creed: I'm With You'
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16. In Your Eyes

La luce, il calore... Nei tuoi occhi.
Io sono completo... Nei tuoi occhi.
Io vedo la porta per un migliaio di chiese... Nei tuoi occhi.
La risoluzione, nei tuoi occhi, di tutte le mie infruttuose ricerche.
Io vedo la luce e il colore... Nei tuoi occhi.
Io voglio essere quella completezza... Nei tuoi occhi.
Oh, io voglio toccare la luce e il calore che vedo... Nei tuoi occhi.
Peter Gabriel – In Your Eyes₁




I suoi occhi si quietarono un poco, restando però accessi dalla lotta fra l’impazienza e la paura. Il verde brillava, illuminato dai raggi della luna e risplendete della luce propria che avevano sempre avuto.

Lasciò che le sfilassi la veste con delicatezza, sfiorandola appena con i polpastrelli e non saprei dire chi fosse più emozionato.
Lanciai l’indumento da qualche parte, senza curarmene, troppo preso ad osservare il candore luminoso della pelle di Vega, lattea e liscia come mai ne avevo viste prima.Rimirai con attenzione ogni centimetro di quella visione eterea, seguendo la linea del collo, fino a quella terribilmente eccitante del seno e a quella morbida dei fianchi.
Proprio lì, larga più o meno uno stiletto, dalle labbra frastagliate, vigeva una grossa cicatrice rosata. La sfiorai sensualmente con un dito, aspettandomi di vederla sobbalzare, ma ciò non accadde.₂ 

Vega poggiò la sua mano sulla mia – Sembra strano, vero?- ridacchiò, guardando la mia faccia perplessa – Ma quando mi sono ferita lì non ho più sentito niente. Come  se la pelle fosse morta, in un certo senso-.
Annuii vagamente, cominciando proprio a baciarne un'altra, più piccola e discreta, sotto il seno, seguendone dettagliatamente la scia.
Questa volta sussultò e, trattenendo un piccolo gemito, infilò una mano tra i miei capelli, sospingendomi verso il capezzolo, già turgido e roseo.
Cominciai a stuzzicarlo con la lingua e con i denti, godendo delle espressioni inebrianti della ragazza, con le guance vermiglie che risaltavano incredibilmente sulla pelle diafana e i denti che le tormentavano le labbra.
Mi staccai solo per togliermi la veste, convinto che altrimenti non mi sarei mai allontanato di un solo centimetro, ma non appena lo feci, lei, puntellandosi sui gomiti, mi raggiunse, facendo aderire il suo petto al mio, come aveva fatto durante la festa.  

Ma ora era completamente diverso.

Mi prese la labbra fra i denti, per poi approfondire il bacio con foga. Le circondai la vita con le braccia e lei di nuovo riporto le dita tra i miei capelli.

-Mi piacciono un sacco i tuoi capelli- mugugnò –Sono corti ma morbidi- si strinse più a me, in modo che i nostri bacini si sfiorassero.
Un gemito roco mi rimbombò nel petto nel percepire il calore del suo centro, anche con quei due strati di stoffa che ci separavano.
E lei appositamente continuava ad indugiare con quel contatto, mentre chiudeva tra le sue umide labbra il mio lobo, succhiando con calcolata lentezza.
Brividi mai provati mi attraversarono la schiena, accendendo non solo la parte del mio corpo sotto il cinturone. Ma anche la testa. L’anima. Il cuore.
Posò le sue mani sul mio petto, il contrasto tra le nostri pelli risultò incredibilmente affascinante ai miei occhi, e mi sospinse verso il pavimento, sedendosi poi a cavalcioni su di me.
Incatenò il suo sguardo ammiccante al mio, con i capelli che mi sfioravano la faccia, e sussurrò suadente –Qual è il tuo punto debole, fidāʾī?-
Fece scivolare una mano tra i nostri corpi, fino ad arrivare al bordo dei miei calzoni, dove indugiò con le dita, tracciandone il contorno.
Gemetti, quando seguì la linea dell’inguine: la sua pelle fredda creava uno strano connubio con la mia, incredibilmente bollente in quel momento.
Vega scese fino al rigonfiamento al cavallo, ci passò ripetutamente la mano sopra, stringendo appena, ne tracciò i contorni con una lenta pressione, caricandomi di fremiti e aspettative.
Poi scese con il corpo, facendo sì che i suoi seni strusciassero sulla mia pelle, fino ad arrivare con la lingua nei punti che prima aveva sapientemente toccato con le dita.
Di nuovo, quando tracciò i confini laterali dell’inguine, sentii le mie terminazioni nervose esplodere e il mio petto tremare.
Constatò con stupore il successo di quella mossa, stupita della riuscita e prese a succhiare avidamente in quel punto, lasciandomi un segno rosso.
-Sembra che l’abbia trovato- esalò, emozionata. Davvero sembrava che non si aspettasse di essere così dannatamente brava.
Quella sua aria genuinamente felice mi fece impazzire del tutto.


Non credo di aver mai desiderato tanto qualcuno in tutta la mia vita.

Ma era un desiderio che andava oltre quello fisico, che in quel momento era impellente come mai, era un desiderio che sapevo non avrei mai potuto saziare, perché non ne avrei mai avuto abbastanza di Vega.
Della sua mente. Della sua compagnia. Del suo corpo.
Era come se l’avessi cercata per tutta la vita e, ora che l’avevo davanti, preso dall’ineffabilità, dalla meraviglia, non riuscissi ad averla del tutto.
Impaziente, ribaltai le posizioni, e, preso il bordo dei suoi pantaloni fra i denti, e avendole alzato il bacino con le mani, presi a sfilarle l’indumento.
Con il naso sfiorai volutamente il suo centro e lei inarcò ancora di più la schiena, con un gemito sonante, il più forte che si fosse mai fatta scappare.
Ancora più vicino al suo fiore per quel gesto istintivo, il suo odore mi stordì peggio di come avrebbe fatto un pugno:
Era dolce ed inebriante, come un frutto.

Ormai incontrollabile, lasciai i suoi calzoni e impegnai la mia bocca sul suo clitoride, stringendolo piano e stuzzicandolo con dei piccoli colpetti della lingua.
Il suo sapore cominciò a inumidirmi le labbra, e se l’odore mi era sembrato buono, il sapore mi stava facendo impazzire.
Mi abbassai verso le grandi labbra e cominciai a esplorare anche quella zona, provocando alla mia Assassina dei piccoli spasmi.
Si coprì la bocca con la mano per soffocare i gemiti che le stavo procurando, mentre con l’altra cercava inutilmente un appiglio.
Soffiai sul suo bocciolo, facendola inarcare nuovamente, ma ancora nessun rumore, se non quello che le era scappato prima –Mi piacerebbe sentire la tua voce mentre ti tocco!- dissi, con tono roco e confuso dal piacere.
Lei si lasciò scappare un risolino –Sono abituata a fare le cose in silenzio!- bofonchiò, col fiato corto.
Annuì, con finta accondiscendenza – Vorrà dire che dovrò costringerti-.
Vidi passare un lampo di eccitazione e preoccupazione nello stesso momento, ma il verde dei suoi occhi era liquido come il mare, come se si fosse arresa a me.
Come se si fosse arresa a noi.
Finii di sfilarle i calzoni, e di nuovo mi fermai a contemplare il suo corpo, ora interamente nudo. Le gambe possedevano lo stesso candore del busto, ma erano molto più spesso attraversate da cicatrici e macchie bluastre o rosse, specie nella zona delle ginocchia.
Mi chiesi se fosse possibile che fossero ancora segni della battaglia o se la mia Vega fosse un po’ troppo spericolata.

Mi lasciai cadere su di lei, sorreggendomi con braccio sinistro, mentre col destro le afferrai una caviglia e presi a risalire verso il polpaccio.
Waqi cominciò a boccheggiare –Ti sto facendo male? Questi lividi sembrano abbastanza recenti...-
Mi lanciò un’occhiata persa, ma di fuoco, come se non fosse del tutto presente –Tra tutte le cose che mi stai facendo, il male non era affatto contemplato, Altaïr-.
Rinvigorito dalle sue parole, continuai la mia lenta risalita, tracciando i contorni dei muscoli tonici della coscia, fino a spostarmi sempre più verso l’interno.
Feci un po’ di pressione e lei divaricò le gambe, lasciando alla mia vista, coperta da una rada serie di riccioli chiari, la sua virtù.
Sentii il mio membro indurirsi ancora a quella visione e il mio cervello annebbiarsi, colto dall’irrefrenabile desiderio di perdermi tra quelle carni bollenti, di toccarne sempre un punto più profondo, di coglierne il piacere con foga.
Ma sapevo di dovermi trattenere.
Facendo molta pressione su me stesso, repressi quell’istinto primitivo e irrazionale, e la penetrai con un dito, senza spingere troppo in fondo.
D’altronde era la promessa che le avevo fatto: avrei circoscritto il dolore soltanto al momento inevitabile.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi alla mie carezza, qualche volta muovendo il bacino a ritmo verso il mio dito con malcelata insicurezza, che risvegliò in me sia un istinto di protezione, che uno più carnale e incontrollabile.
Ogni piccola spinta equivaleva ad un piccolo rantolo, strappatole da quelle labbra rosse e voluttuose.
-Ti piace?- le chiesi, sempre con quel tono reso basso dal piacere.
Lei annuì, distratta, troppo impegnata a godere di quelle carezze e rispose –Non... Non sono le tue dita che vorrei dentro di me, adesso...-
Reso completamente folle da quelle parole, dopo averla sentita sufficientemente bagnata e, lo ammetto, visto che la mia sopportazione rasentava lo zero, scivolai fuori di lei e mi privai dell’ultimo capo rimastomi addosso, diventato troppo stretto per la mia erezione.
Mi accinsi alla sua apertura, facendo aderire i nostri petti e unire le nostre mani.
Sempre reggendomi sul gomito sinistro, le spostai una ciocca rossa appiccicata alla fronte per il sudore.
-Farà male...- sussurrai, forzandomi ancora ad aspettare. Il mio membro era così vicino, che percepivo il calore e i suoi umori... che inevitabilmente mi rendevano simile animale affamato davanti ad una preda.
Lei mi abbracciò il collo con il braccio libero, con dolcezza –Mi fido di te-.
La baciai, sperando di distrarla un po’ dal dolore, e cominciai a penetrarla con lentezza: Sentirmi avvolto dal suo calore, se anche per qualche centimetro mi annebbiò ogni lume della ragione e non saprei dire cosa avrei potuto combinare se, non appena entrai in contatto con la sua barriera, Vega non avesse irrigidito tutti i muscoli, piantando le unghie nella carne della mia schiena.
Ma la cosa che mi riportò del tutto alla realtà era la lacrima che, scesa dai suoi occhi, scivolando sulla sua guancia, finì sul pavimento.

-Passerà, habeebti, passerà...- cantilenai, stringendola di più a me, continuando però ad infierire sulla sua verginità.
Altre lacrime scapparono al suo controllo e mi sentii sporco e indegno perché io, invece, stavo letteralmente impazzendo per quel contatto, smanioso di arrivare ancora più in fondo.
E fu proprio quando vi arrivai che dovetti fermarmi, per darle il tempo di abituarsi alla mia presenza, cominciando a carezzarla per distrarla da quel dolore.
I muscoli di Vega si stavano contraendo, cercando di conformarsi attorno al mio membro, e ogni contrazione era una stoccata di piacere indescrivibile.
L’espressione della rossa andava sempre più acquietandosi, fino al punto che fu lei a dare la prima decisa spinta.
Il mio sguardo si appannò e per un momento non ci vidi, tanto potente era stata la scarica nel mio corpo.
Ma ci imposi un ritmo lento e rilassato, non volendo in alcun modo farle versare più una lacrima, e Vega accompagnò le mie spinte con il movimento dei fianchi.
Eravamo talmente in sintonia che sembrava non avessimo fatto altro che fare l’amore insieme: Ad ogni mia spinta lei si lasciava sfuggire un gemito, dolce e secco, non più trattenuto, e i nostri corpi combaciavano come se fossero stati fatti per unirsi.
Eravamo davvero come due pezzi di un mosaico.

Non era la prima volta che avevo un rapporto con una donna, eppure con quelle semplici e lente spinte, con quel singulto estasiato che le usciva dalle labbra, con le dita infilate trai miei capelli o intrecciata alle mie, Vega mi fece pensare di non aver mai davvero fatto sesso prima di quel momento.

I suoi muscoli si strinsero prepotentemente intorno al mio membro, all’improvviso, travolgendola in un orgasmo vorticoso.
-Altaïr- esalò, alzando e abbassando il petto velocemente –Altaïr...- e, abbracciandomi la vita con le gambe, diede due spinte ancora più profonde delle precedenti e in quel momento, lasciandomi sfuggire un ruggito, venni anch’io.
Stremato e incredibilmente appagato, mi lasciai cadere su di lei, poggiando la mia guancia sul suo seno, venendo a contatto col cuore.
-Sentilo... – mormorai –Batte veloce come le ali di un colibrì-.
Vega aveva un sorriso beato sulla faccia ma gli occhi, a mezz’asta, erano già da qualche altra parte, come in un mondo lontano.
Mi chiesi se meritassi tutta quella luce e quel calore, se meritassi la sensazione di completezza che i nostri corpi uniti mi trasmettevano... considerando la bugia sulla quale avevo basato il mio rapporto con lei.
Mi chiesi se meritassi una qualche genere di salvezza solo per il modo genuino e spassionato con cui stavo imparando ad amarla.
Probabilmente no.
Amareggiato da quella verità, la vidi addormentarsi nel giro di pochi secondi, ancora con quel bellissimo sorriso a illuminarle non solo il volto, ma anche gli occhi.

Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.

- Suppongo sia per questo che mia madre non si sia mai rassegnata al fatto che fossi così simile a mio padre. Così “uomo”, in un certo senso- continuò, tra le risate –E allo stesso tempo, la mia somiglianza con lui l’ha aiutata ad accettare il mio ingresso nella confraternita-.
Risi di cuore a quel racconto della prima infanzia di Vega, dove aveva stupito tutti con le sue doti da guerriera combattendo (per gioco) con suo padre.
-E ora? Loro dove sono?- chiesi, beandomi della ritmica lentezza con cui mi stava accarezzando i capelli.
-Sono morti l’anno dopo- disse con semplicità, come se la questione non la facesse soffrire più di tanto. Anzi, come se non l’avesse mai fatta soffrire tanto.
Le mie perplessità dovevano essermi dipinte in volta, perché lei si affrettò a chiarire: -Non prendermi per insensibile, ma ero davvero molto piccola. Forse non avevo ancora quattro anni. Gli Al Sayf sono stati la mia famiglia per molto più tempo-.
Il solito campanello di allarme si accese nella mia testa e la solita voragine mi si aprì nello stomaco.
Disegnai figure immaginarie sul suo stomaco piatto, per calmarmi –Ti hanno accolta nella loro famiglia?-
Annuì con un sorriso brillante, quanto nostalgico –Le nostre famiglie erano molto unite, non hanno esitato nemmeno un secondo a prendermi con loro- sospirò, portando lo sguardo nel mio: lessi nei suoi occhi una gratitudine infinita.
-La verità è che non ricordo quasi per niente il viso dei miei genitori. Sono più che altro sensazioni e voci lontane... Gli Al Sayf sono incisi a fuoco nel mio cuore e nelle mia mente!-
Il mio silenzio la spinse a continuare. O forse, visto che ci stavamo toccando, sentii il mio bisogno di sapere qualcosa in più sulla sua vita.
-Beh, forse non ti ho mai detto che io e Kadar siamo nati lo stesso giorno- cominciò, perdendosi con lo sguardo nel vuoto.
-Davvero?-.
Fece un piccolo sorriso, assentendo piano con la testa –Per questo abbiamo sempre sostenuto di essere fratelli davvero. Ho sempre pensato che fossimo legati come da un filo...- il suo sorriso perse un po’ vigore –Malik era geloso del rapporto che avevamo. Si sentiva messo da parte-.
Fu inevitabile che sorridessi sotto i bassi a quel racconto, immaginandomi il Rafiq imbronciarsi e sbattere i piedi perché veniva lasciato solo.
Vega dovette capire il perché della mia ilarità e mi lanciò un’occhiata bieca di rimprovero, ma non mi feci certo intimorire, continuando a immaginarmi la scena.
-Su, continua- la incitai pendendo letteralmente dalle sue labbra.
Si mosse inquieta sulla stuoia, finendo per sballottare anche me, come se non sapesse da dove cominciare.
-Beh, c’era sempre un altro ragazzo con noi. Si chiama Samir. Forse l’avrai anche conosciuto- ovviamente, non poteva sapere che l’avevo spiata quel giorno, mentre lo incontrava nella Dimora.
- Eravamo un gruppetto niente male, sai? Sempre a combinarne mille. Anche all’algido Al Mualim: Una volta, avevo dodici anni, riuscii a rubargli la spada, mentre gli altri lo intrattenevano con inutili discorsi. Poi mi sono buttata dalla finestra nel cortile: il mio primo Salto Della Fede-.
La mia bocca spalancata fu più efficace di mille parole stupite che potevo usare.
-Mi ha sicuramente visto e sentito. Forse mi ha accolta come Assassina per la mezza riuscita della missione!-.
Sentii un moto di orgoglio verso di lei. Una cosa mai provata prima di quel momento.
Solitamente avrei voluto spappolare il cervello a tutte quelle persone che cercavano di far colpo su Al Mualim prima di me.
Mi piaceva essere il “cocco” del Maestro, perché me lo meritavo.
Non ero abituato a non primeggiare, poi una ragazzina di dodici anni sottrarre la spada al Vecchio e si butta senza paura nel suo primo salto della fede, senza morire, tra le altre cose!
Ma ora non sentivo quell’astio che sempre avevo provato, con mi ribolliva il sangue all’idea che qualcun altro avesse stupito il mio Mentore...
Ero orgoglioso del successo di Vega.
Lei riprese il discorso, con gioia, ma con le guance che andavano sempre più scurendosi di imbarazzo -Poi, quando gli altri lo liquidarono e mi raggiunsero... eravamo tutti molto euforici e...-
Sapevo che sarebbe arrivata la stoccata.
-... lui non ci pensò un secondo. Si vedeva chiaramente che era su di giri... Insomma, Kadar mi baciò!-.

Eccola lì. La parte che non sarebbe piaciuta.


Evitai che sul mio viso si dipingesse qualsiasi espressione del sentimento che covavo all’interno.
-Io rimasi così inebetita. Non fraintendermi, credo che all’epoca già ci fosse qualcosa sotto, ma era mio fratello. Comunque non ebbi la forza di rifiutarlo. Fu solo il primo di una lunga serie di attentati da parte sua!-
Mi sforzai di sorridere.
-Aspetta, ti faccio vedere quanto è stato... incredibile!... quando esposi i miei dubbi su quei baci!-
Non ebbi nemmeno il tempo di protestare, che mi trovai risucchiato in un ricordo.
Sperai sinceramente di non vomitare davanti a lei e al piccolo Al Sayf tutt’intenti a baciarsi, fosse anche che avessero dodici anni.
La cosa mi infastidiva comunque.


“Sei una sciocca, Waqi!”
Disse Kadar, guardando il profilo di Vega illuminato dai raggi del sole. I suoi capelli erano più lunghi e chiari rispetto a quelli nel presente.


Sei strepitosamente bella, anche da piccola.

Solo in un secondo momento, mi accorsi che anche il ragazzino, come spesso facevo io, l’aveva chiamata col suo nome in arabo.
Cominciai a provare la stessa famosa rabbia che provavo quando qualcuno cercava di ammaliare Al Mualim più di me.
“Non sono IO la sciocca, qui” rimbeccò lei, incrociando le braccia al petto, con quel broncio furioso che ancora oggi la caratterizzava.
Vidi Kadar rimanere interdetto, immobile nella sua posizione, proprio come me ogni volta che Vega mi rifilava quell’occhiata velenosa.
“Sei arrabbiata con me?”
Ovviamente”
“Per un bacio?”
L’occhiata di fuoco che scoccò al giovane fu ancora più pericolosa della precedente “Per i baci, vorrai dire!!!”. Puntigliosa, diretta e saccente, come era ora!
Kadar alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa “Stai scherzando, vero? Non mi sembra che ti siano dispiaciuti, prima”
Vega, scioccata da tanta insolenza, arrossì, spalancò la bocca, sbatté i piedi per terra e passò in modalità 'Bestia selvaggia'.
Questo pensiero apparteneva a Kadar. Questo modo di chiamarla. Mi chiesi come avessi fatto a sentirlo.
Gli si lanciò contro come un toro, salvo poi spiccare un balzo notevole e aggrapparsi a lui, stringendolo come un Boa Constrictor, cominciando e colpirlo con dei pugni.
"No, la Presa Cobra NO!" starnazzò l’altro, cercando di liberarsi da quella morsa mortale.
"Te la meriti!" ringhiò lei, nella sua mente "Sei un idiota di proporzioni cosmiche!"
Kadar si sbilanciò verso terra, facendo sì che entrambi ruzzolassero nel terreno continuando ad azzuffarsi, finché non la sovrastò, dandole un altro bacio sulle labbra.
Niente a che fare con i baci che io e Vega ci eravamo scambiati in quei mesi, eppure la carica sentimentale che sprizzò da quel gesto mi fece sentire a disagio.
Al Sayf prese la parola, ancora ansimante per la lotta "Smettila di insultarmi col pensiero. Sono una persona sensibile, io!"
Lei, a quelle parole, ancora con gli occhi accesi di qualcosa di indescrivibile, sembrava dilaniarsi tra il desiderio di spaccargli la testa e di mettersi a ridere.
Forse Vega gli stava comunicando tutto questo con il pensiero, perché sembrarono capirsi anche senza aver parlato.
"Sei una pazza squilibrata, Waqi... Mi piaci soprattutto per questo!".


Come sei avessi appena fatto un sogno,
riaprii gli occhi a fatica, trovandomi davanti il volto luminoso della mia Assassina.
Non riuscii a capire per cosa stesse ridendo, forse per la mia faccia, forse per quei ricordi.
Però una cosa mi fu chiara, in maniera quasi dolorosa: Era impossibile, per lei, essere triste se c’entrava Kadar.
Notai che ancora ci toccavamo. Probabilmente aveva sentito anche questa riflessione.
- Hai ragione- mi disse, rispondendo ai miei pensieri -Non c’è e non c’era mai stato niente di triste in lui. Tranne il fatto che non c’è più!-



Alessandra

Non credo che mi sarei mai abituata alle sessioni nell’Animus neache se l'avessi voluto. E il mio corpo me l’aveva ampiamente dimostrato, con un gran bell’infarto.
Avrei tanto voluto che ci fosse un modo di ricordare ai miei organi che non dipendeva da me la durata di ogni singola sessione. Che era inutile che cercassero di mettere a repentaglio la nostra vita per puro senso di ribellione...
Ma a quanto pare non c’era.
Mi alzai, finalmente, a detta delle mie ossa incriccate, dall’Animus, correndo con lo sguardo subito alla mia sinistra.

Desmond.

E
ra così simile e allo stesso tempo diverso da Altaïr che provavo una certa inquietudine nel guardarlo.
Un po’ centrava il fatto che fossi letteralmente pazza di Altaïr. E non solo perché alla mia antenata era piaciuto rotolarsi nelle lenzuola con lui.
Altaïr era... un tipo forte!
Con i suoi modi burberi, e la sua infinita pazienza, il suo portamento fiero, le espressioni enigmatiche, per non parlare della sua arroganza (la sua sexissima arroganza), o dei i suoi gesti dolci mascherati con qualche stupida lamentela...
E poi, la sua bellezza.
Inutile girarci attorno, signori, Altaïr era un figo da paura!
E questo mio pensiero non faceva che rivoltarsi su Desmond, che essendo incredibilmente identico ad Altaïr era altrettanto figo.
Ma, in qualche modo, aveva un modo tutto suo di muoversi, parlare e atteggiarsi, che lo rendeva totalmente diverso dal suo antenato Siriano.
-Tutto bene, dolcezza?-
Quella frase mi riportò sul Pianeta Terra in meno di un nanosecondo. Non sapevo se imbarazzarmi per la figura che avevo fatto, facendomi trovare a guardarlo come una maniaca, se per come mi aveva chiamata, o per un mix delle due cose davanti a Vidic e alla Stillman.
-Non proprio...- mentii, utilizzandola come scusa per pararmi il sederino –Mi sento un po’ confusa. Mi sembravi Altaïr-.
Beh, una mezza verità. Potevo fare peggio!
-L’allucinazione è durata più di trenta secondi?- si intromise Lucy, con tono altamente professionale, pronta a segnare le sue diagnosi sul piccolo tablet che aveva sempre con se.
Scossi la testa con forza –Dieci secondi, volendo esagerare-.
Lucy annuì, comprensiva, appuntando tutto su quell’aggeggio, come avevo previsto. Poi riprese –Abbiamo fatto bene a fermarvi. Ma è una pausa breve. Giusto un’oretta per farvi mangiare e sgranchire un po’ le gambe-.
Decisi di togliermi una curiosità –Da quanto tempo sono qui?-
Sentii la dottoressa sussurrare “Scarsa concezione temporale” mentre lo digitava sul suo block-notes digitale, mentre mi rispondeva che stavo per consumare la cena, alle 23.30, del secondo giorno.
Evitai che mi si dipingesse in faccia lo stupore per quella notizia.
Quasi tre giorni? A me sembrava fossero passati anni.

Chiusi in camera, con due sacchetti trasparenti riempiti con due panini, un succo di frutta e una barra di cioccolato, io e Desmond non ci eravamo ancora scambiati una singola parola.
Inutile che fingessi di non sapere perché.
Teoricamente, era come se avessimo fatto sesso fra di noi.
La cosa era imbarazzante, l’ammetto. Ma possibile che quel ragazzo non avesse le palle per tirare fuori uno straccio di argomento?!
-Che ne pensi dei panini?- buttai lì, con fare indifferente, senza guardarlo.
-Che i cuochi potevano sforzarsi di più!-
Alzai gli occhi al cielo –Non sono gli unici che dovrebbero sforzarsi un po’ di più...- mugugnai tra me e me.
-Cosa?-
-Niente-
Continuai a mangiare il mio panino con forza, sperando che un grosso masso cadesse sulla testa di quell’idiota, che non faceva che addensare la nuvoletta di imbarazzo che si era venuta a creare.

Ah, dolce vendetta...

-Sai, penso che Vega sia davvero una tipa tosta. Mi piace. E’ una bella persona...- si fermò un secondo, come imbarazzato –Vi assomigliate molto, sotto molti aspetti... Questo non vuol dire che tu mi piaccia. No, cioè, non è vero, perché in un certo senso tu mi piaci, ma...-.
Scoppiai a ridere, senza guardarlo, sinceramente divertita dal suo farneticare.
-Dio, si può sembrare più idioti?- mugugnò rassegnato, schiaffandosi una mano in fronte.




1) Vedi Nota uno del precedente capitolo!
Anche se non me lo merito, vorrei utilizzare questo spazio per chiedervi infinitamente scusa per questa lunghissima assenza da efp. E' la prima volta che riaccendo il pc da inizio Aprile: Tra lo studio normale, quello per la maturità, per l'esame di medicina (passato), quello in accademia (che ancora non è finito, mi rimangono quelli fisici e psicofisici), gita (Meravigliosa, anche se non credo che vi interessi), pon vari e Scouts (Eh sià, come se il resto non bastasse)... Su efp non è che non vi ho messo piede, di più.
Rientrare qui, oggi, vedere le mie storie preferite aggiornate di diversi capitoli, saper di non averle seguite e opportunamente commentate, di aver perso il contatto con voi (da quant'è che non rispondo alla vostre recensioni? Da quanto?!) mi ha abbastanza tramortito, tanto che ero indecisa se pubblicare il capitolo o un avviso di interruzione della storia.
Ma sono qui, per quanto possa ancora interessarvi.
Per cui perdonatemi, perdonatemi, PERDONATEMI: Spero di riuscire a gestire meglio il mio tempo da ora in poi, e di non deludervi mai più.

2) Una ferita è sempre una perdita di “integrità” per la pelle e non ne risente soltanto queste, ma anche le fasce muscolari, le fibre nervose, i vasi sanguigni e linfatici e, nelle lesioni più profonde, le strutture di organi interni.  Nel pratico, la cicatrice è un tessuto di riparazione, costituito da fibre connettivali e da cellule la cui membrana ha un’attività diversa da quelle delle cellule sane, e questo ha spesso ripercussioni sulla sensibilità della zona colpita:
Spesso la cicatrice è sensibile al tatto, quasi in maniera bruciante. In altre, potebbe divenire  del tutto insensibile, quasi “morta”, come se non ci fosse più collegamento tra questa e il cervello.
Piccole curiosità simpatiche: -La cicatrice insensibile di Vega è ispirata ad una mia cicatrice reale, delle stesse dimensioni e nello stesso punto! 
- Molto spesso le cicatrici, per alcuni tipi di esami clinici, risultano dei "campi di disturbo": Uno di questi test si chiama "Vegacheck" xD

  
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