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Autore: thepassenger_    08/05/2014    0 recensioni
C’è qualcosa nel suo sguardo. D’altronde, c’era sempre stata una luce cupa nei suoi occhi, sin dalla prima volta in cui lo vidi, seduto sull’erba a gambe incrociate nel parco Kaivopuisto.
Fumava, allora: la sigaretta ormai spenta tra le labbra quasi blu, serrate dal freddo che sferzava la città senza alcuna remora. Ricordo come fosse ora quanto stetti a fissarlo, ammaliata dalla sinuosità dei suoi movimenti e dall’agilità delle sue grandi mani: il tempo esatto di tre sigarette. La velocità in cui lui terminava di fumare era pari a quella di un respiro. Un respiro affannato, a dire il vero.
Lo vidi sfregarsi le mani e asciugarle su quei jeans neri troppo stretti, alzandosi velocemente, senza nemmeno barcollare, per poi allontanarsi dalla mia vista per molto, troppo tempo.
Ora è qui, di fronte a me, ancora. Eppure quella scintilla nella pupilla scura non è affatto cambiata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’uscita dell’aeroporto straripava di taxi, passeggeri infreddoliti, valigie e neve. I turisti non sopportavano quei fiocchi bianchi che rovinavano l’inizio del loro viaggio e cercavano di non lasciarsi sopraffare da quella lingua cupa eppure melodiosa.

Una donna si faceva largo tra la folla, stringendo con la mano scoperta il bavero del cappotto attorno al collo e trascinandosi dietro un piccolo trolley grigio che si mimetizzava troppo facilmente con i colori del paesaggio.

La navetta stava aspettando gli ultimi passeggeri alla fermata, mentre l’autista elargiva sorrisi, aiutandoli con i bagagli. Il sorriso dell’uomo s’illuminò, però, quando la donna gli si parò davanti con le gote arrossate dal gelo. Egli le fece un piccolo occhiolino, caricando anche la sua valigia insieme alle altre, mentre lei andò a sedersi dietro al posto del conducente.

La neve non accennava a smettere di cadere, nemmeno quando la navetta e numerosi taxi imboccarono lentamente l’uscita dell’aeroporto. Gettando un’occhiata allo specchietto, l’autista accennò un altro sorriso e appoggiò la schiena al sedile.

“Sei tornata.”

La donna guardò i suoi occhi riflessi nel vetro appannato e rigato dai fiocchi veloci, arrossendo lievemente.

“Te l’avevo detto.”

Il conducente annuì, fissando con attenzione l’asfalto bagnato di fronte a lui.

“Certo, ma non mi avevi detto che l’avresti fatto così presto. È bello rivederti, comunque.”

Lei sorrise di rimando, allungandosi e osservando il paesaggio che scorreva veloce alla sua sinistra.

Dopo circa trenta minuti raggiunsero il centro, dove le luci della vita notturna risplendevano in quella notte così stupendamente buia, trapuntata di velluto. L’autista scese e aiutò nuovamente i passeggeri, lasciando però la valigia della donna in disparte. Dopo aver augurato una buona serata anche all’ultimo turista, si volse verso di lei, che attendeva un suo cenno appoggiata alla porta anteriore.

Parlò per prima: “Sempre il solito orario?”.

“Sì, riparto tra un’ora, poi torno a casa.”

“Ti andrebbe la solita kupin kahvia[1]?”

“Con piacere.”

Lui scaricò la valigia e, dopo aver lasciato le chiavi al suo sostituto, s’incamminò con lei sotto la neve. Svoltarono sulla Elielinaukio ed entrarono in un pub, venendo subito inondati dal calore delle risate e dell’alcol. Sedettero lontani dal trambusto, di fronte alle due tazze: la donna prese la propria tra le mani, mentre l’autista la osservava sottecchi, cercando dei cambiamenti sul suo volto.

“Potresti smettere di fissarmi?”

Lui rise forte, socchiudendo gli occhi nel farlo: di certo il carattere non aveva subito modifiche repentine.

“Perché sei tornata?”, chiese poi, tornando serio.

Lei fece finta di nulla, continuando a osservare la neve dalla vetrata del locale. Un movimento quasi impercettibile delle sue ciglia incupì l’uomo, che si fece più vicino. “Bene, allora cambierò domanda,” disse, abbassando la voce. “Per lui o per lavoro?”.

Questa volta lei volse gli occhi, sempre senza guardarlo, ma fissandoli sul liquido scuro che riempiva la tazza: “Per lavoro. O forse per entrambi…”, rispose flebilmente.

Sul volto dell’uomo si dipinse un ghigno quasi sdegnoso ma, poiché conosceva bene colei che gli sedeva di fronte, decise di non osare oltre. “Dove stai?”

Lei lo guardò finalmente negli occhi, mentre nei suoi risplendeva una luce di gratitudine. “Dal signor Tuominen. È stato così gentile da permettermi di nuovo di alloggiare nel suo appartamento.”

“Ci vai ora?”

“Sì,  ha detto di non farmi problemi. Ha lasciato le chiavi in portineria.”

L’autista annuì, dando una veloce occhiata all’orologio: aveva ancora qualche minuto per provare. “Sai almeno quanto resterai?”. Questa volta fu il volto di lei a esprimere una smorfia di disprezzo, ma rispose comunque: “Non ne ho la minima idea. Spero solo di trovare una risposta entro la fine della settimana.”

“Quindi tutte le tue cose sono in quella minuscola valigia? Non resisteresti nemmeno ventiquattr’ore…”

Lei sorrise, arrossendo alla catena dei ricordi: la prima volta che atterrò sul quel freddo suolo aveva con sé tre valige, ognuna con un peso oltre il limite consentito, e viaggiava sola. Nevicava e lei incespicò più volte lungo il tragitto, nel vano tentativo di trascinarsi dietro quei fardelli, fino a che quell’uomo alto e dal viso pulito le si parò davanti e le chiese melodiosamente se avesse bisogno d’aiuto. La sua faccia interdetta, con le labbra serrate dal freddo e i capelli imbiancati, fecero formulare rapidamente a quell’uomo la stessa domanda, stavolta in inglese. Al che lei sorrise, imbarazzata dalla solita goffaggine, e acconsentì all’aiuto di quel gigante coperto di neve.

Ora erano ancora insieme, uno di fronte all’altra come la prima volta, dopo cinque anni e innumerevoli viaggi. “Molte delle mie cose sono a casa di Annika. Un’altra delle tante persone a cui devo delle scuse.”

L’ombra cupa di pochi istanti prima tornò sul suo volto, scivolando via di nuovo grazie a una semplice domanda: “Come sta Riikka?”. L’uomo s’illuminò, sorridendole di nuovo, mentre le guance lisce si arrossavano per la gioia: “Oh, benissimo, davvero! Cresce ogni giorno di più, ho finalmente imparato a farle le trecce e ora pretende che gliele faccia ogni volta che torno. Per fortuna non sono capace di cucinare, altrimenti…”.

Lei lo guardò attentamente, mentre raccontava gli ultimi progressi della figlia: viveva per lei, ed ogni singolo particolare della sua piccola gioia quotidiana lo faceva risplendere.

“Ora ovviamente è con i nonni, ma domani è il mio giorno libero e non vedo l’ora di coccolarmela un po’.”

“Vorrei rivederla, è passato così tanto tempo… Dubito che si ricordi di me, era così piccola allora.”

“Scherzi? Mi chiede spesso di te, è curiosa. La fotografia che ci hai regalato, quella di te e Annika a Stoccolma, è appesa sopra al suo lettino.”

Lo scambio di sorrisi tra loro fece riflettere la donna, che commentò stupita: “Sei un padre bravissimo, Hannu. Come fai a gestire ogni cosa? Io sono sola e come vedi continuo a combinare disastri. Tu, invece…”

Hannu arrossì, sfregandosi il mento. Avrebbe voluto rispondere, ma l’immagine del volto di lei così tetro di pochi minuti prima lo fece desistere.

“Non lo so. Parliamo seriamente, ora.” Lo sguardo della donna si rabbuiò con facilità, mentre Hannu cercava di sviare. “No, piano, non rattristarti. Come ti ho detto, domani è il mio giorno libero e Riikka è con me. Le ho promesso un giro sulla pista da ghiaccio e la cioccolata calda del nostro bar in centro. Ti andrebbe di passare un po’ di tempo con noi? Ho la macchina, quindi potrei aiutarti con le tue cose, sempre se la situazione con Annika si sistemerà…”

La fronte di lei si rilassò, mentre volgeva nuovamente lo sguardo alla vetrata e agli ultimi fiocchi che si scioglievano contro di essa, poi rispose: “Mi farebbe molto piacere. Ti farò sapere cosa succederà domani, intanto ti ringrazio dell’invito.”

Hannu annuì e le sfiorò la mano, che giaceva immobile e con le dita aperte sul tavolo. “Stai tranquilla. Se vorrai parlare… Beh, lo sai. Il caffè non lo fanno solo qui, o sbaglio? Ora andiamo.”

Anche lei annuì e infilò la giacca, dopo aver estratto una sciarpa dalla valigia. Uscirono dal locale, mentre piccole nubi di vapore si schiudevano tra le loro labbra e salivano nell’oscurità nordica.

Si lasciarono alla fermata, dove lei salì sulla tram, facendo un cenno con la mano, e sparì con il mezzo, inghiottita dalla città.

Hannu rimase fermo, perplesso e inebetito, per poi sussurrare velocemente un saluto alla notte: “Arrivederci, Aino.”



[1] Tazza di caffè.

  
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