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Autore: Cygnus_X1    09/05/2014    5 recensioni
Un trono usurpato. Una ragazza in cerca di se stessa. Una maledizione mortale.
~~~
Myrindar ha diciassette anni e un marchio nero sul petto. Una maledizione che l'accompagna da sempre, che le dà il potere di uccidere con il solo tocco. Salvata dal Cavaliere Errante Jahrien dai bassifondi di una città sconvolta dalla guerra, Myrindar ha vissuto in pace per cinque anni, dimenticandosi dei conflitti, con una famiglia che l'ha accolta con amore.
Tutto cambia quando nel villaggio dove abita giungono i guerrieri dell'Usurpatore a cercarla. Myrindar è costretta a fuggire, guidata da una misteriosa voce che le parla nei sogni, alla ricerca dell'esercito dei Reami Liberi e dei Cavalieri Erranti. Ma il nemico più pericoloso non è l'Usurpatore, né il suo misterioso braccio destro; è la maledizione che la consuma ogni giorno di più e rischia di sopraffarla.
Tra inganni, tradimenti e segreti del passato, tra creature magiche e luoghi incantati, Myrindar si ritroverà in un gioco molto più vasto di quanto potesse immaginare; perché non è solo una guerra per la libertà, quella che sconvolge i Regni dell'Ovest. Non quando antiche forze muovono le loro pedine sul campo di battaglia.
[High Fantasy]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 5

Il guerriero nero



 

S



i risvegliò con la testa ovattata e annebbiata e un dolore sordo e pulsante alla spalla sinistra. Aprì gli occhi piano.
Dove si trovava?
La ragazza era distesa sul pavimento di pietra di una stanza buia e umida. Si sentiva una goccia d’acqua cadere ritmica da qualche parte a destra. Poco distante, una linea dorata e guizzante che indicava lo spiraglio della porta di ferro.
Myrindar provò a muoversi. La spalla le mandò una fitta. Girò la testa piano, per controllare la ferita.
L’ultima immagine che era ancora stampata nella sua mente era l’asta di un quadrello sporgere dal suo braccio in una cascata di sangue scarlatto. Ora la freccia era sparita, e al suo posto c’era una benda chiara legata stretta che sapeva vagamente di erbe mediche.
Rotolò su un fianco, lentamente, cercando di trovare la forza di rialzarsi in piedi. La testa le girava mostruosamente, e senza accorgersene improvvisamente era di nuovo a terra distesa, con la spalla che gridava di dolore. Doveva esserci caduta sopra con tutto il peso.
Sospirò, mentre aspettava che i vortici scuri sparissero da davanti ai suoi occhi. Usando solo il braccio destro e appoggiandosi a un angolo umido del muro riuscì a sollevarsi seduta. Rabbrividì. L’acqua scendeva in piccoli rivoli lungo la parete, e scorreva gelida lungo la sua schiena, oltre il mantello, dentro il corsetto.
Il freddo la svegliò del tutto. Si rese improvvisamente conto della sua situazione.
Lo sconforto la invase.
Era rinchiusa in una cella minuscola e oscura, con una brutta ferita a un braccio, e la cosa peggiore era che non sapeva nemmeno il perché. Cosa volevano da lei? Era solo una ragazza, dannazione.
Cosa le avrebbero fatto?
 
***
 
Si svegliò di colpo con un rumore di passi in avvicinamento. Scosse la testa, eliminando l’ultima nebbia del sonno. Non si era accorta di essersi addormentata di nuovo. Ma era tanto stanca.
Ascoltò il suono ritmico di stivali chiodati percorrere un corridoio che non vedeva. Venivano verso di lei.
Sperò con tutta sé stessa che non fossero lì per lei.
Invano.
I passi si fermarono esattamente davanti alla sua porta. Myrindar imprecò mentalmente.
Rumore di ferraglia. La porta si spalancò in un’inondazione di luce dorata, e la ragazza dovette abbassare gli occhi abituati al buio per non esserne accecata.
Due paia di stivali entrarono nel suo campo visivo.
Una mano guantata la afferrò per il braccio sano e la tirò in piedi a forza. La ragazza non riuscì a trattenere un grido alla fitta infuocata che le mandò la ferita. La sua vista si appannò, e lei sentì le sue forze venire meno.
 
***
 
Un’ondata la riportò violentemente alla realtà. Rinvenne tossendo acqua gelida, mentre rivoli le scendevano lungo il corpo e i capelli si incollavano al viso. Rabbrividì, infreddolita.
Si rese conto solo in quel momento di dove si trovava. Sopra di lei c’era un soffitto basso e sporcato dal fumo. Era stesa su una superficie dura e ruvida, polsi e caviglie circondati da anelli metallici e incatenati da qualche parte sotto la tavola di pietra. La spalla le faceva male, tirata in quella posizione.
«Tu sei Myrindar»
La ragazza spostò la sua attenzione sui tre soldati intorno a lei. Aveva parlato quello alla sua sinistra; si distingueva dagli altri due solo per una striscia rossa su un lato della corazza sulla spalla destra.
E aveva parlato con sicurezza. Era un’affermazione, non una domanda.
«Non sono la persona giusta. Voi cercate un ragazzo. Un maschio»
Myrindar non riuscì a essere dura come avrebbe voluto. Il dolore le spezzava il fiato.
Il soldato stirò le labbra in un sogghigno inquietante.
«Certo che no. Noi cerchiamo una persona con il Kratheda. E direi che l’abbiamo trovata»
«Che cosa significa quella parola?»
Myrindar guardò il soldato, terrorizzata. Il suono di quella parola aveva fatto emergere da qualche parte dentro di lei un terrore oscuro, nero come la notte e cupo come il rimbombo dei tuoni. Lei non capiva. Non riusciva a comprendere.
«Ti spaventa, non è vero?» la ragazza imprecò mentalmente. Aveva mostrato al soldato la sua debolezza. E non avrebbe dovuto, solo che quella paura l’aveva sommersa, rubandole il controllo.
«Kratheda. Il suo suono ti terrorizza. È una parola magica, sai? Significa Marchio del Demone.»
L’uomo tese una mano guantata, tirandole giù il corsetto di appena un paio di centimetri. Il simbolo nero della maledizione occhieggiò da sotto i vestiti, e Myrindar si sentì nuda, violata. Quello era il suo segreto. Non aveva diritto quel soldato a scoprirlo.
«Sei marchiata da un Demone, bambina. E l’Usurpatore ti vuole.»
La mente della ragazza era troppo presa dal dolore crescente e ormai insopportabile alla spalla per cogliere subito il significato delle parole. Quando infine capì, il respiro le si spezzò.
Il sangue scorreva rapido dentro di lei, seguendo il ritmo forsennato del cuore. Ne sentiva il rombo nelle orecchie.
Marchio del Demone. La sua maledizione.
L’Usurpatore.
La guerra.
«Perché l’Usurpatore vuole me?» sussurrò, ormai senza fiato. E sconvolta.
«Perché sa quanto sia potente la magia che tu ti ritrovi addosso. Con un po’ di allenamento, potresti sterminare un intero esercito da sola.»
La ferita bruciava. Si sentiva una lama infuocata conficcata nel braccio. La vista cominciava ad appannarsi.
«E se io... se io non volessi collaborare?»
Non vide le espressioni dei soldati, ma sentì il ringhio del capitano accanto alle orecchie, perfettamente udibile oltre il rumore del suo stesso sangue.
«Lo farai. Prima o poi cederai, non ti preoccupare. Non resisterai alla fame e al dolore, per quanto tu sia forte. A presto, bambina.»
Il dolore esplose in un milione di aghi brucianti. Myrindar si sentì gridare per un istante.
Poi, solo il buio.
 
***
 
«Myrindar?»
Cos’era quel suono? Una voce, distorta dalla nebbia fitta in cui era inabissata.
Cosa diceva?
Ah, già. Era il suo nome.
«Myrindar.»
La ragazza cominciava a essere più lucida, ora. E quella voce... la conosceva? O era solo un’impressione?
«Ehi, Myrindar!»
La voce sembrò farsi più urgente. Però lei non voleva aprire gli occhi. Aveva troppo sonno.
«Maledizione, Myrindar! Devi svegliarti!»
Un lampo di luce percorse il suo cervello ancora parzialmente immerso nel sonno. Sì che la conosceva... era la voce dei suoi sogni.
Ma quello... era un sogno?
Una stilettata percorse il suo braccio ferito. Gridò.
No, decisamente non era un sogno.
«Oh, sei ferita! Scusa, non me n’ero accorto...»
Qualcosa di caldo si avvicinò alla ferita. Il dolore pulsante cominciò ad attenuarsi, sempre di più. Infine scomparve.
«Ora è a posto. Ma dobbiamo andare via. Svegliati, ti prego.»
La voce sembrava improvvisamente stanca. Mya, però, si sentiva meglio.
Aprì gli occhi.
Davanti al suo viso si formò un’immagine sfuocata e buia di un mantello nero e di un cappuccio buio. Chi diamine era? Non era uno dei soldati che l’avevano tormentata.
«Bene, sei sveglia! Adesso ti libero da queste catene e ce ne andiamo, tranquilla.»
Si sentirono rumori metallici, e Myrindar scoprì di potersi muovere più liberamente. Solo che non aveva abbastanza forze per alzarsi; quando ci provò, rischiò di svenire di nuovo.
Poté osservare meglio lo strano tizio che la stava salvando. Era interamente vestito di nero: camicia, guanti, corazza di cuoio, pantaloni, stivali e mantello erano tutti più neri della notte. L’unica cosa che stonava era la luccicante elsa di una spada che spuntava alla sua cintura e che rifletteva i bagliori delle torce quasi spente del corridoio.
Il guerriero nero la sollevò piano e la prese in braccio. Myrindar si sentì imbarazzata, e si diede subito dopo dell’idiota. Come diamine faceva a essere imbarazzata in un momento simile?
Uscì piano dalla stanza, muovendosi cauto.
Il corridoio era deserto, e anche i tre seguenti.
Salirono delle scale senza problemi.
La ragazza cominciava a essere in ansia. Cos’avrebbero fatto se i soldati fossero arrivati? Il guerriero la stava portando in braccio, non poteva combattere. E lei non ne aveva la forza.
Tutto proseguì tranquillamente per altri due corridoi. L’ultima rampa di scale era a solo tre corridoi di distanza.
Qualcuno gridò qualcosa dietro di loro e Myrindar imprecò.
Il guerriero cominciò a correre. Ma la ragazza lo metteva in difficoltà, e i soldati comparvero quasi subito alle loro spalle. Li rincorrevano gridando con le spade sguainate.
Il guerriero tentò di accelerare.
Un’altra svolta, le scale davanti a loro. Non ce l’avrebbero mai fatta.
In quel momento le venne un’idea.
Tirando con una mano e con i denti, riuscì a togliere il guanto della mano sinistra.
Odiava quello che stava per fare. Odiava se stessa per averlo anche solo pensato.
Si allungò all’indietro.
Il soldato più vicino rimase interdetto. Solo un attimo in cui non capì cosa lei stesse cercando di fare, e le bastò.
Sfiorò il suo viso con la punta delle dita nude.
Il soldato gridò, solo per un attimo.
L’energia esplose quasi dolorosa dentro di lei, riversandosi dal soldato che aveva appena ucciso.
Lo guardò crollare a terra davanti ai suoi compagni, senza vita, come un sacco, bloccandone l’avanzata.
Era stata lei.
Aveva distrutto un’altra vita.
In quel momento imboccarono le scale. Myrindar aveva le lacrime agli occhi, e non abbastanza forza per trattenerle. Le rigarono le guance, in linee lucide.
La porta che dava sull’esterno era chiusa, ma il guerriero la sfondò con un calcio. La grata metallica che stava subito dietro, invece, aveva la serratura devastata.
L’aria fredda della notte primaverile entrò dentro di lei facendola rabbrividire, e sorridere di felicità. Non sapeva quanti giorni era stata rinchiusa là sotto. Ma doveva essere passata almeno una settimana.
L’edificio della prigione si trovava in città, vicino alle mura. Subito fuori, il guerriero nero fischiò, e pochi attimi dopo un cavallo grigio antracite sbucò da un vicolo.
Myrindar trattenne il suo stupore. Aveva così tante cose da chiedere a quell’uomo, ma l’avrebbe fatto in un momento meno inopportuno.
Lui la issò e la legò in sella per impedirle di cadere. La avvolse con una coperta per riscaldarla, visto che rabbrividiva ancora, e saltò dietro di lei.
Partirono subito al galoppo, diretti verso la porta più vicina.
La ragazza era dubbiosa. Ma, inaspettatamente, la trovarono aperta, e una delle due guardie, l’unica sveglia, in realtà, salutò il guerriero nero con un cenno.
Altra cosa che si annotò di chiedere al tizio una volta al sicuro.
 
***
 
Cavalcarono senza fermarsi tutta la notte. Myrindar era stanchissima, e le faceva male la schiena dopo tutto quel tempo passato su un cavallo al galoppo.
Quando infine si fermarono, erano in un boschetto di giovani latifoglie da qualche parte a nord est rispetto la Città di Confine.
Myrindar stava per crollare addormentata. Il guerriero nero la fece scendere, e la distese su una coperta. Ma lei non voleva dormire. Non ancora.
Non prima di aver chiarito un dubbio che le rimbombava in testa da ore.
«Puoi dirmi chi sei, ora che siamo al sicuro?» disse la ragazza, con voce assonnata.
Il guerriero si chinò su di lei, ancora incappucciato. La luce crescente dissipava le ombre, e Myrindar notò un sorriso sul suo volto. Poi lui si tolse il cappuccio.
Era un ragazzo, non poteva avere più di vent’anni. Portava i capelli castano dorato raccolti in una treccia ormai praticamente sfatta, aveva la pelle ambrata dal sole, e un viso gentile, teso in un sorriso stanco.
E i suoi occhi, neri più della notte, Myrindar non li aveva mai dimenticati.
Perché lì, davanti a lei dopo tutti quegli anni, c’era Jahrien.



 
   
 
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