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Autore: LokiSoldier    10/05/2014    1 recensioni
E se Sherlock e John non fossero due uomini adulti e vaccinati ma due giovani studenti liceali? Come sarebbe la loro vita? Come sarebbe stato il loro incontro e il loro rapporto se si fossero conosciuti all'età di diciassette anni?
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Quasi tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Eeeeee non ce l'ho fatta! Ho dovuto postare adesso anche il nuovo capitolo perchè domani temo di non poterlo fare! Spero davvero che vi piaccia e non vi annoi *-*

Prima di iniziare, ancora una volta, voglio ringraziare iamgratchen (che l'ha anche messa fra le preferite *^*), B l u e, Alice_InWonderland e Fannie Fiffi per i loro commenti alla mia fiction, nonchè Hamlet_ e ItalianBaka per averla messa fra le ricordate e  NTonks, AsfodeloSpirito17662, Bertrand42, g21, Alice_InWonderland, cascata_di_luce, lkonoa75, mushroom_killer, chiampo11,crazyclever_aveatquevale, MayDes, EffeFagio e Toru85 per averla messa fra le seguite ^^



 
L’ho sempre ammirato, da lontano. Fin dal primo giorno di scuola. Ero colpita da quel ragazzo così silenzioso, risoluto. Deciso. Non l’ho mai trovato strafottente o vanitoso, come dicono gli altri. Ho sempre invidiato quel suo carattere così… lineare. Ho ammirato il suo riuscire a star bene da solo. E’ questa la verità. Perché è sempre stato evidente come non avesse bisogno di nessuno, come non fosse un problema per lui stare per i fatti suoi. Lui desidera stare solo con se stesso. Non necessita di altro. Gli basta la sua testa e tutto il resto diventa una opzione. Quando la classe lo insulta lui continua a fare ciò che sta facendo come se neppure stessero parlando. Non arrossisce nemmeno un po’, non batte ciglio. Nulla. Come se non avesse sentito una parola. Io invece tendo a boccheggiare, diventare paonazza, piangere. Non riesco a trattenere le lacrime né ignorare le loro offese. Io subisco, ingoio e piango. Sherlock è una specie di modello da seguire per me, un idolo che osservo di nascosto. E col tempo ho iniziato ad amare, questo mio eroe. Ho iniziato ad adorare i suoi ricci neri, gli occhi glaciali, la sua voce calda. Anche se trovo sia eccessivamente insensibile in certe occasioni non ho mai pensato che fosse una cosa volontaria, anzi. Ho sempre pensato che abbia solo qualche problema a relazionarsi, qualche strana patologia… non voglio offenderlo o insultarlo con questo, però il suo modo di porsi non è propriamente normale. Non so proprio cosa pensare. Non ho nemmeno il coraggio di parlargli. In tutti questi anni ho desiderato così tante volte avvicinarmi a lui anche solo per salutarlo! Giusto per fargli capire che non è davvero solo in classe, a qualcuno importa di lui. Ma quella di cui non importa sono io. Non ho esattamente degli amici in classe, ma non ho rapporti pessimi quanto i suoi. Mi prendono in giro per il mio aspetto, il mio carattere chiuso e riservato, ma qualche volta sanno essere amichevoli. Non capisco bene da cosa dipendano le loro reazioni verso di me, ma mi basta sapere che almeno talvolta gli piaccia parlare con me. Intanto ho continuato a osservare da lontano la sua figura e ho capito qualcosa di lui. Almeno credo.
L’arrivo di John mi ha resa davvero contenta, specie perché ho subito notato come anche lui, come me, sembra interessato a Sherlock. L’ha pubblicamente difeso dagli altri ed è addirittura riuscito a farlo ridere. E Dio, se amo quel sorriso o quella sua risata! Non l’avevo mai vista prima e adesso che sono riuscita a scorgerla non riuscirò mai più a togliere via quella scena dalla mia testa. Non so bene quando mi sia innamorata di lui, né perché visto che in quattro anni ci saremo parlati al massimo due volte se vogliamo includere la mia presa di coraggio di ieri. Ma in qualche modo muoio dalla voglia di potergli stare vicino, di poter parlare con lui, aiutarlo, farlo ridere. Non pretendo né penserei mai di poter essere la sua ragazza, io non sono nessuno né comunque potrei mai stare con un ragazzo tanto bello, ma mi basterebbe essere sua amica. La cosa che più di tutte vorrei è riuscire a farlo ridere. E’ strano, vero? Sono matta, credo. Ma più di tutto è questo che vorrei. Renderlo contento, anche solo per qualche minuto. Essergli utile. Ma la paura di fallire, di essere respinta anche solo come amica, mi paralizza e così rimango nella mia situazione di osservatrice segreta. Il pullman si ferma, qualcuno scende, qualcuno sale, io rischio di cadere visto che non ho trovato un posto a sedere, ma per fortuna riesco a rimanere in equilibrio aggrappandomi ad uno dei pali del bus. Lancio una occhiata disperata verso la porta centrale del mezzo dove attendono in silenzio Sherlock e John. Non hanno notato nulla, per fortuna. Sospiro. Mi sento strana, oggi. Vedere Sherlock tornare da scuola con qualcun altro è nuovo, insolito, quasi sbagliato. Eppure sono contenta da un lato perché questo vuol dire che forse, in qualche modo, anche lui avrà un amico, qualcuno che non avrà paura di difenderlo quando gli altri gli andranno contro. Io non sono abbastanza coraggiosa per essere quella persona e la cosa mi riempie di vergogna. A volte penso di non amarlo davvero, o di amarlo nel modo sbagliato. Sento di tenere così tanto a lui e poi non riesco a sgridare chi lo insulta… che sciocca che sono. Forse dovrei solo smetterla di pensare a qualcuno che neppure mi vede e ignorarlo. Ma non appena questo pensiero sfiora la mia mente, subito penso ai suoi occhi azzurri, alla sua voce bassa e calda e ogni intento viene meno. Come si può smettere di pensare ad una persona del genere?
Nuovamente, ci fermiamo, e mantenendo l’equilibrio stringendo un braccio attorno al palo del pullman, mi accorgo che questa è la sua fermata. Da anni ormai lo osservo sul pullman, senza avvicinarmi, e seguo la sua figura fino a quando non scende e non svanisce lontano e credo che lui non se ne sia mai accorto. Per lo meno lo spero, altrimenti la cosa sarebbe tanto imbarazzante che probabilmente finirei col sotterrarmi viva da qualche parte. Volgo lo sguardo verso loro due e rimango spiazzata da John che, sorridendomi, alza una mano per salutarmi mentre scende sul marciapiede. Istintivamente ricambio il gesto con un sorriso luminoso e noto Sherlock lanciarmi una occhiata piatta, un lieve cenno del capo, e poi il pullman riparte. Rimango ancora qualche istante con la mano ferma a mezz’aria, stupita. Mi ha salutata. Non ha mosso nemmeno un muscolo, non mi ha sorriso, non ha parlato, ma quel lieve cenno della testa era un chiaro ed evidente saluto a me. A me! Credo di non riuscire a crederci, ancora. Non è mai successo prima e anche se non ci siamo mai parlati sul pullman non penso che non si sia mai accorto della mia presenza sul mezzo. Questa è la prima volta che accade e, per qualche motivo, non riesco a non convincermi che il merito di tutto sia di John Watson.
 
 
 
- Sherlock?
- Mh?
- Cosa pensi di Molly Hooper?
La sua espressione è stranita. Mentre camminiamo verso casa sua mi guarda come se gli avessi chiesto quanto vuole bene a suo fratello. Per quel che ho potuto vedere penso che la cosa lo avrebbe scioccato allo stesso modo. Ferma il passo e mi indica di entrare in un vicoletto stretto e buio facendomi inarcare un sopracciglio. Lo seguo perplesso e mi fermo quando lo vedo poggiarsi di schiena al muro ed estrarre dalla tasca dei suoi pantaloni un pacchetto di sigarette. Onestamente questo mi sorprende: non avrei mai pensato che lui fumasse.
- In che proposito? – mi chiede prima di infilarsi una sigaretta fra le labbra e rimettere il pacchetto in tasca, estraendo poi l’accendino.
- Beh in generale, direi.
- Nulla di particolare. E’ molto intelligente, è la migliore della nostra classe ma ha un carattere odioso. Ha paura di tutto quando potrebbe farsi valere con nulla visto che dopo di me è la più sveglia fra noi. E’ esageratamente timida, si fa sottomettere da chiunque e al tempo stesso continua ad aiutarli se glielo chiedono. Mi irrita.
Le sue parole sono dure, abbastanza crudeli, e spero davvero che non le abbia mai dette a lei. Ho la sensazione per quel che lo conosco che se lei gli avesse mai fatto la domanda che gli ho posto io non avrebbe avuto alcuna paura a fornirle la stessa identica colorita risposta.
- Non credi di essere un po’ ingiusto? Anche tu hai dei problemi a relazionarti con la gente quindi è assurdo che la trovi addirittura irritante.
Espirando una boccata di fumo che mi fa tossire per un momento, Sherlock mi fissa come se avessi appena detto una idiozia. Il che capita molto spesso per lui, quindi ormai immagino che dovrò abituarmi a quel suo sguardo sufficiente.
- Io non ho problemi a relazionarmi, John. Io non voglio farlo. Io sto bene da solo e mi comporto di conseguenza. Lei desidera da morire avere degli amici ma non fa nulla per cambiare questa cosa. Sono anni che sembra sul punto di volermi parlare e poi si gira e rimane al suo posto. Quando saluta gli altri lo fa come se si aspettasse di principio una risposta crudele e questo invoglia gli altri a maltrattarla. Se non si dà da fare continuerà a farsi trattare così per sempre. E lei lo sa perché è intelligente, ecco perché mi dà fastidio. E’ lei la prima carnefice di se stessa.
Le sue parole sono vere, non posso dire che il discorso non fili, ma in qualche modo non mi piace il suo giudizio così perentorio e crudele contro una povera ragazza che per altro nutre palesemente dei sentimenti per lui. Non la conosco affatto, ancora meno di Sherlock, ma ho capito che tipo di persona è e una creatura così buona e indifesa non può essere maltrattata così gratuitamente davanti a me. Anche se è lui a farlo.
- Adesso sei cattivo. Dai è ovvio che provi qualcosa per te, non puoi cercare di aiutarla? E’ una brava persona non merita tutto questo disprezzo da parte tua!
- Lei cosa?
- Eh?
- Hai detto che prova qualcosa per me.
- Infatti. E non dirmi che non te ne sei accorto visto che la conosci da quattro anni mentre io l’ho capito quando l’ho vista la seconda volta in tutta la mia vita.
Il solo pensiero di non essere arrivato ad una così semplice conclusione prima di me lo irrita evidentemente, tanto che getta la sigaretta a terra calpestandola e soffia via la sua ultima boccata di fumo, prima di fissarmi infastidito. – Io non capisco       queste stupidaggini, ok? Non so perché dovrebbe essere interessata a me né potrei mai capirlo. E di sicuro non la incoraggerò.
- Non ho mai detto di incoraggiarla, sarebbe crudele. Ma almeno prova ad aiutarla a farle capire cos’ha che non va il suo carattere. Tu riesci a ignorare facilmente quel che la gente dice di te, prova a dirle come fai. Sarebbe d’aiuto per lei e per te.
- Per me?
- Tutti hanno bisogno di amici.
- Io no.
- Tutti.
- Perché?
A questo punto boccheggio. E come si spiega, adesso, perché tutti necessitano di almeno un amico? È un qualcosa di cui sono fermamente convinto e in cui credo con fermezza ma non ho mai pensato di dover spiegarne il motivo ad alta voce. Come si fa? E’ qualcosa di astratto, qualcosa di emotivo e naturale, non c’è un processo logico che ne spieghi il funzionamento. Ed è in questo momento che capisco come lui trovi solo nei processi logici e scientifici un significato e una qualche valenza. Solo le cose spiegabili e riproducibili sono vere e assolute, il resto è solo teoria, fumo. Illusione. E per un attimo mi sento un illuso davvero.
- Siamo arrivati.
Ci fermiamo davanti ad una casa davvero grande. Non una palazzina, un condominio, ma una vera e propria casa. Un piccolo giardino, un vialetto all’aperto e una graziosa veranda con un dondolo in legno e una quantità impressionante di cespugli fioriti e piante su ogni davanzale. Per un attimo penso che in qualche modo mi sta prendendo in giro. Anche vista dal solo esterno questo edificio emana calore e accoglienza. Sembra essere il luogo perfetto per la tipica famigliola felice e affettuosa, un po’ come quelle che si vedono nelle pubblicità per i prodotti della prima colazione. E da una famiglia simile non riesco a immaginare come possa uscire fuori un tipo solitario e silenzioso come Sherlock. Senza dire altro procediamo lungo il vialetto acciottolato e saliamo i tre gradini della veranda trovandoci davanti ad una graziosa porta di legno chiaro con un ovale di vetro opaco e zigrinato. Il mio compagno estrae le chiavi dalla tasca e aprendo la porta mi lascia entrare per primo. Davanti a me si prospetta un corridoio affacciato su diverse stanze, alcune dotate di una porta altre prive, a cui si accede tramite un passaggio ad arco che lascia aperta la via. Alle pareti ci sono foto di ogni genere e dimensione e su un tavolino vicino la porta e all’attaccapanni c’è un vaso di fiori variopinti. Un profumino delizioso aleggia per l’aere trasmettendomi una sensazione di calore. Sento un chiacchiericcio vivace provenire da una delle entrate ad arco del corridoio e noto che Sherlock si sta dirigendo proprio lì. Prendo un profondo respiro e mi accorgo solo ora che non so davvero cosa aspettarmi dalla sua famiglia. Cioè, dai suoi genitori visto che suo fratello l’ho conosciuto già la mattina precedente. Avanzo un po’ impacciato alle sue spalle cercando di sistemarmi i capelli con una mano e quando varchiamo l’ingresso dell’ampia cucina noto i suoi genitori voltarsi verso di noi con un gran sorriso.
- Siamo a casa. – esordisce Sherlock quasi con fare apatico non sapendo evidentemente come comportarsi in questa situazione. Se davvero non ha o non ha mai avuto amici immagino che questa debba essere la prima volta che gli capita di trovarsi in una situazione simile. Forse, in qualche modo, la persona più a disagio fra noi non sono io.
Sua madre, una donna dal sorriso caldo e luminoso e l’aria materna- si avvicina verso di noi sprizzando gioia da ogni poro e dopo aver lasciato una carezza sul viso del figlio mi guarda come estasiata. Mi sento decisamente in imbarazzo, mi sembra quasi si stia per commuovere. – Oh John è un piacere averti in casa nostra. Gli amici dei miei bambini sono sempre i benvenuti.
- Mamma! – sbotta improvviso con tono scioccato e severo facendo voltare la donna con aria interrogativa verso di lui.
- Che c’è?
- Non ho amici! E non sono un bambino.
- Non stai appena facendo i capricci?
- Io me ne vado.
E così dicendo lo vedo girarsi e andare via lasciandomi solo coi suoi genitori ancora più a disagio di prima. Non so cosa fare né come comportarmi. Suo padre seduto al tavolo intento a leggere un giornale, sorride sotto i baffi.
- Devi scusarlo. Sherlock è un ragazzo meraviglioso ma le relazioni sociali sono un problema per lui.
- Non importa, penso di capirlo un po’, non mi dà fastidio – cerco di dire per calmare la madre evidentemente preoccupata che la cosa possa avermi offeso. La mia risposta però è come un violento colpo emotivo per la donna che con gli occhi lucidi di felicità mi abbraccia gioiosamente lasciandomi un po’ perplesso e confuso. Che si dovrebbe fare in una situazione del genere? Ricambiare l’abbraccio della madre appena conosciuta di un ragazzo appena conosciuto? Rimanere impalato fra le sue braccia facendo la figura dell’insensibile o, peggio ancora, dell’ingrato? Totalmente perplesso porto una mano sulla sua schiena in un mezzo abbraccio e, per fortuna, in pochi secondi si divincola dalla stretta avvicinandosi ai fornelli, ricomponendosi.
- Devi scusarmi, sai! E’ che sono così felice che finalmente abbia trovato qualcuno che lo apprezzi! – e dalla sua voce intuisco quanto soffrisse nel sapere che il suo bambino adorato fosse solo e solitario. E’ con quelle sue parole che riesco a capire quanto davvero Sherlock mi piaccia. Il suo carattere deciso e maturo, l’ingenuità nei rapporti con gli altri, la strafottenza di alcune sue parole. La decisione con cui crede nelle sue convinzioni e credenze. E’ una persona davvero eccezionale e per un istante realizzo come non riesca davvero a concepire l’idea che qualcuno non se ne accorga.
- John!
È la sua voce seccata a richiamarmi da questi miei pensieri e a far sorridere sua madre verso di me. – Vai pure da lui, vi chiamo quando è pronta la cena.
- Grazie, signora.
E con un certo sollievo mi volto percorrendo il corridoio cercando di capire quale sia la stanza di Sherlock. Alla fine la trovo. La porta è aperta e lui è seduto in maniera molto strana su di una poltrona. I piedi sul sedile della stessa, le gambe piegate e lui chino su ste stesso, con le mani poggiate sulle ginocchia. Mi osserva con aria ferma. Sembra quasi nervoso. Ma ad essere onesti la sua espressione è sempre così decisa e determinata da sembrare tesa perciò in fondo non mi preoccupo particolarmente. Lascio scivolare la cartella in terra mentre mi avvicino al letto, sedendomi.
- Hai una bella casa. – dico per rompere il ghiaccio, guardandomi attorno.
Questa stanza è molto diversa dal resto dell’appartamento. Non emana calore come le altre stanze o il solo corridoio, ma sembra quasi una specie di laboratorio. I muri non hanno foto, né quadri, se non fosse per un poster della tavola degli elementi incorniciato sulla parete dietro la scrivania. Accanto a questa è appeso un calendario e un orologio digitale mentre sul tavolo c’è un barattolo con delle penne e delle matite e un certo numero di fogli, quaderni, libri. Riviste scientifiche e vari opuscoli sono impilati confusamente in un angolo della scrivania, vicino al computer portatile adesso spento. C’è un grande armadio e un mobile con diversi cassetti e su di essi ci sono libri, progetti, strane ampolle e un set di provette di chimica. Sembra quasi faccia dei particolari esperimenti e non scommetterei affatto il contrario. E’ abbastanza strano da esserne capace. Il letto è semplice, ampio, a due piazze, poggiato al muro e rivolto verso la porta. Le pareti sono dipinte di un bianco smunto che rende la camera quasi fredda.
- Grazie – dice senza scomporsi o muoversi minimamente.
Rimaniamo in silenzio. Non so cosa dire, lui non sembra sapere cosa fare. Ci fissiamo per un po’ guardando alternativamente fra noi e il resto della camera finché non mi decido a fargli una domanda che mi preme da questa mattina.
- Anderson ti ha colpito?
- Sì.
Un impulso di violenza mi investe repentino facendomi stringere convulsamente una mano a pugno. Annuisco.
- Ti dà fastidio?
- Mi fa arrabbiare.
- Perché?
Perché? Non lo so il perché. Non puoi farmi queste domande, Sherlock. Queste domande così semplici che mi fanno cadere in confusione e io non so come risponderti. O meglio, lo so, ma non posso dirlo ad alta voce. Non so parlare dei miei sentimenti apertamente, non con un ragazzo comunque, e dire ad alta voce che non voglio che ti venga fatto del male è troppo imbarazzante.
Non so nemmeno perché me la prendo tanto. Non è e non sarà l’ultimo ragazzo che viene maltrattato dai suoi compagni eppure ci tengo a difendere lui come non ci terrei per qualcun altro. In qualche modo sento questa strana connessione fra noi che mi porta a volerlo difendere. Decido di buttarla sul ridere per mascherare i miei veri imbarazzanti pensieri. E so che non c’è nulla di vergognoso in quel che penso, ma sono pur sempre figlio di un soldato e ho come mio padre una mentalità piuttosto chiusa da certi punti di vista, sebbene sia strano pensare che io sia chiuso se si considera che sono in compagnia di una persona quale è Sherlock.
- Perché avrei voluto tirargli un pugno in piena faccia. Di sicuro non avrei rovinato nulla visto com’è disastrata la sua faccia.
Ridiamo divertiti pensando a come sarebbe potuta uscirne tumefatta la faccia di Anderson dopo un mio pugno e mi sembra che la tensione che fino a poco fa ha permeato la stanza stia decisamente scivolando via. Mi piace vedere Sherlock ridere: per un attimo sembra una persona normale, come tutti. Eppure in fondo al cuore so che lui non è e non sarebbe stato mai una persona qualunque. Lui è speciale e nonostante i suoi difetti va apprezzato per quello che è.
 
 
Chiuso nella mia stanza non mi sono accorto dell’arrivo di Sherlock e di Watson. Troppo impegnato su questi documenti, su queste informazioni, non sono riuscito ad accorgermi di altro fuori da quel che stavo leggendo. Solo l’arrivo di mia madre in camera mi riscuote facendomi prendere una pausa da una giornata di lavoro davanti al mio pc. Mi accorgo di sentire gli occhi bruciare, così con due dita me li strofino stancamente.
- Tesoro, tuo fratello è tornato. Saluta il suo amico, da bravo ragazzo. Sono in camera di Sherlock.
- Sì mamma, vado subito. Per ora posso prendermi una pausa.
- Non lavorare troppo, bambino mio.
E così dicendo se ne va tornando in cucina. L’odore della cena aleggia fino alla mia stanza e mi accorgo di quanta fame abbia. Brucio un sacco di energie cercando di farmi accettare dai miei capi e prendo troppe poche pause. Devo regolare i miei ritmi. Mi alzo così dalla stanza e esco in corridoio diretto verso la camera di mio fratello quando, il suono delle loro risate, blocca il mio passo portandomi a poggiarmi di schiena contro al muro. Sentire Sherlock ridere mi fa tremare per un lungo attimo. Nessuno riesce a farlo ridere intenzionalmente. Lui si diverte solo quando ha per le mani un mistero, un enigma, un qualche scherzetto ai danni di qualcuno. Non si diverte con cose normali, tranquille e ordinarie. Non ha mai riso assieme a qualcuno –tranne me qualche volta- e sapere che adesso c’è qualcuno che possa fargli fare una cosa del genere mi terrorizza. John Watson è riuscito in qualche modo ad avvicinarsi al mio fratellino, alla sua mente, al suo cuore. Anche se Sherlock non lo dice e non lo ammette è molto più vicino a quel ragazzo di quanto non sia mai stato in vita sua a nessun altro. Gli permette di parlare con lui, ci parla per telefono, lo ha davvero invitato a casa e sembra divertirsi insieme a lui. Tutto questo non è normale per quelli che sono i suoi standard e questo vuol dire che ci si sta affezionando. E la cosa mi spaventa profondamente. Se per qualche motivo John Watson dovesse abbandonarlo o tradire la vicinanza che Sherlock gli sta offrendo temo davvero che potrebbe spezzargli il cuore. E’ la cosa più vicina ad un amico che abbia mai avuto e se dovesse perderlo sono certo che soffrirebbe molto, anche se non lo lascerebbe vedere a nessuno. Ma io lo conosco. Lo capisco. E devo fare tutto ciò che posso per evitare che questo accada. 
 
Anche questo capitolo finisce!
Il rapporto di Sherlock e John sta pian piano prendendo forma
e i vari altri personaggi fanno la loro comparsa con descrizioni più 'massicce' sulle loro personalità
e i loro pensieri. Spero che sia stata una piacevole lettura e, come sempre,
se vi è piaciuto oppure no, lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate! 

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