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Autore: Sheylen    10/05/2014    2 recensioni
Cinna invischiato negli Hunger Games non come stilista? Questo passa il convento! Soprattutto con una giundiciA ricca di fantasia come ManuFury: tutte le storie presenti saranno infatti il frutto del suo contest a turni. Ogni storia sarà diversa per genere, tema e tipologia... quindi chi ha voglia di curiosare non è che il benvenuto!
Genere: Azione, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri tributi, Cinna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disposto a camminare

 
 
Quando i Giochi iniziano, Capitol City sembra paralizzarsi. Come in contrapposizione con il febbrile fermento del periodo dopo il Giorno della Mietitura, le strade della città erano silenziose e deserte, mentre tutto il popolo osservava rapito la diretta TV degli Hunger Games.
Cammino nei pressi dell’Edificio Centrale, sede delle sale di controllo e dei laboratori dedicati ai Giochi. Non ce la faccio a restare attaccato allo schermo del televisore, guardando morire un ragazzo dopo l’altro, osservando le loro agonie e gli sguardi selvaggi nei loro occhi mentre si uccidono a vicenda.
Meglio camminare.
Potrei realizzare nuovi abiti, andare sotto il mio salice, ma al momento ho solo voglia di muovere un passo dopo l’altro. Come un bambino, seguo le righe della pavimentazione, giocando a fare il funambolo. Se mi concentro solo sulla linea retta, per qualche istante posso anche dimenticare dove sono e cosa sta succedendo nell’Arena.
Non voglio sapere se Katniss sta soffrendo, o se sta uccidendo qualcuno. Non saprei scegliere cosa è meglio per lei, patire un dolore fisico o uno psicologico. So che questi giorni sono i più difficili della sua vita, e forse non indosserà mai più un mio abito.
Torno a concentrarmi sui miei passi, contandoli uno ad uno. Non mi curo della direzione, mi interessa solo camminare.
È il rumore di una porta che sbatte a riportarmi alla realtà. Sono nel cortile dell’Edificio Centrale, quello che collega gli uffici e i centri di controllo alle palestre e alle suites dei Tributi. Davanti a me cammina un gruppo di soldati, disposti in formazione. È raro vederne circolare a Capitol City, soprattutto durante i Giochi. Di solito sono inviati nei Distretti per tenere sotto controllo possibili ribellioni, causate sovente dalla morte del Tributo corrispondente e sedate con spaventosa freddezza.
 

“Si sa dove si nasce, ma non come si muore, e non se un'ideale ti porterà dolore”

 
Poi mi accorgo che in mezzo al gruppo c’è una ragazza. Ha i capelli rossi sciolti sulle spalle, spettinati e ribelli. Tiene la testa china mentre viene trascinata a forza dai soldati, che le stringono le braccia così forte da renderle violacee. Il suo corpo si contorce, cercando di sottrarsi alla presa degli uomini, ma dalle sue labbra non esce nemmeno un suono. Solo chi non è abituato a parlare riesce a stare in silenzio in una situazione simile. Deve essere una senza- voce.
Mi sposto sul lato del viale per fare spazio alla marcia dei soldati, seguendo con lo sguardo la ragazza. Quando sono quasi arrivati alla mia altezza, lei alza la testa e gonfia impettita il petto, guardandomi dritto negli occhi. Attraverso i capelli rossi, mi lancia un’occhiata carica di rabbia, orgoglio, ribellione. Una frustata al cuore.
All’improvviso ricordo cosa c’è oltre alle palestre dall’altra parte dell’Edificio: le sale sotterranee della tortura.
E capisco che l’odio nello sguardo di quella ragazza non era solo diretto ai soldati, ma anche a me. Sono all’interno del cortile dell’Edificio Centrale, devo per forza partecipare all’organizzazione degli Hunger Games. Io sono responsabile degli Hunger Games, non meno di Snow, non meno di Crane.
 

“Ma la tua vita adesso puoi cambiare solo se sei disposto a camminare, gridando forte senza aver paura,  contando cento passi lungo la tua strada”

 
La strada sotto i miei piedi sembra sprofondare. Non posso fare finta di dimenticare. Non posso continuare a camminare. Torno a guardare il gruppo di soldati, che ormai lasciano intravedere solo i piedi della ragazza. Ha smesso di dimenarsi, ora sta camminando decisa verso il dolore. Perché non è un dolore qualunque, è un dolore fisico generato dal rifiuto di un dolore morale. Ha scelto di seguire convinta la sua strada, piuttosto che lasciarsi trascinare in un’altra che non le appartiene.
Mi prendo la testa tra le mani e capisco che ciò che patirà sotto tortura non sarà mai come quello che sto patendo io in questo momento.
Ho camminato troppo a lungo su una strada che non era la mia. Adesso è il momento di alzare la testa e muovere un passo dopo l’altro, di correre per recuperare il tempo sprecato a seguire una via diversa da quella che mi apparteneva.
Lei era una senza-voce, eppure non ho mai visto gridare qualcuno più forte di lei.
Ora è il mio turno. Lotterò per fermare gli Hunger Games.
 
 
 
 
 
(Citazioni de “I cento passi”, Modena City Ramblers)
 
  
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