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Autore: TheMask    11/05/2014    2 recensioni
Estratto;
Mi piace la pioggia. Mi è sempre piaciuta. La pioggia lava via tutto, lasciando dietro di sé un odore fresco, pungente. Quel profumo che ti pizzica le narici e che vorresti ad accompagnare tutti i tuoi sogni, immagino abbiate presente.
Non c’è niente per me in questo posto, salvo forse quel profumo e poche altre cose che troverei anche altrove, ma che nel bilancio di una vita non hanno molta importanza.
Cinico?
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Cristo, odiava la pioggia. La vedeva come una mera limitazione ai vestiti che poteva mettere, alle uscite e al sole. Senza sole c’era un bel po’ più di tristezza nell’aria e non è che qualcuno ne avesse bisogno, eh.
Grazie comunque, pioggia, per tutto il resto di ciò che fai. Cioè inondare le strade, allagare le cantine, infradiciare i passanti senza ombrello e tutte quelle bellissime cose lì, insomma.
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- Come mai sei qui? Hai un posto dove andare? -
- Non mi interessa andare da nessuna parte. Lasciami stare, per favore. – rispose duramente.
- Non posso lasciarti qui così.-
- Troppi sensi di colpa? – domandò sarcasticamente , stringendo il parapetto con più forza, fino a farsi sbiancare le nocche.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E’ una giornata piovosa.  La città si è vestita di grigio come una dama triste.
Il cielo è una coperta uniforme e piangente.
Uscire senza ombrello anche solo per andare a buttare la pattumiera garantisce una doccia gratuita e completa.
Ma non sto andando a buttare la pattumiera.
Le strade sono praticamente vuote, è notte fonda. Poche macchine passano a tutta velocità, sollevando schizzi enormi che si schiantano con brutalità contro i marciapiedi e i semafori.
Sembra di camminare nel nulla.
Quanto mi piacerebbe affondare in questo stesso marciapiede su cui si posano i miei passi. Quanto mi piacerebbe annegarci per sempre e chiudere finalmente gli occhi.
Ma continuo a camminare senza che i miei piedi sentano altro che duro cemento  sotto le scarpe.
Mi pare di sentire qualcuno che fischietta un motivo triste, ma mi rendo conto presto che sono io.
Dove sono ora non c’è un’anima viva, com’è comprensibile.
Vivo in una città di mare, non l’avevo detto? La mia città – se così si può chiamare – sta arroccata a precipizio sull’abisso, proprio così. La spiaggia più vicina è a mezz’ora di macchina.
Nonostante il freddo non indosso altro che un semplice vestito a fiori estivo, ormai fradicio.
Come me. Non che m’importi molto, ormai. I capelli sgocciolano, così come il viso.
Mi passo una mano sul volto, anche se pochi secondi dopo la situazione è la stessa.
Mi piace la pioggia. Mi è sempre piaciuta. La pioggia lava via tutto, lasciando dietro di sé un odore fresco, pungente. Quel profumo che ti pizzica le narici e che vorresti ad accompagnare tutti i tuoi sogni, immagino abbiate presente.
Non c’è niente per me in questo posto, salvo forse quel profumo e poche altre cose che troverei anche altrove, ma che nel bilancio di una vita non hanno molta importanza.
Cinico?
Non mi interessa se c’è qui qualcuno che pensa che alla mia età non si possano fare considerazioni simili sulla propria vita, perché tanto della vita non si può capire granché. Probabilmente sono precisamente le persone che in questo momento vorrei prendere e pugnalare ripetutamente al petto per poi gettare i resti in pasto ai maiali.  Non mi interessa, davvero. Perciò girate al largo.
La pioggia mi scivola addosso. Non ha più tessuto in cui impregnarsi ormai.
Mi domando spesso perché io e gli altri esseri umani ci comportiamo in modo così sciocco. Ci nascondiamo dietro alle stupide vite che ci siamo costruiti faticosamente senza pensare ad altro, allontanando chiunque ci voglia mostrare che esse sono inutili e false. Chiunque voglia farci uscire dal set per fare due passi nel mondo reale.
Che per la cronaca, va a puttane.
Tutti lo sanno, non dico di no. Non sono tanto ingenua da pensare che  viviamo nella totale ignoranza di cosa accade. Tutti sanno che sta finendo il petrolio, che la gente muore e tutto il cazzo di pacchetto.
Ma per chi, realmente, fa la differenza il saperlo? Chi si distoglie dalla propria vita per questo? Il mondo è troppo grande per noi, la vita troppo breve, il nostro cervello troppo limitato. Lo capisco.
Però…
Almeno porsi un quesito, questo me lo aspetto generalmente. Ma spesso mi rendo conto che esso è stato ignorato.
Quanti di voi si sono seriamente e sinceramente chiesti almeno una volta nella vita, dandosi poi una risposta, come considerare il mondo.
Insomma. Voi riponete qualche speranza nei confronti del mondo, oppure no?
Questa domanda mi ha colpito come un pungo, la prima volta che mi è giunta alla mente. Ho speranza? Sinceramente, credo che qualcosa migliorerà?
Ma più della domanda mi colpì la risposta: no.
Neanche nell’angolo più remoto del mio piccolo adolescente cuoricino che adorate prendere in giro.
Ripeto: non mi interessa la vostra opinione.
Non mi interessa sentirmi dire che devo pensare di meno, non mi interessa sapere dei vosri consigli per essere dannatamente felice, non voglio sapere per nessun motivo come siete diventati quello che siete, non voglio sentire le vostre storie, non me ne frega un cazzo di voi. Chiaro?
Continuate a essere orgogliosi dei vostri obbiettivi del cazzo, delle vostre carriere, dei vostri soldi, dei vostri amici, delle vostre cottarelle idiote, del vostro incredibile coraggio, della vostra certamente enorme conoscenza di quello che vi circonda.
Non potrebbe importarmi meno di così, ve l’assicuro.
Già.
Non ci credete? Vi reputate troppo importanti per essere snobbati così? Ops, che peccato.
Eppure è esattamente così. Fatevene una ragione, grazie e ciao.
Mi appoggio a un robusto parapetto metallico, scuro e freddo di pioggia, che mi dovrebbe proteggere dal precipizio che si lancia, pochi centimetri davanti a me, nell’oscurità del mare.
La pioggia sembra essere più fitta dell’aria ormai e non pare baluginare nelle nuvole neanche l’idea di smetterla e andare da qualche altra parte. Non importa, la pioggia è piacevole. Come un abbraccio, ma casuale, freddo, molto informale e, naturalmente, bagnato.
Mi viene da pensare alla religione, non so perché. Non è buffo? Pecchi, sostanzialmente, quando per un momento basti a te stesso. Quando non hai bisogno degli dei.
Il vestito sembra bagnarsi ancora di più, stranamente, all’infittirsi della pioggia.  Non credevo neanche che fosse possibile, eppure.
Mi passo una mano fra i capelli e da essi scorre un fiume d’acqua che non finisce più.


 
 -ELLIE! ELLIE, DIO SANTO CHE COSA VUOI FARE, EH? SCAPPARE DI NUOVO? SAI FARE SOLO QUESTO? -
- FINO A CHE TU NON SAPRAI FARE ALTRO CHE DIRE QUELLO CHE PENSI! NON ME NE FREGA UN CAZZO DI QUELLO CHE PENSI! -
- NON USARE QUEL TONO CON ME! -
- IO USO IL CAZZO DI TONO CHE MI PARE! -
- NON PROVARE A PARLARMI COSI’, O GIURO CHE TE NE PENTIRAI! -
- E CHE VUOI FARE, PICCHIARMI? Come se mi importasse. NON MI FAI PAURA, STRONZA! -
- ELLIE, TORNA SUBITO QUI! –
- MA VAFFANCULO! –
La porta sbatté violentemente sui cardini chiudendo la conversazione.
- DOVE VUOI ANDARE A QUEST’ORA? PIOVE PURE! IDIOTA, TORNA QUI! – fu la voce che seguì Ellie sulle scale, deformata dalla distanza .
- Ma vaffanculo… - sussurrò di nuovo la ragazza, fra i denti.
Non aveva più dieci anni. Aveva numerosi amici pronta a ospitarla. Come se fosse la prima volta che se ne andava di casa.
Si fermò nell’atrio a sistemarsi un attimo davanti allo specchio della portineria. Si fece velocemente i due soliti codini di capelli corvini ai lati della testa e lisciò la frangetta, si fissò per qualche istante negli occhi grigi, strinse il piercing al labbro,  si chiuse la giacca di pelle e si allacciò una scarpa sbuffando. Poi riprese in mano il  borsone nero e uscì di casa sbattendo la porta. Camminò rabbiosamente sotto la fitta pioggia che sembrava intenzionata a farla annegare.
I suoi pensieri furiosi saettavano qua e là per la sua testa inscenando oltre i suoi occhi un temporale che faceva concorrenza a quello che stava svolgendosi sopra e intorno a lei, nel mondo reale.
Strinse gli occhi rendendosi conto di essere già completamente fradicia. Per fortuna la borsa teneva l’acqua lontana dalle sue poche cose.
Dio, quanto la facevano arrabbiare a volte, gli adulti! Dio, quant’erano stupidi e deboli!
Perché lei avrebbe dovuto accorparsi le loro colpe e poi consolarli pure? Perché cazzo avrebbe dovuto subirli? Cos’era, una puttana? Non le pareva proprio.
Che cazzo.
Quanto odiava quello che le dicevano!
Eh, ma se non hai un ragazzo è perché ti vesti sempre di nero! Eh, ma naturale, con quella faccia scontrosa! E dire che sei anche carina!
MA FATEVI I CAZZI VOSTRI.
Perché avrebbe dovuto anche solo desiderare lontanamente i loro consigli? Per cosa, poi ? Per diventare come loro?
Cazzate.
Che poi ne conosceva anche, di adulti che le stavano simpatici. Adulti in gamba. Forse esagerava a volte, e lo sapeva anche. Era un po’ troppo estremista, questo poteva concederlo. E anche un po’ ostica, d’accordo. Ma se era così, magari eh, c’era anche un motivo, no?
Non lo faceva per ripicca, non gliene fregava molto della ripicca.
La ragazza sollevava schizzi a ogni passo e l’acqua cominciava a penetrare in fretta anche attraverso le scarpe.
Cristo, odiava la pioggia. La vedeva come una mera limitazione ai vestiti che poteva mettere, alle uscite e al sole. Senza sole c’era un bel po’ più di tristezza nell’aria e non è che qualcuno ne avesse bisogno, eh.
Grazie comunque, pioggia, per tutto il resto di ciò che fai. Cioè inondare le strade, allagare le cantine, infradiciare i passanti senza ombrello e tutte quelle bellissime cose lì, insomma.
Ellie passò sul lungomare senza pensarci due volte: sapeva già dove stava andando. Molti dei suoi amici erano in una casa occupata alla fine di quella panoramica strada e aveva intenzione di passare lì la notte e possibilmente anche molti dei giorni a venire.
Faceva parte del collettivo che gestiva quella casa, non era una novità che vi piombasse di notte. Neanche che vi piombasse fradicia, per dirne una.
A un tratto però, vide qualcosa che la paralizzò e le fece cadere la borsa di mano.
C’era qualcuno appoggiato al parapetto, fradicio più di lei, con un’aria surreale e sospesa.
Ellie si avvicinò cautamente.
Era un ragazzo più o meno della sua età. Magrissimo, questa era la prima cosa che si notava di lui. Anzi, forse la prima era che in mezzo a una specie di tempesta che da quelle parti non si vedeva arrivare con quella potenza distruttiva da parecchi anni, l’unica cosa che indossava era un vestito estivo.
Un cazzò di vestito estivo. Ellie si chiese come non fosse già morto assiderato, considerato come lei stessa si ritrovava a tremare pur sotto la giacca.
Il ragazzo non la vide avvicinarsi. Sembrava sul punto di buttarsi in mare, a dire la verità.
Ellie vide i suoi lineamenti dolci e i suoi capelli corti inzuppati di pioggia immersi nella contemplazione del mare, esteso fino ai limiti della vista e pieno di pioggia.
La ragazza si avvicinò ancora di più, tendendo una mano.
Lui la notò, però, e si voltò a guardarla quasi spaurito.
I suoi occhi sembravano quelli di un cerbiatto, le iridi di un caldo color cioccolato svuotate di ogni emozione. I lineamenti erano delicati, quasi femminei.
Se Ellie non l’avesse visto per intero, osservando solo il volto, forse avrebbe potuto credere di aver davanti una ragazzina.
- Ehy, senti, non puoi stare solo sotto la pioggia vestito così leggero, ti ammazzi così! – disse piano lei, tentando di essere gentile.
Lui la continuava a guardare senza rispondere.
- Ma che ci fai qui? – domandò lei.
Non era una cima, in gentilezza.
Il ragazzo si incupì, smettendo di guardarla. I suoi occhi tornarono a fissarsi sulle onde che si ingrossavano sotto di lui, le mani si strinsero sul parapetto.
- Lasciami in pace. – disse fermamente.
Ellie sospirò. Si avvicinò ancora, sebbene lui si fosse scostato di qualche centimetro, preoccupato. Si appoggiò a sua volta al parapetto e guardò il mare.
- Come mai sei qui? Hai un posto dove andare? -
- Non mi interessa andare da nessuna parte. Lasciami stare, per favore. – rispose duramente lui.
- Non posso lasciarti qui così.-
- Troppi sensi di colpa? – domandò sarcasticamente il ragazzo, stringendo il parapetto con più forza, fino a farsi sbiancare le nocche.
- No, idiota. Solo che non voglio che mi si dia la colpa di un suicida. -
Nessuno parlò.
- Ti sembro cinica? Non me ne frega niente. Io vedo solo che tu hai freddo. Quindi ora vieni con me e ti procuriamo dei vestiti decenti, ti va? – domandò lei, addolcendo un po’ la voce.
- Davvero non è per i sensi di colpa? Non ci credo. -
- Beh, forse in parte per quello. E allora? E’ un delitto forse, essere umani? -
Lui si voltò di nuovo a guardarla.
- Voglio stare da solo.-
- Anche a me piacerebbe, ma ehi, non sempre è possibile. -
- Non sai neanche chi sono. -
-  E viceversa. Non mi interessa sapere chi sei, ok? Puoi anche non dirmelo se vuoi, non mi offendo. Però non voglio che un ragazzo si ammazzi solo come un cane sotto una cazzo di pioggia. -
- Preferiresti che io mi ammazzassi in un giorno di sole ? -
- Forse sì. – disse Ellie dopo averci pensato per qualche istante.
Lui alzò un sopracciglio.
- Dai scherzo, idiota! Ovvio che no. Ma quindi ti volevi buttare giu? -
- No, guarda, volevo solo fare una nuotatina e tornare a casa. Sai, è così usuale in notti d’inverno come queste. -
- Ah, ah. Che spiritoso. Ma per qual motivo, se posso? -
- Non ti pare abbastanza il mondo in cui viviamo? -
Ellie sbuffò.
- Sei un debole. -
- Pensi che sia da forti costruirsi una vita dietro la quale nascondersi e fingere di tentare di migliorare qualcosa? -
- In primo luogo, sì. Anche gli altri hanno i pensieri e le sensazioni che hai tu, amico, eppure vanno avanti. Per quanto sia poco onorevole, è molto più terrificante rinnegare se stessi e, come dici tu, costruirsi una vita del cazzo, che non mollare tutto. Oh, certo, ci vuole coraggio a suicidarsi, questo te lo concedo. In secondo luogo quello che intendo è che tu, suicidandoti, apri un bello shortcut nella vita! Comodo, no? -
- Non siamo in un videogioco. -
- Già, forse. E quindi? -
-Non puoi aprire uno shortcut nella vita. -
- Dai, cazzo, è un modo di dire! -
- E comunque a me non interessa del mondo. Quindi perché non dovrei? -
- Perché interessi al mondo. -
- Che cazzo di frase è? -
- Le persone emotive sono una risorsa ora come ora, non lo sai? La nostra società reprime l’emotività ed è uno dei motivi dei crollo che avverrà. -
- Tu.. hai speranza nel mondo? -
Ellie rise, togliendosi l’acqua dal viso con la mano.
- Quello che succede, tutto, ce lo meritiamo, ok? Non c’è nulla che eviterà la fine di tutto. Lo sai, quello che voglio dire. Però… credo che impegnarsi a migliorare la società nel frattempo sia utile e intelligente. -
- Non trovi sia un pensiero presuntuoso? -
- No . -
La pioggia ticchettò più forte.
- Guardami – disse lui – cosa vedi? -
Ellie lo fissò per qualche secondo.
- Un ragazzo anoressico con un vestito, bagnato fradicio? -
- Quindi? -
Lei sbuffò .
- Quindi? – domandò lei a sua volta – vuoi che ti chieda se sei gay? Non mi interessa. -
- A te. -
- Oddio, dai, guarda che anche io sono lesbica, non è la fine del mondo! -
- Già.  Se non sei me immagino di no. -
- Genitori oppressivi? -
Lui non rispose.
- Compagni bulli? -
Silenzio.
- Cosa, nessuno che ti rivolge la parola? Tutti che ti guardano come se tu fossi malato? -
Il ragazzo guardava il mare.
Ellie lo strattonò, fissandolo negli occhi, come a volerlo riportare sulla Terra.
- SVEGLIA! SUCCEDE A TUTTI! Cosa credi che ne pensi la mia famiglia di me? Come credi che mi guardino? Non ti puoi suicidare per questo! -
- NON MI STO AMMAZZANDO PER QUESTO! -
- E ALLORA PERCHE’?-
Lui non rispose.
- Beh, sai cosa ti dico? Io me ne vado. Fa pure. -
Ellie tornò indietro sul marciapiede, prese la borsa in una mano e cominciò a camminare. Ma dopo una decina di metri si voltò.
Il ragazzo aveva il capo chino. Era scosso da singhiozzi pesanti, che lo strattonavano senza che potesse allontanarli. Lei sospirò, tornando indietro.
Lui non reagì più. Dopo averlo guardato per qualche secondo, la ragazza si tolse la giacca e gliela mise. Poi lo prese per mano senza dire nulla e riprese a camminare, con lui affianco.
- Ci penso io a te, va bene? Fottitene degli altri. -
Lui si fermò.
- Che c’è, non ti basta ancora la pioggia? -
- Perché lo stai facendo? -
Lei gli sorrise e lo abbracciò.
- Dai, mi stai simpatico. – ridacchiò poi, riprendendo a camminare.

 
  
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