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Autore: live in love    14/05/2014    3 recensioni
Seguito della storia "Ritratto di Te"
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Sono, ormai, passati vari mesi da quando Emma ha presentato la sua opera e dallo scandalo del New York Times che ha visto coinvolti la sua famiglia ed Andrew.
Una apparente tranquillità sembra pervadere ora la sua vita, divisa tra amore, lavoro e arte, ma cosa ha in serbo per lei il destino?
Nuovi problemi, situazioni diverse e impresti personaggi sono in agguato, come affronteranno Emma ed Andrew tutto ciò?
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Mia seconda storia originale.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 12

Back to you




E poi rimane unicamente quel suono.

Il fischio prolungato e assordante persiste a vibrare nell'aria quasi come un tagliente sibilo per un lunghissimo ed interminabile secondo mentre io mi guardo spaesata intorno, gli occhi così pieni di lacrime da annebbiare il mio campo visivo e da non permettermi di capire assolutamente cosa stia succedendo, la confusione che si mischia al panico impedendomi quasi di muovermi.

Mi appesantisce, semplicemente, le membra, schiacciandomi con il suo gravoso peso mentre l'alone del sonno scivola fugacemente via, una ondata di timore e terrore che mi risveglia come una doccia fredda.

Persistendo a rimanere seduta e paralizzata sulla sedia, sbatto convulsamente le palpebre mentre quel lungo suono, che sembra quasi dilatarsi nel tempo, cessa improvvisamente, scalzato da un rumore improvvisamente frenetico ma più ritmico, cadenzato.

Con il cuore che scalpita concitatamente nella mia cassa toracica e il fiato spezzato dolorosamente in gola, tento poi di mettere a fuoco il monitor dove compare il battito di Andrew, spaventata e disorientata dal vortice di eventi che mi sono piombati precipitosamente addosso in una frazione di secondo.

Sgranando le palpebre e con il petto che si alza in modo concitato e scattoso, mi alzo poi di impeto l'attimo seguente, le mie gambe che si muovono quasi come una molla mentre mi volto completamente con una rotazione del busto in quella direzione, le mani gelate a causa del momentaneo nervosismo.

È solo, però, nel medesimo attimo in cui le mie pupille si posano sullo schermo nero che mi rendo conto di come il rumore non sia dovuto a nulla di preoccupante, le linee ritmate e sottili che rappresentano il battere del suo cuore che sono chiaramente presenti nonostante una lieve freneticità.

Un senso di sollievo nel riscontrarne la presenza mi scuote vigorosamente l'attimo dopo, facendomi quasi vacillare a causa del rassicurante calore che mi investe, un pesante sospiro che solca le mie labbra nel momento stesso in cui realizzo razionalmente come fosse tutto un sogno.

Forse l'incubo mi ha unicamente suggestionata, mi giustifico precariamente.

Tuttavia, non ho praticamente il tempo materiale di impormi di rimanere calma e di non esagitarmi troppo, proprio come mi ha chiesto il ginecologo, dal momento che è un altro suono ad attirare inaspettatamente la mia attenzione, lasciandomi completamente basita e sgomenta.

Un gemito strozzato e quasi dolorante, così sottile e impercettibile da risultare quasi impalpabile, solletica, difatti, il mio udito l'istante seguente, stupendomi profondamente mentre adocchio fugacemente l'arredamento scarno della stanza, non capendo da dove provenga.

Con un gesto istintivo inclino il capo alla mia sinistra prima ancora di muovere un passo in avanti, puntando, in seguito, il mio sguardo incupito sul letto di Andrew e sulla sua figura immobile mentre aggrotto simultaneamente la fronte, sconcertata ed interdetta.

Ansante, lo accarezzo con una occhiata invisibile e delicata, focalizzandomi più attentamente sul suo volto in un gesto istintivo e irrazionale, sicura di trovarlo ancora perfettamente fermo e addormentato.

E ciò che vedo mi lascia completamente senza respiro, la mia tachicardia che perde una palpitazione mentre mi blocco, tutto ciò che ho intorno che sembra all'improvviso svanire, perdendo di importante e lo scorrere del tempo cristallizzarsi.

E rimangono solo due occhi chiari e vigili, coscienti che mi fissano.

È sveglio, mi irrigidisco all'istante, questa considerazione veritiera che mi attraversa la testa come un fulmine a ciel sereno.

Le mie pupille dilatate e lucide, difatti, si scontrano contro un paio di intense iridi azzurre, ingrigite e così socchiuse da apparire quasi del tutto serrate mentre una leggera smorfia distorce i lineamenti estremamente pallidi del suo volto, induriti dal velo di barba che scurisce le sue guance.

Le gambe diventano così improvvisamente molli e fragili, non riuscendo quasi a sorreggere il peso del mio corpo mentre vacillo letteralmente sul posto, dovendo istintivamente allungare la mano indietro fino ad appoggiare le dita sullo schienale della sedia in metallo nel tentativo di trovare un appiglio e di non cadere, la mente che si svuota totalmente.

Andrew è sveglio, annaspo ancora incredula e meravigliata, faticando quasi a crederci, il terrore che sia nuovamente un sogno che mi dilania in mille pezzi l'anima, accompagnando un latente e istantaneo magone che mi occlude completamente la gola, soffocandomi con le emozioni che si porta inevitabilmente dietro.

Totalmente immobile del letto, lui mi fissa confuso e stordito, proprio come se si fosse appena svegliato da un lunghissimo sonno e faticasse a ritrovare il contatto con la realtà, una piccola ruga che solca la sua fronte e che intacca la sua espressione neutrale ed emaciata.

- Andrew … - mi ritrovo a masticare a fatica tra i denti chiamandolo morbidamente per nome, le lettere che escono quasi a scatto dai miei denti mentre lo fisso statica sul posto, la schiena appena arcuata e un tremore così insistente da risultare nevrotico, acutizzando la mia evidente vulnerabilità.

Richiamato dal mio mormorio, lui sbatte leggermente le ciglia bionde, le occhiaie che segnano il suo contorno occhi e che paradossalmente rendono più profondo e vivido il suo sguardo, il suo adocchiarmi dopo così tanto tempo che mi destabilizza interiormente, velandomi la pelle di brividi.

È strano, bello.

Quasi come a volermi rispondere, lui mugola ancora ed, ora, in modo più definito, non riuscendo, però, a parlare in modo diretto a causa del suo essere intubato, una smorfia di dolore che solca subito dopo il suo volto, probabilmente proprio a causa di questo suo gesto istintivo e convulso.

Irritato da questo impedimento lui muove lentamente la mano destra, spostandola con estrema fatica quasi come se pesasse come piombo, lasciandola cadere con dolente sforzo sul mio ventre, apparendo affaticato ed intontito.

Ed io non indugio ulteriormente, compiendo un irrazionale ed ampio passo in avanti, precipitandomi semplicemente al suo capezzale nel giro di un secondo mentre una lacrima di gioia, la prima dopo queste ore di ansia, sfugge alla presa delle mie ciglia, rotolando mestamente sulla mia guancia rosata, bagnandola e perdendosi subito dopo nel vuoto in modo silenzioso.

Con le mani tremanti mi appendo quasi al bordo del suo letto mentre lo guardo ancora in modo quasi adorante ed estremamente tenero, non riuscendone a fare a me, una felicità così violenta da annichilire tutto il resto, il dolore di questi giorni, i pensieri e i tormenti. Tutto.

Arricciando con la punta delle dita il copriletto bianco, senza, tuttavia, osare sfiorarlo, espiro in modo concitato e commosso, così tanti sentimenti positivi ad abitarmi da sconvolgermi mentre rimango leggermente piegata verso di lui, non sapendo cosa fare o come agire.

Una frenesia disorientante, difatti, si riversa a fiotti bollenti nelle mie vene, avvelenandomi amorevolmente.

- Shh...non parlare – lo rabbonisco boccheggiante e quasi con un balbettio, faticando a dare un senso logico e coerente alle considerazioni che mi vorticano nel cervello mentre lui inclina minimamente il viso verso di me, tentando goffamente di guardarmi più agevolmente in faccia per quanto la posizione gli consenta – Sei intubato – gli dico ancora, informandolo quasi stupidamente di questo fatto palese ed evidente mentre quasi non credo ancora ai miei occhi, spossata dalla contentezza.

E' tornato da me, mi dico, assaporando il retrogusto dolce e piacevole di questa manciata di parole, godendomele fino in fondo.

Lui, dimostrando di capire completamente ciò che gli ho detto, socchiude stancamente le palpebre, annuendo con un cenno appena abbozzato del capo, il bip che segnala il suo battito che, dopo un momento di totale febbrile e sconclusionata agitazione, sembra essersi appena quietato, stabilizzandosi e risultando ora più cadenzato e ritmato.

Il mio cervello, tuttavia, mi ricorda subito dopo di chiamare qualcuno, la necessità di avvisare i dottori del suo risveglio che mi sprona ad agire e rompere la mia staticità, non permettendomi, però, di soffermarmi sulle possibili conseguenze che l'ematoma può aver lasciato.

Non ci riesco, semplicemente. Non sono in grado di pensare a nulla di negativo o demoralizzante.

Scioccata e sconvolta positivamente, allungo subito dopo una mano alla mia destra, agguantando celermente il tasto per chiamare l'infermiera, un piccolo rettangolino in plastica nera collegato ad un filo dello stesso colore che penzola a lato della testiera del letto di Andrew.

Agitata ed irrequieta, vi premo insistentemente un paio di volte con il pollice mentre percepisco un sudore freddo imperlarmi leggermente la fronte a causa del repentino cambio di stati d'animo che ho attraversato nell'ultima manciata di secondi.

Dall'alto torno subito dopo a scrutarlo insistentemente, il bisogno di capire se stia bene o meno che inizia a scalzare il scioccante stupore di poco fa, facendosi strada tra le mie pieghe più intime e delicate, tramutandosi quasi in un bisogno mentre abbandono nuovamente il braccio lungo il mio fianco.

Deglutendo a fatica, infatti, lo studio attentamente, non riscontrando nessuna smorfia di eccessivo fastidio, il suo sguardo che si specchia nel mio e che non mi abbandona mai neanche per un momento, seguendo confusamente ogni mio più piccolo movimento.

In attesa dell'arrivo dei dottori e dando sfogo al desiderio di toccarlo finalmente e di coccolarlo, faccio scivolare la mia mano sinistra sulla sua, accarezzandola brevemente con i polpastrelli prima di insinuare le dita tra le sue, costringendolo in una stretta carica di amore e tenerezza.

Senza praticamente esitare lui la ricambia pallidamente l'attimo seguente, una pressione così leggera da risultare impercettibile mentre io mi apro in un luminoso sorriso, illuminandomi in viso, la commozione che prende facilmente il sopravvento.

E, quasi tutto di un colpo, il suo essermi mancato in modo spasmodico e viscerale mi piomba addosso come un fiume in piena, investendomi in pieno mentre mi sento finalmente di nuovo bene, a casa.

Tuttavia, dura solo una frazione di secondo il nostro gioco di occhiate e il nostro contatto, dal momento che proprio nel medesimo attimo in cui schiudo nuovamente le labbra, pronta a parlargli ancora, che il rumore di una porta che si apre violentemente e di impeto mi richiama alla realtà, facendo morire sul nascere la mia affermazione.

Il suo rumore metallico riecheggia quasi nel silenzio assoluto della stanza mentre io mi giro istintivamente in quella direzione, incontrando subito la figura non troppo snella dell'infermiera dai folti capelli biondi che mi guarda sbigottita ed in modo quasi angoscioso, aspettandosi probabilmente qualche emergenza visto l'insistenza con cui l'ho chiamata.

In una millesimo di secondo, subito dopo compare dietro di lei il dottore che ha in cura Andrew, un neurochirurgo poco più grande di lui dai modi gentili e delicati e i tratti sottili, eleganti.

Con gli occhi verdi sgranati alterna le pupille tra me ed Andrew per una manciata di attimi, cercando probabilmente di capire cosa stia accadendo mentre la donna si avvicina precipitosamente al letto, fermandosi al mio fianco con fare concitato.

- Si... si è svegliato – annaspo dopo un attimo di esitazione, riferendomi chiaramente ad Andrew mentre persisto a stringere la sua mano, rischiando di stritolarla ed informandoli di ciò che è accaduto, spazzando di conseguenza via la loro confusione.

Le loro espressioni interdette, infatti, scompaiono all'istante mentre l'infermiera adocchia Andrew con occhio clinico e poi il monitor relativo alla sua attività cardiaca, inarcando entrambe le sopracciglia chiare verso l'alto nel momento stesso in cui il dottore si chiude in una espressione seria e professionale, non dicendomi nulla.

Attraversando velocemente la stanza con passi concitati e frenetici ed aggirando il letto, si sistema dalla parte opposta del materasso senza proferire parole, tirando celermente fuori dalla tasca del camice bianco che indossa una piccola torcia con il probabile intento di riscontrare la sua attività neurologica.

In ogni caso, prima ancora che io possa osservarlo protendersi verso di lui nel tentativo di compiere il suo intento, la donna mi sprona ad abbandonare la camera, lasciandogli la giusta intimità per lavorare con tranquillità.

- Signorina, ora dovrebbe uscire – mi dice infatti in modo educato e gentile, per nulla brusco mentre appoggia mestamente i polpastrelli sul mio braccio, invitandomi a staccarmi indirettamente da Andrew.

Con una punta di spiacere a pervadermi e un velo di angoscia dovuta ai possibili esiti degli accertamenti, annuisco con semplicità, non opponendomi minimamente conscia di come questa sia una prassi.

Seppur a malincuore, così, allento gradualmente la presa sulla mano tiepida di Andrew, compiendo in simultanea una falcata indietro.

Espirando provata e ancora disorientata da tutto ciò che è accaduto, gli lancio un'ultima occhiata carica di amore e affettuosa dolcezza prima di girarmi, uscendo con piccoli e strascicati passi fuori dalla camera, augurandomi mutamente che tutto vada per il meglio.

Tirandomi dietro la porta e mettendo istantaneamente piede nel corridoio poco affollato ci appoggio momentaneamente le spalle contro il suo legno duro e freddo, le membra ancora contratte e un senso di fiaccamento che mi fa quasi sentire priva di forze.

Espirando pesantemente ed in modo quasi frustrato compio subito dopo un incerto passo in avanti, scostandomi dall'uscio mentre l'adrenalina e la felicità continuano ad essere pompate convulsamente nelle mie vene, alimentando la mia esagitazione e la mia disorientate e positiva confusione.

Con la testa piena di considerazioni e quesiti che lo riguardano inevitabilmente, deglutisco a fatica mentre mi porto contemporaneamente una mano al viso, sfiorandomi la fronte e portandomi di conseguenza i capelli indietro nel medesimo attimo in cui gonfio entrambe le guance, un soffuso tremolio che persiste a tendermi.

Lasciandomi andare subito dopo ad un sospiro di sfogo e sollievo, mi dirigo disattentamente verso la fila di sedie in plastica che costeggiano il muro bianco e candido che si apre dinnanzi a me senza tuttavia sedermi, il bisogno in qualche modo di muovermi e di scaricare tutta l'elettrica tensione accumulata negli ultimi minuti che mi disarma.

Al terrore che qualcosa non andasse visto l'improvviso caos creato dai macchinari a cui Andrew era collegato, infatti, si è sostituito un più sottile benessere che mi fa sentire quasi più leggera e priva di gravosi tormenti, la rassicurazione del suo risveglio solamente intaccata da una punta di incrinante apprensione riguardo le sue condizioni.

Come starà? Mi domando incapace di non farlo mentre una delle tante infermiere dell'ospedale mi passa di fianco con andatura spedita senza neanche degnarmi di una occhiata, stringendo al petto un paio di cartelle cliniche, un silenzio pacato e quasi rigoroso che sembra essere scandito unicamente dal suo incedere.

Lievemente preoccupata e con il pressante desiderio di rivederlo a dilaniarmi interiormente mi fermo a pochi passi dalla porta della sua camera mentre i secondi scorrono, trasformandosi in minuti.

Quasi come se attendessi di vederla schiudersi da un momento all'altro, la fissa insistentemente, lo sguardo ancora vagamente appannato dalle lacrime di poco fa.

Spazzandole vie con un gesto celere dei polpastrelli nel tentativo di darmi un contegno, incrocio poi le braccia al seno, spostando il peso da una gamba all'altra senza sapere cosa fare, il tempo che sembra quasi non scorrere, cristallizzandosi in una apaticità che mi irrita e mi sfinisce al tempo stesso, mettendo a dura prova il mio stato emotivo già abbondantemente precario.

Una manciata di secondi dopo, mi rendo immediatamente conto della necessità di dover avvisare i genitori di Andrew per informarli della bellissima notizia, rammaricandomi di non aver preso il cellulare prima di uscire dalla stanza.

Inaspettatamente, un vago e sottile sorriso curva subito dopo le mie labbra verso l'alto nel momento stesso in cui il suo sguardo caldo, nonostante lo sconcerto e la stanchezza, riemerge con facilità dalla mia memoria, deliziandomi e causandomi una morsa tenera e dolce alla bocca dello stomaco.

Tuttavia, prima ancora che io possa apprezzarli o anche solo chiedermi come mai stiano trascorrendo tutti questi minuti interminabili senza ricevere alcuna notizia, l'uscio della sua camera si schiude esattamente in una frazione di secondo e con un sommesso cigolio.

Facendomi quasi scattare sull'attenti come una molla a causa del suo scatto metallico e di essere presa alla sprovvista, immersa nelle mie torbide riflessioni, raddrizzo istintivamente la schiena, sgranando gli occhi ed alzando il mento in quella direzione.

La figura snella del dottore compare l'istante seguente, uscendo nel corridoio con una semplice falcata mentre stringe tra le dita probabilmente la cartella clinica di Andrew, il viso girato nella direzione dell'infermiera bionda che lo segue silenziosamente.

Senza permettermi di capire cosa stia dicendo, sussurra qualche parola concitata alla donna, che si limita ad annuire dinnanzi alle sue istruzioni mentre un vago sorriso compare sul suo viso nel momento stesso in cui gli rivolge una breve occhiata da sotto le ciglia prima di compiere una rotazione del busto e iniziare a percorrere il corridoio, allontanandosi.

Non indugiando oltre ed approfittando della sua solitudine, io mi muovo subito dopo, camminando velocemente verso il neurochirurgo senza dargli quasi il tempo di sentirmi o vedermi arrivare, il mio petto che si alza e si abbassa in modo frenetico mentre mi fermo al suo fianco.

Notando solo all'ultimo la mia presenza lui alza lo sguardo verde dalla cartella che stava richiudendo, puntandolo direttamente nel mio nel medesimo attimo in cui lo sommergo con un quesito incalzate.

- Come sta Andrew, dottore? - gli chiedo sibillina e concitata immediatamente senza esitare ulteriormente, affondando irrazionalmente gli incisivi nel mio labbro inferiore, torturandolo nervosamente mentre lo fisso insistentemente, ansiosa di ricevere una risposta.

Aggrottando appena la fronte lui scioglie appena la postura mentre si apre in un sogghigno mesto e pacato, qualcosa nel mio atteggiamento preoccupato e a tratti soffocante che sembra deliziarlo intimamente, causando una scintilla che attraversa il suo sguardo smeraldino.

Affondando una mano nel suo camice bianco ed abbandonando l'altro braccio lungo il fianco, si appresta a rispondermi all'istante, muovendo appena le labbra sottili.

- Sembra abbastanza bene, signorina, stia tranquilla – soffia al mio indirizzo in modo morbido e cadenzato, professionale e semplice al tempo stesso mentre sembra notare l'irrequietezza che mi divora – Il Signor Harrison ha risposto bene ai test neurologici a cui l'ho sottoposto – scrolla appena il capo mentre mi spiega come ha proceduto, alludendo ad Andrew e catturando la mia più totale attenzione, portandomi a non perdere smaniosamente neanche il suo più piccolo commento – Sembra non aver riportato danni celebrali consistenti, ma per stabilirlo con certezza dovremmo fare una Tac di accertamento nel pomeriggio – conclude mentre piega il volto di lato, una ciocca di capelli neri che gli solca sbarazzinamente la fronte mentre mi guarda limpidamente in faccia, suonando onesto e sincero.

Accoratamente felice di udire queste parole, ghigno appena mentre tiro un sonoro sospiro di sollievo e acconsento con un cenno del capo, annuendo silenziosamente ed umettandomi appena il labbro superiore, una piccola pausa che cala nel suo monologo.

Sta bene, mi dico quasi ripetendo la sua affermazione nell'assoluta intimità del mio cervello, assaporando l'aroma dolce e rassicurante di questa manciata di termini, l'ansia che mi ha sconvolto fino ad ora che si allenta minimamente, scomparendo lentamente.

Trovando forse un barlume di incertezza nella mia espressione tirata, lui schiude la bocca l'attimo dopo, riprendendo a parlare.

- Ora lo abbiamo estubato, è solo intontito e presenta un po' di cefalea – mormora ancora in modo calmo, infondendomi inaspettatamente un minimo di quiete, la morsa stringente di agitazione e apprensione che svanisce pallidamente dalle mie membra, permettendomi di curvare appena verso il basso le spalle – Se vuole può entrare a fargli visita, è ancora sveglio – mormora infine in un sussurro quasi complice e confidenziale, la sua voce bassa che risuona morbidamente nel corridoio mentre con un cenno del capo indica la porta e, di conseguenza, la camera di Andrew alle sue spalle.

Ampliando istintivamente il mio sogghigno, mi stringo appena tra le braccia mentre gli riservo uno sguardo carico di gratitudine e gioia, il desiderio di stare con lui dopo questi terribili e nevrotici giorni che si acutizza ad iperbole dentro di me.

Realmente grata, ribatto subito dopo, un velo di inaspettata commozione che abbassa il mio tono di una ottava, rendendolo quasi accorato.

- Grazie mille, dottore – affermo mestamente ed in modo sciolto, arricciando impercettibilmente la punta del naso mentre lo adocchio da sotto le ciglia.

Ricambiando con semplicità il mio sorrisino, lui compie subito dopo un passo in avanti, dimezzando le distanze tra di noi con il probabile intento di congedarsi.

- Se ha bisogno di me mi faccia chiamare dall'infermiera – afferma ancora deciso e determinato, dimostrando la sua massima possibilità mentre muove lentamente le labbra, rivolgendomi un ultimo sguardo prima di congedarsi del tutto, superandomi con una sola ed ampia falcata.

Senza dire null'altro, infatti, si allontana da me in modo silenzioso, lasciandomi nuovamente da sola nel corridoio in una manciata di secondi.

Inspirando profondamente, io mi avvio freneticamente verso la porta, il mio cuore che accelera appena i battiti nel momento stesso in cui appoggio la mano sulla maniglia in acciaio freddo, esercitandovi una lieve pressione nel tentativo di aprirla.

Schiudo l'uscio l'attimo seguente, nel modo più delicato possibile, desiderando non rompere la calma che vige nella stanza o il suo possibile riposo, non volendo assolutamente disturbarlo.

Allungando appena il capo oltre lo stipite, lancio subito uno sguardo frenetico e fugace dentro la stanza, le mie pupille che saettano velocemente sul mobilio scarno che la adorna mentre il consueto bip del suo battito che ho imparato ad udire negli ultimi giorni mi solletica all'istante l'udito.

Mettendo piede dell'ambiente adocchio sbiecamente Andrew, trovandolo disteso sul materasso nella stessa medesima posizione di quando l'ho lasciato, unicamente la mancanza della respirazione artificiale e le coperte piegate sotto la sua vita che fanno la differenza.

Chiudendomi intanto la porta alle spalle compio qualche piccola falcata verso di lui, le braccia abbandonate lungo i miei esili fianchi mentre lo adocchio, il capo affondato nel cuscino e le palpebre serrate quasi del tutto.

Che stia dormendo? Mi interrogo, incuriosita ed ammaliata.

Mentre lui respira lentamente ed in modo cadenzato, io arresto la mia camminata proprio al centro della stanza, temendo ardentemente per un attimo che si sia realmente addormentato, incerta se avvicinarmi ancora o uscire e lasciarlo ristorare in santa pace.

Mi mordicchio appena l'interno della guancia, soppesando queste due diverse idee, i miei polpastrelli che stropicciano appena il bordo della maglia che indosso.

Tuttavia, non ho il tempo materiale di prendere una decisione dal momento Andrew apre subito dopo gli occhi, le sue iridi azzurre, ora più limpide e meno intorpidite dall'intontimento, che si posano sul mio viso l'attimo seguente, scrutandomi in modo vagamente insistente.

Sentendomi quasi mancare il fiato, mi irrigidisco appena mentre il suo sguardo scivola sui miei lineamenti, una espressione vagamente più serena che ora solca il suo volto, ancora estremamente pallido.

Vagamente imbarazzata e con una ondata di rossore che mi colora le guance mi stringo appena tra le braccia, non riuscendo a sopportare ancora il silenzio che vige nella camera e il suo mutismo, rompendolo.

- Ei – sussurro unicamente con un filo di voce, così flebile e labile da apparire quasi inudibile, non sapendo quasi in che altro modo iniziare il discorso.

In qualche modo, difatti, uno strano disagio mi vibra addosso, esagitandomi ora in modo più positivo, portandomi a muovermi nervosamente sul posto senza aggiungere altro.

Aggrottando appena la fronte ed inclinando lievemente il viso nella mia direzione, lui rimane chiuso nel suo mutismo ancora per una manciata di lunghi attimi, non rispondendomi nulla mentre la sua guancia aderisce completamente contro la federa bianca del guanciale.

Una piccola ruga, infatti, compare alla base del suo naso nel momento stesso in cui si corruccia, arricciando impercettibilmente la bocca.

- Ciao – gracchia subito dopo con il timbro ridotto quasi ad un lamento, distorta appena da un arrocchimento che non gli appartiene e che comprendo subito essere dovuto al fatto che fosse intubato.

Uno strano brivido mi attraversa la schiena nel momento stesso in cui il suo tono mi sfiora, facendomi letteralmente mancare una palpitazione, un fiotto di dolcezza e piacere che si riversa nelle mie vene nel medesimo attimo in cui il mio sguardo si illanguidisce, caricandosi di amorevolezza e tenerezza.

Intrigata e sentendo il bisogno di avvicinarmi, raggiungo il suo letto con una sola ed unica falcata, la suola delle mie scarpe da ginnastica che producono solo un lieve tonfo sulle piastrelle.

Lui, quasi curiosamente e come se faticasse ad inquadrarmi, continua ad studiarmi, non aggiungendo null'altro, un velo di confusione che lo rende quasi imbronciato e che io non riesco a decifrare, una smorfia quasi imperscrutabile che lo adombra.

Non badandoci poi molto ed etichettandola unicamente come dovuta al risveglio dopo giorni di coma, non mi ci soffermo, appoggiando appena entrambe le mani sul copriletto, stirandone nervosamente le pieghe con i polpastrelli.

Stendendo le labbra in un mezzo sorriso mesto volto a rassicurarlo e quietarlo, parlo nuovamente l'attimo dopo, il bisogno spasmodico di sentire direttamente da lui come sta che mi pungola nel profondo, toccando un tasto sensibile e dolente.

- Come ti senti? - soffio, interessata, piano e quasi in un mormorio, cercando di non acutizzare il probabile e petulante mal di testa che lo affligge mentre sposto le dita, sfiorando istintivamente la sua fronte con una carezza lieve, il calore della sua pelle che entra in diretto contatto con la mia, appagandomi.

- Un po' intontito – ammette Andrew con una leggera smorfia di fastidio, storcendo quasi indispettito la punta del naso mentre espira lentamente, sgonfiando totalmente il torace con un sospiro pesante e strascicato, la sua voce che persiste ad uscire bassa tra i suoi denti.

Comprendendo alla perfezione il suo stato emotivo e fisico scombussolato, muovo su e giù la testa, annuendo mestamente senza aggiungere nulla per una frazione di secondo.

Unicamente, così, il silenzio vige intorno a noi mentre i miei polpastrelli continuano a percorrere in modo lento e leggero la sua fronte più e più volte, lambendolo ripetutamente con questa coccola semplice e spontanea che lui sembra apprezzare terribilmente, deliziandomi di riflesso.

Rilassandosi appena, infatti, affonda semplicemente maggiormente il capo nel cuscino, sfregandovi contro la guancia mentre si chiude nel suo mutismo riflessivo, persistendo, però, ad adocchiarmi in modo insistente, facendomi sentire un po' a disagio e dannatamente messa sotto esame, osservata.

Non volendo alimentare troppo questa strana quiete e ricordandomi di come Adam Senior ed Elinor sono in pensiero, schiudo subito dopo la bocca, apprestandomi a parlare e a spezzare la quieta della stanza.

- Ora telefono ai tuoi genitori – lo informo, manifestando le mie intenzioni mentre non riesco a nascondere un breve e dolce sorriso, così fugace da risultare quasi impalpabile mentre penso alla loro probabile felicità, sentendomene quasi contagiata - Tua madre era molto in ansia per te, sai – gli rivelo ancora in modo confidenziale e complice con un sussurro mentre passo un'ultima volta le dita tra i suoi capelli prima di sfiorargli la tempia e scostare in seguito la mano, pronta ad allontanarmi di qualche centimetro per agguantare la mia borsa in pelle nera ancora appena allo schienale della sedia.

Tuttavia, ho appena il tempo di compiere un passo indietro nel tentativo di farlo e di girare il busto con una mezza rotazione dal momento che la sua affermazione mi richiama, non permettendomi di agire davvero.

- Ok – mormora laconicamente mentre si corruccia, adombrandosi appena senza mai allontanare le pupille da me, studiandomi in modo così spasmodico da apparire quasi innaturale.

Con la coda dell'occhio, difatti, lo noto aggrottare appena la fronte ed umettarsi pensierosamente le labbra screpolate quasi come se una considerazione fastidiosa non lo lasciasse in pace, un'ombra che cala repentinamente sulla sua faccia senza darmi il tempo di comprendere a cosa sia dovuto il suo atteggiamento inconsueto persino per una circostanza come questa.

In ogni caso, prima ancora che io possa chiedermelo o rimuginarci sopra, la spiegazione arriva subito dopo, sibillina e tagliente come solo una doccia fredda può essere, paralizzandomi sul posto.

Letteralmente.

- Ma tu chi sei? - aggiunge infatti in modo innocente e sincero l'attimo seguente, palesando l'ultimo interrogativo che mi sarei mai aspettata di sentire o a cui dare una risposta in un momento simile, rimanendo totalmente spiazzata.

Semplicemente, l'ultimo che avrei mai desiderato udire.

Annaspando sconcertata e travolta da una ondata di confuso panico, boccheggio con la salivazione ridotta praticamente a zero, aprendo e chiudendo un paio di volte la bocca mentre il mio braccio rimane sospeso a mezz'aria per una frazione di secondo, afferrando il vuoto e cristallizzando la mia posizione.

Il mio corpo, infatti, si tende fin quasi allo spasimo, la mente che si svuota da qualsiasi pensiero mentre dentro di me rimane un vuoto quasi assordante, unicamente la sua domanda che rimbomba sinistramente disastrosa nel mio cervello.

Ma tu chi sei?

Con le mani scosse da un improvviso tremolio a causa del timore spossante ed un spaesato nervosismo che si riversa a fiotti dentro di me, mi volto di scatto verso di lui l'attimo seguente, le mie pupille dilatate che incontrano la sua espressione seria e realmente interdetta, la speranza di trovare le tracce si uno scherzo di cattivo gusto sul suo viso che si sgretolano drammaticamente.

Dice sul serio, il fiato mi si spezza in gola, raschiandola e facendo dolere e bruciare i miei polmoni in mancanza di ossigeno.

Non si ricorda davvero di me? Mi chiedo insistente impallidendo precipitosamente, un sudore freddo improvviso che mi imperla la fronte e gela le punte della dita mentre sgrano maggiormente le palpebre dinnanzi alla sua impassibilità neutrale, atterrita e sgomenta, il mio cuore che manca dolorosamente un battito.

Tuttavia, prima ancora che io possa captare i primi albori della nausea, dovuta all'angoscia e all'ansia di questa rivelazione, investirmi in pieno o anche solo decifrare la smorfia sardonica ed imperscrutabile che distorce i suoi lineamenti, è nuovamente lui a pronunciarsi.

Mordendosi il labbro inferiore con i denti quasi come se si stesse trattenendo, difatti, lui socchiude sornionamente le palpebre l'attimo seguente, la fronte che torna distese e priva di rughe in un millesimo di secondo, confondendomi e disorientandomi sempre di più.

- Sto scherzando, Cornelia – mi sorride maliziosamente di sbieco seppur in modo sbiadito, un barlume di divertimento che lo illumina in viso e che rischiara mestamente il suo sguardo mentre calca volutamente sull'ultima parola, chiamandomi odiosamente e volutamente con il mio secondo nome.

Nel chiaro intento di indispettirmi giocosamente e rivelando la sua indole scherzosa, infatti, lo pronuncia lentamente, rivelando come il suo ultimo commento sia unicamente una bonaria presa in giro.

Colta su un punto sensibile e con ancora un pauroso terrore a pungolarmi le membra, lo fulmino con una occhiataccia bruciante ed al vetriolo, dimenticandomi per un attimo della sua condizione di degente e del suo recente risveglio, agendo di istinto e di impulso.

Riavvicinandomi al letto, difatti, con una sola ed ampia falcata, assottiglio minacciosamente le palpebre, per nulla rallegrata, adocchiando in modo malevolo e torvo mentre incasso il capo tra le spalle, vibrando per lo sconquassamento emotivo dovuto a due stati d'animo opposti.

Mentre lui scoppia sonoramente a ridere, non riuscendo decisamente più a trattenersi dinnanzi alla mia smorfia adirata ed alterata, io muovo la mano, dandogli una leggera pacca sul braccio, sentendomi al col tempo incredibilmente stupita ed in imbarazzo per aver creduto ad un simile tranello.

In qualche modo, infatti, il sollievo non ha il tempo di prendere possesso di me, subito scalzato da un miscuglio di sentimenti indecifrabile che mi mettono a soqquadro, facendomi probabilmente apparire quasi ridicola.

Gonfiando le guance senza sbuffare, lo adocchio continuare a ridere seppur in modo vagamente faticoso e goffo, il corpo ancora intorpidito dal coma che sembra dolere vagamente, sfiancandolo e sfibrandolo.

- Ei, non si picchiano i malati! - protesta vigorosamente lui per quanto la sua voce gracchiante gli consenta, facendo di fatto leva sui miei sensi di colpa e sul suo essere ancora provato.

Persistendo nel rimanere imbronciata, sporgo appena il labbro inferiore in fuori mentre non scosto la mano da lui, tenendola mestamente poggiata sul suo braccio prima di dedicargli una debole carezza, quasi come a volermi scusare.

Con il cuore che pompa in modo frenetico nelle mia cassa toracica, un po' a causa ancora dello spavento e un po' a causa del suono argento e piacevole della sua risata, inclino il capo, sospirando pesantemente nel tentativo di quietarmi nuovamente.

Nessuno dei due dice nulla per una manciata di secondi, il silenzio che cala dolcemente su di noi, creando una atmosfera distesa e intima al tempo stesso.

Desiderando ardentemente sfiorarlo e stare al suo fianco, ammutolita mi siedo subito dopo sul bordo del suo letto con un gesto semplice e spontaneo, fluido, i nostri occhi che non si distaccano neanche per una frazione di secondo mentre il suo sogghigno persiste ad inclinargli le labbra nel medesimo attimo in cui il mio fianco lo scontra debolmente.

Ora più intenerito e tranquillo, lo rischiara, facendolo apparire meno emaciato e stravolto mentre si muove leggermente sul posto, tentando forse di lasciarmi un po' di spazio.

- Dovevi vedere la tua faccia – mi punzecchia ancora, appoggiando la mano sulle mie cosce in modo complice, strappandomi un ghigno piacevole e svagato.

Fingendomi con scarsi risultati impettita ed ancora offesa, roteo gli occhi al soffitto mentre storco le labbra in una smorfia leggera, non riuscendo a nascondere il reale benessere che provo in questo momento, il senso di completezza che finalmente mi permea da capo a piedi.

Sospiro, tornando a far scontrare i nostri sguardi, incapace di non farlo e di non godere di questo contatto.

Ed è proprio mentre lui piega appena il volto, un amore profondo speculare al mio che illanguidisce e rende più profonde le sue iridi, che mi rendo conto di come e quanto mi sia mancato in questi pochi giorni, una mancanza che irrazionalmente unicamente ora percepisco davvero.

Sembra, infatti, quasi che mi sia piombata addosso solo adesso, palesandosi con tutta la sua forza.

Con un delizioso e positivo magone ad occludermi la gola, dovuto probabilmente alla circostanza e alla mia emotività traballante a causa degli ormoni, deglutisco faticosamente, sbattendo le ciglia mentre la mia mano scivola sulla sua, ricercandola spasmodicamente.

Ed è proprio mentre le mie dita si insinuano lentamente ed in modo naturale tra le sue dopo aver sfiorato le sue nocche ed le palpitazioni persistono che mi lascio andare, rilassandomi per la prima volta in modo completo e totale.

Semplicemente, come solo lui è in grado di farmi quietare, realizzo, insaccando la postura mentre lui muove appena i polpastrelli, reclinando appagato il capo indietro e godendosi solamente il momento.

Esattamente come faccio io, in fondo.

E rimane unicamente il sapore dolce della realtà, l'alone amaro delle lacrime scalzato del tutto da quello soddisfacente del calore del suo corpo e delle sue carezze.

È tornato da me.




*****



- Emma! -

Quasi prima ancora che io possa mettere piede nella stanza una voce acuta e gioiosa, piena di vispa vitalità, mi raggiunge sibillinamente, richiamando forzatamente la mia attenzione.

Ancora staticamente ferma sulla soglia della porta della camera di Andrew e con la mano destra appoggiata sulla maniglia in metallo, alzo istintivamente il mento, il mio sguardo che saetta brevemente intorno a me mentre il mio cervello riconosce quel timbro prima ancora che io abbia individuato il proprietario

Adam.

Le mie pupille dilatate ed incuriosite, l'attimo seguente, si soffermano proprio sulla sua figura magrolina e minuta, trovandolo seduto stupito sul bordo del materasso affianco ad Andrew, una felpa nera e un semplice paio di jeans a fasciarlo mentre è intento a disegnare distrattamente qualcosa su un foglio, accuratamente appoggiato sul tipico tavolino in plastica bianca da letto che si usa come appoggio in ospedale durante i pasti.

Con gli occhi azzurri impregnati di meraviglia, mi guarda insistentemente dal basso della sua posizione, i capelli un po' scompigliati e arruffati, forse dalle carezze dello zio, che lo rendono distratto e delizioso al tempo stesso.

Andrew, infatti, accomodato qualche centimetro oltre il bambino, ha una mano appoggiata sulla sua schiena esile, apparendo intento a coccolarlo silenziosamente mentre posa il suo sguardo chiaro su di me, scivolandomi addosso in modo carezzevole e languido, causandomi la pelle d'oca e una piacevole morsa allo stomaco.

Sorridendo dinnanzi a questa vista famigliare, stendo morbidamente le labbra in un sogghigno, pronunciandomi subito dopo.

- Ciao – soffio in risposta, adocchiando dolcemente il bambino mentre compio un simultaneo passo in avanti, causando il suo risolino allegro e chiudendomi in contemporanea l'uscio alle spalle con un tonfo greve e attutito.

Con un piccolo borsone appeso al polso sinistro mi dirigo poi con calma verso di loro nel tentativo di salutarli meglio mentre con la coda dell'occhio noto, intanto, Lizzie seduta poco lontano dalla finestra intenta a fare probabilmente i compiti.

Uno spesso libro dalla copertina gialla, infatti, è aperto sul piano del tavolino in plastica e acciaio posto nell'angolo della camera, un astuccio lilla e alcuni fogli ordinatamente scritti al suo fianco che fanno bella mostra di se, confermando, di fatto, la mia ipotesi.

Quasi richiamata dalla mia occhiata interessata lei si volta maggiormente verso di me, ghignando flebilmente mentre si appresta a salutarmi con un breve cenno, la coda alta in cui sono legati i suoi capelli castani che la rende quasi più grande.

- Ciao Emma – mormora in modo deciso e delicato al tempo stesso, piegando appena il viso verso la spalla mentre tra le dita continua a stringere una matita, muovendola appena ed in modo ritmico.

Io sogghigno unicamente di rimando mentre mi fermo a lato del letto, Adam che persiste a guardarmi dal basso in modo rapito ed intrigato, abbandonando la sua opera, mentre si stringe appena tra le spalle, attendendo poco pazientemente di ricevere le mie attenzioni.

Ridacchiando, sinceramente divertita dal suo atteggiamento, allungo subito una mano verso di lui, sfiorandogli i capelli con una carezza leggera e tenera, sistemandoglieli maternamente mentre lui arriccia appena ed in modo goduto la punta del naso, rilassandosi.

Senza dire nulla e lasciando semplicemente che qualche attimo di silenzio cali su di noi, mi abbasso subito dopo su di lui per depositargli un bacio breve e fugace sulla fronte, i miei polpastrelli che scivolano via dalla sua chioma mentre Andrew continua a lambirgli la schiena debolmente ed in modo lento.

Sentendomi incredibilmente osservata, alzo immediatamente lo sguardo nella sua direzione, le mie iridi che scontrano le sue all'istante, trovandole già puntante insistentemente sul mio volto.

Con le spalle appoggiate alla testiera e ai cuscini del letto e con le gambe allungate mestamente, Andrew, infatti, mi adocchia di sottecchi, un lieve sogghigno che arriccia la sua bocca carnosa, apparendo sensuale e attraente nonostante il pallore che campeggia imperterrito sul suo volto e la semplice maglietta blu scuro che indossa.

Ed il mio cuore pulsa istantaneamente più forte, pompando il sangue più velocemente dentro le mie vene.

- E a me niente bacio? - mi sussurra maliziosamente allusivo e quasi come protesta, sbarazzino e giocoso mentre mi prende bonariamente in giro, riferendosi alla coccola che ho appena dedicato a suo nipote – Sono io il malato qui, sai – mi rimbecca ancora puntigliosamente scherzoso mentre allarga appena il braccio libero, inarcando entrambe le sopracciglia bionde quasi come a voler sottolineare ciò che ha appena detto.

Scoppiando sonoramente a ridere a causa del suo essere buffo, scrollo appena il capo, deliziata e svagata dal suo porsi quasi infantilmente allo stesso livello di Adam mentre roteo fintamente gli occhi al cielo, celandogli per un momento la mia occhiata carica di serenità ed amore.

Senza ribattere nulla, mi allungo poi precipitosamente nella sua direzione, piegandomi leggermente con il busto in avanti nel tentativo di raggiungerlo e dovendo, però, appoggiare una mano sul materasso, poco oltre il bimbo, nel tentativo di non sbilanciarmi e perdere l'equilibrio.

Visibilmente soddisfatto, Andrew sorride ora in modo più luminoso ed aperto, sporgendosi fugacemente verso di me e permettendo alle nostre labbra dischiuse di scontrarsi per una frazione di secondo in un celere bacio a stampo, il profumo della sua pelle che mi solletica leggermente le narici, inebriandomi.

Con le guance appena arrossate e un senso di sottile imbarazzo, dovuto onestamente alla presenza dei bambini, mi scosto subito dopo, non permettendogli di approfondire il contatto e lasciandolo, per un millesimo, con gli occhi socchiusi, quasi come se stesse ancora assaporando questo labile ed intimo sfioramento.

In qualche modo, infatti, la loro presenza mi porta a non lasciarmi troppo andare ad effusioni veementi e passionali con lui, una sottile percezione di disagio che mi sa sentire inappropriata e quasi fuori luogo, tendendomi.

Inaspettatamente, è proprio questa distratta considerazione a provocarne un'altra, più sensata e razionale.

Cosa ci fanno i bambini qui? Mi domando, infatti, sibillinamente disorientata, ponendomi unicamente ora questo quesito basilare e considerando come questa mattina, quando sono venuta a trovare Andrew, lui non mi avesse assolutamente accennato alla loro possibile visita.

Raddrizzando nuovamente la postura ed aggrottando incuriosita la fronte, schiudo la bocca mentre Adam torna tranquillamente a disegnare, impugnando uno dei tanti pennarelli sparsi sul ripiano.

Leggendomi quasi nel pensiero e decifrando con estrema facilità la mia espressione sconcertata, Andrew mi anticipa, non dandomi praticamente neanche il tempo di formulare la domanda e cogliendomi in contropiede.

- Sono passati i miei genitori prima – mi informa mestamente ed in modo sciolto mentre lascia nuovamente cadere mollemente il braccio sul suo ventre, le occhiaie che si sono parzialmente attenuate e che continuano a cerchiare i suoi occhi – E, beh, i bambini volevano stare un po' con me, quindi me li hanno lasciati – continua indicandoli con un cenno del mento, una scintilla di felice benessere che illumina il suo modo di studiarmi e che mi fa capire come la loro rumorosa ed esuberante presenza gli faccia incredibilmente piacere, facendolo sentire quasi a casa.

Annuendo con semplicità e facendo, di conseguenza, involontariamente ondeggiare i miei capelli sciolti sulle mie spalle, mi volto poi con un movimento fluido e minimo verso la sedia in metallo posta ai piedi del letto, avvicinandomi con un piccolo passo nel tentativo di posarvi il borsone.

Senza dire nulla, ce lo faccio cadere con un piccolo tonfo, sospirando leggermente prima di abbandonare anche la mia borsa nera, appendendola allo schienale mentre intanto lui continua il suo discorso, spronandomi a girarmi nuovamente verso di lui con una piccola torsione del busto.

- Ti dispiace poi riportarli a casa per l'ora di cena? - mi chiede con voce limpida e bassa, confidenziale, mentre allude chiaramente ad Adam e Lizzie, non volendo disturbare probabilmente i suoi genitori ed approfittando della mia presenza.

Passando leggermente i palmi delle mie mani sui jeans che indosso in un tic istintivo e nervoso ribatto all'istante, non esitando minimamente mentre Adam, sentendosi forse chiamato in causa, alza appena il viso, squadrandomi ed attendendo agitatamente una mia risposta.

- Certamente, li porto io – confermo mestamente e con una scrollata di spalle dopo aver deglutito, il fatto di passare un po' di tempo con loro che non mi disturba per nulla, anzi.

Al contrario, ne sento in qualche modo il profondo desiderio, fin troppo consapevole di come io li abbia inevitabilmente un po' trascurati nelle ultime settimane a causa di tutti gli eventi che ci sono piombati addosso e del mio voler rimanere al fianco di Andrew durante i suoi giorni di coma.

Quasi come un vortice, mi hanno cupamente assorbito, facendomi quasi perdere il contatto con la realtà, sospiro debolmente mentre mi massaggio distrattamente il polso con il polpastrelli.

Nonostante, infatti, siano ormai passati vari giorni dal suo risveglio, il tempo da dedicare loro è stato ridotto, purtroppo, praticamente a zero, un po' a causa del mio lavoro e delle mie continue visite in ospedale e un po' a causa della mia gravidanza, l'inevitabile sonnolenza che si porta dietro che mi ha fatto ripetutamente crollare sfinita a letto ogni volta che ritornavo a casa.

Riscuotendomi ed assecondando un pensiero che mi attraversa fulmineamente la testa, mi esprimo subito dopo.

- Che ne dite se prendiamo la pizza per cena, bambini? - propongo sorridente e fremente mentre dondolo leggermente sul posto, il mio stomaco che si contrae e brontola appena sotto gli spasmi di un appetito all'albore, pungolandomi dispettosamente con una fame che ultimamente non sembro essere in grado di sedare.

In febbrile attesa, mi mordicchio leggermente il labbro inferiore mentre Adam sgrana stupito e contento gli occhi, un sorriso smagliante che si apre velocemente sul suo viso mentre realizza la mia proposta, apparendo esaltato e sconvolto allo stesso tempo.

Muovendo leggermente la gamba sinistra, lasciata a penzoloni lungo il materasso, tende la postura quasi come se lo avessi fulminato sul posto, ribattendo allegramente e con voce estremamente acuta mentre Lizzie annuisce convinta, acconsentendo senza, però, staccare gli occhi dal volume che sta scrutando, rimanendo concentrata sul suo studio.

- Si! - trilla soddisfatto Adam, quasi esultando svagatamente mentre prende poi un respiro profondo, gonfiando entrambe le guance e il petto prima di continuare in modo concitato – Io prendo quella con le patatine e la coca-cola – afferma ancora, mangiandosi quasi le parole a causa dell'enfasi con cui le pronuncia, snocciolando una dietro l'altra le cose che vuole e dilettando incredibilmente sia me che Andrew – Ed il gelato al cioccolato – arriccia pensierosamente il naso, soppesando probabilmente le varie opzioni.

Non essendo in grado di trattenerci, entrambi scoppiamo sonoramente a ridere, deliziati dal suo modo impacciato ed esuberante di porsi e dalla sua evidente golosità, facendolo appena imbronciare.

Credendo, infatti, forse di essere preso in giro, aggrotta appena la fronte, stringendo lievemente la bocca in una smorfia stizzita prima di sporgere il labbro inferiore, guardando confuso e disorientato suo zio, quasi come a chiedergli spiegazioni.

Intenerita dal suo modo di porsi e agognando non metterlo a disagio, allungo nuovamente una mano in avanti, appoggiando le dita sulla sua nuca e lambendolo lievemente con la punta dei polpastrelli in modo lento e quietante, rabbonendolo.

Più tranquillo, non dice null'altro, muovendosi appena sul posto prima di tornare a disegnare, una manciata di secondi di quiete che calano su di noi mentre la luce di fine pomeriggio filtra dalla finestra, mischiandosi all'illuminazione artificiale dei faretti posti sul soffitto e rischiarando l'ambiente, creando così una atmosfera famigliare e semplice.

Ricordandomi improvvisamente, poi, del reale motivo della mia visita, mi rivolgono direttamente ad Andrew subito dopo, palesandoglielo.

- Comunque, ti ho portato il cambio – affermo, difatti, indicando con un cenno della testa il borsone appoggiato sulla seduta della sedia, riferendomi alla tuta e al pigiama pulito che gli ho portato da casa.

Vagamente riscaldato dalla mia premura e dal mio modo discreto di prendermi cura di lui, Andrew si stringe appena tra le braccia, guardandomi per un lungo istante da sotto le ciglia bionde mentre mi avvicino nel tentativo di sedermi, percependo le gambe stanche e un po' molle.

Inclinando il volto di lato e rivolgendomi uno sguardo carico di gratitudine ed amorevolezza, si apre, in seguito, in un mezzo sogghigno che non comprendo subito, una scintilla che lo illumina improvvisamente senza permettermi di capirne il motivo, il suo repentino cambio di umore che appare quasi indecifrabile ed insoluto, inspiegabile a tratti.

Sembrando improvvisamente stuzzicato da un qualcosa che mi sfugge, curva verso l'alto un angolo della bocca mentre reclina la testa indietro, affondandola maggiormente nel cuscino ed esibendosi in una smorfia parzialmente sorniona, acutizzando a dismisura l'alone di cripticità che lo avvolge sibillinamente.

- Grazie, amore – mormora pacatamente lui, ringraziandomi con un sussurro che quasi contrasta con la malizia del suo comportamento, portandomi ad aggrottare disorientata la fronte in attesa di una spiegazione più chiara – Ma non credo mi servirà – aggiunge morbidamente imperscrutabile, il suo sorrisino sbieco che si amplia simultaneamente mentre socchiude le palpebre, abbassandole appena.

Confusa, mi fermo, paralizzandomi sul posto e non prendendo, di fatto, posto sul bordo della sedia, non riuscendo assolutamente a capire a cosa si stia riferendo.

Che cosa? Mi chiedo sbigottita e sconvolta, non riuscendo a seguire il filo logico del suo discorso.

Appoggiando le mani in grembo, inarco verso l'alto un sopracciglio arricciando interdetta la punta del naso mentre mi corruccio cupamente, non essendo in grado di decifrarlo.

Accorgendosene, lui continua immediatamente.

- Ho parlato con i dottori e mi hanno detto che domani finalmente mi dimettono – si pronuncia lui in risposta alle mute domande che devono probabilmente campeggiare a lettere cubitali sul mio volto, tentando di scacciare le mie perplessità e lasciandomi completamente a bocca aperta – Posso tornare a casa – gongola compiaciuto e soddisfatto, non potendone realmente più di rimanere disteso su quel letto.

Può tornare a casa, realizzo emozionata e vagamente commossa, faticando quasi a crederci.

Con la testa incassata tra le spalle e gli occhi leggermente dilatati, mi apro così in un ghigno smagliante, la mia tachicardia che aumenta appena i battiti nel momento stesso in cui realizzo che finalmente lo avrò di nuovo in giro per il nostro appartamento, il suo profumo sulle cose e il suo pignolo ordine a vigere nella nostra camera da letto.

Con una sensazione ineguagliabili farfalle nello stomaco, mi chiudo nel mio mutismo accorato, incapace di esprimere quasi a parole la mia felicità.

Lui, intanto, si esibisce in una evidente e appagata espressione vittoriosa, lasciandosi andare ad un sospiro lieto e quasi superbo, attendendo impazientemente che arrivi domani.

Tuttavia, è proprio questa considerazione un po' irrazionale e un po' istintiva a portarmi a prendere in osservazione un fatto a cui non avevo prestato attenzione fino ad adesso, spronandomi a rivolgere direttamente a lui la domanda che mi frulla nel cervello, non rimuginandoci quasi sopra.

- Te lo hanno detto i medici o hai, per caso, insistito tu? - lo pungolo sospettosa all'istante incrociando le braccia al seno, conscia di come negli ultimi giorni lui non abbia fatto altro che insistere per essere dimesso, non dando praticamente pace a dottori ed infermieri con la sua sofferenza e palesando senza mezzi termini la sua poca voglia di rimanere chiuso in queste quattro mura.

Conoscendolo alla perfezione, infatti, quasi non mi stupirei che lui abbia fatto leva sul suo essere un chirurgo per ricevere il fatidico ok.

Esibendomi in una smorfia eloquente e vagamente indispettita da questa possibilità, difatti, gli lancio una mezza occhiataccia, inchiodandolo con uno sguardo vagamente severo e sincero che non ammette assolutamente repliche e da cui non può sfuggire.

Non voglio, decisamente, che sia dimesso precocemente, una punta di panico e timore che si agita dentro di me in modo vigoroso al solo pensiero di un suo possibile malore, amareggiandomi.

Un sibillino senso di protezione, infatti, inizia ad emergere interiormente, dipanandosi con calde spirali, avvolgendomi nella sua morsa stringente e spaesandomi.

Con la postura leggermene più rigida e una espressione volutamente indagatoria stampata in faccia, lo osservo gonfiare le guance in uno sbuffo mal celato, confermando la mia ipotesi di aver toccato un tasto dolente e lasciandomi intuire come io abbia assolutamente centrato il nocciolo della questione.

- Me lo hanno detto loro, malfidente – mi rimbecca a sua volta lui, non perdendo assolutamente il buon umore mentre ricambia la mia occhiata fiammeggiante, prendendomi vagamente in giro – Devo, solo, tornare tra una settimana per un controllo di routine– asserisce ancora, gesticolando appena con la mano, quasi come se fosse una cosa così normale e banale da apparire superflua e stupida da chiedere.

Non troppo convinta dalle sue rassicurazioni ma assolutamente contenta che lui stia meglio e che possa tornare a casa, storco la bocca, trovandolo sincero ed onesto.

Allora, muovo semplice il capo su e giù, non ribattendo nulla mentre mi rilasso impercettibilmente, scrollando appena le spalle.

- Mi hanno solo raccomandato di non fare troppi sforzi e di riposarmi – continua la sua spiegazione, masticando lentamente le parole mentre fa unicamente spallucce, stringendo le labbra in una smorfia sottile, riportandomi quello che i medici gli hanno detto – E di seguire una alimentazione leggera – afferma contrito ed in modo cadenzato dopo una piccola pausa, per nulla rallegrato da questo particolare rilevante, soffiando pesantemente i termini tra i denti senza aggiungere altro, indispettito da ciò che lo attende.

Improvvisamente e corposamente rallegrata dal broncio che campeggia sulla sua faccia, affondo appena gli incisivi nell'interno della mia guancia, mordendomelo quasi a sangue nel tentativo di non scoppiare a ridere, la preoccupazione per la sua salute che passa momentaneamente in secondo piano.

Viene, difatti, scalzata velocemente da un più rassicurante senso di quiete interiore, un misto di giocosità e tranquillità che mi porta a ribattere ironicamente al suo indirizzo, stuzzicandolo.

- Niente dolci per un po', allora – lo punzecchio sibillinamente con un sussurro frivolo e sbarazzino, alludendo chiaramente alla sua passione per i dolciumi, in particolare quelli al cioccolato.

Per nulla sollazzato dalla mia battutina dolcemente pungente, lui mi rivolge una occhiataccia al vetriolo, fulminandomi sul posto e facendomi, di conseguenza, scoppiare completamente a in una fragorosa e rumorosa risata, il mio ridacchiare che spezza per un attimo il totale silenzio che vigeva nella camera.

Non riuscendomi quasi a contenere e con il corpo scosso dai singulti delle risa, ricambio la sua occhiatina con una tenera e svagata, notando unicamente con la coda dell'occhio Lizzie alzare la testa e guardare confusa nella nostra direzione, probabilmente disturbata dal nostro battibecco amorevole.

Fasciata unicamente da una camicetta azzurra e da un paio di jeans, ci adocchia sbiecamente per una manciata di labili e fugaci secondi prima di tornare a concentrarsi sul suo libro di storia, esattamente come ha fatto da quando ho messo piede nella stanza, non proferendo parola se non per salutarmi.

Lasciando cadere il nostro discorso nel vuoto, la scruto in modo più attento ed accurato, notando come finalmente il suo umore sia nuovamente migliorato, facendo svanire o quasi tutti i momenti di melanconica tristezza che l'hanno afflitta da quando Kate è ripiombata nella sua vita, mettendola a soqquadro ed intentando la causa per l'affidamento.

Nonostante, difatti, non sia ancora finita e il giudice non abbia ancora emesso un verdetto definitivo e sicuro, appare molto più serena e tranquilla, realizzo mestamente mentre mi lascio cadere seduta sul bordo della sedia, portandomi dietro l'orecchio una ciocca di capelli.

Tuttavia, il mio rimuginare distratto viene interrotto subito dopo da un mormorio deciso e pungolante, volto chiaramente ad attirare tutta la concentrazione possibile su di se.

- Ti piace, zio? - afferma, infatti, Adam in direzione dello zio, agguantando in contemporanea con entrambe le mani il foglio di carta su cui stava disegnando, finendo di fatto per farlo scricchiolare appena.

Incuriosita, mi giro anche io in quella direzione, le mie pupille che si allontanano di conseguenza dai lineamenti pallidi e delicati della bambina per posarsi sulle linee colorate che Adam ha tracciato, faticando vagamente a decifrarne il contenuto e riuscendoci dopo un paio di tentativi.

Quelle che appaiono come due moto molto stilizzate e di un sgargiante arancione, infatti, compaio al centro del foglio, esageratamente sproporzionate rispetto alla strada grigia, posta tra le colline verdi che si vedono sullo sfondo, alcuni alberi sorridenti che le circondano mentre un cielo di un azzurro intenso fa bella mostra di se, appena intaccato da qualche grassoccia nuvola.

Gonfiando il petto, lui raddrizza poi la piccola schiena mentre si muove convulsamente sul posto nel tentativo di trovare probabilmente una posizione più stabile e, quindi, di girarsi maggiormente verso lo zio per mostrarglielo.

Sventolandogli ripetutamente davanti al naso il pezzo di carta e causando di riflesso il mio sogghigno ironico, scontra senza volere il piccolo tavolino su cui ha appoggiato tutte le sue cose, facendo inevitabilmente rotolare un paio di pennarelli, fortunatamente chiusi, sul copriletto che ricopre il materasso.

- E' bellissimo – decreta Andrew dopo una breve occhiata, calcando volutamente sulla sua affermazione in modo da conferirvi un po' di enfasi, inorgogliendo visibilmente il bambino mentre ne afferra un bordo con la punta dei polpastrelli nel tentativo di adocchiarlo meglio – Sei bravissimo, tesoro – si complimenta ancora, facendolo quasi imbarazzare teneramente compiaciuto.

Rapita da questa scena intima e famigliare e che li fa apparire quasi come un padre ed un figlio, non oso intromettermi nel loro discorso, il mio cuore che manca semplicemente una palpitazione, iniziando subito dopo a pulsare in modo più insistente nella mia cassa toracica, nel momento stesso in cui noto quanto Andrew abbia già degli atteggiamenti paterni.

Unicamente come gli venga facile approcciarsi ai bambini, assecondarli ed essere perfetto anche nei loro confronti.

Trattengo il respiro, accavallando ammaliata le gambe.

E il pensiero, reale e concreto, che in qualche modo lui stia per diventare davvero padre non fa che aumentare ad iperbole lo strano scombussolamento interiore che provo, un misto di piacere e fascino, una sensazione così calda e dolce da farmi sentire quasi in precario equilibrio.

Semplicemente, mi accorgo di essere disarmata dinnanzi a quella che appare quasi come una proiezione del nostro prossimo futuro, uno scorcio di ciò che potrebbe accadere di qui a qualche anno che mi spezza il fiato in gola.

Letteralmente.

Annaspando, sbatto leggermente le ciglia, la bolla pensierosa in cui sono sprofondata che mi fa quasi estraniare dalla realtà che mi circonda, assorbendomi.

Sempre che lui voglia questo bambino, mi ricorda, però, malignamente una vocina petulante e tagliente nella mia testa subito dopo, sottolineando indirettamente come di fatto la discussione riguardo la mia gravidanza sia ancora totalmente sospesa, lasciata a metà e mai chiarita davvero.

Tra il suo malore, il coma e la mia poca voglia di rovinare questa prima settimana e mezza in sua compagnia con rancori e tristi litigate, infatti, non abbiamo praticamente avuto il tempo di affrontare l'argomento, non toccandolo neanche.

O meglio, io non ho voluto farlo, preferendo rifuggirlo ed aspettare codardamente, desiderando non farlo innervosire e godermi unicamente la sua presenza.

Con una strana angoscia a permearmi in modo delicato, vibrandomi sulla pelle quasi come un'ombra incombente, deglutisco a fatica, cercando di scacciare queste elucubrazioni dal mio cervello e di concentrarmi unicamente sul momento che sto vivendo, combattendo la volontà necessaria di appoggiare la mano sulla mia pancia.

Fortunatamente, ci pensa Adam ad allontanare i miei tormenti l'istante seguente, permettendomi di focalizzarmi su qualcosa di decisamente più positivo e allietante.

- Sono le moto con cui io e David giochiamo sempre a casa sua – gli spiega premurosamente il significato del disegno, arricciando appena la punta del naso mentre indica intanto con un dito il centro del foglio, alludendo in contemporanea probabilmente ad uno sei suoi compagni di scuola – I suoi genitori gli hanno regalato un videogioco di corse bellissimo per il compleanno, sai – continua sognante, flettendo appena il tono della voce e rendendolo quasi vagamente ruffiano mentre piega il viso, esattamente come fa Andrew quando è sul punto di volermi convincere su qualcosa, cercando di far leva su ciò che provo per lui – E' proprio bello... - lascia volutamente l'affermazione in sospeso, non concludendola strategicamente ed apparendo terribilmente buffo nel suo goffo tentativo di intrigare lo zio.

Mettendo da parte questo paragone e la loro somiglianza, mi sporgo intanto leggermente in avanti, appoggiando un gomito sul materasso e di conseguenza il mento sul palmo della mia mano mentre continuo ad osservarli mutamente e a rimanere in ascolto.

Andrew, infatti, avendo il mio stesso sentore, non dice nulla a riguardo, limitandosi unicamente ad esibirsi in una smorfia neutrale e paziente, lasciando cadere nel vuoto la sua sottile provocazione.

Probabilmente conscio di come Andrew non sia favorevole ai videogiochi e cercando indirettamente e nel modo più discreto possibile di convincerlo, riprende a parlare a macchinetta subito dopo, investendolo di parole quasi come un fiume in piena, non prendendo neanche fiato.

- E nel gioco ci sono queste moto grandissime e colorate che gareggiano – gli rivela ancora in modo concitato ed esaltato, mangiandosi quasi le lettere mentre agita una mano, finendo di fatto per strappare via il foglio dalle dita di Andrew e farlo sventolare nell'aria con un gracchiante scricchiolio.

Divertita, sorrido debolmente mentre mi scambio uno sguardo complice con Andrew, i nostri occhi che si scontrano per una frazione di secondo sopra la testa del bambino che non ne vuole proprio sapere di rimanere fermo, un alone di stanchezza che non rende meno ammaliante il suo lambirmi a distanza.

Estraniandomi per un attimo, mi perdo a fissarlo, perdendo per un attimo il filo del discorso di Adam, il suo vociare convulso che giunge quasi sfocato alle mie orecchie, non permettendomi di comprendere ciò che sta dicendo.

E ancora quel pensiero torna a frustrarmi e pungolarmi, emergendo dalle mie pieghe più profonde e delicate, alimentato dall'amore smisurato che provo per lui.

Sarà un buon padre, sicuramente.

Dura, tuttavia, solo una manciata di secondi dal momento che lui distoglie le pupille dalle mia la frazione di istante dopo, tornando a prestare la sua totale attenzione al bimbo.

- E noi abbiamo fatto una gara e le moto andavano velocissime! - trilla ancora Adam, sgranando stupito le iridi quasi come se stesse rivivendo quegli stessi attimi, snocciolando una cosa dietro l'altra e lasciandomi vagamente disorientata, il fatto di aver appena perso qualche sua battuta che mi rende difficile collegare ciò che sta dicendo – Ed io l'ho superato all'ultima curva a 600 miglia e ho vinto – esulta alla fine, così preso dal suo racconto da alzare entrambe le braccia verso l'alto, chiudendo entrambe le mani a pugno e ghignando vittoriosamente quasi come se stesse realmente festeggiando.

Una leggera risatina mi solca le labbra dischiuse nel medesimo attimo a causa del suo modo espansivo di porsi, socchiudendo tranquillamente le ciglia.

Inspirando una profonda boccata d'aria, lui prende fiato subito dopo, gonfiando rumorosamente il petto nel probabile tentativo di parlare ancora, non avendone, però, praticamene il tempo materiale o l'opportunità.


Lizzie, infatti, si intromette nel suo monologo l'istante seguente, impedendogli di continuare, pungolando dispettosamente e portando tutti a voltarci nella sua direzione, colti alla sprovvista dal suo intervento improvviso ed inaspettato.

- E' impossibile – si pronuncia, infatti, in modo puntiglioso e quasi accademico nel momento stesso in cui le mie pupille sconcertate si posano su di lei, trovandola con le braccia incrociate al petto, il libro di storia ormai chiuso sul tavolo e la matita compostamente riposta sopra i fogli accuratamente impilati – Le moto non possono raggiungere le 600 miglia di velocità – lo rimbecca ancora con estrema lentezza, apparendo intelligente e a tratti quasi sapputtella, pedante, non facendo passare inosservata l'esagerazione infantile e bonaria del fratello.

Adam, per nulla contento della sua irruzione e di essere stato rimproverato, si corruccia cupamente, incassando il capo tra le spalle mentre un'ombra torva e cupa cala sul suo volto nel medesimo attimo in cui fulmina la bambina con una occhiataccia al vetriolo.

Alzando orgogliosamente e spavaldamente il mento verso l'alto, quasi nel tentativo di sbeffeggiarla e sminuire ciò che ha detto, stringe le piccole mani a pugno, apprestandosi subito dopo a ribattere veementemente.

- Erano 600 miglia! - si impunta ancora lui, impettito ed alterato dall'essere messo in dubbio così dispoticamente, avvampando furiosamente nell'affermare la sua veridicità.

Una ondata di violento rossore, infatti, investe in pieno le sue guance piene nel momento stesso in cui aggrotta le sopracciglia, surriscaldandosi vigorosamente mentre si irrigidisce, tendendosi fin quasi allo spasimo ed infiammandosi letteralmente.

Nello stesso attimo in cui io sospiro, consapevole di come questa banale discussione tra i due presto sgorgherà, come sempre, in un fraterno e rumoroso litigio, Lizzie sbuffa sonoramente infastidita e stizzita dalla sua ottusa insistenza, attirandosi lo sguardo ammonitore e provato di Andrew, la sua smorfia tirata che mi fa capire come non si stia sentendo benissimo.

Roteando stancamente gli occhi al soffitto per una breve frazione di secondo, difatti, lei storce le labbra in una smorfia alterata, prima di schiuderle per esprimermi acidamente.


- Non è possibile, tonno! - sibila ancora, inalberandosi a sua volta mentre il suo sguardo castano manda lampi di irritazione, risultando petulante e sfibrata al tempo stesso – Nessuna moto al mondo può andare così veloce – continua imperterrita, cercando di fargli capire un qualcosa che il bambino non vuole comprendere davvero mentre alza la voce di una ottava, rendendola più acuta e quasi stridula.

Un po' dispiaciuta del loro battibecco e dal caos che stanno creando, lancio una occhiatina di sbieco ad Andrew, trovandolo con le spalle affondate nel cuscino e una leggera espressione insofferente stampata chiaramente in faccia, perfetta espressione del suo stato fisico.

Una piccola ruga, infatti, compare alla base del suo naso mentre lui resta momentaneamente chiuso nel suo mutismo, non dicendo nulla, un improvviso pallore che permea il suo viso e che accompagna le sue occhiaie, ora maggiormente calcate e scurite sotto i suoi occhi.

Solo con un attimo di ritardo e scrutandolo con più attenzione comprendo come probabilmente tutto ciò sia dovuto ai quotidiani mal di testa che lo affliggono ogni giorno, causati all'ematoma causato dalla caduta.

E decisamente il momentaneo borbottare dei bambini non lo sta di certo aiutando, sbuffo mestamente rammaricata.

- Non litigate – interviene inaspettatamente l'attimo dopo lui mentre pone tutta la sua concentrazione sui suoi nipoti, adocchiandoli in modo tediato e severo, cercando di farli smettere e di rabbonirli.

Cosa che, però, non accade assolutamente.

Quasi come se non lo avesse minimamente udito, infatti, Adam si sporge leggermente in avanti mentre abbandona in simultanea il disegno sul tavolino in plastica, inveendo contro la sorella senza mezzi termini.

- La mia invece si! - le urla quasi contro frustrato e arrabbiato, gli occhi lucidi e una ciocca di capelli biondi che gli finisce sulla fronte nel medesimo attimo in cui scrolla nervosamente il capo, il suo timbro che si incrina appena, palesando indirettamente tutte le emozioni che stanno scuotendo il suo piccolo corpicino.

Scocciato, poi espira seccamente mentre Lizzie si esibisce in una smorfia di scherno, quasi come se lo stesse deridendo tra se e se, stendendo le labbra in modo ironico e sarcastico.

Prima ancora che io, però, possa intervenire per sedarli e dare un po di tranquillità ad Andrew, è Adam stesso a chiamarmi in causa, allarmato ed esagitato.

Quasi sconvolto e con il respiro pesante, infatti, si volta di scatto verso di me, inchiodandomi con i suoi grandi occhi cerulei, le pupille nere e allargate che lasciano trasparire un certo senso di testarda ansia.

- Tu mi credi Emma, vero? - mi incalza immediatamente senza quasi darmi il tempo di adocchiarlo accuratamente in faccia, proponendomi un quesito che sembra nascondere inevitabilmente una insicurezza e una indecisione più profonda, la stessa che , in qualche modo, mi spiazza.

Semplicemente, emerge il suo divorante bisogno di essere rassicurato, realizzo sconcertata dal suo stato emotivo fragile e quasi nevrotico.

Senza esitare e prendendo in contemporanea una breve boccata d'aria, annuisco vigorosamente con un cenno del capo mentre fortunatamente la bambina non ribatte niente.

- Certo che ti credo, tesoro – mormoro nel modo più calmo e pacato che conosco, cercando convulsamente di quietarlo e di tranquillizzarlo, abbozzando un piccolo sorriso nel tentativo di sottolineare le mie parole.

Guardandomi completamente ammutolito per una manciata di secondi lui non dice pensierosamente nulla, esitando appena e limitandosi a dondolare lievemente sul posto, quasi come se stesse cercando di scorgere la verità nei miei lineamenti e nel mio modo di pormi.

Evidentemente spronato, mi riserva poi un piccolo e tenero sorriso l'istante seguente, facendomi comprendere come la mia approvazione conti molto per lui, riscaldandomi sinuosamente ed in modo inaspettato.

Un sottile calore, infatti, mi pervade nel momento stesso in cui noto questa semplice cosa, un moto di tenerezza implacabile che mi investe in pieno.

Completamente ignaro dei miei pensieri e della stanchezza dello zio, Adam si volta di scatto subito dopo nuovamente verso la sorella, facendo una sonora linguaccia di scherno al suo indirizzo, risultando dispettosamente vittorioso ed alimentando ancora il battibecco.

Lei, in risposta, assottiglia le palpebre fino a ridurle a due fessure minacciose e pericolose, avvampando e probabilmente raggiungendo il limite di sopportazione accettabile mentre si tende irrazionalmente, apparendo sul punto di scoppiare letteralmente.

Cercando di evitarlo, io mi alzo di scatto in piedi, intromettendomi tra di loro prima ancora che il loro litigio possa riaccendersi, imponendomi perentoriamente.

- Direi che è ora di andare – affermo, infatti, in modo deciso e determinato, troncando il momento di netto ed adocchiando sia Adam che Lizzie in modo eloquente, non ammettendo repliche e forse apparendo più severa e dura di quello che vorrei – Prendete le vostre cose bambini, così lasciamo risposare lo zio – soffio ancora, ammorbidendo impercettibilmente il tono mentre mastico lentamente questa manciata di parole, sistemandomi la maglietta intanto con la punta delle dita.

Stranamente, loro non osano fiatare per contraddirmi, limitandosi a rimanere in silenzio, forse stupiti dalla mia presa di posizione inusuale.

Normalmente, infatti, è quasi sempre Andrew a richiamarli mentre io rimango in silenzio, non addossandomi l'autorità necessaria per farlo nonostante tutto l'affetto che provo per loro.

Lizzie annuisce ubbidiente senza opporsi, comprendendo forse come questo non sia assolutamente il caso di protestare mentre inizia a sistemare il suo quaderno e il libro, iniziando a riporlo accuratamente nello zainetto in tela blu che si è portata da casa.

Non troppo contento di staccarsi da Andrew, invece, Adam si imbroncia appena, sporgendo il labbro inferiore e guardandomi dal basso nel palese tentativo di corrompermi.

Cercando di impormi di non cedere io gli rivolgono unicamente una occhiatina serena e tranquilla, spronandolo mutamente a riordinare i pennarelli e i fogli che ha usato.

Senza dire nulla, difatti, compio subito dopo un passo in avanti, avvicinandomi meglio ad Andrew mentre il bambino inizia a farlo, fissandolo in modo apprensivo e amorevole.

Un po' stravolto e con una vaga smorfia sofferente a distorcere i suoi lineamenti, lui gira appena il capo nella mia direzione, sospirando pesantemente ed apparendo incredibilmente stanco, il mal di testa che probabilmente non gli da scampo e che lo incupisce fastidiosamente.

Desiderando almeno farlo stare minimamente meglio, allungo istintivamente una mano verso di lui, concretizzando il bisogno di coccolarlo che è immediatamente sorto in me.

Appoggiandomi, infatti, con il fianco contro il bordo del letto sfioro la sua guancia, velata da uno strato di barba, con il dorso della mano, lambendolo delicatamente per evitare di infastidirlo o di acutizzare il suo dolore, provocando un suo pallido sogghigno.

- Grazie – soffia quasi di punto in bianco e con voce strascicata nel medesimo attimo in cui Adam salta giù dal materasso con un piccolo saltello, andando a riacciuffare lo zainetto rosso che ha abbandonato contro il muro.

Non alludendo ovviamente solo alla mia carezza ma anche al mio capire il suo bisogno di tranquillità e di relax, lui parla in modo basso e arrochito, portandosi in contemporanea le dita alla tempia destra e massaggiandola con la punta dell'indice e del medio in modo circolare.

Non ribattendo nulla io mi limito solamente a fare appena spallucce, riservandogli ancora una carezza mentre il mio sguardo scivola spasmodicamente sui suoi tratti, trovandolo incredibilmente bello nonostante il malessere che lo spossa.

Sorridendogli dolcemente, mi abbasso subito dopo verso di lui nel tentativo di far incontrare le nostre labbra, dimenticandomi per un attimo della presenza dei bambini.

Cosa che accade esattamente l'attimo seguente, quando la mia bocca preme teneramente ed in modo pacato contro la sua, strappandogli un bacio carico di amorevolezza e languore, il mio pollice che sfiora ancora il suo zigomo nonostante la posizione non proprio comoda in cui sono costretta.

- Torno dopo da te, ok? - sussurro con un mormorio sottile e impercettibile contro il suo labbro inferiore, in modo confidenziale e quasi complice, intimo, persistendo intanto a mantenere le palpebre serrate, i nostri respiri che si mischiano e il suo ansare flebile che mi sfiora delicatamente il mento, deliziandomi profondamente.

Lui si limita semplicemente annuire prima di baciarmi ancora, prendendomi quasi alla sprovvista ed approfondendo subito il contatto, una punta di voluttuosità che inevitabilmente lo permea.

Vagamente ansante e sogghignante, mi stacco da lui in carenza di ossigeno l'attimo dopo, riservandogli una lunga occhiata da sotto le ciglia prima di raddrizzare leggermente la postura, la mia mano che scivola di conseguenza via dal suo volto con una delicata e perpetrata coccola.

- A dopo – mi saluta semplicemente ed in modo strascicato lui, sospirando goduto mentre si mette leggermente sdraiato, agognando probabilmente stare più comodo e sistemarsi meglio nel tentativo di riposare qualche ora.

Ed è proprio mentre compio un passo indietro, allontanandomi da lui, e Adam e Lizzie si infilano i giacconi che una muta affermazione attraversa la mia mente, sincera e vera come non mai.

La stessa che traspare chiaramente dai miei occhi, ancora ostinatamente piantati e fusi nel suoi, la bolla che per qualche attimo ci ha estraniato dal resto del momento che per un fugace secondo sembra tornare a vibrare nell'aria, raddensandola.

Sorrido.

Non vedo l'ora di tornare da te.







*****







- Dovresti sdraiarti e riposarti un po', amore – mormoro dolcemente al suo indirizzo, calcando volutamente sull'ultima parola mentre accompagno la mia asserzione determinata con un vago cenno del capo, indicando, di conseguenza, il letto matrimoniale, di camera nostra, posto esattamente alla nostra destra, un odore di pulito piacevole che mi solletica le narici.

Con la voce concitatamene più alta del normale di una ottava e persistendo a rimanere in piedi vicino alla sua intelaiatura in legno, guardo insistentemente Andrew lievemente dal basso, il mio tono che risulta deciso e premuroso al tempo stesso mentre gli lancio una occhiatina di sottecchi da sotto le ciglia, preoccupandomi apprensivamente per lui.

Staticamente immobile ad una manciata di centimetri di distanza da me e fasciato unicamente da una felpa grigia e da un paio di pantaloni di tuta blu scuro, lui piega unicamente appena il viso verso di me, fissandomi non troppo convinto, probabilmente stufo di rimanere ancora sdraiato a non far nulla.

Tanto più ora che lo hanno dimesso, mi dico sibillinamente con un istante di ritardo, rammentando distrattamente come poco più di un'ora fa i dottori lo abbiano fatto finalmente tornare a casa dopo quasi due settimane di interminabile degenza.

Non troppo determinato, lui aggrotta appena le sopracciglia bionde, arricciando contemporaneamente la bocca, il pallore ancora presente sul suo viso e un ciuffo di capelli scompigliati che gli solca la fronte corrugata.

- Si – soffia unicamente ed in modo inaspettato subito dopo, lasciandomi basita e sorpresa da questo suo essere così accondiscendente, assolutamente cosa non da lui, mentre annuisce brevemente, muovendo su e giù la testa.

Vagamente stupita e colta alla sprovvista, lo scruto sbigottita mentre lui si muove appena sul posto, espirando in modo strascicato e sereno, probabilmente consapevole di come ora questa sia la cosa migliore da fare.

Sotto il mio sguardo apprensivo e quasi soffocante, afferra poi il bordo della sua felpa, sfilandosela con semplicità e con un gesto fluido, lasciandola cadere con un tonfo silenzioso e distratto sul copriletto blu scuro del letto.

Chiuso nel suo pacato mutismo, fa poi scivolare le dita sui suoi fianchi stretti, il bordo della maglietta bianca a mezze maniche che ora gli fascia il torace che copre parzialmente il bordo dei pantaloni.

Agguantandolo con la punta dei polpastrelli, li abbassa l'attimo dopo, permettendomi di conseguenza di scorgerei boxer blu scuro che indossa l'attimo dopo, una ondata di calore che mi coglie e mi turba nel fissarlo insistentemente, nonostante questa non sia decisamente la prima volta che io lo veda semi nudo. Anzi.

In una frazione di secondo, anche questo indumento finisce sul materasso, una chiazza di colore che spicca incredibilmente e che attira solo distrattamente la mia attenzione, facendomi quasi non più abituata ad averlo intorno ed in giro per casa come di consueto.

Lanciandogli una occhiatina di sottecchi e percependo appena le guance bruciare, sbatto impercettibilmente le ciglia, parlandogli in modo diretto e più secco di quanto vorrei.

- Ti prendo il pigiama? - mi premuro di chiedergli concitatamente l'attimo seguente mentre indico con un cenno del capo il comò in legno massiccio posto vicino all'entrata e, di conseguenza, il secondo cassetto in cui di solito lo conserva.

Quasi senza aspettare una sua risposta compio un passo breve e frenetico in quella direzione mentre lui inarca simultaneamente ed in modo scettico un sopracciglio, visibilmente interdetto e confuso dalla mia affermazione.

Con il cuore che pulsa inaspettatamente in modo concitato nella mia cassa toracica, irrigidendomi ed accompagnando il leggero logorio che persiste come un tarlo a divorarmi e che deriva inevitabilmente dal non aver ancora chiarito la discussione riguardo la mia gravidanza, lo guardo in attesa di una risposta con gli occhi appena sgranati.

- Mi hai mai visto indossare un pigiama? - mi sferza in risposta lui, allargando appena le braccia mentre flette la voce in modo ironico e sarcastico, punzecchiandomi con una battutina che invece di mettermi a mio agio fa, totalmente, l'opposto.

Invece di quietarmi, infatti, mi imbarazza maggiormente, portandomi ad incassare appena il capo tra le spalle mentre mi paralizzo sul posto, a metà tra il mobile e il letto senza riuscire a ribattere nulla, i suoi occhi azzurri illanguiditi da una punta di scherzosità che non riesce a raggiungermi o anche solo divertirmi.

Tendendomi fin quasi allo spasimo, scuoto afflitta la testa, mordendomi quasi a sangue le labbra.

- No – mormoro unicamente io, incrociando le braccia al seno ed appoggiando in simultanea i palmi delle mie mani sui gli avambracci, sfiorandomi con una nervosa ed esagitata carezza mentre mi rendo conto solamente ora di come il mio quesito debba essere sembrato stupido e privo di senso.

Un pressante nervosismo, infatti, mi dilania interiormente, portandomi quasi ad essere incapace di rimanere ferma, il bisogno di smuovermi e di fare qualcosa, di non pensare a cosa potrebbe dirmi se la nostra conversazione finisse disgraziatamente sul mio essere in dolce attesa, portandomi forzatamente a rifuggire quel momento.

Nonostante, infatti, io sia più che consciamente consapevole del fatto che prima o dopo l'argomento salterà inevitabilmente fuori non mi sento quasi pronta ad affrontarlo ora, sicura di cosa lui pensi a riguardo e desiderando assolutamente non farlo ulteriormente innervosire.

Ha bisogno di riposo, mi dico infatti mutamente mentre percepisco distintamente le sue iridi sciolte e dense di riflessioni scivolare quasi pensierose sul mio profilo, ritrovandomi ad implorare qualsiasi entità affinchè non si accorga del mio stato emotivo precario e sfuggente.

Fortunatamente, non sembra farlo, allontanando le pupille da me in un millesimo di secondo.

Voltandosi con una piccola e fluida torsione del busto, infatti, si gira, dandomi leggermente le spalle e permettendomi unicamente di scorgere il suo profilo pallido e stanco.

Piegandosi leggermente verso il materasso e spostando i vestiti semplicemente sul suo comodino, Andrew afferra poi con la mano sinistra il bordo del copriletto, scostandolo nel tentativo di sdraiarsi.

Vi si infila sotto in una manciata di secondi sotto l'impeto delle mie occhiate insistenti e brucianti, il desiderio di coccolarlo che si scontra contro l'impossibilità di riuscirmi totalmente a rilassare.

Appoggiando appena le spalle contro la spalliera e reclinando lentamente il capo indietro, sospira poi in modo pesante e strascicato, sgonfiando totalmente il petto in modo visibilmente stanco e al tempo stesso sollevato, quasi appagatamente soddisfatto.

Socchiudendo leggermente le palpebre nel momento stesso in cui si copre nuovamente fino al busto si quieta totalmente, curvando ed insaccando appena la postura senza intavolare alcuna conversazione e permettendomi, quindi, di conseguenza, di sciogliere appena i miei muscoli tesi e contratti.

Non sapendo cosa fare e decidendo all'improvviso di sistemare le cose che ha portato dall'ospedale, mi smuovo anche io l'attimo seguente, compiendo qualche incerto passo verso il comò, raddrizzando appena la schiena nel medesimo attimo in cui allungo una mano in avanti, afferrando la mia borsa nera.

Aprendo la zip con la punta delle dita, vi frugo subito dopo dentro, i miei polpastrelli che tastano confusamente prima il mio portafoglio e poi un pacchetto blu di fazzoletti prima di trovare l'oggetto del mio interesse.

Senza il minimo sforzo, difatti, vi tiro fuori l'istante seguente una piccola bustina trasparente, i contenitori in plastica colorata e cilindrici dal tappo bianco delle medicine che i dottori hanno prescritto ad Andrew che fanno bella mostra di se, producendo solamente un leggero e gracchiante frusciare a causa del loro smuoversi.

Con l'intento di sistemarli sul comodino in modo da tenere a portata di mano tutto ciò che potrebbe servirgli, compio subito dopo una leggera rotazione sul posto, voltandomi nuovamente verso Andrew prima di raggiungerlo con una manciata di veloci falcate.

Strisciando leggermente i piedi sul parquet, mi fermo a lato del letto senza interrompere il suo momento di tranquillità mentre contemporaneamente apro il piccolo sacchetto, la confezione che scricchiola appena, spezzando di netto il silenzio che ci circonda.

Con estrema puntigliosa meticolosità, appoggio poi i tre piccoli flaconcini sul piano in legno lucido e scuro del comodino, piegando appena il capo di lato mentre mi mordicchio ansiosamente il labbro inferiore, un tic snervante che finisce per screpolarlo inevitabilmente.

- Ti hanno detto a che ora prenderle? - rompo improvvisamente la quiete, questo quesito che mi frulla sibillinamente in testa e che solca la mia bocca dischiusa prima ancora che io riesca a capacitarmene, concretizzandosi mentre con le dita li sistemo accuratamente in fila uno dietro l'altro vicino al suo telefonino.

Intanto, con la coda dell'occhio intravedo Andrew schiudere gli occhi, probabilmente richiamato dal mio interrogativo acuto e morbido al tempo stesso, il mio tono che lo sferzo morbidamente richiamando prepotentemente la sua più totale attenzione.

Alza appena il mento nella mia direzione, un leggero sorriso sbarazzino e sardonico che inclina verso l'alto le sue labbra leggermente carnose nel momento stesso in cui si appresta a ribattere prontamente, non rivelando alcun accenno di stanchezza o spossamento.

- Sono un medico, sai Emma? - mi pungola nuovamente in un modo tra il secco e l'ironico, pietrificandomi a causa, probabilmente, della troppa suscettibilità della mia emotività, il mio sfuggire ad un chiarimento che mi fa quasi sentire responsabile e colpevole di un qualcosa che neanche io so identificare – So quando prenderle, stai tranquilla – tenta con scarsi risultati di rabbonirmi.

Il mio cuore inaspettatamente aumenta il suo incedere, i battiti che diventano più frenetici mentre corrugo appena la fronte, il senso di disagio, quasi come se avessi i nervi a fior di pelle, che torna ad abitarmi in modo spossante

- Si – mi limito nuovamente a rispondere in modo laconico mentre ricambio la sua occhiata, le sue pupille nere e appena dilatate che mi studiano insistentemente, cercando quasi di scavarmi dentro, scatenando in me un misto allarmismo.

Contraendo appena le spalle, distolgo lo sguardo dal suo l'attimo seguente, il desiderio di portare altrove il suo interesse che mi rende apaticamente agitata e quai angosciata.

Spostando il peso del corpo da un piede all'altro mentre lascio simultaneamente cadere sul comodino il sacchetto ormai vuoto, lo incalzo nuovamente con l'ennesima domanda, le parole che fuoriescono in automatico e come un sibilo tra i miei denti.

- Vuoi per caso mangiare qualcosa? - gli chiedo in modo dolce e vagamente teso l'attimo dopo, deglutendo a fatica ed in modo quasi contrito.

Piegando una gamba verso l'alto e facendo, di conseguenza, tendere la coperta che ricopre il suo corpo mentre io impaziente ed in modo quasi febbrile compio un simultaneo passo indietro, dirigendomi verso la porta prima ancora di ricevere un sua risposta, una morsa angosciante che mi occlude freddamente lo stomaco senza lasciarmi scampo.

Tuttavia, lui scuote il capo in segno di diniego, arricciando appena le labbra in una smorfia dubbiosa e leggermente perplessa.

- No grazie, non ho molta fame – mi spiega sgretolando di fatto la mia coccola e palesando in simultanea il suo poco appetito mentre io rimango immobile al centro della stanza, nuovamente paralizzata dal suo rifiuto – E' ancora presto – aggiunge mestamente ed in modo fluido subito dopo, notando probabilmente l'ombra cupa e indispettita che è calata repentinamente sul mio viso, aggrottando lievemente la fronte in modo sconcertato e confuso.

Con il petto che si alza nervosamente ed in modo frenetico su e giù, io stringo unicamente le labbra, riducendole ad una linea netta mentre lui allude chiaramente al fatto che sia ancora praticamente metà pomeriggio, il cielo che inizia ad imbrunire fiaccamente apprestandosi a lasciare il posto al tramonto.

- Neanche un panino come spuntino? - lo incalzo ancora, inquieta.

Stringendosi appena tra le spalle e scoccandomi una lampante occhiata indagatrice, lui muove subito dopo impercettibilmente le labbra, ribattendo prontamente.

- No – rifiuta lui nuovamente, pronunciando lentamente questo semplice monosillabo di diniego mentre assottiglia appena lo sguardo, mettendomi pressione.

Trattenendo per una frazione di secondo il respiro, rimango ferma senza smuovermi o raggiungerlo nuovamente, una sottile penetrante tensione che mi impedisce di rilassarmi fra le sue braccia e di godere unicamente della sua compagnia.

Gonfio appena le guance, trattenendo uno sbuffo contrito e accorato mentre con la punta delle dita arriccio il bordo della maglia che indosso, stropicciandolo ripetutamente.

- Magari vado a prenderti dell'acqua, allora – mormoro a fatica ed in modo visibilmente forzato l'attimo seguente, umettandomi nervosamente il labbro superiore con la punta della lingua mentre indico nuovamente con un movimento minimo del capo la porta alle mie spalle – In caso ti venisse sete – aggiungo ancora, cercando di specchiarmi in modo più chiaro e sensato, logico.

Per nulla d'accordo, Andrew si corruccia maggiormente, scoccandomi un'ultima lunga e bruciante occhiata prima di sbuffare sonoramente indispettito e a tratti frustrato, roteando sinuosamente gli occhi al soffitto bianco e spezzando di conseguenza il nostro legame visivo.

- Perchè non prendi anche un campanello così se mi serve qualcosa ti chiamo, Emma? - sibila vagamente irritato, una punta di sarcasmo che si unisce ad un affettuoso fastidio, non facendolo apparire realmente scocciato o arrabbiato.

Visibilmente sconvolta e spiazzata dalla sua affermazione ironica ed allusiva, raddrizzo la postura, diventando così tesa da assomigliare quasi più ad una corda di violino che ad una persona in carne ed ossa, non avendo quasi il coraggio di ribattere nulla.

La mia tachicardia, intanto, pompa concitatamente il sangue nelle mie vene, la testa appesantita da un groviglio di pensieri ed emozioni che non so sciogliere e quel pressante peso che si raddensa maggiormente, diventato quasi insopportabile per la sua gravosità.

In ogni caso, lui torna cripticamente a rilassarsi contro la spalliera subito dopo, una scintilla che anima il suo sguardo in modo sinistro ed imperscrutabile, non permettendomi di capire il suo immediato cambio di umore.

Con estrema abilità, infatti, una espressione più neutrale e calma scalza quella interdetta e disorientata di poco fa, un sentimento che non so decifrare che distende ora i suoi lineamenti mentre lui allarga appena le braccia, appoggiando una mano sul materasso e battendovi ripetutamente per un paio di volte consecutive.

- Perchè non vieni qui, invece? - mi invita teneramente lui, flettendo impercettibilmente la voce in modo morbido e cadenzato, conferendogli una sfumature dolce e amorevole, volta chiaramente a mettermi a mio agio probabilmente.

Frantumando in un soffio tutte le mie domande e il mio tentativo di sfuggirgli, di sfuggire ad una conversazione tanto necessaria quanto spinosa, mi stringo appena tra le spalle senza dire nulla per una frazione di secondo, unicamente un denso e intimo silenzio a circondarci.

Esitando appena e percependo un innaturale calore salirmi alle guance, infatti, deglutisco a fatica ed irrequieta, la gola vagamente chiusa da un improvviso grumo di sensazioni che mi quietano ed esagitano al tempo stesso, le volontà opposte di sprofondare tra le sue braccia e di sottrarmi al suo tocco che mi pungolano nel profondo.

Muovendo su e giù il capo lentamente, acconsento subito dopo, decidendomi finalmente e compiendo subitaneamente un paio di passi in avanti, i miei piedi che strisciano appena sul parquet mentre mi fermo a lato del letto, guardandolo silenziosamente dall'alto per una manciata di istanti.

Cercando di ricambiare il suo sorriso complice e amorevole, sogghigno in modo visibilmente nervoso, muovendomi leggermente sul posto mentre riesco unicamente a produrre una smorfia irrequieta e plastica, poco spontanea e naturale.

Notandolo, Andrew arriccia in modo impercettibile la punta del naso mentre allunga la mano sinistra in contemporanea verso di me, i suoi occhi azzurri che non lasciano i miei neanche per un millesimo di secondo, accarezzandomi silenziosamente e a distanza.

Le sue dita sottili e bollenti sfiorano il mio braccio l'attimo seguente, accarezzandomi debolmente a partire dal gomito fino alla base del mio palmo prima di stringersi morbidamente intorno al mio polso esile, attirandomi con il minimo della forza verso di se e manifestando, quindi, di conseguenza, la voglia di avermi più vicino e addosso.

Cedo senza la minima rimostranza, ampliando in simultanea il mio ghigno ora in modo più semplice e irrazionale, con una piacevole morsa allo stomaco mentre il mio cuore accelera appena i battiti, trasformando il suo incedere in una mesta tachicardia.

Senza dire nulla, mi lascio cadere seduta sul bordo del letto con un piccolo rimbalzo, sbilanciata dalla sua presa amorevole e delicata al tempo stesso.

Una ondata del suo profumo, seducente e suadente, mi solletica all'istante le narici mentre io mi piego leggermente in avanti fino ad appoggiarmi sul suo petto sodo e non troppo muscoloso, ricercando spasmodicamente il suo calore confortante.

Inspirando profondamente, mi chiudo nel mio mutismo mentre neanche Andrew dice assolutamente nulla, limitandosi ad avvolgermi in un abbraccio improvvisato e carico di amore.

Lo stesso, però, che non riesce a quietare i miei demoni interiori, i dubbi che mi martellano fastidiosamente in testa, appesantendomi e causando il mio evidente broncio, portandomi a sporgere leggermente il labbro inferiore nel momento stesso in cui appoggio la guancia alla base del suo collo, entrando in diretto contatto con la sua pelle ardente.

Finendo, di fatto per sdraiarmi parzialmente su di lui, sospiro pesantemente mentre lui appoggia entrambe le mani sulla mia schiena tesa e indurita, il suo percorrerla più e più volte dall'alto verso il basso che non mi aiuta a quietarmi.

Nonostante, infatti, il piacere delle sue coccole, non riesco a non rimanere contratta, i nervi a fior di pelle che non mi consentono neanche minimamente di tranquillizzarmi.

Le sue dita, difatti, lambiscono lentamente la mia colonna vertebrale fino a perdersi tra le ciocche dei miei capelli sciolti, sfiorandoli appena con un gesto distratto e quasi pensieroso, come se la sua mente fosse momentaneamente puntata altrove, su considerazioni più importanti e cupe.

E il motivo del suo atteggiamento arriva l'attimo, non appena lui sgonfia seccamente il petto, a metà tra il sereno e l'angosciato.

- Emma, credo che dovremmo ...parlare – soffia sicuro di se, esitando appena alla fine della fase, prima di completarla davvero, quasi come se stesse ricercando riflessivamente il termine più adatto, chiamandomi mellifluamente per nome – Credo che dovremmo parlare di ciò che è successo – afferma ancora, mormorando lentamente le parole mentre piega appena il viso di lato, il suo accarezzarmi che improvvisamente si arresta, cessando momentaneamente e il suo tono di voce che giunge sorprendentemente vicino e corposo, determinato.

E comprendere a cosa si stia limpidamente riferendo, in modo diretto e quasi lampante, non è poi così complicato. Tutt'altro.

La mia gravidanza, annaspo boccheggiante, il spasmodico desiderio di appoggiare la mano sul mio ventre piatto quasi come segno di protezione che si scontra contro l'impossibilità di farlo, una paura divorante e dilaniante che mi paralizza letteralmente sul posto.

Con il sangue che mi si gela istantaneamente nelle vene a causa dell'ondata immediata e sconvolgente di paura e ansia, nervosismo, io mi irrigidisco violentemente, contraendomi così tanto da assomigliare quasi ad una statua di sale più che ad una persona.

Incapace di continuare a non poterlo guardare in faccia a causa della posizione comoda e affettuosa in cui siamo, deglutisco a fatica, il respiro che viene quasi all'improvviso a mancare e il cuore che sbatte così forte nella mia cassa toracica da ovattarmi l'udito con il suo petulante e cadenzato ronzio.

Facendo leva leggermente con il palmo della mano sul suo petto e ricercando forzatamente dentro di me il coraggio di smuovermi e di guardarlo direttamente negli occhi, mi raddrizzo nuovamente l'attimo seguente, un latente pallore che mi rende emaciata e quasi scioccata, accompagnando la mia smorfia spaurita ed atterrita al tempo stesso.

Le mie pupille sgranate si specchiano nelle sue la frazione di secondo dopo, un sottile terrore che mi abita violentemente, vibrando dentro di me senza lasciarmi scampo mentre riesco unicamente in modo distratto a notare la sua espressione.

Apparendo incredibilmente serio, infatti, Andrew, stringe appena le labbra, umettandole in modo disattento senza perdermi mai di vista, studiandomi accuratamente senza, tuttavia, apparire arrabbiato o frustrato.

Inaspettatamente, difatti, appare quasi calmo, un atteggiamento posato e quasi sardonico che lo caratterizza e che mi spiazza completamente.

- Della gravidanza – lo anticipo subito dopo, la bocca improvvisamente impastata e asciutta a causa dell'ansia e dello sconcerto mentre mi sistemo meglio sul bordo del materasso, la sua presa sul mio corpo che scivola inesorabilmente via, scalzata da una snervante sensazione di freddo.

Abbacchiata e sentendo quasi il momento del giudizio precipitare vorticosamente su di me, concretizzando tutte le mie paure degli ultimi giorni, sbatto appena le ciglia mentre una mia mano rimane appoggiata distrattamente sul suo ventre, un contatto a metà tra il rassicurante e il necessario.

Socchiudendo appena gli occhi, lui annuisce grevemente, una leggera ombra che cala sul suo volto pallido nel medesimo attimo in cui distoglie lo sguardo dal mio per una breve frazione di secondo, l'alone di una lontana e melanconica arrabbiatura che riaffiora nelle sue iridi, ingrigendole appena, quasi come se non fosse stata mai davvero dimenticata.

Con il pressante bisogno di manifestare tutto ciò che penso e di giustificarmi in qualche modo, di poter finalmente dargli quelle spiegazioni che ho così tanto e a lungo desiderato fornirgli, trattengo istintivamente il respiro, bloccandolo nei polmoni mentre il mio muro di contenimento crolla attimo dopo attimo, mattone dopo mattone.

E semplicemente mi sfogo, investendolo con una manciata di parole così sincere da risultare dure e taglienti, le stesse che sgorgando dal mio profondo, tutti i discorsi che avevo pensato di fargli che improvvisamente scompaiono lasciandomi la mente vuota e pesante.

- Andrew, senti – incomincio un monologo che non so neanche io dove porterà o come concludere, cogliendolo in contropiede nel momento stesso in cui lui schiude la bocca, probabilmente sul punto di parlarmi – Io non sapevo di essere incinta – continuo subito dopo e quasi tutto di un fiato, vacillando in precario equilibrio e cercando di non fermarmi neanche per un secondo, conscia di come ciò mi bloccherebbe drammaticamente, il magone che prenderebbe il sopravvento su di me seppellendomi sotto una marea di emozioni – Ed assolutamente era l'ultima cosa che mi sarei mai aspettata – aggiungo, la mia voce che da determinata e forte si inclina appena, incrinandosi mestamente mentre il mio sguardo si fa vagamente lucido ed accorato.


Angosciata e con il petto che si alza e si abbassa in modo sconvolgente, lui mi guarda interdetto e attento al tempo stesso, corrugando appena la fronte senza quasi osare interrompermi, irrigidendosi contro la spalliera del letto.

E, forse, io non gliene lascerei neanche l'opportunità.

Prendendo un piccolo e profondo respiro, aspirando rumorosamente l'aria tra i denti, continuo subito dopo a parlare, gesticolando appena con la mano libera ed in modo quasi convulso.

- Quando ho scoperto di essere in ritardo ho persino avuto paura di fare il test – gli rivelo ancora, stringendomi melanconicamente ed in modo accorato tra le braccia, ricordando in modo distratto quegli attimi di paura ed incertezza, indecisione mentre sbatto in simultanea le palpebre, cercando di mettere meglio a fuoco la sua immagine.

Esito appena, la verità pressante che preme contro le mie labbra dischiuse per essere concretizzata, un formicolio irritante ed inquieto che gela le punte delle mie dita mentre io distolgo per una frazione di secondo gli occhi dai suoi, ricercando quasi dentro di me di dare un senso coerente a tutte le cose che vorrei dirgli.

E lo faccio l'attimo dopo con estrema fatica, il nodo che mi occlude disastrosamente sempre più la gola mentre torno contemporaneamente a guardarlo in faccia, adocchiandolo in modo trasparente e privo di difese, mostrandogli semplicemente tutte le mie paure e il mio essere fragilmente vulnerabile.

- Non te lo avrei mai nascosto – mormoro con un filo di voce, così sottile e fievole da risultare quasi un sussurro, rischiando quasi di perdersi nel vuoto mentre il mio sguardo si vela di uno strato di sincere lacrime, permettendogli di vedere tutto il mio essere onesta – Non volevo che lo scoprissi così – annaspo ancora, le sensazioni che contro il mio volere prendono vorticosamente il sopravvento su di me, schiacciandomi poderosamente.

Andrew, basito, mi fissa in modo criptico ed indecifrabile, non consentendomi di leggere facilmente ciò che sta pensando o provando.

Semplicemente, se mi sta credendo.

Nervosa, mi mordo quasi a sangue il labbro inferiore, percependo il suo sapore metallico invadermi il palato nel momento stesso in cui lui inclina appena il viso di lato, smuovendosi ed interrompendo finalmente la sua lunga stasi, un qualcosa che non comprendo che scioglie le sue iridi e che irrazionalmente mi fa mancare una palpitazione.

Ed, in qualche modo contorto e istintivo, è proprio il suo adocchiarmi sbalordito e quasi frastornato dalla veemenza nevrotica con cui ho appena parlato che mi porta a pronunciarmi ancora, la voce rotta e frantumata da una emozione che neanche io so identificare con chiarezza.

- So che questo bambino non era previsto – riprendo ad esprimermi, un misto di fragilità e sicurezza a pervadermi mentre accompagno la mia asserzione con un gesto vago della mano prima di appoggiarla con spontanea semplicità sulla mia pancia, ricercando un contatto con quel puntino – E che probabilmente tu non lo vuoi e non sei pronto a diventare padre– soffio più a fatica, quasi dolorosamente mentre questa stessa asserzione pungola un mio punto debole, il ricordo della nostra discussione a riguardo che riemerge dalla mia memoria in simultanea mentre io lo guardo insistentemente negli occhi – Ma ora c'è - gli dico ancora, più determinata e decisa mentre i miei stessi polpastrelli si tendono sul mio ventre, arricciando la maglia.

Espiro tremolante, quello stesso tremolio che pervade anche il mio corpo e che, probabilmente, mi rende ai suoi occhi disperata e sull'orlo di una crisi di nervi.

Con gli occhi pieni di lacrime mal trattenute e commosse mi specchio nel suo sguardo sconvolto, stringendo le labbra prima di terminare il mio discorso, provata e destabilizzata.

- Ed io voglio davvero questo bambino, Andrew – concludo infine con la voce che si strozza, morendomi semplicemente in gola nel medesimo attimo in cui sono costretta ad arricciare il naso per trattenermi dal scoppiare definitivamente in un pianto di sfogo, la presa sulla mia maglietta che diventa così spasmodica da percepire le mie stesse unghie piantarsi nella pelle, superando lo strato di cotone – Lo voglio – ripeto più lentamente e conscia di ciò che sto dicendo.

Scuotendo leggermente il capo lo guardo poi in attesa, un misto di sollievo e di tensione che mi sconvolgono, riversandosi a fiotti nelle mie vene mentre aspetto impaziente e fremente una sua risposta, il terrore di un rifiuto che mi vibra addosso.

Scioccato almeno quanto me da questo mio rigurgitargli addosso i miei pensieri, lui mi fissa in silenzio per una manciata di secondi infiniti, che sembrano quasi non trascorrere mai.

Cogliendomi totalmente in contropiede, lui allunga nuovamente verso di me la mano sinistra, non allontanando neanche per un attimo le pupille dalle mie mentre mi agguanta morbidamente il polso, una morsa stretta ma dolce.

Passando il pollice lentamente ed in modo quasi circolare sulla pelle delicata, proprio alla base del palmo, lui cerca di intercettare agevolmente il mio sguardo nel momento stesso in cui io lo abbasso, nascondendo il volto tra i capelli e percependo l'agitazione montare vorticosamente dentro di me.

- Andrew io... - riprendo quasi convulsamente ad esprimermi, incapace di attendere pazientemente che lui si pronunci, il suo toccarmi che non mi placa minimamente.

Tuttavia, prima ancora che io abbia il tempo di finire la frase è Andrew stesso ad interrompermi bruscamente ed in modo morbido insieme, spronandomi a rimanere un attimo in silenzio e permettergli quindi di spiegarsi con semplicità.


- Stai un attimo zitta? - mi chiede in modo teneramente ironico, l'amorevolezza presente nel suo timbro basso ed arrochito che scalza disinvoltamente il sarcasmo, portandomi ad annuire distrattamente e di istinto.

Non protesto nulla, risultando accondiscendente mentre la sua adorabile e deliziosa coccola continua, i polmoni che bruciano insistentemente in carenza di ossigeno,facendomi impallidire precipitosamente, temendo quasi ciò che ha da dirmi.

Sentendomi quasi sull'orlo di un precipizio, infatti, riesco a malapena a deglutire, troppo scossa e sconvolta dalla possibilità che vada tutto in frantumi.

Il nostro rapporto... quello che abbiamo costruito... me stessa... noi...

Tremo, in modo nevrotico e spasmodico senza che io possa fare nulla per fermarlo, un fugace brillio di compassione nel suo sguardo che mi fa quasi sentire compatita e biasimata, irritandomi e facendomi male, l'ansia e il rammarico melanconico della situazione che si mischiano, dilaniandomi sinuosamente.

Lui, intanto, si contrae appena mentre stringe pensierosamente le labbra fino a ridurle ad una linea netta, umettandosi appena il labbro superiore senza mai allontanare le iridi da me, un alone imperscrutabile che mi spaventa e mi intimorisce, facendo battere così forte il mio cuore da percepirne il ronzio nelle orecchie.

Semplicemente, la paura di perderlo, la paura che questo bambino possa farlo scappare via da me mi paralizza, gelandomi il sangue nelle vene e privandomi di qualsiasi briciolo di raziocinio.

In ogni caso, lui riprende a parlare subito dopo, non lasciandomi troppo spazio per rimuginare

- E' vero, non sono pronto a diventare padre – afferma con estrema e devastante sicurezza, tutto di un fiato, trapassandomi con una stilettata invisibile e dolente e portandomi a sgranare stupita le palpebre, tutte le mie insicurezze che si concretizzano in un sol soffio, chiudendomi soffocantemente la gola con un nodo atterrito. - Tanto più dopo...gli ultimi eventi – continua dopo un secondo di indugio, deglutendo mentre compie un lieve cenno del capo, alludendo chiaramente alla gravidanza e al conseguente aborto che Kate gli ha tenuto nascosto per tutto questo tempo, non informandolo e ferendolo incredibilmente quando ne ha parlato sfacciatamente in tribunale.

Una smorfia di dolore e rammarico distorce immediatamente i suoi lineamenti a questa asserzione, un'ombra cupa che cala vertiginosamente sul suo volto, risucchiandolo e addolorandomi di rimando per il mettere sullo stesso piano due situazioni completamente opposte. Diverse.

Tuttavia, non riesco davvero a soffermarmici, ciò che è insito nel suo commento che apre una infinità di ferite dentro di me, dissanguandomi e svuotandomi di qualsiasi cosa.

E resta solo il dolore, unicamente questo.

Basita, boccheggio, mordendomi a sangue le labbra con gli incisivi mentre una istantanea voragine si apre dentro di me, il panico che inizia a prendere il sopravento mentre realizzo istantaneamente ciò che ha appena detto.

Non è pronto per avere un figlio.

Non è pronto ad averlo da me, ansimo incapace di calmarmi, demoralizzata ed abbacchiata da questa rivelazione tristemente concreta, il mio cervello che malignamente mi ricorda come, durante l'ultimo incontro con Kate, lui avesse espresso un'altro parere, manifestando un profondo rammarico per non essere diventato papà.

Le lacrime si affacciano ai miei occhi a questa riflessione drammatica e così vera da risultare dura, il peso della realtà che inizia a farsi schiacciante, diventando sempre più avvilente e insopportabile.

Ma lui non mi dà praticamente tregua, continuando imperterrito a pronunciarsi.

- E, beh, quando ho scoperto che eri incinta mi sono sentito di nuovo... – soffia mestamente ed in modo esitante, abbassando leggermente lo sguardo mentre i suoi lineamenti si induriscono appena, quasi come se la potente e furiosa collera di allora tornasse a pervaderlo, stuzzicandolo fastidiosamente ed in modo leggero – All'oscuro di tutto – completa finalmente la frase e digrigna appena i denti, il suo timbro di voce che appare quasi impotente e destabilizzato, un dolore più sotterraneo e profondo che il mio comportamento sembra aver fatto riemergere – Ed ero davvero incazzato nero per questo – mi sussurra in modo semplice e atono, così neutrale da apparire quasi distaccato mentre scuote sconsolato e lentamente il capo, il mio allarmismo che aumenta ancora, il suo pallido e sardonico sorriso che non sortisce alcun effetto su di me. Tutt'altro.

Non riuscendo quasi a comprenderlo davvero, rimango intanto ammutolita, non in grado di dire niente o anche solo provare a farlo, la bocca impastata e il sapore amaro del peggiore dei rifiuti che mi inaridisce emotivamente, inasprendomi mentre la consapevolezza di averlo allontanato da me inizia ad insinuarsi tra le mie pieghe più fragili e sensibili.

Sentendomi vulnerabile quasi come un bicchiere di cristallo sul punto di essere scaraventato a terra e mandato in mille frantumi, inspiro in modo rumoroso e tremolante, le mie ciglia nere che iniziano ad inzupparsi disastrosamente mentre il mio campo visivo si sfoca del tutto, riducendo le cose unicamente a macchie di colori.

Non sapendo quasi come continuare il discorso, Andrew esita nuovamente, dondolando leggermente sul posto senza aggiungere nulla, la fronte aggrottata e le iridi incupite da un qualcosa che mi sfugge e che non mi permette di decifrare.

Tornando piantare le sue pupille nelle mie, lui mi guarda insistentemente, scavandomi dentro e scontrandosi con il grumo di aspri e annichilenti sentimenti che sto provando in questo momento.

- Poi, però – riprende a parlare con lo stesso identico modo e cadenzato, il velo di rammaricante tristezza di poco fa che sembra essere momentaneamente svanito – L'incazzatura è passata – aggiunge, gesticolando appena con la mano libera mentre il suo coccolarmi si arresta, il pollice che preme unicamente sull'interno del mio polso, percependo probabilmente il mio battito sconclusionato e violento – E non è rimasto altro se non... – sospira pesantemente senza completare la frase, quasi come se si stesse privando di un enorme e gravoso peso, i suoi lineamenti distorti a un miscuglio di sensazioni che non sono in grado di leggere, troppo poco lucida anche solo per pensare.

Lasciandomi tesa come una corda di violino ed appesa ad un filo, lui rimane con le labbra dischiuse a fissarmi, uno sguardo intenso e lungo, carico di parole non dette e di scuse mai pronunciate che mi confonde ancora di più, mandandomi nel pallone.

- Non è rimasto altro se non la voglia di avere questo bambino con te, Emma – mi dice sinceramente in modo deciso e determinato, rompendo finalmente il suo mutismo mentre mi fissa insistentemente, perforandomi con le sue pupille mentre si sporge quasi in avanti, come se volesse accertarsi che io comprenda la sua asserzione.

E mi spiazza, decisamente, facendomi quasi faticare a comprendere il reale senso di ciò che mi ha detto.

Completamente scioccata dall'inaspettata piega che le cose hanno assunto, l'ultima che mi sarei mai assolutamente aspettata, lo guardo totalmente sbigottita e sbalordita, non riuscendo quasi a credere alle mie orecchie.

Cosa? Mi domando, interrogandomi sul fatto che io possa aver udito male o aver interpretato in modo errato il suo commento.

Con le labbra leggermente dischiuse dallo sconquassamento interiore ed emotivo che probabilmente agita anche lui, Andrew mi adocchia in modo carico di amore e sicurezza, nessun rancore o incertezza che vibra cupamente nel suo sguardo ora.

La voglia di avere questo bambino con te... avere questo bambino... con te...

Le sue asserzioni mi rimbombano per un attimo nella testa senza che io riesca ad assimilarle, il terrore di perderlo che schizza ad iperbole per poi crollare vorticosamente, dissolvendosi nel nulla e lasciando unicamente spazio al suo sguardo limpido e privo di menzogne, sincero.

Avere questo bambino...

Ed io semplicemente mi avvicino sempre di più al crollo definitivo, il peso sentimentale di questi ultimi giorni carichi di ansie, nervosismi e paura che unicamente prendono il sopravvento su di me, schiantandosi così forte contro il muro protettivo e di contenimento che io stessa ho eretto da sgretolarlo inevitabilmente, mandandolo in frantumi in un sol soffio.

Un piccolo singulto mi sconvolge prima ancora che io possa anche solo averlo notato, i miei occhi che si riempiono così velocemente di lacrime da offuscarmi la vista, tutto che perde di consistenza e i confini che si sfocano mentre il sollievo inizia a sorgere devastante e bruciante dentro di me.

Quasi come una spirale mi avviluppa sinuosamente ed in modo deciso, risanando tutte le ferite che io stessa mi sono pensierosamente inferta in questo ultimo periodo, ricucendole una ad una con estrema devozione.

E rimane unicamente la consapevolezza di ciò che ha detto, scioccante e bella come non mai.

Vuole questo bambino. Lo vuole davvero, tremo.

Annaspo, il magone che diventa così denso di sentimenti e percezioni da impedirmi quasi totalmente di respirare, strozzando qualsiasi mio commento mentre non riesco a notare la sua reazione, il pianto represso che non me lo concede e mi permette unicamente di percepire il suo corpo tendersi contro il mio, lasciandomi intuire una certa ansia attanagliarlo.

E così scoppio, grosse e bagnate lacrime che sfuggono alla presa delle mie ciglia, rotolando ai lati delle mie palpebre e poi lungo la guancia, svanendo oltre la linea della mia mandibola in un soffio, perdendosi sul copriletto blu scuro del letto.

Scossa da un tremolio vigoroso, mi stringo semplicemente tra le spalle senza aggiungere altro, chiudendo e aprendo mutamente la bocca.

Andrew, un po' stupito dalla mia reazione, aggrotta appena la fronte prima di allungarsi verso di me, sospirando in modo fievole e leggero nel medesimo attimo in cui mi avviluppa in un abbraccio improvvisato, passando fulmineamente le braccia intorno ai miei fianchi.

Attirandomi contro di se con il minimo sforzo, mi sbilancia di nuovo verso di lui, facendomi finire, in mancanza di equilibrio, contro il suo petto sodo e tonico, le mie mani che si appoggiano in modo spontaneo all'altezza dei suoi pettorali nel tentativo irrazionale di trovare un appoggio.

Stravolta da un pianto intenso e di sfogo mi accascio quasi contro di lui, desiderando unicamente sprofondare nel suo calore, tutto il timore e il terrore che ho provato ultimamente che riemerge vigorosamente, soffocandomi.

Premendo il viso nell'incavo del suo collo quasi come a voler trovare una rassicurazione non dico nulla per una lunghissima manciata di secondi, unicamente i miei singhiozzi che spezzano il silenzio della stanza, la mia emotività ancora una volta amplificata a dismisura dalla mia gravidanza che mi fa soccombere.

Un po' intimorito dal mio atteggiamento e un po' ugualmente provato dagli ultimi eventi e dal nostro litigio, lui persiste unicamente a stringermi a se, i palmi delle sue ampie mani che scivolano ripetutamente lungo la mia schiena, percorrendola nel tentativo di quietarmi.

Ed è proprio mentre io mi rilasso appena, il viso accaldato e bagnato, che tutto il tormento e l'angoscia che mi ha divorato quando lui era in coma torna a galla, mischiandosi all'insicurezza che il nostro mancato chiarimento mi ha causato.

- Ho avuto paura di perderti - annaspo ansimante e boccheggiante l'attimo dopo quasi a voler giustificare il mio crollo sentimentale, strizzando le palpebre mentre lui mi stringe di più a se non appena le mie parole raggiungono, avviluppandomi in un abbraccio improvvisato alludendo chiaramente alla sua reazione riguardo la mia gravidanza, al suo malore e al suo non risvegliarsi immediatamente, il sapore amaro di quegli attimi che ancora mi vela le labbra – In tutti i sensi...ed è stato orribile – ansimo ancora quasi senza fiato, minacciandolo malamente e masticando questi semplici termini contro il suo collo ormai umido delle mie lacrime, ringhiandogliele quasi contro – Avevo il terrore di non vederti tornare da me – soffio così spossata da sentirmi a pezzi, incapace di ragionare lucidamente ed in modo razionale.

Il suo coccolarmi si fa più insistente l'attimo dopo, le sue mani che arricciano appena il cotone della mia maglietta mentre anche io ricambio la stretta, semplicemente incapace di non farlo.

Con il cuore che non smette neanche per un attimo di sbatter in modo scalmanato e frenetico, sfrego leggermente il naso contro la sua pelle, espirando in modo tremolante e commosso, quasi provato.

Reclinando poi appena il capo all'indietro con un movimento minimo, tenta goffamente di guardarmi in faccia mentre si apre in un sorriso carico di amore, la mia affermazione che vibra ancora nell'aria.

Spronata dallo stesso identico desiderio di fissarlo negli occhi sbatto appena le ciglia, scacciando l'ultimo alone di pianto mentre mi scosto appena da lui, quel tanto che basta per adocchiarlo in modo semplice ed agevole.

Mi specchio così nelle sue pupille l'attimo seguente, un sogghigno leggero e spontaneo che curva all'insù le sue labbra mentre mi accarezza con la mano, percorrendo la mia colonna vertebrale fino alle mie spalle prima di spostarla, posandola sulla mia guancia umida e bollente, arrossata.

Scacciando con il pollice la scia delle lacrime ancora presenti sul mio volto, mi guarda a lungo ed in modo intenso, le labbra appena arricciate e il consueto pallore che lo caratterizza negli ultimi tempi ora vagamente scacciato dallo scombussolamento emotivo che ha provato.

Non spezzando neanche per una frazione di secondo il nostro gioco di sguardi intimo e complice, vagamente indecifrabile, arriccia poi impercettibilmente la bocca, rispondendomi finalmente dopo una infinità di secondi di mutismo.

- Io tornerò sempre da te – afferma accoratamente, nel suo tipico modo estremamente dolce e sbarazzino al tempo stesso, destabilizzandomi e facendomi quasi sentire sul punto di perdere l'equilibrio, un qualcosa che si scioglie nel mio petto che mi zittisce completamente.

Deglutisco a fatica, l'amore che provo per lui che si acutizza così violentemente ed in modo veloce da stordirmi, disorientandomi mentre stringo maggiormente le dita intorno alla sua maglietta, ricambiando la sua occhiatina tenera e amorevole, carica di commozione, prima di tirarlo bruscamente contro di me, non essendo praticamente più in grado di frenarmi.

Ed in una frazione di secondo mi ritrovo a premere convulsamente le labbra contro le sue, ricercandole in modo famelico e voglioso, il bisogno di un contatto con lui che diventa così pressante da soffocarmi, prendendo il sopravvento su di me.

Con estremo impeto, lo bacio voracemente ed in modo quasi spasmodico, muovendo lentamente la bocca contro la sua.

Cogliendolo impreparato, lui esita appena, irrigidendosi contro di me a causa della nostra improvvisa vicinanza, il suo vezzeggiarmi che si arresta per una frazione di secondo.

Non indugiando ulteriormente, lui ricambia il bacio l'attimo seguente, il suo pollice che continua a percorrere la mia pelle accaldata mentre serro totalmente le ciglia, il suo profumo che mi solletica le narici.

E finalmente sto bene, dannatamente bene.

Quasi come se tutto si completasse, l'ultimo pezzo del puzzle che costituisce la mia contentezza che si va ad incastrare alla perfezione con gli altri, infondendomi un incredibile senso di sollievo e benessere.

Felicità.

In carenza di ossigeno e con i polmoni brucianti, mi stacco da lui l'attimo seguente, i nostri visi che rimangono vicini e i nostri respiri che si mischiano sinuosamente, fondendosi.

E, unicamente, solo la sua affermazione continua a vorticarmi in testa, causando il mio luminoso e naturale sorriso, un senso di gioia che mi pungola le membra nel medesimo attimo in cui appoggio la fronte contro la sua, abbracciandolo nuovamente.

Sospiro pesantemente, lasciandomi andare completamente contro di lui, in modo totalmente accondiscendente e privo di difese.

Tornerà sempre da me.



















Note:

Buonasera!

Ed eccoci qui con un nuovo aggiornamento di Ritratto di Noi.

Come avrete probabilmente chiaramente intuito fin dal titolo, Back to you, Andrew finalmente si è svegliato.

In molti mi aspettavano da parecchi aggiornamenti un capitolo più tranquillo e senza imprevisti e, beh, assolutamente, vi abbiamo accontentato!

A parte gli scherzi, in verità questo capitolo era programmato da tempo, esattamente come quello riguardante il matrimonio di Carter e Sam!

Spero che abbiate gradito;)

Al contrario dei capitoli precedenti, carichi di ansia e tensione, questo è risultato essere più tranquillo e disteso.

Direi che non c'è molto da dire (ed io non voglio spoilerare molto sui prossimi capitoli!)se non che spero che non vi siano errori e che il capitolo vi sia piaciuto, ci terremmo davvero moltissimo a sapere cosa ne pensate!!

il prossimo aggiornamento non avverrà la prossima settimana ma, bensì, tra due quindi Mercoledì 28 Maggio.

A presto


Xoxoxo


Live in Love

   
 
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