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Autore: Carlos Olivera    15/05/2014    1 recensioni
Tratto dal Capitolo 1
In tutta Celestis non c’era vascello più splendente del Megonia.
Era nato inizialmente come vascello militare, ma a seguito dell’approvazione delle nuove limitazioni sugli armamenti orbitali l’aeronautica amalteca aveva deciso di riconvertirlo ad uso civile, facendone la nave da crociera più lussuosa ed innovativa che si fosse mai vista.
Essendo nata come nave da guerra non raggiungeva le dimensioni delle altre sue sorelle battenti bandiera di Caldesia, di Eyban o di Alepto, ma ciò nonostante era considerata la più bella astronave che Celestis avesse mai prodotto.
La sua forma lunga e affusolata, simile ad un veliero vero e proprio, la rendeva agile e veloce, oltre che esteticamente più bella della maggior parte delle altre navi civili; di vetrate panoramiche ne aveva solo una, una scintillante cupola che emergeva elegantemente dalla fusoliera color panna, proprio sopra il grande salone centrale.
A poppa, enormi e suggestivi barbigli emergevano dalla chiglia, protendendosi oltre il bordo poppiero da cui sbucavano le turbine a propulsione, rassomigliando alle ali di un angelo.
Nelle pubblicità delle agenzie di viaggio, il Megonia era decantato come un angolo di paradiso; ora, invece, era divenuto l’anticamera dell'Inferno
Genere: Fantasy, Horror, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tales Of Celestis'
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3

 

 

Georg si collegò un’ultima volta con la stazione spaziale per ricevere le ultime istruzioni dal Direttore Shane, che comparve nel monitor della navetta serio e impassibile come il Capitano non ricordava di averlo mai visto.

«Stando alle nostre ultime previsioni, seguitando per questa rotta il Megonia sarà catturato dall’orbita di Neos nel giro di ventiquattro ore, ma se il sistema di emergenza è ancora operativo entreranno in azione i razzi stabilizzatori che eviteranno una collisione.

Attualmente la nave si trova ancora nella zona oscura, quindi è probabile che perderemo il contatto. Stiamo cercando di creare un ponte radio usando alcuni satelliti meteorologici, ma dovremo aspettare che la zona si ripulisca delle particelle magiche presenti nella zona per riuscire a stabilire un collegamento.»

«Abbiamo una benché minima idea di cosa potremmo incontrare a bordo, signore?»

«Nessuna, Capitano. La zona oscura ci impedisce anche di accedere in remoto ai sistemi di sorveglianza e alla scatola nera.

Di fatto siamo completamente ciechi riguardo a quello che sta accadendo a bordo. È per questo che la stiamo mandando lì.

Appena possibile ci rimetteremo in contatto. Fino a quel momento, siamo nelle vostre mani.

Buona fortuna, Capitano»-.

In quel momento la trasmissione si interruppe di colpo, lasciando dietro di sé solo un fastidioso effetto nebbia.

«Siamo entrati nella zona oscura.» disse Mayu dalla cabina di pilotaggio.

Ora, erano soli.

Goerg tornò verso la zona di carico, dove il resto della squadra sedeva in silenzio sulle panche laterali, ognuno preso nei propri pensieri.

Per Vincent, Jaboc ed Helen era solo l’ennesimo lavoro, un’inezia se paragonata ad altri incarichi che avevano dovuto affrontare nel corso degli ultimi anni; Vincent e Jacob, da bravi tiratori scelti quali erano, se ne restavano ognuno per conto proprio, con il primo che pareva addirittura essersi appisolato su quello scomodo pezzo di metallo e il secondo che seguitava a giocherellare con la sua catenina d’oro cui era appeso il bossolo di un proiettile, un cimelio di cui nessuno, neanche i suoi compagni, conosceva il significato; quanto ad Helen, come molti altri maghi aveva l’abitudine di tenere da sé il proprio equipaggiamento, e l’ultima cosa che faceva ogni volta subito prima che la missione avesse inizio era ricontrollare le pietre magiche del suo armamentario, infilandole nel borsello alla cintura dopo averle eventualmente ricaricate.

Quanto agli allievi, anche loro sembravano stranamente calmi, forse perché quasi tutti avevano altro a cui pensare. Klaus e Ulrich non avevano fatto proprio i salti di gioia nel vedersi convocare entrambi, e trascorrevano il tempo a tirarsi delle occhiatacce oblique seduti l’uno di fronte all’altro.

Non era solo per dare una lezione a quella testa matta di Krietzmann che Georg aveva voluto selezionare proprio la sua squadra, oltre al suo peggior nemico, per quella missione; Amanda, che dei quattro sembrava l’unica davvero tesa e in ansia, se la cavava egregiamente con la magia curativa e gli incantesimi di supporto, Joe eccelleva negli scontri all’arma bianca e nel corpo a corpo, e Ulrich, che aveva studiato da tecnico operativo, aveva grande dimestichezza con l’informatica e l’elettronica. Tutti talenti che potevano tornare utili a bordo del Megonia, e a conti fatti loro erano gli unici cui il Capitano era disposto a concedere il benefico del dubbio, facendoli scendere in campo a così poca distanza dall’inizio dell’addestramento.

E poi c’era Klaus.

Klaus.

Georg voleva che vedesse; che vedesse con i suoi occhi cosa aveva buttato via con il suo atteggiamento. O forse, in cuor suo, voleva dargli una nuova, ennesima possibilità di dimostrare le sue capacità, come soldato e come capo.

«Molto bene, verginelle» disse richiamando l’attenzione delle reclute. «Questa è la vostra prima missione degna di questo nome.

So bene che per alcuni di voi non si tratta della prima esperienza sul campo, ma nonostante ciò vi invito a non dare nulla per scontato.

Ragion per cui, mente sgombra, culo stretto, e seguite le nostre disposizioni. In ogni caso, non credo sarà nulla di eccezionale.

Probabilmente hanno solo voluto vedere lo spettacolo troppo da vicino, e ci hanno rimesso i sistemi primari.»

«Ma allora, perché non hanno abbandonato la nave?» domandò Amanda

«Per fare lo slalom tra i detriti cosmici in un guscio d’uovo rischiando una collisione? Molto meglio restarsene al sicuro a bordo della nave. Tanto sapevano molto bene che, prima o poi, non vedendoli tornare qualcuno sarebbe andato ad aiutarli».

In realtà Georg era il primo a credere che una teoria tanto semplice potesse effettivamente essere vera, ma si augurava intimamente di essere comunque nel giusto, per il bene dei suoi ragazzi.

«Obiettivo in vista, Capitano.» disse di nuovo Mayu.

Georg raggiunse velocemente la cabina per vedere di persona, e qualche attimo dopo anche il resto della squadra poté scorgere dagli oblò la figura maestosa e misteriosa al tempo stesso del Megonia, che fluttuando alla deriva orbitava a poche migliaia di chilometri dalla superficie brulla di Neos, da solo, come uno dei tanti relitti che affollavano quel tratto di cosmo.

Sembrava davvero essere stata abbandonata, ed erano evidenti i segni degli urti avvenuti con tutta la spazzatura e i detriti che orbitavano tutto attorno al satellite principale di Celestis; nel complesso però lo scafo non appariva così compromesso, e probabilmente l’atmosfera interna era ancora intatta, una cosa che faceva ben sperare.

Tuttavia, le luci di posizione e quelle di segnalazione erano completamente spente, e come previsto anche l’illuminazione principale appariva disattivata, come se tutti i generatori e i sistemi di alimentazione della nave fossero stati interrotti.

Per un po’ mentre la navetta si avvicinava sempre più all’obiettivo, tutti rimasero in silenzio, domandandosi ognuno per conto proprio cosa mai potesse aver provocato un simile incidente.

«Puoi aprire un canale radio?» domandò Georg senza togliere gli occhi dal Megonia

«Credo di sì, solo un secondo.» rispose Mayu

«Non che mi aspetti qualcosa, ma tanto vale fare un tentativo».

Dal momento che le connessioni virtuali erano tutte disattivate l’unica soluzione era ricorrere ai sistemi analogici, anche se per poter stabilire un contatto fu necessario avvicinarsi ulteriormente al vascello, abbastanza perché il piccolo sistema radio della navetta fosse in grado di ricevere e trasmettere un segnale.

«Ponte radio operativo, Capitano. Può parlare.»

«Parla il Capitano Klopfer. Forze di sicurezza speciali della MAB. Mi ricevete, Megonia?».

L’altoparlante rimase muto, producendo solo un gracchiare confuso, e allora il Capitano provò una seconda volta.

«Siamo qui per accertare le vostre condizioni. Vi trovate in una zona ad alto rischio, e tutti i vostri sistemi principali sono spenti o danneggiati. Parlate, Megonia».

Ma di nuovo, non vi fu risposta.

«Sarebbe stato troppo bello» mugugnò Georg, che quindi lanciò un ultimo messaggio. «Megonia, se riuscite a sentirci, ora saliamo a bordo.

Mayu, dirigiti al ponte d’atterraggio.»

«Al volo, Capitano».

Come tutte le navi di grandi dimensioni anche il Megonia disponeva di un ponte d’attracco per vascelli medio-piccoli, che come una proboscide si allungava da una fiancata della fusoliera per consentire l’aggancio e allo stesso tempo preservare l’atmosfera.

Mayu condusse la navetta nel punto d’attracco, ma la attendeva una brutta sorpresa: un detrito, probabilmente un vecchio satellite, aveva centrato in pieno il ponte; le paratie di emergenza fortunatamente erano intatte e si erano immediatamente chiuse, ma di fatto quell’ingresso era praticamente inservibile.

«Accidenti.» sibilò la ragazza «Questa non ci voleva».

Neanche il tempo di brontolare per quello spiacevole imprevisto, che volgendo lo sguardo alle spalle Georg si ritrovò a tu per tu con il giovane Ulrich, terminale portatile alla mano e atteggiamento sicuro, ma comunque rispettoso.

«Possiamo accedere dal portellone della zona carico, signore.»

«E come?» chiese Mayu «Il loro sistema di energia e quello telematico sono entrambi disattivati. Anche intervenendo in remoto tramite hacking non c’è modo di poterlo aprire.»

«Possiamo intervenire manualmente attraverso i comandi di sicurezza per la manutenzione.»

«Manualmente!?» ripeté Georg «Vuoi dire andare fuori!?»

«Conosco questo genere di navi. Il sistema di apertura computerizzato probabilmente è fuori uso, ma il portello quasi sicuramente dispone anche di un’apertura automatica d’emergenza attivabile dall’esterno.»

«E se il meccanismo è protetto da un codice di sicurezza?»

«Lo posso bypassare. Ho già condotto simulazioni di questo tipo in passato.»

«Appunto, simulazioni.» lo interruppe il Capitano «Qui parliamo di un intervento vero, nello spazio aperto. Un minimo errore e farai la fine di un palloncino, senza contare che potresti finire catturato dall’atmosfera di Neos e andare giù come una meteora.»

«Posso farcela, signore. Mi circonderò con uno scudo protettivo. Le barriere non sono la mia specialità, ma me la cavo discretamente.

D’altronde, con il dovuto rispetto, non credo vi siano molte altre alternative.»

«Cos’è, stai cercando di fare l’eroe?» domandò provocatorio Klaus dal vano equipaggio

«Sta zitto, Krietzmann» lo ammonì il Capitano, che sbuffando si passò una mano sulla barba rada che ne circondava la bocca, per poi guardare nuovamente Ulrich. «Sei sicuro di poterci riuscire?»

«Sissignore.» rispose il giovane senza esitare.

Georg esitò, ma quasi subito si rese conto che effettivamente quella era l’unica soluzione attuabile; e visto che nessuno dei suoi compagni aveva mansioni da tecnico, l’unica era affidarsi a quel ragazzotto con manie di comando ma dalla volontà e dal talento riconosciuti.

Di certo, però, non gli avrebbe fatto correre un simile rischio da solo.

«Helen, và con lui.»

«Sissignore.» disse l’interessata alzandosi in piedi

«Grazie, signore. Non la deluderò.»

«Niente colpi di testa. Rimani appiccicato ad Helen, fa quello che devi fare, e raggiungici subito all’interno.»

«Agli ordini».

Mentre Mayu riposizionava la navetta il più vicino possibile alla zona desiderata del Megonia, i due interessati, indossati i caschi delle speciali tute da battaglia, si portarono quindi nella zona di sbarco sul fondo della navetta, con Ulrich che un attimo prima della chiusura del portello d’isolamento parve quasi sogghignare dietro il vetro opaco all’indirizzo di Klaus, il quale fu costretto ad ingoiare il boccone amaro sfogando la sua frustrazione con un violento pugno sulla parete.

«Mai fatto prove di volo nello spazio?» domandò Helen mentre dalla cabina veniva annunciato il countdown per l’apertura

«Centotre ore di simulazione, quindici di esperienza sul campo. Signore.» rispose Ulrich educatamente ma risoluto

«Niente male per un ragazzino».

Giusto il tempo per entrambi di circondarsi con uno scudo protettivo in grado di annullare ulteriormente gli effetti del vuoto cosmico, e i due agenti si ritrovarono fuori dalla navetta, a fluttuare nello spazio.

Normalmente per uno stregone era impossibile servirsi della magia nello spazio aperto, a meno di non ricorrere alle batterie energetiche come quelle installate nelle tute da combattimento, ma per un mago di buon livello era sufficiente trovarsi a poca distanza da un pianeta dotato di un Core attivo, come ad esempio Celestis, per sfruttarne l’energia senza per forza doversi trovare all’interno della sua atmosfera.

E Ulrich ed Helen, maghi di talento lo erano di sicuro; non per niente entrambi avevano i capelli argentati, un vero e proprio marchio che identificava gli stregoni virtualmente più potenti e capaci di tutti, in quanto dotati di un codice genetico molto più affine alla magia rispetto a quelli di chiunque altro, compresi i loro simili.

Entrambi non dovettero fare altro che immaginare di concentrare tutto il loro potere in un solo punto, e come se avessero avuto un jet pack invisibile montato sulla schiena i due presero a muoversi con sicurezza verso il loro obiettivo, raggiungendo in pochi minuti la superficie fredda e metallica del Megonia sotto gli sguardi attenti dei loro colleghi, che li osservavano dagli oblò della navette trattenendo il respiro.

Ulrich era così sicuro di essere sulla buona strada che non impiegò nulla a trovare prima l’esatta ubicazione del portello dell’hangar, e quindi il piccolo vano in cui erano celati i comandi per poterlo aprire. Come aveva previsto erano ancora operativi nonostante il blackout, e sempre come aveva previsto bypassare la password di sicurezza con il suo terminale fu un’azione sorprendentemente semplice.

Non lesinando una critica con il pensiero a chi aveva architettato una difesa tanto facile da scardinare il giovane decrittò il codice, e come per incanto il resto della squadra vide il portellone aprirsi lentamente dinnanzi alla loro navetta.

«Sarà pure uno sbruffone, ma sa quello che fa» non poté non ammettere Amanda.

Anche Georg restò positivamente colpito, e riavutosi dal momento di stupore ordinò a Mayu di puntare dritta verso l’obiettivo.

Una volta che la navetta, lentamente, fu entrata, Helen ed Ulrich non dovettero fare altro che entrare a loro volta e usare i comandi dall’altro lato per richiudere la porta sigillando nuovamente la stiva, che con l’entrata in funzione dei sistemi di decontaminazione e ripristino della gravità tornò ad essere perfettamente abitabile.

«Atmosfera stabile» disse Mayu subito dopo l’atterraggio. «Via libera, Capitano.»

«Molto bene, signorine. Tutti fuori. Mayu, tu resta qui ad aspettare. Ci terremo in contatto.»

«Agli ordini, signore. Mi ci voleva proprio un po’ di riposo».

Per un eccesso di prudenza Georg ordinò comunque a tutti di azionare il sistema di protezione montato dietro al collo, capace di costruire letteralmente il casco della tuta attorno alla testa dell’utente nell’arco di pochi secondi, quindi lui e gli altri, armi alla mano e ricetrasmittenti operative, uscirono all’esterno.

La stiva era davvero enorme, e a guardarla non risultava difficile immaginare per quale vero scopo fosse stata originariamente costruita; in una stanza di simili dimensioni avrebbero potuto trovare tranquillamente posto tre o anche quattro intercettatori da battaglia, inoltre come si era visto poteva essere facilmente isolata, e probabilmente era strutturata per poter mantenere gravità ed atmosfera anche con i portelloni aperti grazie ad un sistema di barriere magiche.

Ulrich ed Helen arrivarono pochi istanti dopo, e a Klaus toccò l’ingrato compito di passare ad Ulrich il suo fucile, ricevendo in cambio un: “Grazie” che sapeva terribilmente di beffa.

«Niente male davvero, ragazzo.» disse Georg lodando Ulrich. «Ora andiamo.»

«Sono d’accordo.» disse Vincent «Chiudiamo questa storie e torniamocene a casa».

Il team, serrati i ranghi, lasciò rapidamente l’hangar, dirigendosi a passo spedito verso le zone passeggeri.

All’interno il silenzio era spaventoso, ed il buio pressoché totale, fatte salve le varie luci di emergenza disseminate qua e là, che riuscivano solo a rendere l’atmosfera ancor più spettrale.

Tramite una scala di servizio, Georg e la sua squadra salirono fino ai livelli superiori, raggiungendo prima il Ponte F, quindi, attraverso una seconda rampa, il Ponte C, che a rigor di logica, tra i negozi, le zone divertimento e tutto il resto, doveva essere il più affollato della nave.

Ma in giro non c’era nessuno.

La tensione salì rapidamente, e dopo aver percorso parte della strada in modo sostanzialmente tranquillo, molti membri della squadra iniziarono a provare una certa ansia, le armi alzate e le dita sui grilletti.

Le torce montate sul fondo della canna fendevano l’oscurità, ma tutto ciò che illuminavano erano sfarzosi corridoi, eleganti negozi, pareti affrescate e decorate, pavimenti in marmo pregiato, senza alcuna traccia di una presenza umana.

In compenso c’era uno strano odore, piuttosto acre, come di qualcosa andato a male, che impestava varie zone di quelle che il team si trovò ad attraversare.

Odore di morte.

Quando arrivarono ai grandi portoni, stranamente chiusi, che immettevano nel ristorante panoramico, gli animi erano già abbastanza tesi, compresi quelli di alcuni dei membri più navigati ed esperti della squadra.

Vincent e Joe si appiattirono contro il muro, Georg e Jacob rimasero in copertura; anche Klaus cercò di alzare il proprio fucile, ma Georg lo fermò prima ancora che potesse pensare di farlo.

«Sta calmo, fiammetta. Lascia fare a noi.»

«Ma, signore…».

Ma protestare era del tutto inutile, e così, per l’ennesima volta in pochi minuti, Klaus dovette farsi da parte masticando imprecazioni.

«Forze speciali MAB, stiamo entrando!».

I quattro agenti si scambiarono un cenno, e al via libera del Capitano, Vincent e Joe aprirono violentemente la porta, entrando per primi seguiti quasi subito dal resto dei compagni.

Il ristorante era come tutte le altre zone viste fino a quel momento: vuoto.

Ma c’era anche dell’altro: lì dentro era il caos più completo; tavoli, sedie, perfino i lampadari. Sembrava che fosse passato un ciclone, tanto il locale appariva sottosopra, ma ciò nonostante il silenzio, anche lì, era pressoché totale. Nessuna traccia di forme di vita.

I membri della squadra si guardarono attorno e tra loro, attoniti, e per la prima volta dopo tanto tempo Georg sentì uno strano brivido freddo salirgli lungo la schiena.

«Che sta succedendo?» chiese Amanda con gli occhi sbarrati. «Dove sono spariti tutti?».

  
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