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Georg si collegò un’ultima
volta con la stazione spaziale per ricevere le ultime istruzioni dal Direttore
Shane, che comparve nel monitor della navetta serio e impassibile come il Capitano
non ricordava di averlo mai visto.
«Stando
alle nostre ultime previsioni, seguitando per questa rotta il Megonia sarà catturato dall’orbita di Neos
nel giro di ventiquattro ore, ma se il sistema di emergenza è ancora operativo
entreranno in azione i razzi stabilizzatori che eviteranno una collisione.
Attualmente
la nave si trova ancora nella zona oscura, quindi è probabile che perderemo il
contatto. Stiamo cercando di creare un ponte radio usando alcuni satelliti
meteorologici, ma dovremo aspettare che la zona si ripulisca delle particelle
magiche presenti nella zona per riuscire a stabilire un collegamento.»
«Abbiamo
una benché minima idea di cosa potremmo incontrare a bordo, signore?»
«Nessuna,
Capitano. La zona oscura ci impedisce anche di accedere in remoto ai sistemi di
sorveglianza e alla scatola nera.
Di fatto
siamo completamente ciechi riguardo a quello che sta accadendo a bordo. È per
questo che la stiamo mandando lì.
Appena
possibile ci rimetteremo in contatto. Fino a quel momento, siamo nelle vostre
mani.
Buona
fortuna, Capitano»-.
In quel
momento la trasmissione si interruppe di colpo, lasciando dietro di sé solo un
fastidioso effetto nebbia.
«Siamo
entrati nella zona oscura.» disse Mayu dalla cabina
di pilotaggio.
Ora,
erano soli.
Goerg tornò
verso la zona di carico, dove il resto della squadra sedeva in silenzio sulle
panche laterali, ognuno preso nei propri pensieri.
Per
Vincent, Jaboc ed Helen era solo l’ennesimo lavoro,
un’inezia se paragonata ad altri incarichi che avevano dovuto affrontare nel
corso degli ultimi anni; Vincent e Jacob, da bravi tiratori scelti quali erano,
se ne restavano ognuno per conto proprio, con il primo che pareva addirittura
essersi appisolato su quello scomodo pezzo di metallo e il secondo che seguitava
a giocherellare con la sua catenina d’oro cui era appeso il bossolo di un
proiettile, un cimelio di cui nessuno, neanche i suoi compagni, conosceva il
significato; quanto ad Helen, come molti altri maghi aveva l’abitudine di
tenere da sé il proprio equipaggiamento, e l’ultima cosa che faceva ogni volta
subito prima che la missione avesse inizio era ricontrollare le pietre magiche
del suo armamentario, infilandole nel borsello alla cintura dopo averle
eventualmente ricaricate.
Quanto
agli allievi, anche loro sembravano stranamente calmi, forse perché quasi tutti
avevano altro a cui pensare. Klaus e Ulrich non
avevano fatto proprio i salti di gioia nel vedersi convocare entrambi, e
trascorrevano il tempo a tirarsi delle occhiatacce oblique seduti l’uno di
fronte all’altro.
Non era
solo per dare una lezione a quella testa matta di Krietzmann
che Georg aveva voluto selezionare proprio la sua squadra, oltre al suo peggior
nemico, per quella missione; Amanda, che dei quattro sembrava l’unica davvero
tesa e in ansia, se la cavava egregiamente con la magia curativa e gli
incantesimi di supporto, Joe eccelleva negli scontri all’arma bianca e nel
corpo a corpo, e Ulrich, che aveva studiato da
tecnico operativo, aveva grande dimestichezza con l’informatica e
l’elettronica. Tutti talenti che potevano tornare utili a bordo del Megonia, e a conti fatti loro erano gli unici cui il Capitano
era disposto a concedere il benefico del dubbio, facendoli scendere in campo a
così poca distanza dall’inizio dell’addestramento.
E poi
c’era Klaus.
Klaus.
Georg
voleva che vedesse; che vedesse con i suoi occhi cosa aveva buttato via con il
suo atteggiamento. O forse, in cuor suo, voleva dargli una nuova, ennesima
possibilità di dimostrare le sue capacità, come soldato e come capo.
«Molto
bene, verginelle» disse richiamando l’attenzione delle reclute. «Questa è la
vostra prima missione degna di questo nome.
So bene
che per alcuni di voi non si tratta della prima esperienza sul campo, ma
nonostante ciò vi invito a non dare nulla per scontato.
Ragion
per cui, mente sgombra, culo stretto, e seguite le nostre disposizioni. In ogni
caso, non credo sarà nulla di eccezionale.
Probabilmente
hanno solo voluto vedere lo spettacolo troppo da vicino, e ci hanno rimesso i
sistemi primari.»
«Ma
allora, perché non hanno abbandonato la nave?» domandò Amanda
«Per
fare lo slalom tra i detriti cosmici in un guscio d’uovo rischiando una
collisione? Molto meglio restarsene al sicuro a bordo della nave. Tanto
sapevano molto bene che, prima o poi, non vedendoli tornare qualcuno sarebbe
andato ad aiutarli».
In
realtà Georg era il primo a credere che una teoria tanto semplice potesse
effettivamente essere vera, ma si augurava intimamente di essere comunque nel
giusto, per il bene dei suoi ragazzi.
«Obiettivo
in vista, Capitano.» disse di nuovo Mayu.
Georg
raggiunse velocemente la cabina per vedere di persona, e qualche attimo dopo
anche il resto della squadra poté scorgere dagli oblò la figura maestosa e
misteriosa al tempo stesso del Megonia, che fluttuando
alla deriva orbitava a poche migliaia di chilometri dalla superficie brulla di Neos, da solo, come uno dei tanti relitti che affollavano
quel tratto di cosmo.
Sembrava
davvero essere stata abbandonata, ed erano evidenti i segni degli urti avvenuti
con tutta la spazzatura e i detriti che orbitavano tutto attorno al satellite
principale di Celestis; nel complesso però lo scafo
non appariva così compromesso, e probabilmente l’atmosfera interna era ancora
intatta, una cosa che faceva ben sperare.
Tuttavia,
le luci di posizione e quelle di segnalazione erano completamente spente, e
come previsto anche l’illuminazione principale appariva disattivata, come se
tutti i generatori e i sistemi di alimentazione della nave fossero stati
interrotti.
Per un
po’ mentre la navetta si avvicinava sempre più all’obiettivo, tutti rimasero in
silenzio, domandandosi ognuno per conto proprio cosa mai potesse aver provocato
un simile incidente.
«Puoi
aprire un canale radio?» domandò Georg senza togliere gli occhi dal Megonia
«Credo
di sì, solo un secondo.» rispose Mayu
«Non che
mi aspetti qualcosa, ma tanto vale fare un tentativo».
Dal
momento che le connessioni virtuali erano tutte disattivate l’unica soluzione
era ricorrere ai sistemi analogici, anche se per poter stabilire un contatto fu
necessario avvicinarsi ulteriormente al vascello, abbastanza perché il piccolo
sistema radio della navetta fosse in grado di ricevere e trasmettere un
segnale.
«Ponte
radio operativo, Capitano. Può parlare.»
«Parla
il Capitano Klopfer. Forze di sicurezza speciali
della MAB. Mi ricevete, Megonia?».
L’altoparlante
rimase muto, producendo solo un gracchiare confuso, e allora il Capitano provò
una seconda volta.
«Siamo
qui per accertare le vostre condizioni. Vi trovate in una zona ad alto rischio,
e tutti i vostri sistemi principali sono spenti o danneggiati. Parlate, Megonia».
Ma di
nuovo, non vi fu risposta.
«Sarebbe
stato troppo bello» mugugnò Georg, che quindi lanciò un ultimo messaggio. «Megonia, se riuscite a sentirci, ora saliamo a bordo.
Mayu,
dirigiti al ponte d’atterraggio.»
«Al
volo, Capitano».
Come
tutte le navi di grandi dimensioni anche il Megonia
disponeva di un ponte d’attracco per vascelli medio-piccoli,
che come una proboscide si allungava da una fiancata della fusoliera per consentire
l’aggancio e allo stesso tempo preservare l’atmosfera.
Mayu condusse
la navetta nel punto d’attracco, ma la attendeva una brutta sorpresa: un
detrito, probabilmente un vecchio satellite, aveva centrato in pieno il ponte;
le paratie di emergenza fortunatamente erano intatte e si erano immediatamente
chiuse, ma di fatto quell’ingresso era praticamente inservibile.
«Accidenti.»
sibilò la ragazza «Questa non ci voleva».
Neanche
il tempo di brontolare per quello spiacevole imprevisto, che volgendo lo sguardo
alle spalle Georg si ritrovò a tu per tu con il giovane Ulrich,
terminale portatile alla mano e atteggiamento sicuro, ma comunque rispettoso.
«Possiamo
accedere dal portellone della zona carico, signore.»
«E
come?» chiese Mayu «Il loro sistema di energia e
quello telematico sono entrambi disattivati. Anche intervenendo in remoto
tramite hacking non c’è modo di poterlo aprire.»
«Possiamo
intervenire manualmente attraverso i comandi di sicurezza per la manutenzione.»
«Manualmente!?»
ripeté Georg «Vuoi dire andare fuori!?»
«Conosco
questo genere di navi. Il sistema di apertura computerizzato probabilmente è
fuori uso, ma il portello quasi sicuramente dispone anche di un’apertura
automatica d’emergenza attivabile dall’esterno.»
«E se il
meccanismo è protetto da un codice di sicurezza?»
«Lo
posso bypassare. Ho già condotto simulazioni di questo tipo in passato.»
«Appunto,
simulazioni.» lo interruppe il Capitano «Qui parliamo di un intervento vero,
nello spazio aperto. Un minimo errore e farai la fine di un palloncino, senza
contare che potresti finire catturato dall’atmosfera di Neos
e andare giù come una meteora.»
«Posso
farcela, signore. Mi circonderò con uno scudo protettivo. Le barriere non sono
la mia specialità, ma me la cavo discretamente.
D’altronde,
con il dovuto rispetto, non credo vi siano molte altre alternative.»
«Cos’è,
stai cercando di fare l’eroe?» domandò provocatorio Klaus dal vano equipaggio
«Sta
zitto, Krietzmann» lo ammonì il Capitano, che
sbuffando si passò una mano sulla barba rada che ne circondava la bocca, per
poi guardare nuovamente Ulrich. «Sei sicuro di
poterci riuscire?»
«Sissignore.»
rispose il giovane senza esitare.
Georg
esitò, ma quasi subito si rese conto che effettivamente quella era l’unica
soluzione attuabile; e visto che nessuno dei suoi compagni aveva mansioni da
tecnico, l’unica era affidarsi a quel ragazzotto con manie di comando ma dalla
volontà e dal talento riconosciuti.
Di
certo, però, non gli avrebbe fatto correre un simile rischio da solo.
«Helen,
và con lui.»
«Sissignore.»
disse l’interessata alzandosi in piedi
«Grazie,
signore. Non la deluderò.»
«Niente
colpi di testa. Rimani appiccicato ad Helen, fa quello che devi fare, e
raggiungici subito all’interno.»
«Agli
ordini».
Mentre Mayu riposizionava la navetta il più vicino possibile alla
zona desiderata del Megonia, i due interessati,
indossati i caschi delle speciali tute da battaglia, si portarono quindi nella
zona di sbarco sul fondo della navetta, con Ulrich
che un attimo prima della chiusura del portello d’isolamento parve quasi
sogghignare dietro il vetro opaco all’indirizzo di Klaus, il quale fu costretto
ad ingoiare il boccone amaro sfogando la sua frustrazione con un violento pugno
sulla parete.
«Mai
fatto prove di volo nello spazio?» domandò Helen mentre dalla cabina veniva
annunciato il countdown per l’apertura
«Centotre
ore di simulazione, quindici di esperienza sul campo. Signore.» rispose Ulrich educatamente ma risoluto
«Niente
male per un ragazzino».
Giusto
il tempo per entrambi di circondarsi con uno scudo protettivo in grado di
annullare ulteriormente gli effetti del vuoto cosmico, e i due agenti si
ritrovarono fuori dalla navetta, a fluttuare nello spazio.
Normalmente
per uno stregone era impossibile servirsi della magia nello spazio aperto, a
meno di non ricorrere alle batterie energetiche come quelle installate nelle
tute da combattimento, ma per un mago di buon livello era sufficiente trovarsi
a poca distanza da un pianeta dotato di un Core
attivo, come ad esempio Celestis, per sfruttarne
l’energia senza per forza doversi trovare all’interno della sua atmosfera.
E Ulrich ed Helen, maghi di talento lo erano di sicuro; non
per niente entrambi avevano i capelli argentati, un vero e proprio marchio che
identificava gli stregoni virtualmente più potenti e capaci di tutti, in quanto
dotati di un codice genetico molto più affine alla magia rispetto a quelli di
chiunque altro, compresi i loro simili.
Entrambi
non dovettero fare altro che immaginare di concentrare tutto il loro potere in
un solo punto, e come se avessero avuto un jet pack invisibile montato sulla
schiena i due presero a muoversi con sicurezza verso il loro obiettivo,
raggiungendo in pochi minuti la superficie fredda e metallica del Megonia sotto gli sguardi attenti dei loro colleghi, che li
osservavano dagli oblò della navette trattenendo il respiro.
Ulrich era
così sicuro di essere sulla buona strada che non impiegò nulla a trovare prima
l’esatta ubicazione del portello dell’hangar, e quindi il piccolo vano in cui
erano celati i comandi per poterlo aprire. Come aveva previsto erano ancora
operativi nonostante il blackout, e sempre come aveva previsto bypassare la
password di sicurezza con il suo terminale fu un’azione sorprendentemente
semplice.
Non
lesinando una critica con il pensiero a chi aveva architettato una difesa tanto
facile da scardinare il giovane decrittò il codice, e come per incanto il resto
della squadra vide il portellone aprirsi lentamente dinnanzi alla loro navetta.
«Sarà
pure uno sbruffone, ma sa quello che fa» non poté non ammettere Amanda.
Anche
Georg restò positivamente colpito, e riavutosi dal momento di stupore ordinò a Mayu di puntare dritta verso l’obiettivo.
Una
volta che la navetta, lentamente, fu entrata, Helen ed Ulrich
non dovettero fare altro che entrare a loro volta e usare i comandi dall’altro
lato per richiudere la porta sigillando nuovamente la stiva, che con l’entrata
in funzione dei sistemi di decontaminazione e ripristino della gravità tornò ad
essere perfettamente abitabile.
«Atmosfera
stabile» disse Mayu subito dopo l’atterraggio. «Via
libera, Capitano.»
«Molto
bene, signorine. Tutti fuori. Mayu, tu resta qui ad
aspettare. Ci terremo in contatto.»
«Agli
ordini, signore. Mi ci voleva proprio un po’ di riposo».
Per un
eccesso di prudenza Georg ordinò comunque a tutti di azionare il sistema di
protezione montato dietro al collo, capace di costruire letteralmente il casco
della tuta attorno alla testa dell’utente nell’arco di pochi secondi, quindi
lui e gli altri, armi alla mano e ricetrasmittenti operative, uscirono
all’esterno.
La stiva
era davvero enorme, e a guardarla non risultava difficile immaginare per quale
vero scopo fosse stata originariamente costruita; in una stanza di simili
dimensioni avrebbero potuto trovare tranquillamente posto tre o anche quattro
intercettatori da battaglia, inoltre come si era visto poteva essere facilmente
isolata, e probabilmente era strutturata per poter mantenere gravità ed
atmosfera anche con i portelloni aperti grazie ad un sistema di barriere
magiche.
Ulrich ed
Helen arrivarono pochi istanti dopo, e a Klaus toccò l’ingrato compito di
passare ad Ulrich il suo fucile, ricevendo in cambio
un: “Grazie” che sapeva terribilmente
di beffa.
«Niente
male davvero, ragazzo.» disse Georg lodando Ulrich.
«Ora andiamo.»
«Sono
d’accordo.» disse Vincent «Chiudiamo questa storie e torniamocene a casa».
Il team,
serrati i ranghi, lasciò rapidamente l’hangar, dirigendosi a passo spedito
verso le zone passeggeri.
All’interno
il silenzio era spaventoso, ed il buio pressoché totale, fatte salve le varie
luci di emergenza disseminate qua e là, che riuscivano solo a rendere
l’atmosfera ancor più spettrale.
Tramite
una scala di servizio, Georg e la sua squadra salirono fino ai livelli
superiori, raggiungendo prima il Ponte F, quindi, attraverso una seconda rampa,
il Ponte C, che a rigor di logica, tra i negozi, le zone divertimento e tutto
il resto, doveva essere il più affollato della nave.
Ma in
giro non c’era nessuno.
La
tensione salì rapidamente, e dopo aver percorso parte della strada in modo
sostanzialmente tranquillo, molti membri della squadra iniziarono a provare una
certa ansia, le armi alzate e le dita sui grilletti.
Le torce
montate sul fondo della canna fendevano l’oscurità, ma tutto ciò che
illuminavano erano sfarzosi corridoi, eleganti negozi, pareti affrescate e
decorate, pavimenti in marmo pregiato, senza alcuna traccia di una presenza
umana.
In
compenso c’era uno strano odore, piuttosto acre, come di qualcosa andato a
male, che impestava varie zone di quelle che il team si trovò ad attraversare.
Odore di
morte.
Quando
arrivarono ai grandi portoni, stranamente chiusi, che immettevano nel
ristorante panoramico, gli animi erano già abbastanza tesi, compresi quelli di
alcuni dei membri più navigati ed esperti della squadra.
Vincent
e Joe si appiattirono contro il muro, Georg e Jacob rimasero in copertura;
anche Klaus cercò di alzare il proprio fucile, ma Georg lo fermò prima ancora
che potesse pensare di farlo.
«Sta
calmo, fiammetta. Lascia fare a noi.»
«Ma, signore…».
Ma
protestare era del tutto inutile, e così, per l’ennesima volta in pochi minuti,
Klaus dovette farsi da parte masticando imprecazioni.
«Forze
speciali MAB, stiamo entrando!».
I
quattro agenti si scambiarono un cenno, e al via libera del Capitano, Vincent e
Joe aprirono violentemente la porta, entrando per primi seguiti quasi subito
dal resto dei compagni.
Il
ristorante era come tutte le altre zone viste fino a quel momento: vuoto.
Ma c’era
anche dell’altro: lì dentro era il caos più completo; tavoli, sedie, perfino i
lampadari. Sembrava che fosse passato un ciclone, tanto il locale appariva
sottosopra, ma ciò nonostante il silenzio, anche lì, era pressoché totale.
Nessuna traccia di forme di vita.
I membri
della squadra si guardarono attorno e tra loro, attoniti, e per la prima volta
dopo tanto tempo Georg sentì uno strano brivido freddo salirgli lungo la
schiena.
«Che sta
succedendo?» chiese Amanda con gli occhi sbarrati. «Dove sono spariti tutti?».