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Autore: lamialadradilibri    15/05/2014    2 recensioni
«Ciao, Emma. Sono io, Cara. È da un po’ che non ci sentiamo, perché... Be’, ti potrà sembrare strano, ma ora ti sto scrivendo da un altro mondo. Il Mondo Al Di Là, più precisamente. È ancora tutto un po’ confuso, e... Non ho idea di come tornare indietro. Non c’è nessuno che può aiutarmi, qui. Ricordi Alec Mitchell, l’agente di polizia, il dio greco? Be’, è qui anche lui. Questo è il suo mondo, in realtà.
È iniziato tutto in modo così normale (per quanto sia normale finire in commissariato alla mia età a causa d’una sparatoria...!), ma ora nulla è come prima. Abbiamo litigato, lo so. Ma ti chiedo un’unica, piccola, cosa: Aiutami. Fammi uscire di qui. Qui c'è qualcosa di sbagliato, malsano. L'unica cosa che mi tiene in vita è ciò che provo per Alec Mitchell, che credo sia... Amore, sì. Lo è, anzi. Nonostante ciò... Vivere qui è terribile, mi costringono a combattere ogni giorno. Ad uccidere, Emma. E non so nemmeno il perché. Ho paura! Salvami. Tu puoi farlo.»
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo SEI.

NdA. Ho aggiornato¸ come avrete già notato (?), l’intro della storia! Semmai date un’occhiata! E buona lettura!-
 
«Se la caverà».
«No! Non può cavarsela! Lei non è come suo padre, lo so!»
Continuai a fingere di dormire con il volto appoggiato al finestrino gelido del Suv di Alec Mitchell. Mi faceva male uno zigomo, ma non osai muovermi.
Mia madre mi stava dando per spacciata. Lei, che non s’arrendeva – e non faceva arrendere nessuno – mai! La domanda era: perché? Se la situazione era così grave, io non l’avevo ancora ben chiaro.
«Dovrà» inveì, mesto, l’agente di polizia. Che non era un agente, in realtà. O meglio: non era un semplice agente. Lui era un agente segreto, proprio come mio papà. Mi sforzai di crederci. E poi doveva essere così, perché il viaggio in auto stava durando, ormai, da ore. Una perdita di tempo che mia madre non avrebbe mai accettato se non per una giusta causa.
«Ho paura, Alec» sussurrò mia madre, dopo un po’ di silenzio. La sua voce tremava. Si sarebbe messa a piangere? E io l’avrei consolata, nonostante tutto?
«Anch’io ne avevo, mai tu mi salvasti. Ti aiuterò. La aiuterò» promise, con voce dolce. La voce d’un vecchio amico. «Ma non posso garantirti che si troverà bene, di là».
Mia madre accennò una risata arrochita dalle lacrime. «Ah! Ti assicuro che starà malissimo. È molto abitudinaria» bisbigliò, mentre una nostalgia ingiustificata s’impossessava della sua voce. «Vedrà suo padre, di là?»
Di là. Di là, dove?
«Probabile. Ma lo vedrà poco. A New York c’è stato un bel po’ di casino, con i criminali. Ne abbiamo uno in pugno, però».
Silenzio. Mia madre singhiozzò.
Per un attimo ebbi l’impulso di aprire gli occhi, voltarmi ed abbracciarla, spingendomi oltre il mio sedile e quello dell’agente.
Ma poi Alec Mitchell parlò: «Scusa».
«Per cosa?»
«Per essere stato così crudele con lei» rispose, con voce sincera. Disorientata, mi limitai ad ascoltare. «Ma quando mi ha sparato... Dovevi vedere la luce nei suoi occhi, Anna. Era sicura di ciò che faceva, determinata».
«Ne sei certo?»
«Oh, sì, Anna!» esclamò, frenando bruscamente. Il mio viso sbatté con forza contro il finestrino e, per mantenere la mia recita, sbuffai e mi sistemai un po’ meglio sul sedile. «Avrebbe potuto ammazzarmi senz’alcuna paura!»
«Cristo...»
«Ho aspettato» continuò Alec Mitchell, senza lasciarle tempo di sfogarsi. «Credevo sarebbe crollata. Per questo ho messo su lo spettacolino della polizia che va nelle scuole: per darle il tempo di confessare. A te, alla polizia... A qualcuno!» Respirò rumorosamente, come se stesse correndo. «Ma niente! È rimasta là, zitta. Certo, disorientata, ma non ha ceduto! È folle. E poi in commissariato... Nemmeno là è ceduta. Sì, ha confessato, ma non c’era tristezza o rimorso in lei».
«Non ha ancora capito bene cos’è successo, Alec...»
«Oh, l’ha capito eccome! E sai quand’è stata l’unica volta che l’ho vista a pezzi?» Mia madre non rispose. «Quando ha litigato con l’amica! È assurdo
«Questo non significa che non abbia paura» ribatté la donna che mi aveva messo al mondo, con voce dura. Perché si metteva sulla difensiva? Cos’aveva detto Alec Mitchell?
Oltre a dire che ero pazza, una (quasi) assassina spietata, un’amica terribile, un’idiota?
«Ne ha. Ma la sa contenere. È come lui, Anna».
Un’altra volta il limbo fu menzionato.
A quel punto non riuscii più ad ascoltare cose simili, così finsi di svegliarmi e quella conversazione cessò.
La prima cosa che vidi, aprendo gli occhi, furono quelli di Alec Mitchell. Completamente azzurri, con delle sfumature più scure vicino alla pupilla. Mi sembrò d’essere al mare e di osservarlo dall’alto, potendo apprezzarne ogni colore. Una sensazione di pace mi tranquillizzò quasi totalmente e, con un sorriso ebete, borbottai: «Buongiorno!»
 
«Tra quanto si arriva?» chiesi dopo un’altra ora passata in quell’auto. Non c’eravamo fermati neppure per andare in bagno, ed Alec Mitchell guidava senza sosta e senza dimostrare d’essere stanco.
Mi lanciò un’occhiata divertita. Oddio. Era bellissimo: aveva il volto rilassato, non più teso come quand’eravamo in commissariato. Dalle labbra rosee sbucarono  i suoi denti come perle bianche, quando mi sorrise tranquillo.
«Ci vorrà ancora poco, Cara. Ti serve il bagno?»
Be’, sì! «Sì» annuii «e ho fame. E», aggiunsi dopo un attimo di pausa, «ho delle domande. Molte domande.»
Mia mamma sospirò piano. «D’accordo» biascicò, sconfitta. «Alec, accosta vicino ad un BeB, mangeremo lì qualcosa. E poi risponderò alle tue domande, Cara».
 
La sosta al BeB durò molto poco, in realtà. Il tempo d’ingurgitare uno scadente caffè con panna accompagnato da una brioche un po’ rinsecchita e di comperare una bottiglietta d’acqua – bevevo acqua in gran quantità, durante ogni viaggio –, e poi eravamo già tutti in auto. Il Suv, seppur grande, sembrò diventare minuscolo non appena Alec Mitchell ci entrò, con i suoi occhi azzurri.
L’immagine delle sue iridi senza pupille mi balzò alla mente. Per un po’ non c’avevo più pensato, ma ora... Ora. Ora che ero in viaggio verso (dove?) per fare (cosa?) con (chi?), l’idea del dio greco, l’agente di polizia più bello dell’universo, mi sembrò un’idiozia. Alec Mitchell, l’uomo al quale avevo sparato, era molto più di un uomo. E non sapevo quanto. E ne ero terrorizzata. Ed affascinata.
Alec Mitchell mise in moto. Io ero seduta davanti e guardavo il paesaggio correre accanto all’auto. Non avevo la minima idea di dove fossimo.
«Dove stiamo andando?» domandai, stringendo la mia bottiglietta d’acqua tra le mani. Era ancora fredda e umidiccia di frigo, ma lo sarebbe rimasta per poco: la temperatura era altissima anche dentro l’auto, nonostante l’aria condizionata fosse accesa.
Fu l’agente a rispondere. «In Trentino. Là c’è una base per andare al Mondo Al Di Là, una delle poche, in Italia».
«Stiamo andando nel Mondo Al Di Là?!» esalai, voltandomi velocemente per dare un’occhiata a mia madre. Stava scherzando, no?! No?! «Riportatemi indietro! Ora! È un ordine!»
«Prendo ordini solo dal mio capitano, Cara. Anna, falla calmare».
«Farmi calmare?!» strillai. E l’idea d’afferrare il volante e causare un incidente – mortale! – non mi sembrò un’assurdità. Eravamo diretti in Trentino! Per poi andare Al Di Là! «Non sono un cane, che si calma! Ed ho il diritto d’andarmene! È un mio diritto! Accosta!»
«In autostrada?» ghignò l’agente, fingendo di soppesare la mia proposta.
Mamma s’intromise. «Lì non sarà così male. E sarai al sicuro, Cara».
«DA COSA?! Cosa c’è di tanto pericoloso da costringermi ad andare in un altro mondo!? Mamma, è uno scherzo, non è vero!? Non ne posso più! BASTA! Accosta, cazzo, Alec!!!»
Ed afferrai il volante. Tentai in tutti i modi di cambiare la direzione dell’auto, ma non ci riuscii. La forza di Alec Mitchell sembrava insuperabile.
«Calmati» m’invitò lui, tranquillo «o ti dovrò sedare».
Le parole mi uscirono di bocca con facilità. Parole stupide, ovviamente. Me ne pentii subito.
«E fallo!»
E lo fece. Mi sedò. Il mondo diventò nero, e non provai più nulla.
 
«I parametri vitali sono a posto... Per un pelo! Alec, quanto gliene hai dato, eh?»
«Non tanto, mi pareva».
«Quasi il doppio della dose indicata per una persona come lei!» strillò un uomo «Oh, se l’avessi uccisa... O danneggiata...!»
Danneggiata? Come se fossi un oggetto!
Questa volta non finsi di dormire.
Aprii gli occhi.
E mi ritrovai in una stanza d’ospedale. Lì con me c’era un medico in camice bianco con una penna nel taschino sopra al cuore, ed Alec Mitchell. Senza la divisa. Era decisamente più figo, così. I suoi occhi risaltavano molto – molto! – di più.
«Cara... Buongiorno!... Come stai?»
«Bene, credo» risposi, massaggiandomi la testa.
Poi un lampo di luce blu – che sembrava provenire dal nulla – mi ricordò d’essere fuggita in auto. Che l’abitacolo era pieno di una luce di quel colore. Io ed Alec Mitchell che litigavamo. Mamma che non mi diceva la verità. Papà. Il Mondo Al Di Là.
E urlai.
E il medico mi sedò. Ancora.
 
«Alzati, non fare assurdità».
Feci di “no” col capo, un’altra volta. La ragazza che si occupava di me da qualche giorno alzò gli occhi al cielo, stremata. Da un bel po’ d’ore cercava di farmi alzare, ma io non volevo. Non volevo e non l’avrei fatto.
«Ti prego!» squittì allora¸ tentando di non perdere la pazienza. Era sicuramente una del Mondo Al Di Là, ma sembrava in tutto e per tutto umana... non aveva code o zampe che spuntavano in luoghi strani, né mani palmate, e nemmeno due intensi occhi azzurri. «Se non ti alzi, oggi... Alec s’irriterà! E se lui si irrita, è la fine» piagnucolò, nascondendo il viso tra le mani.
«Non mi spaventa l’idea di vederlo incazzato» risposi, mettendomi distesa dall’altra parte. Il letto dell’ospedale era comodo e spazioso, una piazza e mezza di cuscini e coperte di lana setosa. Dormire lì era splendido. «Gli ho già sparato e non mi ha uccisa».
«Perché poi sarebbe morto lui stesso!» s’impuntò la ragazza. Doveva avere qualche anno più di me, era bassa e mora di capelli. Un po’ banale. Un po’ come me. «E poi tu non c’entri» continuò, puntando le mani sui fianchi. La posa di chi combatte. «Se non ti alzi io sarò punita!»
«Va bene, mi alzerò» acconsentii, senza però muovermi. La ragazza sbuffò sonoramente e s’avvicinò al letto. «Prima risponderesti a qualche domanda?» chiesi, prima che potesse fare qualsiasi cosa. Con sguardo vacuo, fece di sì con il capo. Sì, sì. Come ai matti. «Allora...»
Mi morsi le labbra. Era  il mio momento. Mio, di nessun altro. Per scoprire la verità.
«Siamo nel Mondo Al Di Là, è così?»
Lei annuì soltanto. «Ho sentito dire che alcuni umani lo chiamano così.» Aggiunse subito.
Bene. Non lasciai al panico la possibilità di immobilizzare il mio corpo. Proseguii, spedita: «Sto per morire?»
Morire. Già, quest’idea mi aveva assillato non poco, negli ultimi giorni. Ero stata là piuttosto sola, nella mia stanzetta... E da qualche altra parte dell’ospedale – perché io volevo credere che fosse un ospedale e non un manicomio o chissà cos’altro –, giungevano urla. Urla strazianti. Preghiere. Suppliche. Colpi. Silenzio. Altre urla.
Avevo fatto sì che il terrore non m’impedisse di respirare, ed ero andata avanti. Tra le urla.
La ragazza mi osservò a lungo. «Hai sentito...»
«Sì!» gracchiai, con la gola secca. «Ogni giorno! Queste urla e... E... Morte! C’è puzza di morte, qui!»
Lei osservò angosciata le mie reazioni.
«E pensi che accadrà anche a te?»
«Ne sono certa! Altrimenti, perché dovrei essere qui!?»
La sua bocca tremolò. Cosa stava tentando di nascondere... Una risata? «D’accordo, Alec dev’essere stato molto silenzioso, con te. Tu non sei qui per morire!» mi rassicurò. O ci provò. «Sei qui per salvarci, tutti! Sei la ragazza che ci salverà dalla Morte Nera, colei che allontanerà i criminali, colei che... Conoscerà l’amore, anche. Non so bene che cosa voglia dire, ma così è stato scritto... Insomma, tu sei Cara, l’eroina!»
«Che diavolo... Dov’è stato scritto tutto ciò?»
La ragazza – Megan! Ecco come si chiamava. L’avevo sentito il giorno in cui ero arrivata ed Alec Mitchell si era rivolto a lei. “Megan, prenditene cura” aveva detto, parlando di me – mi guardò come se fossi pazza. Come se fosse impossibile non conoscere la storia dell’eroina Cara, che salverà tutti... E conoscerà l’amore. L’amore. Che assurdità!
«E’ scritto nelle Scritture» chiarì. «Penso che Alec Mitchell ti debba spiegare un bel po’ di cose».
E non solo lui, Megan, non solo lui, pensai, pensai con un nodo in gola.
E poi me ne resi conto.
Mia madre non c’era. Non era lì con me. Dov’era? Era forse tornata... Tornata a casa?
Mi aveva abbandonata?
MI AVEVA ABBANDONATA IN UN ALTRO MONDO?!
 
Sono dovuta tornare indietro, Cara. Ci sono problemi al lavoro. Tornerò appena possibile, ma forse tuo papà riuscirà a venire a trovarti.
Ti voglio bene. Ricordalo. Resta forte e fidati solo di te stessa.
Con affetto,
mamma.
 
La porta s’aprì di scatto. Ero ancora nella mia stanzetta d’ospedale, ma mi ero seduta sul letto. Era già un passo avanti. Megan mi aveva dato la lettera di mia madre. Non l’avevo aperta subito, però. Sapevo ciò che avrei letto... Sapevo che mi avrebbe fatto male. Alla fine l’avevo fatto. L’avevo letta.
Ora il mio cuore era in pezzi.
Resta forte, aveva scritto. Ma mamma, io non lo sono. Per niente!
Fidati solo di te stessa, continuava. Io non mi sono MAI fidata di me stessa, mamma.
E poi quell’ultima frase... “Con affetto – mamma”. Suonava più sciocca di ...
Ci stavo ancora pensando, commiserandomi, quando Alec Mitchell finalmente entrò nella stanza. Era rimasto lì sull’uscio per un po’ ed io l’avevo bellamente ignorato, ma ora...
«Posso leggerla?» mi domandò, indicando la lettera che stavo ripiegando in grembo.
Osservai per un secondo le sue iridi blu. E feci per dirgli “ma certo!”
Poi la voce di mia madre risuonò nella mia mente. Fidati solo di te stessa. Era il momento di cominciare.
«No» negai, rafforzando il tutto con un gesto del capo. «C’era scritto solo ... Be’, che se n’è andata. Così, nient’altro.»
Dire ad alta voce che l’unica persona la quale mi fosse stata accanto nella mia vita in ogni momento se n’era andata, fece più male che un pugno alla bocca dello stomaco. Boccheggiai, ma l’uomo sembrò non rendersene conto.
Alec Mitchell annuì. «Bene».
Bene. Bene un cazzo!
«Vieni con me».
E un’altra volta, andai.
 
Stanza 4016, Ala B.
 
Alec aveva insistito così tanto perché mi segnassi sul cellulare – che ha campo, tra l’altro – l’ubicazione della mia stanza, che alla fine avevo ceduto. Ed ora eccolo là, il primo appunto sul block-notes del Galaxy. Alla fine avevo scritto anche (Hotel “al Mondo Al Di Là”), pensando fosse una cosa simpatica, ma ad Alec Mitchell non era piaciuta troppo. Non aveva, però, commentato.
Stavamo camminando lungo un corridoio. Bianco. Porte grigie. La sensazione di déjà-vu era incredibilmente forte.
«Fuori, non guardare negli occhi la gente».
Perché?
«Non dare nell’occhio».
Questa sarà facile, pensai amaramente. Da quando se n’era andata mia madre, giravo con la testa incassata tra le spalle e un’aria sconsolata. L’unica cosa divertente che avevo fatto – “divertente” – era stato scrivere quell’ultima nota negli appunti, che aveva così irritato Alec Mitchell.
«E sii più allegra. Qui la gente s’avvicina a chi sembra triste».
«Perché?»
Alec Mitchell mi rivolse un’occhiata malinconica e sconsolata, facendomi strada nei corridoi bianchi dell’ospedale. Niente urla, oggi.
«Perché... cos’hai detto, scusa?» esclamò d’un tratto, voltandosi verso di me con rapidità e stringendo le mie spalle con le sue mani. Le sue unghie premettero la mia pelle, ma non era questo  a fare più male di tutto: le sue mani ustionavano più che mai, come se la sua temperatura interna fosse di 50 gradi. Tentai di divincolarmi, ma me lo impedì. Imperturbabile, ringhiò: «Hai sentito... Urla?»
Urla? Un momento, io non avevo parlato. Lo avevo pensato. E ne ero sicura! Al cento percento! «Tu...» mi ci volle una gran forza di volontà per andare avanti con la domanda ma, non so come, ci riuscii: «Leggi nel pensiero?»
«Cara, hai sentito delle urla?», domandò ancora Alec Mitchell, senza lasciarsi distrarre. Annuii con le lacrime agli occhi, mentre sentivo la mia pelle diventare sempre più bollente. Il dolore era insopportabile, così cedetti. Che idiota. Sul momento, Alec Mitchell si limitò ad annuire. Mi lasciò e, pragmatico, mormorò: «Beh, erano i farmaci. È normale. Sono un po’ allucinogeni, sai. Roba da niente».
E lo disse con tanta sicurezza e velocità, che mi accorsi subito della menzogna. Quel discorsetto se lo era preparato già da tempo per nascondermi la verità dei fatti. Ma così facendo, me l’aveva messa ancora più in mostra.
Non riuscii a trattenermi: diedi un’occhiata alle mie spalle, abbassando un po’ la felpa che stavo indossando – me l’aveva data Megan, assieme ad altri abiti, per uscire. Era grigia, morbida e confortevole. Ma non era mia e, perciò, non sapeva di casa.
La pelle era intatta. Rosea. Solo un po’ arrossata doveva avevano premuto le mani di Alec Mitchell.
Con il cuore che batteva a mille dentro al petto, sussurrai: «Anche questo era un’allucinazione...?»
Alec Mitchell annuì, indicandomi una porta poco più avanti. Di lì provenivano luce e voci. Vita. «Usciamo».
Prima di lasciare l’ospedale, mi diedi un’occhiata alle spalle. Il corridoio era bianco, ma non risplendeva di luce. Sembrava essere oscurato da una forza malvagia, sinistra. Ed era deserto, come se le uniche persone là dentro fossimo stati solo io e l’agente.
Ma non era così. Sapevo che ce n’erano delle altre. Le avevo sentite! Le loro urla strazianti... i mugolii... le risate cariche di pazzia... i lamenti d’agonia...
Là dentro c’era qualcuno. Ma dove? Cosa gli stavano facendo?
Avrei semplicemente potuto credere all’agente. Infondo, la spiegazione era plausibile.
Ma io conoscevo la verità, ormai. E mi ripromisi di non mettere mai più piede all’interno dell’ospedale maledetto.
Nello stesso momento nel quale mi voltai per uscire, un ricordo mi annebbiò la vista e rischiai di cadere. Alec Mitchell mi afferrò prima che svenissi per terra, mentre io vivevo un incubo.

L'orologio sul comò accanto al mio letto d'ospedale segnava le 5.38. Di mattina. Non riuscivo a chiudere occhio tanto che, da un po' di tempo, una ragazza che si occupava di me aveva preso l'abitudine di sedarmi e basta. Mi aveva detto che così avrei dormito almeno un po', ed io avevo accettato. Tutto, piuttosto che questa merda. Le parole erano state le stesse, sì.
Quella sera, però, la ragazza non era arrivata. L'avevo attesa con il cuore in gola. La mia dose, la mia dose. Dov'era la mia dose? Perché non ero già svenuta?
Le ore erano passate. Prima una, ed era andato tutto tranquillo. Poi due, ed ancora niente.
Ma alla terza... Un 
urlo. No, non un urlo. Un lamento animale. Invocazione d'aiuto. La risata di qualcuno. Dissero ch'era forte, lo stronzo. Che la carica elettrica andava resa più forte.
Poi ci fu uno sfregolio. E uno strano odore - di 
carne umana bruciata, di carne morta - cominciò ad farsi strada nell'aria, fino alle mie narici.
Mi si serrò lo stomaco. Altre urla.
Era un incubo, no? Doveva esserlo!
Sfregolii. Urla. Sfregolii.
Ad un certo punto, qualcuno ordinò di rendere le cariche meno potenti. "Così il dolore durerà più a lungo", affermò.
Sfrigolii. Urla. Sfrigolii.
Sfrigolii.
Sfrigolii.
Silenzio.
Qualcuno sbuffò. Dissero ch'era già andato.
E poi scoppiarono in altre risate. Un uomo chiamò un nome. Forte, più volte.
Lo sentii chiaramente. "Alec ! Alec!" urlava. Dicendo che il 
lavoro era finito. "Alec! Dove sei?". 
E poi la voce di Alec Mitchell. Che rideva. E diceva ch'era andato tutto molto per le lunghe questa volta. Congratulazioni. Che bravi. Un giochetto da ragazzi, Alec. Bravi lo stesso.
Rumore d'un corpo che viene scaraventato qua e là.
La mia porta si aprì, lentamente. Serrai gli occhi. Passi leggeri, veloci. Una vena mi si infilò nel braccio.
Alec Mitchell, l'angelo dagli occhi blu, commentò quasi tra sè e sè che ora avrei dormito ancora meglio. E 'fanculo se le dosi erano troppe
. Buio.

NdA. Sì, è un capitolo un po' più dark (?) del solito. Ma appena un pelino. E' solo l'inizio, gente . Meme1.
  
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