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Autore: FatherAndersonLover    16/05/2014    1 recensioni
Chi non abbia provato nuovamente un intenso piacere dopo essersene visto lungamente privato, mai potrà capire pienamente come il cuore di Christian vibrò in quei magici istanti, né il brivido d'esaltazione che percorse le corde, ancora in lieve vibrazione, del pianoforte. Addio solitudine, addio notti insonni vegliate al lume del rancore e della malinconia...il padrone era tornato.
Genere: Drammatico, Erotico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Aveva mangiato poco o niente, quella sera. A dir la verità l’appetito non era mai stato proprio del nostro giovane pianista, ma lo stress del viaggio e l’emozione nell’aver rivissuto tanti ricordi in così breve tempo avevano cancellato da lui anche il benché minimo languore. Si era limitato, per questo, a osservare in silenzio lo zio e la zia scambiarsi sorrisi vuoti e passarsi vicendevolmente le pietanze, domandandosi se fosse questa la fine a cui erano destinati tutti gli amori che si trascinano per tanti anni, e sempre con la stessa monotona banalità. 

Passate le dieci di sera, quasi vincolato da un coprifuoco auto-imposto, dopo aver augurato cordialmente la buonanotte agli ospiti si avviò al piano di sopra, lasciandoli ai loro improperia aristocratici e aspettando che i propri occhi si abituassero alla differenza tra la luce acciecante del salone e la penombra tetra della sua cameretta. Quante volte, da bambino, aveva implorato i genitori affinché lo assistessero, a volte fino anche a dopo che il sonno aveva preso il sopravvento su quegli occhietti sognanti...certo non ne avrebbe avuto bisogno, ora. E anche se ne avesse avuto, a chi l’avrebbe domandato? 

Si svestì di malavoglia, gettando gli abiti stropicciati su un divano appoggiato a una parete, e piano scivolò al di sotto delle candide lenzuola; pose il capo sul cuscino, chiuse gli occhi, e nel giro di un paio di minuti Morfeo stava già avvolgendolo con il candido manto di fine sabbia che una tradizione comune a tutte le culture gli attribuisce.

 

-Crick-

Un rumore improvviso, come di vetri infranti, lo strappò a un sonno profondo come pochi ne aveva sperimentati prima, o ne avrebbe mai sperimentati dopo. Cos’era accaduto? Con fatica dischiuse gli occhi, e nella pallida luce del plenilunio realizzò che, come cento altre volte era capitato, aveva dimenticato di togliere gli occhiali prima di addormentarsi, e ora i due vetri circolari erano in frantumi sul suo cuscino, la cui federa immacolata era macchiata da talune piccole macchie cremisi. 

Si levò con fatica dal suo comodo giaciglio, e senza sapere con precisione dove si stesse dirigendo si diede alla ricerca di qualcosa, magari un mero drappo di stoffa, per ripulirsi il viso dal sangue. Fu proprio la mancanza degli occhiali, unita all’oscurità profonda che lo avvolgeva, a impedirgli in un primo istante di notare un’alta sagoma nera, in piedi accanto all’ampia finestra. In effetti, probabilmente non si sarebbe mai accorto della sua presenza se solo quella creatura dalla natura tutt’ora, a distanza di quasi due secoli, non ben definibile non si fosse fatta avanti per posare una delle sue mani, umana, sull’esile fianco destro del pianista, il quale, consapevole di dover essere solo in quella stanza, in un primo momento fu assalito dal dubbio di essere vittima di uno scherzo, forse giocato dalla stanchezza o dalla stessa propria fervida immaginazione; dubbio che, certo, gli fu del tutto tolto quando, voltatosi, si trovò di fronte un uomo. Era alto poco meno di lui, una folta chioma corvina incorniciava il viso dai tratti tutt’altro che delicati, e l’estremità di qualche ciocca andava a baciare gentilmente le clavicole, profondamente scavate nelle ampie spalle; un paio di forti braccia dalla muscolatura decisamente pronunciata si abbandonavano lungo i fianchi, al livello dei quali il suo corpo era disordinatamente fasciato da un drappo di stoffa nero notte che si prolungava fino al suolo, adagiandosi con grazia naturale sul pavimento di marmo della stanza. Le due caratteristiche che, tuttavia, rimasero più impresse nell’attonito musicista furono un paio d’occhi color ghiaccio, sottili come feritoie e intensi come il dolore della lama di un rasoio sulla pelle viva, e le innumerevoli cicatrici da taglio che, per lo più verticali, percorrevano ogni centimetro di pelle scoperta dell’individuo, eccezion fatta per il viso. Va da sé che il giovane Christian si sentì gelare quando realizzò che un estraneo, per di più di quelle inquietanti fattezze, si trovasse a pochi centimetri da sé, nella propria stanza. Da quanto tempo si trovava lì? Lo conosceva? Conosceva i suoi genitori? Gli avrebbe fatto del male?

«Sta’ tranquillo.» Un sibilo si mosse da quelle labbra dalla forma perfetta, come se i pensieri del pianista fossero in qualche modo giunti senza affanno alla mente di quell’individuo misterioso; un suono caldo e profondo, eppure dannatamente inquietante. «Piuttosto...dove sei stato, per tutto questo tempo?»

Di fronte a quegli interrogativi dal tono quasi accusatorio il pianista indietreggiò di qualche passo, prima d’inciampare in un lembo di lenzuola da lui distrattamente lasciate scivolare sul pavimento, e fissò quell’essere avanzare verso di lui, scosso da un tremore inesplicabile a coloro che non si sono mai trovati in una situazione simile. 

Fu solo dopo alcuni freddi, interminabili istanti che Christian trovò il coraggio di domandare, a mezza voce, quasi come un pulcino abbandonato dalla madre che esalasse nel nido uno dei suoi ultimi pigolii: «C-chi siete, di grazia? E...e cosa cercate qui?»

Una risata dal tono acre echeggiò per la camera, mentre la figura si muoveva verso di lui a carponi, come una pantera avanza verso la preda indifesa. Questi allungò una mano verso la guancia del pianista, che immediatamente sussultò, serrando gli occhi in attesa del peggio; la accarezzò con delicatezza, portandosi le dita sporche di quel sangue puro alle labbra per leccarne via fino all’ultima goccia, e solo allora decise di dare una risposta, seppur breve e sibillina, alle domande del suo compagno.

«Proprio non ricordi, mio giovane Master? - domandò, e sulle labbra aveva un sorriso nel quale risultava difficile discernere entusiasmo e frenesia - Il tempo ha segnato la tua memora a tal punto da farti scordare ogni cosa? Perfino...il tuo ‘Till?»

E sulle tetre note di quella domanda sollevò un lembo della veste scura, rivelando un nome impresso con lettere di fuoco sulla propria caviglia. “Christian”.

Il musicista dovette spendere diversi secondi per ricollegare quel termine all’infantile nomignolo con il quale era solito chiamare il proprio pianoforte, e anche quando questo gli riuscì, di certo non gli fu più chiara l’identità dell’individuo che si trovava, ora, pericolosamente vicino al suo volto...che stava schiudendo pian piano le labbra...che...che aveva appena premuto la bocca contro quella di Christian, coinvolgendolo in un bacio intenso come mai aveva neppure potuto sognare, passando le dita fra i suoi lunghi capelli sciolti e accarezzandolo appena dietro la nuca, per uno, dieci, cento secondi prima di lasciarlo andare e passarsi la lingua, biforcuta come quella di un rettile, sulle labbra.

«Oh, ma ricorderai ogni cosa, stanne certo...» fu la sua predizione, poi, d’improvviso, quel folle ghigno scomparve per lasciare il posto a un’espressione quasi malinconica, che non solo ingentiliva l’intera sua figura, ma sortiva in Christian una qualche ineluttabile attrattiva. 

L’uomo, o ‘Till, a questo punto, accolse in un abbraccio il corpo tremante del giovane musicista, al quale più nessuna capacità di esprimersi era rimasta se non in qualche mugolio senza significato, e a sé lo tenne stretto, come temesse che da un momento all’altro questo potesse smaterializzarsi.

 

Le mani calde sono così fredde...

 

“Vorrei scaldarti nel mio abbraccio - pensava - ma fredde sono le mie membra, ghiaccio il mio corpo, gelido acciaio il mio cuore. Non abbandonarmi...dove sei stato?”

Tutto tacque.

  
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