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Autore: FatherAndersonLover    15/05/2014    0 recensioni
Chi non abbia provato nuovamente un intenso piacere dopo essersene visto lungamente privato, mai potrà capire pienamente come il cuore di Christian vibrò in quei magici istanti, né il brivido d'esaltazione che percorse le corde, ancora in lieve vibrazione, del pianoforte. Addio solitudine, addio notti insonni vegliate al lume del rancore e della malinconia...il padrone era tornato.
Genere: Drammatico, Erotico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Salve a todos. Sembrano trascorsi secoli dall'ultima volta che mi sono piazzata davanti a una tastiera e ho pubblicato qualcosa, ma ora che sono di nuovo in pista(?) avrei deciso di mettermi alla prova con qualcosa che si discosti un po' dalla mia solita brevitas...questo è l'inizio della mia prima FanFiction a capitoli, quindi siate clementi con me QuQ Ciò detto, buona lettura.
 

«Stupefacente.»
Neppure una nube macchiava il cielo color indaco dell'ottocentesca Berlino, quel pomeriggio - quasi un miracolo, se si considerano gli autunni freddi e piovosi tipici del Nord Europa - e se qualche passante avesse per caso distolto l'attenzione dalle sue abitudinarie faccende per concentrarsi sul paesaggio circostante, avrebbe potuto sentire il cinguettio dei passerotti che ancora non aveva ceduto il passo, tra le fronde già più rade degli alberi, al gracchiare dei corvi.
Christian Lorenz, come spesso era accaduto anche in passato, aveva per un attimo temuto di aver smarrito la strada; dopo tutto erano passati tanti anni da quando per l'ultima volta aveva veduto quelle vecchie mura cinte ovunque da rampicanti secolari, e i vetri di quelle finestre che mai nessuno aveva avuto la premura di pulire come si conviene, in modo che, perennemente semi-opachi, sembravano da anni e anni celare un qualche segreto. Se poi quel luogo, teatro della sua infanzia, non aveva subito mutamenti, lo stesso non si poteva certo dire del musicista stesso: un uomo nel pieno della sua giovane età, dalla figura sottile e slanciata, una lunga chioma color legno d'acero sempre raccolta in una coda bassa e un paio di grandi occhi verdazzurro, la cui profondità era quasi del tutto celata dalle lenti di un paio d'occhialetti tondi e dalla montatura sottile.
«Mio caro!» lo aveva accolto Frau Lorenz, che nei suoi ricordi sempre sarebbe stata viva come zia Mildred, non appena aveva messo piede nella vecchia residenza di città. 
L'aveva tenuto stretto a sé per un tempo fin troppo lungo, come sempre, e come sempre lui non glie l'aveva fatto notare, per eccessiva timidezza o smisurato affetto.
«Sei...cresciuto,giovanotto.» La voce di zio Arthur era poi risuonata per l'ampio salone, con un tono meno entusiastico ma di certo altrettanto affettuoso. «Avrai tanto da raccontare, immagino...» 
Il musicista aveva risposto con un mezzo sorriso a quei premurosi cenni di saluto: non aveva mai padroneggiato né apprezzato granché l'arte delle ciance nobiliari, neppure quando erano i propri genitori, all'epoca ancora in vita, a prendervi parte. Si era poi congedato educatamente, trascinando poi i bagagli lungo la scalinata curvilinea che, ricordava bene, conduceva alla stanza dove da bambino aveva trascorso innumerevoli notti, mentre al piano di sotto ospiti sempre diversi sparlavano della nuova borghesia e aspiravano il fumo nero dei sigari toscani dello zio.
Uno, due, tre passi oltre l'oscurità di quello stretto corridoio, fedele alleata quando si giocava o quando semplicemente non si voleva essere trovati, ed ecco comparire la porta di quella vecchia camera.
Aveva osservato per qualche secondo un religioso silenzio prima di spalancarla, quasi fosse l'uscio di un sepolcro, e quando finalmente l'aveva rivista si era meravigliato di quanto piccola e spoglia fosse; quello che una decina d'anni fa era stato il suo regno segreto, la sua fortezza, era adesso poco più che uno sgabuzzino male illuminato. L'unica sua gioia fu rivedere, proprio al centro di quella stanzetta, coperto da un decennio di polvere ma ancora bellissimo e quasi regale nella sua importanza, il più gradito dei doni che avesse mai ricevuto: un pianoforte Schimmel in solido mogano, con i tasti in avorio indiano; su uno dei piccoli sostegni si poteva ancora leggere chiaramente inciso il suo nome.
Nell'accarezzare nuovamente quella liscia superficie mise la delicatezza che, immaginava, si sarebbe dovuta riservare a un amante, mentre nella memoria gli si facevano spazio ricordi come quando, da bambino, non era capace di pronunciare adeguatamente il nome di quella rinomata marca, per cui fino ai sette anni si era appellato allo strumento con il nome di "'Till".
«E così, mio buon amico, sei stato relegato quassù...» Era un sussurro quasi commosso il suo, da piccolo quel piano era stato la sua sola valvola di sfogo, su di esso aveva concentrato le proprie energie e da esso aveva immaginato di ricevere le attenzioni che sempre gli erano state negate da chiunque altro. «Beh, non sei più solo ora. Nessuno dei due lo è più.» Ciò detto abbandonò le dita sottili sui tasti scoperti, e chiudendo gli occhi lasciò che il suono limpido e puro delle corde tese riempisse la stanza, rimbalzando di parete in parete e riversandosi contro di lui.

Chi non abbia provato nuovamente un intenso piacere dopo essersene visto lungamente privato, mai potrà capire pienamente come il cuore di Christian vibrò in quei magici istanti, né il brivido d'esaltazione che percorse le corde, ancora in lieve vibrazione, del pianoforte. Addio solitudine, addio notti insonni vegliate al lume del rancore e della malinconia...il padrone era tornato.

  
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