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Autore: Hendy    17/05/2014    5 recensioni
Il Titanic era chiamato la "nave dei sogni". Lo era, lo era davvero! [Elsanna (no-incest), Au!Titanic]
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Anna, Elsa, Hans, Kristoff
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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“Si, sono pronta.”

Nella cabina si levò un silenzio carico di tensione ed eccitazione. Né Kristoff né Sven avevano mai pensato di raggiungere tale fonte di informazioni e questo era chiaramente scritto nei loro volti. Kristoff corse fuori dalla stanza e tornò poco dopo con un registratore portatile in mano. Joan invece era carica di emozione.
Elsa si avvicinò ad una sedia e si sedette sospirando. Sarebbe stata una storia lunga e non l’aveva mai raccontata a nessuno, nemmeno al suo defunto marito. Tanto valeva mettersi comodi. Gli altri seguirono il suo esempio.
Chiuse gli occhi per un attimo, preparandosi per ciò che stava per raccontare: sarebbe stata una storia emozionante per loro probabilmente, una di quelle storie di cui avrebbero potuto trarre un film, ma per lei era tutt’altra cosa. Quei ricordi erano i più belli che avesse mai avuto… e i più dolorosi.

“Sono trascorsi 84 anni…”
“Oh, non si preoccupi, ricordi quello che ries-”

Lo sguardo omicida che Elsa lanciò a Kristoff bastò per fargli capire che non voleva essere interrotta. Kristoff si fece piccolo nella sua sedia e Elsa riprese da capo.

“Sono trascorsi 84 anni e ancora sento l’odore della vernice fresca. I servizi di porcellana non erano mai stati usati, nessuno aveva mai dormito su quelle lenzuola. Il Titanic era chiamato ‘la nave dei sogni’. Lo era, lo era davvero.”

E così iniziò, raccontando quella che era la sua storia, di come si sentiva in trappola, di come incontrò qualcuno che la facesse sentire libera, di come imparò a prendere le sue scelte autonomamente, di come il viaggio del Titanic le avesse cambiato la vita, e di come imparò ad amare.

Ad amare lei.

Ad amare Anna.
*

Il porto di Southampton non era mai stato così affollato come ora. Questa città, situata nella contea dell'Hampshire nel Regno Unito, era da sempre un celebre approdo per i transatlantici che volevano raggiungere il Nord America, ma oggi l’attenzione di tutti non era rivolta su una qualche nave di passaggio, no. Tutti i presenti stavano ammirando l’imponenza del transatlantico più grande e lussuoso del mondo: l’inaffondabile Titanic.
La folla era in trepidazione. Al di sopra del trambusto, si potevano sentire le urla sorprese e le esclamazioni che acclamavano il Titanic:

“Non ho mai visto nave più grande!”
“E’ stupendo.”
“Un capolavoro!”

I bambini correvano avanti e indietro, passando in mezzo a file di bagagli, marinai all’opera e persone di ogni età in fila, in attesa di entrare nella grande nave.
Diverse passerelle affiancavano il Titanic per acconsentire ai passeggeri di entrare nei reparti designati. Erano smistati in base alla classe attribuita al biglietto e coloro che avevano già effettuato i controlli, si appostarono nei vari ponti per dare un ultimo saluto al porto britannico e ai propri cari rimasti a terra.

Una serie di clacson annunciò l’arrivo d’un paio di automobili, che entrarono nel porto facendosi largo tra la folla. Già da una prima occhiata si poteva capire che appartenevano a qualche signore o nobile di alta classe, e questo non si capiva solo dal fatto che la maggior parte delle auto portavano enormi quantità di valige e bagagli. Subito dopo infatti l’autista della prima auto, vestito con un completo nero e giacca bianca, uscì dalla vettura e si diresse ad aprire la porta ai passeggeri al suo interno.
Alcune persone si erano fermate lì accanto per guardare, curiose di chi potesse trovarvici dentro, e quando la porta venne aperta, la prima cosa che videro fu un guanto bianco, probabilmente di seta o qualche altro tessuto costoso, adagiarsi alla mano dell’autista. A seguire, una delle più belle donne mai viste scese dalla vettura, ergendosi in tutta la sua grazia. Indossava un abito blu scuro che terminava con una lunga gonna ricamata in nero alla base che le copriva appena le ginocchia. Abbinato portava un coprispalle dello stesso colore, anch'esso rifinito con dei bordi neri, che lasciava vedere le lunghe maniche dell'abito e il bianco colletto della camicia.
I capelli biondo platino spiccavano tra la gente e altre persone si fermarono ad ammirare la bellezza di questa giovane donna.

Elsa, d’altra parte, non sembrò interessata alle attenzioni che stava ricevendo da loro e anzi, li ripagò con una ferrea indifferenza. Tenne le spalle alte e la schiena rigorosamente dritta. Sembrò insensibile anche al profumo di salsedine che inondava il porto e all’aria di festa che regnava. L’unica cosa che sembrò interessarle fu…

“Che chiasso. Non capisco cos’hanno tanto da urlare.” Sbuffò.

Alzò lo sguardo e osservò il Titanic con scetticismo.

“Non sembra poi un granché.” Borbottò.
“Pensavo che almeno la vista del Titanic avrebbe sciolto il tuo animo di ghiaccio, Elsa cara, ma vedo che neanche il grande colosso riesce a farti fare una piega.” Rispose una voce maschile.

Elsa, che non si aspettava una risposta, sobbalzò leggermente ma non rispose al commento.
L’uomo che aveva appena parlato, altri non era che il futuro fidanzato della ragazza, Hans Southern, che era appena sceso dall’automobile. Era un ricco signore molto affascinante e galante, vestito con un cappotto blu dal colletto nero, abbinato al vestito di Elsa, e un paio di pantaloni scuri. In testa portava un cappello cilindrico dello stesso colore dei pantaloni, che rendeva visibili solo le basette dei suoi capelli ramati. I suoi occhi verdi spiccavano contro la sua pelle chiara e snella, rendendo l’insieme fonte di un effetto ipnotico per chi lo guardava.
Prima che Hans potesse anche notare la mancanza di una risposta, da dietro di loro uscì un’altra signora, dagli stessi lineamenti di Elsa. Indubbiamente era la madre della ragazza. Aveva il suo stesso portamento e, abbinato al suo vestito verde smeraldo , portava un ombrellino bianco per coprirsi dal sole di quella stupenda giornata d’aprile. Hans le si avvicinò.

“Certo che sua figlia è proprio difficile da sciogliere, Idun.”

Idun rispose con una risatina, ma cambiò subito discorso.

“Allora, è questa la nave che dicono essere inaffondabile?”
“La unica e sola! Niente e nessuno potrebbe affondarla.”

Elsa però non prestava attenzione, concentrata com’era a chiedersi come tanta gente potesse trovare incantevole e mozzafiato una barchetta simile. Per non parlare di quanto rumorosamente esprimessero il loro apprezzamento. Avrebbe di gran lunga preferito rinchiudersi nelle sue stanze a leggere libri d’arte o di avventura, con una tazza di un buon thè nero in mano, piuttosto che essere partecipe ad un simile… scempio.  

“Allora, le mie donne sono pronte ad andare?”

Hans era appena tornato, dopo che aveva lasciato per alcuni minuti per discutere con alcuni marinai sul trasporto dei loro bagagli, e prese la madre di Elsa a braccetto, iniziando a dirigersi verso la nave. Elsa, affiancata dalla sua cameriera personale, seguì la coppia, grata che le fossero davanti. Idun aveva il brutto vizio di non toglierle mai gli occhi di dosso. Era sempre pronta a criticarla per il suo portamento e ogni minimo errore che commetteva. La donna voleva solo il meglio, le imprecisioni non erano permesse, e tutto ciò che poteva intaccare la sua immagine di donna nobile andava eliminato all’istante. Tutto doveva essere perfetto. Anche se questo comprometteva il benessere di qualcuno.
Hans, invece, aveva l’abitudine di mandargli sguardi lussuriosi che le facevano venire il voltastomaco, e aveva controllo completo sulla sua vita. Non poteva nemmeno decidere da sé cosa mangiare perché lui non le dava possibilità di esprimersi. Non era sicura di amarlo, ma non aveva scelta. Tutta la sua vita era basata su seguire ciecamente e senza proteste le decisioni che altri avevano fatto per lei. Era come un topo in gabbia.

Perciò essere fuori tiro dallo sguardò di sua madre, anche se solo per poco, non poté che essere un sollievo per la giovane.
E mentre salivano la passerella, diretti alla nave più grande del mondo, nella quale avevano noleggiato la suite più lussuose disponibili, Elsa distolse l’attenzione dalla folla rumorosa, dai fischi che emetteva la nave, dalla luce che irradiava il porto, e si fermò a pensare.
Per gli altri il Titanic era la nave dei sogni, per lei invece era solo una nave carica di schiavi, che la riportava in America in catene. Agli occhi degli altri era sempre stata tutto quello che una ragazza di buona famiglia doveva essere, ma dentro, non poteva fare altro che urlare e chiedere aiuto, invano.
*

Il chiasso del porto era attutito dalle spoglie pareti del bar denominato “Oaken&Sons”. Il locale era quasi completamente vuoto dato che la maggior parte delle persone era in attesa della partenza del Titanic, non che di solito avesse molti clienti: il pavimento del bar sfoggiava uno spesso strato di sudiciume e polvere, i vetri esibivano macchie di sporco poco invitanti e i tavoli non erano nelle miglior condizioni. Due cose si potevano considerare positive di questo posto. Prima di tutto i prezzi erano bassi e le bevande non erano nemmeno così male; secondo, si potevano svolgere affari, loschi e non, senza essere disturbati. Il proprietario, un grosso omone alto due volte un uomo normale, che attualmente stava pulendo i tavolini con un panno sporco, non batteva ciglio e non proferiva parola con nessuno. Questo aveva attirato nel corso degli anni una clientela piuttosto misteriosa che gradiva la riservatezza e aveva fatto sì che il locale non finisse in bancarotta.
Gli unici clienti in quel momento erano quattro persone, sedute nell’angolo del bar, alle prese con una partita di Poker. Il silenzio era rotto solo dal tintinnio dei loro bicchieri e dallo sfregare del panno sui tavolini. Quattro borse erano appostate affianco a ciascuna sedia, segno che le persone erano solo di passaggio e pronti a lasciare il paese alla fine della partita. Tra di loro vi era una sola donna.

La donna in questione aveva dei bellissimi occhi azzurro mare e portava i capelli biondo fragola in due trecce, adagiate contro le spalle. Il suo viso era piano di lentiggini ma la cosa che più dava nell’occhio, era una piccola striscia bianca che partiva dal capo e terminava all’estremità della treccia destra. I vestiti che indossava però non le davano giustizia. Aveva capi di seconda mano, smessi che, la ragazza non aveva paura ad ammettere, anzi ci scherzava su, puzzavano leggermente di vecchio. Il suo vestiario comprendeva un paio di pantaloni beige chiaro con tanto di bretelle, una camicia verde giada di qualche taglia più grande, e una giacca grigio scuro pesante, lasciata aperta.
Emanava un leggero profumo di fiori, in contrasto con il forte odore di pesce andato a male e muffa, caratteristico del posto.
Tra i quattro giocatori, lei sembrava quella più rilassata anche se una piccola goccia di sudore si stava formando sulla sua fronte, segno del nervosismo e la tensione dell’aria che li circondava. La partita era ormai alla fine: ciascun giocatore aveva puntato tutto ciò che aveva e stavano per affrontare il momento della verità con l’ultima mano. L’uomo paffuto accanto alla ragazza, suo compagno nel gioco, le si avvicinò e le sussurrò in un orecchio:

“Anna, sei completamente paaazza!”

Anna di tutta risposta sorrise. Era più simile a un ghigno che ad un sorriso e in quel momento, i suoi occhi sembravano brillare di malizia. Avvicinandosi a sua volta al suo compagno, Anna gli disse di rimando:

“Quando non hai niente, non hai niente da perdere, Olaf.” E gli fece l’occhiolino.

Anna era una ragazza americana che amava viaggiare. Aveva visitato molti paesi tra cui Francia, Italia, Danimarca e Norvegia ed è in quest’ultima che incontrò Olaf, un ragazzone paffutello con occhi color marrone e capelli scuri e riccioluti. Da allora i due erano inseparabili. Olaf decise di lasciare la sua terra natia per andare all’avventura con Anna e i due, con solo pochi spiccioli in tasca e le valigie piene di sogni e ambizioni, avevano visitato insieme un sacco di paesi, finchè non arrivarono in Gran Bretagna dove al momento stavano affrontando questa partita di poker.
Olaf non era molto abile nel gioco d’azzardo, non ne capiva le regole, e non era nemmeno tanto bravo a mentire e fare bluff. Tutte le sue emozioni gli si leggevano in faccia. Questo poteva essere una cosa fantastica per alcune persone, ma sicuramente non molto utile in una partita così importante. Al momento era chiaramente terrorizzato.
La posta in gioco era enorme.
I loro due avversari avevano puntato i loro biglietti del Titanic assieme ai loro soldi, mentre Anna aveva puntato il suo prezioso ciondolo d’oro. Olaf sapeva bene che se c’era una cosa che Anna amava più della sua vita, quella era sicuramente la collana in questione. Ma Anna era fiduciosa, altrimenti non l’avrebbe puntata, e questo bastò per far tranquillizzare un po’ il ragazzone. Quando Anna tornò a guardare le sue carte, aveva già cambiato espressione e i suoi occhi tornarono attenti e concentrati.

Olaf iniziò a strattonarsi la sciarpa che portava al collo. I vestiti dei due avventurieri erano molto simili con le uniche differenze della sciarpa e del colore della camicia di Olaf, che era blu a righe bianche. I due si erano procurati i vestiti non molto tempo fa per gentile concessione di un’anziana signora che gli aveva ospitati nella loro stalla per qualche giorno.
Anna non mancò di notare l’agitazione del suo compagno e capì che avrebbe dovuto rompere la tensione e porre fine al tutto. Con un unico sorso finì la sua birra e posò violentemente il boccale contro il tavolino, causando un tonfo che scosse i presenti. I loro due avversari, dei tedeschi un po’ burberi, per poco non caddero dalla sedia per lo spavento.

“Va bene, ora basta indugiare. E’ il momento della verità.” Anna guardò i presenti con sguardo indagatore e si mise comoda sulla sedia.
“La vita di qualcuno qui sta per cambiare. Olaf?”

Olaf mostrò le carte, ma Anna sapeva già quello che avrebbe trovato nella sua mano.
“Niente.” Affermò Anna.

Olaf, dal canto suo, si fece piccolo piccolo nella sedia con uno sguardo di scusa per Anna, mentre i due tedeschi si scambiarono un’occhiata speranzosi. Anna proseguì.

“Tu, biondino con gli occhiali.” E puntò l’uomo affianco ad Olaf che a sua volta mostrò le carte.
“Niente nemmeno tu eh?” In risposta, lui grugnì.

Anna poteva già sentire le gocce di sudore scendere lungo la sua spina dorsale, ma ancora una volta non lasciò che le sue emozioni prendessero il sopravvento. Picchierellando le dita sul tavolo, si rivolse al terzo giocatore che aveva una folta chioma di capelli rossi.

“Tocca a te, cappelluto.”
Lui a differenze degli altri, sembrava molto più risoluto e mostrò le carte dando uno sguardo ad Anna che diceva ‘vediamo chi sarà l’ultimo a ridere’. Anna sospirò pesantemente, imprecando.

“Diamine… doppia coppia. ” Gli occhi di Anna si fecero increduli e tristi. Si girò verso il suo compagno.
“Olaf… io mi dispiace… ma…” Olaf, atterrito, puntò gli occhi verso il pavimento, senza dire nulla.
“Oliver, guardami.”

Oliver, era il nome che Anna usava per chiamare Olaf quando voleva essere ascoltata fino in fondo. Oliver era la variante inglese del suo nome, anche se preferiva di gran lunga l’originale. Al suono del suo nome detto con tanta forza, Olaf la guardò negli occhi.

“Olaf… credo proprio che dovremmo proprio prendere i nostri bagagli e andarcene…perché-stiamo-andando-in-America-sul-Titanic!!!”

E sbattendo la mano sulla tavola mostrò le carte ai tre giocatori sconvolti, mostrando la sua giocata, una scala reale. Olaf la guardò e si alzò abbracciando Anna con tutta la sua forza, tanto che i due caddero dalla sedia e si schiantarono sul pavimento sporco, esultando e urlando dalla gioia.

“Anna, non ti ho mai amato così tanto, piccola mocciosa impertinente!”

Anna rideva come non mai. Scansò Olaf da sopra di lei e si rialzò, porgendo la mano all’amico rimasto a terra. Una volta in piedi si poteva chiaramente vedere la differenza d’altezza dei due. Anna, seppur mingherlina, era di un buon 5 centimetri più alta del ragazzo bruno. Uno dei tedeschi, il biondo con gli occhiali, si alzò minaccioso, fermando i boati di gioia dei due giovani, ma ciò che non si aspettarono, era che iniziasse a prendere a pugni il suo compagno rosso. Questo diede l’avvio ad un altro attacco di ridarelle. La seconda risata fu interrotta dal proprietario, che si avvicinò a loro.

“Yoo hoo, credo proprio che voi non andrete da nessuna parte.”
“Aspetta, che?” disse sconvolta Anna. “Perché no?”
“Il Titanic sta andando in America, fra 5 minuti.”

Una luce di comprensione si fece largo tra gli occhi di Anna. Imprecò un’altra volta e corse verso il tavolo, aprendo la sua borsa.

“Presto Olaf, dobbiamo muoverci, stanno partendo senza di noi!”

Olaf le fu subito accanto, aiutandola a raccogliere la loro vincita, poi come dei fulmini, corsero fuori dal bar con le loro sacche in spalla, lasciandosi alle spalle il proprietario enorme, i due tedeschi che si azzuffavano e l’odore di muffa, e si fecero strada tra la folla.
Anna prese Olaf per mano. Superarono macchine parcheggiate, bambini intenti a giocare, marinai rimasti a terra e si diressero verso il Titanic. Le gambe iniziarono a fare male da quanto veloce stavano correndo ma loro le ignorarono. Videro la prima passerella che stava iniziando ad essere tolta.

“Fermi, fermi! Siamo passeggeri, siamo passeggeri!” urlarono.

E con un ultimo scatto la raggiunsero e iniziarono a salire. I marinai che a quanto pare avevano sentito il loro grido, li stavano aspettando.

“Avete fatto i controlli?” chiesero loro.
“Certo che sì! In ogni caso, sono americana quindi è tutto apposto, giusto? Ecco i biglietti, possiamo entrare?”

Il marinaio a bordo li squadrò per un attimo ma poi si fece da parte e li fece entrare.
Anna rideva. Non ricordava di essere mai stata così felice, e la sua risata doveva essere contagiosa perché dietro di lei sentì Olaf fare lo stesso.

E finalmente Anna stava tornando a casa.

Finalmente stava tornando in America.


N/A: Questo capitolo è stato veramente tosto. Se c’è una cosa che non so fare, quella è descrivere vestiti. Ringrazio tantissimo Tenori che mi ha aiutato con queste descrizioni e mi ha dato il supporto di cui avevo bisogno per non finire con il lanciare il computer contro la parete.

E un grazie infinite a chi legge questa storia, a chi l’ha messe nei preferiti/ricordata/seguite e a chi l’ha recensita. Siete dei tesori!
Se qualcuno fosse interessato… ho messo il mio sito Tumblr nel profilo, affianco alla foto (E’ l’icona a forma di palla che devo ancora capire a cosa assomiglia). Se volete che inizi ad aggiornare lo stato della storia su Tumblr, fatemelo sapere. Se non vi interessa beh, ignorate ciò che ho detto.
Alla prossima!
  
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