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Autore: Tati Saetre    19/05/2014    9 recensioni
Edward ha 30 anni, capo della Cullen Media Group, è un uomo presuntuoso, egoista e viziato.
Isabella ha 28 anni, direttrice di una delle Gallerie d'arte più famose di New York, è in cerca dell'uomo della sua vita.
Che cosa li accomunerà per il resto delle loro vite?
Genere: Drammatico, Erotico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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26 Settembre 2001

 

Sesto capitolo - Tesoro

26 Settembre 2001

 

“Dicevo sul serio stamattina, Isabella.” Edward posò la sua ventiquattrore su una sedia, si tolse la giacca e allentò il nodo alla cravatta.

Intanto Bella aveva alzato quegli occhi grandi e… pieni di lacrime.

Pff.”

“Proprio quello che volevo sentirmi dire.” Sistemò lo sgabello del piano cottura, sedendosi accanto a lei. “Con tutto quello che abbiamo passato, piangi per un rifiuto?”

“Non piango per un rifiuto.” Disse Bella, asciugandosi le ultime lacrime che le erano scese sulle guance.

“Allora?”

“Da quant’è che ti interessa tanto?” Edward rise talmente forte da farla arrabbiare ancora di più.

“Da quando viviamo insieme. E non guardarmi così, come se potessi uccidermi con un’occhiata.

“Rosalie Hale non è spietata, anzi. In confronto io sembro Hitler in persona e lei un gioiellino.

“Lo so.”

“Lo sai?”

“Ho conosciuto la signora Hale anni fa, ad un Gala. E non mi è sembrata affatto spietata.”

“Prima o dopo che te la sei portata a letto?” Edward sbuffò, arricciando le labbra.

“Isabella, non mi sono portato a letto tutte le donne di questo pianeta, sai?”

“Oh, ma non avevo dubbi. Di sicuro tutte quelle di New York, però.”

Mh, no. Manchi tu.” Alzò entrambe le sopracciglia, schioccandole un’occhiata maliziosa.

“Sei pessimo. E continua a sognare.”

“La carne è debole, Isabella.”

“Di certo non la mia.” Detto questo, si alzò per andarsi a prendere un bicchiere d’acqua.

“Allora.” Edward la seguì con lo sguardo fino al lavandino. “Perché piangevi?”

“Non piangevo.”

“No, certo.”

“Rosalie Hale mi ha offerto il lavoro al MoMa. Sarà diverso da quello che facevo prima, ma è pur sempre un lavoro.

“Erano lacrime di gioia, quindi?”

“Sì. Almeno credo.” Accennò, portandosi il bicchiere alle labbra.

“E da quant’è che Isabella Swan piange per un lavoro che è riuscita ad ottenere, soprattutto al MoMa e con un solo colloquio?”

Sai, Edward.” Si avvicinò a lui, ma anche se Edward era seduto, non riuscì ad arrivare alla sua altezza, e dovette alzarsi sulla punta dei piedi. “Da quando ho perso il mio vecchio lavoro, che amavo più della mia stessa vita. Da quando i miei migliori amici non ci sono più, ed insieme a loro migliaia di altre persone. Da quando mi sento una nullità. Non ho mai fatto la madre, e nemmeno era nei miei programmi. Da quando ti odio da una vita, ma ora mi tocca vivere con te, sotto lo stesso tetto. A tempo indeterminato.”

Edward tirò fuori quel sorriso sghembo che gli aveva visto fare molte volte, da quando lo conosceva.

“Mi odi da una vita? Addirittura?”

“Ovvio. A parte qualcosa che non riguardi te, non ascolti altro. Posò il bicchiere sul tavolo, e si voltò per andarsene. Finché Edward prese la sua mano e la fece girare di nuovo.

Hey.” Sussurrò, guardandola attentamente. “Lo sai che stavo scherzando.”

“Lo sai che questo non è il momento migliore per scherzare.”

Edward allungò una mano, asciugandole una lacrima rimasta impigliata nelle ciglia.

“E’ difficile, Isabella. E ti capisco. Siamo su questa barca insieme, ormai. Ma se ti arrendi, è finita.”

“Ti stai dando alla filosofia?”

“E menomale che non era il momento migliore per scherzare, eh!” Alzò entrambe le braccia esasperato, guardandola dalla testa ai piedi.

“Guarda.” Edward la indicò con un cenno del capo.

“Cosa?”

“Stai sorridendo.”

“Finiscila.” Disse, diventando rossa dalla testa ai piedi. “E perché c’è tutto questo silenzio?” Edward allargò gli occhi, diventando bianco. “Edward?”

Si alzò con uno scatto, frugando nella ventiquattrore per prendere le chiavi della macchina.

“Edward? Che succede?”

“Giuro che mi farò perdonare.” Urlò dal vialetto, lasciando dietro di sé l’immagine di Bella furiosa. “Te lo prometto!” Urlò di nuovo, facendo inversione con la sua Volvo e sfrecciando per le stradine del quartiere.

 

 

 

“Ha dimenticato di andare a prendere le bambine a scuola. Ti rendi conto, Leah? Le ha completamente dimenticate.”

“Sono cose che capitano!” Bella allargò gli occhi, puntandole un dito contro.

“Cose che capitano? Non parlerai così, quando nasceranno i gemelli. Se Jake li dimentica a scuola, tu lo uccidi.

“Stiamo parlando di Jacob. Al posto del cervello ha un criceto che gira su una ruota. Edward ha la testa sulle spalle, invece.”

“Da quant’è che lo difendi?” Bella tirò su un pezzo di pizza dal cartone facendo colare metà mozzarella sul bancone.

“Pulisci tu!” L’urlo di Jacob arrivò dall’altra parte del Pub, mentre serviva ad un tavolo.

“Lo difendo da quando lo conosco. E lo conosciamo entrambe da un sacco di tempo, Bells. Continuò Leah, riempiendosi un bicchiere di Coca Cola. “E poi, ti ha dato la serata libera per festeggiare.”

“A trent’anni si dovrebbe festeggiare con una sbronza colossale.” Intervenne Jacob, passando lo strofinaccio dove Bella aveva sporcato.

“Punto primo: non è il mio compleanno. Secondo: non ho ancora trent’anni. E terzo: non si festeggia niente.”

“Sei l’unica persona che non vuole festeggiare per un lavoro del genere, Bella.”

“Non è ancora sicuro. Ho parlato con la signora Hale, ma non mi ha fatto firmare nessun contratto ancora.”

“Sei troppo pessimista. Lo sai cosa ti serve?”

“Non se ne parla, Jacob!” Leah guardò suo marito con rimprovero, puntandogli un dito contro. “Bella ora ha due bambine, e non può fare cose del genere. Non più, almeno.”

Ma se la prima cosa che farai quando partorirai sarà ubriacarti come una spugna.”

“Non voglio bere.” Isabella capì immediatamente le intenzioni di Jacob, e puntò il dito insieme a quello di Leah, contro di lui. “Non sono in grado di tornare a casa con una sbornia colossale. Domani le bambine hanno scuola: devo svegliarmi presto, prepararle ed andare ad un altro colloquio. Non esiste, Jacob Black. Non mi accompagnerai a casa in condizioni disastrose!” Tre birre e sei shot di tequila dopo, nemmeno ricordava più cosa avesse detto a Jacob qualche minuto prima.

 

 

 

“Isabella Swan. Non pensavo fossi un tipo del genere.” Alzò un dito, si sgranchì le gambe e dopo pochi istanti la testa si abbassò nuovamente nel water.

Maledetto Jacob.

Non avrebbe toccato alcool mai più in vita sua, poco ma sicuro.

“Ti serve una mano?”

Quando tirò su la testa posò lo sguardo sulla figura appoggiata allo stipite della porta: Edward Cullen in boxer e canotta bianca.

Lei invece aveva lasciato i jeans lungo la strada dalla porta d’ingresso al bagno, il trucco era sbavato ed i capelli erano in condizioni pietose.

“Non mi serve nien-” Biascicò inerme, prima di chinarsi nuovamente.

“Ho capito.” Edward si posizionò dietro di lei, le tirò su i capelli ed iniziò ad accarezzarle la fronte. Una fonte di sollievo per Bella, a contatto con quella mano fresca.

“Puoi tornare a dormire.”

“E lasciare che le bambine si sveglino con uno spettacolino del genere? No, grazie.”

“Dopo che sono rimaste tre ore fuori scuola da sole, possono sopravvivere ad un’immagine del genere.”

“E come la giustificheresti?”

“Influenza intestinale.” Edward sbuffò, capendo che era inutile discutere con lei, anche da ubriaca.

Riuscì ad alzarla lentamente da terra, ma la sua posizione non era ancora stabile.

“Ci riesci a lavarti i denti da sola?”

“Voglio farmi una doccia.” Si impuntò, allungandosi per aprire l’acqua.

“Non se ne parla. Ti lavi domattina.”

“Puzzo.”

“Non mi interessa. Con la fortuna che hai farai uno scivolone spezzandoti entrambe le gambe.”

“Ho capito, mi lavo i denti e basta.” Lo congedò con una mano, ma Edward non si mosse da lì.

Con lui dietro si lavò i denti e sciacquò il viso, senza guardarsi riflessa nello specchio. Sapeva che avrebbe visto qualcosa di inquietante.

“Ti accompagno a letto?”

“So qual è la mia camera, Cullen.” Edward arcuò le sopracciglia, stupito dal tono che le aveva riservato Bella.

“Okay. Prego.” Dopo due passi incerti verso l’uscita del bagno, Edward la sorresse con un braccio.

“Te l’avevo detto.”

“Sei insopportabile anche di notte.”

“Sono le tre di mattina, Isabella.” Insieme barcollarono fino alla camera di Bella, e lei si buttò a peso morto sul letto.

Ho freddo.” Disse, con la faccia compressa nel cuscino.

“Ti cerco una coperta, tesoro.” Edward allargò gli occhi a quell’appellativo, che gli era uscito così spontaneamente da non rendersene nemmeno conto.

“Tesoro?” Ed ovviamente a quella iena non era sfuggito. “Sei pessimo, Edward.” Iniziò a ridere, talmente forte da rigirarsi sul letto e portarsi le mani sulla pancia.

“E’ meglio ignorarti, stasera.” Quando si avvicinò con la coperta che aveva tirato fuori dall’armadio, si rese conto che quelle risate non erano poi così felici.

“Piangi?”

“No.” Sussurrò appena, asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi.

“Certo che voi donne siete proprio strane.”

“Alice è morta.” Edward rimase interdetto da quel commento, ma continuò a rimboccarle la coperta.

“Lo so.”

“Faccio schifo come madre. Non ho una carriera, non ho mai voluto bambini. Ed ora mi ritrovo con due bambine sulle spalle e… te.”

“Grazie per avermi paragonato a delle bambine, Isabella.”

“Cazzo, Alice è morta davvero.” Si portò le mani alla testa, tirandosi i capelli. Come se si fosse resa conto in quel momento che la sua migliore amica non c’era più. Insieme a tante altre persone.

Dormi, Isabella.” Edward le accarezzò i capelli, prima di dirigersi verso la porta a passo spedito.

“Edward?”

“Sì?”

“Resti qui?”

Dopo qualche minuti di silenzio Edward continuò per la sua strada, chiudendo la porta dietro di sé con uno scatto secco.

“Tutte le volte che vuoi, tesoro.”

 

 

   
 
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