Sesto capitolo - Tesoro
26 Settembre 2001
“Dicevo sul serio
stamattina, Isabella.” Edward posò la sua ventiquattrore su una
sedia, si tolse la giacca e allentò il nodo alla cravatta.
Intanto Bella aveva
alzato quegli occhi grandi e… pieni
di lacrime.
“Pff.”
“Proprio quello che
volevo sentirmi dire.” Sistemò lo sgabello del piano cottura,
sedendosi accanto a lei. “Con tutto quello che abbiamo passato, piangi
per un rifiuto?”
“Non piango per un
rifiuto.” Disse Bella, asciugandosi le ultime lacrime che le erano scese
sulle guance.
“Allora?”
“Da
quant’è che ti interessa tanto?”
Edward rise talmente forte da farla arrabbiare ancora di più.
“Da quando viviamo
insieme. E non guardarmi così, come se potessi uccidermi con
un’occhiata.”
“Rosalie Hale non è spietata, anzi.
In confronto io sembro Hitler in persona e lei un gioiellino.”
“Lo so.”
“Lo sai?”
“Ho conosciuto la
signora Hale anni fa, ad un
Gala. E non mi è sembrata affatto
spietata.”
“Prima o dopo che
te la sei portata a letto?” Edward sbuffò, arricciando le labbra.
“Isabella, non mi
sono portato a letto tutte le donne di questo pianeta, sai?”
“Oh, ma non avevo
dubbi. Di sicuro tutte quelle di New York, però.”
“Mh, no. Manchi tu.” Alzò entrambe le sopracciglia,
schioccandole un’occhiata maliziosa.
“Sei pessimo. E
continua a sognare.”
“La carne è
debole, Isabella.”
“Di certo non la
mia.” Detto questo, si alzò per andarsi a prendere un bicchiere
d’acqua.
“Allora.”
Edward la seguì con lo sguardo fino al lavandino. “Perché
piangevi?”
“Non
piangevo.”
“No, certo.”
“Rosalie Hale mi ha offerto il lavoro al MoMa. Sarà diverso da quello che facevo prima, ma
è pur sempre un lavoro.”
“Erano lacrime di
gioia, quindi?”
“Sì. Almeno credo.”
Accennò, portandosi il bicchiere alle labbra.
“E da
quant’è che Isabella Swan piange per un
lavoro che è riuscita ad ottenere, soprattutto al
MoMa e con un solo colloquio?”
“Sai,
Edward.” Si avvicinò a lui, ma anche se Edward era seduto, non
riuscì ad arrivare alla sua altezza, e dovette alzarsi sulla punta dei
piedi. “Da quando ho perso il mio vecchio lavoro, che amavo più
della mia stessa vita. Da quando i miei migliori amici non ci sono più, ed insieme a loro migliaia di altre persone. Da quando mi
sento una nullità. Non ho mai fatto la madre, e nemmeno era nei miei
programmi. Da quando ti odio da una vita, ma ora mi
tocca vivere con te, sotto lo stesso tetto. A tempo indeterminato.”
Edward tirò fuori
quel sorriso sghembo che gli aveva visto fare molte volte, da quando lo
conosceva.
“Mi odi da una
vita? Addirittura?”
“Ovvio. A parte qualcosa che non riguardi
te, non ascolti altro.” Posò il bicchiere
sul tavolo, e si voltò per andarsene. Finché Edward prese la sua
mano e la fece girare di nuovo.
“Hey.” Sussurrò, guardandola attentamente.
“Lo sai che stavo scherzando.”
“Lo sai che questo
non è il momento migliore per scherzare.”
Edward allungò una
mano, asciugandole una lacrima rimasta impigliata nelle ciglia.
“E’
difficile, Isabella. E ti capisco. Siamo su questa barca insieme, ormai. Ma se ti arrendi, è finita.”
“Ti stai dando alla
filosofia?”
“E menomale che non
era il momento migliore per scherzare, eh!” Alzò entrambe le braccia esasperato, guardandola dalla testa ai
piedi.
“Guarda.”
Edward la indicò con un cenno del capo.
“Cosa?”
“Stai
sorridendo.”
“Finiscila.”
Disse, diventando rossa dalla testa ai piedi. “E perché
c’è tutto questo silenzio?” Edward allargò gli occhi,
diventando bianco. “Edward?”
Si alzò con uno
scatto, frugando nella ventiquattrore per prendere le chiavi della macchina.
“Edward? Che succede?”
“Giuro che mi
farò perdonare.” Urlò dal vialetto, lasciando dietro di
sé l’immagine di Bella furiosa. “Te lo prometto!”
Urlò di nuovo, facendo inversione con la sua Volvo e sfrecciando per le
stradine del quartiere.
“Ha dimenticato di
andare a prendere le bambine a scuola. Ti rendi conto,
Leah? Le ha completamente dimenticate.”
“Sono cose che
capitano!” Bella allargò gli occhi, puntandole un dito contro.
“Cose che capitano?
Non parlerai così, quando nasceranno i gemelli. Se Jake
li dimentica a scuola, tu lo uccidi.”
“Stiamo parlando di
Jacob. Al posto del cervello ha un criceto che gira su una ruota. Edward ha la
testa sulle spalle, invece.”
“Da
quant’è che lo difendi?” Bella tirò su un pezzo di
pizza dal cartone facendo colare metà mozzarella sul bancone.
“Pulisci tu!”
L’urlo di Jacob arrivò dall’altra parte del Pub, mentre
serviva ad un tavolo.
“Lo difendo da
quando lo conosco. E lo conosciamo entrambe da un sacco di tempo, Bells.” Continuò Leah, riempiendosi un bicchiere di Coca Cola. “E poi,
ti ha dato la serata libera per festeggiare.”
“A trent’anni
si dovrebbe festeggiare con una sbronza colossale.” Intervenne Jacob,
passando lo strofinaccio dove Bella aveva sporcato.
“Punto primo: non
è il mio compleanno. Secondo: non ho ancora trent’anni. E terzo:
non si festeggia niente.”
“Sei l’unica
persona che non vuole festeggiare per un lavoro del genere, Bella.”
“Non è
ancora sicuro. Ho parlato con la signora Hale, ma non
mi ha fatto firmare nessun contratto ancora.”
“Sei troppo
pessimista. Lo sai cosa ti serve?”
“Non se ne parla,
Jacob!” Leah guardò suo marito con
rimprovero, puntandogli un dito contro. “Bella ora ha due bambine, e non
può fare cose del genere. Non più,
almeno.”
“Ma
se la prima cosa che farai quando partorirai sarà ubriacarti come una
spugna.”
“Non voglio
bere.” Isabella capì immediatamente le intenzioni di Jacob, e
puntò il dito insieme a quello di Leah, contro di lui. “Non sono in
grado di tornare a casa con una sbornia colossale. Domani le bambine hanno scuola: devo svegliarmi presto, prepararle ed andare
ad un altro colloquio. Non esiste, Jacob Black. Non
mi accompagnerai a casa in condizioni disastrose!” Tre birre e sei shot di tequila dopo, nemmeno ricordava
più cosa avesse detto a Jacob qualche minuto prima.
“Isabella Swan. Non
pensavo fossi un tipo del genere.” Alzò un dito, si
sgranchì le gambe e dopo pochi istanti la testa si abbassò
nuovamente nel water.
Maledetto Jacob.
Non avrebbe toccato
alcool mai più in vita sua, poco ma sicuro.
“Ti serve una
mano?”
Quando tirò su la testa posò lo sguardo sulla figura appoggiata allo
stipite della porta: Edward Cullen in boxer e canotta
bianca.
Lei invece aveva lasciato
i jeans lungo la strada dalla porta d’ingresso al bagno, il trucco era
sbavato ed i capelli erano in condizioni pietose.
“Non mi serve nien-” Biascicò inerme, prima di chinarsi
nuovamente.
“Ho capito.” Edward
si posizionò dietro di lei, le tirò su i
capelli ed iniziò ad accarezzarle la fronte. Una fonte
di sollievo per Bella, a contatto con quella mano fresca.
“Puoi tornare a
dormire.”
“E lasciare che le
bambine si sveglino con uno spettacolino del genere? No, grazie.”
“Dopo che sono
rimaste tre ore fuori scuola da sole, possono sopravvivere ad
un’immagine del genere.”
“E come la
giustificheresti?”
“Influenza intestinale.”
Edward sbuffò, capendo che era inutile discutere con lei, anche da
ubriaca.
Riuscì ad alzarla
lentamente da terra, ma la sua posizione non era ancora stabile.
“Ci riesci a
lavarti i denti da sola?”
“Voglio farmi una
doccia.” Si impuntò, allungandosi per
aprire l’acqua.
“Non se ne parla.
Ti lavi domattina.”
“Puzzo.”
“Non mi interessa. Con la fortuna che hai
farai uno scivolone spezzandoti entrambe le gambe.”
“Ho capito, mi lavo
i denti e basta.” Lo congedò con una mano, ma
Edward non si mosse da lì.
Con lui dietro si lavò i denti e sciacquò il viso, senza
guardarsi riflessa nello specchio. Sapeva che avrebbe visto qualcosa di inquietante.
“Ti accompagno a
letto?”
“So qual è
la mia camera, Cullen.” Edward arcuò le
sopracciglia, stupito dal tono che le aveva riservato Bella.
“Okay.
Prego.” Dopo due passi incerti verso l’uscita del bagno, Edward la
sorresse con un braccio.
“Te l’avevo
detto.”
“Sei insopportabile
anche di notte.”
“Sono le tre di
mattina, Isabella.” Insieme barcollarono fino alla camera di Bella, e lei
si buttò a peso morto sul letto.
“Ho
freddo.” Disse, con la faccia compressa nel cuscino.
“Ti cerco una
coperta, tesoro.” Edward
allargò gli occhi a quell’appellativo, che gli era uscito
così spontaneamente da non rendersene nemmeno conto.
“Tesoro?” Ed ovviamente a quella iena non era sfuggito. “Sei
pessimo, Edward.” Iniziò a ridere, talmente forte da rigirarsi sul
letto e portarsi le mani sulla pancia.
“E’ meglio
ignorarti, stasera.” Quando si avvicinò con la coperta che aveva tirato
fuori dall’armadio, si rese conto che quelle risate non erano poi
così felici.
“Piangi?”
“No.”
Sussurrò appena, asciugandosi le lacrime agli angoli degli occhi.
“Certo che voi
donne siete proprio strane.”
“Alice è
morta.” Edward rimase interdetto da quel commento, ma continuò a
rimboccarle la coperta.
“Lo so.”
“Faccio schifo come
madre. Non ho una carriera, non ho mai voluto bambini. Ed
ora mi ritrovo con due bambine sulle spalle e… te.”
“Grazie per avermi
paragonato a delle bambine, Isabella.”
“Cazzo, Alice
è morta davvero.” Si portò le mani
alla testa, tirandosi i capelli. Come se si fosse resa conto in quel momento
che la sua migliore amica non c’era più. Insieme a tante altre
persone.
“Dormi,
Isabella.” Edward le accarezzò i capelli, prima di dirigersi verso
la porta a passo spedito.
“Edward?”
“Sì?”
“Resti qui?”
Dopo qualche
minuti di silenzio Edward continuò per la sua strada, chiudendo
la porta dietro di sé con uno scatto secco.
“Tutte le volte che
vuoi, tesoro.”