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Autore: Mary P_Stark    19/05/2014    4 recensioni
Summer è la più focosa tra i gemelli Hamilton. ll suo carattere rispecchia appieno il suo Elemento, il Fuoco, che lei domina con sapienza e attenzione. Vulcanologa di professione, verrà inviata alle Hawaii assieme al suo collega e amico J.C. per studiare il locale vulcano e, in quell'occasione, verranno a galla non solo l'antico retaggio della Dominatrice del Fuoco, ma anche i doni dell'apparentemente innocuo John. Questo scatenerà forze a stento controllabili, ma anche la passione sopita di entrambi. Sarà in grado, Summer, di gestire tutto come suo solito, o le forze in campo, stavolta, la travolgeranno? E Nonna Shaina accetterà di perdere la partita contro i nipoti, o stavolta partirà all'attacco? TERZO RACCONTO DELLA SERIE "POWER OF THE FOUR" (riferimenti alla storia presenti anche nei racconti precedenti)
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Cap. 5
 
 
 
 
 
 
Detestava le maschere antigas ma, più ancora, detestava le esalazioni di acido solforico emesse dalla bocca del vulcano che, a poche centinaia di iarde, vomitava colate laviche in continuazione.

Instancabile come un’ape operaia, il Kilauea proseguiva nella sua opera di distruzione e rigenerazione della terra, giorno dopo giorno.

Laddove veniva bruciato qualcosa, nel giro di pochi anni sarebbero cresciute nuove piante e, poco per volta, l'isola sarebbe cresciuta sotto i piedi degli hawaiiani, colata dopo colata.

Era un processo lento e veloce al tempo stesso.

Per le vite degli esseri umani, tutto si svolgeva con lentezza quasi esasperante ma, per l'isola, era un processo veloce, come se qualcuno avesse pigiato il tasto fast forward su uno stereo.

Passandosi una mano sulla fronte accaldata, i capelli stretti in una treccia ma che, ugualmente, le facevano un caldo cane in testa, Summer ringhiò: “Odio prelevare campioni dalla bocca del vulcano. Con tutta me stessa.”

“Ringrazia il cielo di non doverlo fare sul Galeras in fase eruttiva. E' tutt'altra faccenda” ridacchiò a poca distanza John, armeggiando con una lunga pinza in acciaio rinforzato.

Una goccia di magma risalì dal fiume di lava incandescente, appiccicata alla pinza come una cozza allo scoglio.

Con molta attenzione, l'uomo la riversò nel contenitore ignifugo prima di allontanarsi cautamente dalla zona di pericolo.

La donna lo imitò, prelevando un'eguale quantità di lava poco più avanti, in un canalone diverso.

Quella era sempre la parte più pericolosa e, pur se per lei contava quanto una passeggiata tra i boschi, era fin troppo conscia che, per i suoi colleghi, non era così.

Se uno di loro fosse finito nel fiume di magma, non ci sarebbe stato scampo, né possibilità alcuna di prestare aiuto.

Le carni si sarebbero bruciate all'istante e il dolore sarebbe stato immane, mostruoso.

Anche con il suo potere, non avrebbe potuto fare nulla.

Certo, se la cosa fosse successa a lei, il tutto si sarebbe svolto in modo molto diverso. Lei si sarebbe limitata a nuotarci dentro e risalire a riva come se nulla fosse.

Ma non era certo un'esperienza che voleva intraprendere con dei testimoni.

Ugualmente, era in ansia per le parole di Brigidh. Quale evento migliore, per perdere qualcuno, se non cadere in un fiume di lava?

Non era un caso se si era offerta spontaneamente di accompagnare John sul vulcano, mentre Amanda e Mike erano impegnati con i primi rilievi in 3D, offerti dai GPS montati un paio di giorni prima.

Aveva il terrore che potesse capitargli qualcosa e, indipendentemente dalla loro lite, lei doveva pensare a proteggerlo.

I suoi colleghi erano in zone più sicure, quindi sperava ardentemente che questo potesse bastare per tenerli al sicuro.

Ma, per ogni evenienza, aveva pregato Autumn di tenerli sotto controllo.

Cosa le sarebbe costata quella consulenza, non era dato sapere, ma preferiva rimetterci personalmente piuttosto che sapere di non aver fatto abbastanza.

Camminando con destrezza su vecchie colate laviche di un bel nero lucido, Summer ne studiò le onde raggrinzite simili a rughe di un vecchio centenario.

Con un mezzo sorriso, ne sfiorò la ruvida superficie con una mano.

Nonostante si trovasse a pochi passi da un fiume di lava, lì il terreno era a malapena tiepido e non risentiva minimamente della presenza di una fonte di calore così dirompente.

Molti avevano timore dei vulcani, arrivavano perfino a odiarli, ma Summ non era di quell'avviso.

Certo, sapeva quanto fossero pericolosi e mortali, a volte.

Ma erano loro che avevano contribuito a creare la vita sulla Terra e che, come valvole di sfogo, permettevano all'intero pianeta di non esplodere.

Portavano morte e nuova vita, in un ciclo continuo e inesauribile e, con la loro forza, modificavano il clima, i territori,
l'intero mondo.

Non era una cosa da poco e, pur nella loro violenza, lei li ammirava.

Li amava.

Volgendo lo sguardo verso il suo compagno di lavoro, sorrise mesta e scosse il capo.

Amava anche lui, con tutta se stessa, ma era un sentimento che non poteva esternare con leggerezza. Non lei, per lo meno.

Teneva troppo all'amicizia di J.C., e spiattellargli in faccia una cosa simile avrebbe rischiato di rovinare tutto, di recidere i legami che li univano.

E questo l'avrebbe uccisa.

Inoltre, c'era il problema non indifferente del suo piccolo, quanto mostruoso segreto.

Come avrebbe fatto ad ammettere con lui di essere una plasmatrice del fuoco, di poter generare dal nulla le fiamme, di essere in grado di avvertire come niente fosse i movimenti magmatici di tutto il pianeta?

Non era un argomento che poteva toccare con leggerezza, e dubitava che John le avrebbe creduto.

Circa un anno prima, durante un pranzo in famiglia a casa di John – al quale era stata invitata assieme a Spring, Winter e Malcolm – Summer aveva parlato con Angelique della storia della loro famiglia.

Quel che era venuta a sapere l'aveva sconvolta. E preoccupata.

Non si era mai resa conto del potenziale mistico insito nel sangue di John.

Angelique, nell'ammettere quanto il figlio l'avesse delusa in merito, le aveva spiegato di come John si fosse ribellato al suo retaggio, chiudendosi fuori dal mondo degli spiriti.

Ciò aveva creato barriere così forti, e imponenti, da renderlo cieco e sordo al misticismo che lo circondava e Summer, nell'apprendere tutto ciò, era rimasta senza parole.

La madre di J.C. le aveva sfiorato una mano e, gentilmente, le aveva confidato di sentire in lei un'anima molto forte e antica.

Come semplice Iniziata, non era riuscita a percepire altro, ma saperla assieme al figlio l’aveva resa lieta.

All'epoca, Summ aveva dato poco peso a quelle parole, limitandosi a prenderle come un complimento generoso e poco altro.

Ma, su quella cima di monte, nel bel mezzo di un pericolo incombente, lei tremò.

Sperava di tutto cuore che quel ricordo improvviso non significasse qualcosa, e che il predestinato intravisto nella visione di zia Brigidh non fosse proprio John.

Sarebbe morta, se gli fosse successo qualcosa.

“John” lo chiamò a mezza voce Summer, rialzandosi in piedi per raggiungerlo.

“Dimmi, Summ.”

“Cominciamo a scendere. Qui abbiamo preso campioni a sufficienza” gli disse,  iniziando a raccogliere le borse contenenti i barattoli sigillati con la lava all'interno.

“D'accordo. In effetti, l'aria comincia a farsi veramente puzzolente, e non credo che i filtri delle maschere resisteranno ancora per molto” assentì l'uomo, imitandola. “Inoltre, per toglierci di dosso l'odore di zolfo che abbiamo sui vestiti e la pelle, ci
vorranno ore.”

“Mi farò una nuotata prima di cena, questo è sicuro. Non sono ancora riuscita ad andare in spiaggia!” brontolò la donna, mettendosi a tracolla una delle sacche.

“Se non mi giudichi un maschilista pervertito, vorrei unirmi a te” ironizzò lui, seguendola lungo il sentiero che avevano imboccato per raggiungere le pendici del Kilauea.

Summer scoppiò a ridere di gusto e, con noncuranza, asserì: “Guarda che la spiaggia è di tutti, J.C.. Mica devi chiedermi il permesso per andarci, sai?”

“Non si sa mai. Ti ho fatta arrabbiare, e non voglio che la cosa si ripeta, perciò camminerò sulle uova ancora per un po', se non ti da fastidio” ridacchiò John, camminando spedito lungo il sentiero.

“Hai almeno capito di aver detto una stronzata?” gli domandò lei, curiosa.

“Eccome! Non avrei dovuto essere così superficiale, e lo so. Ti conosco, perciò dovrei sapere benissimo come sei, eppure a volte ci ricasco. Sarà la presenza di Mike a guastarmi il cervello. Ha un effetto deleterio su di me” brontolò l'uomo,
scuotendo irritato il capo.

“Siete andati a caccia, l'altra sera?” si informò lei, togliendosi la maschera non appena furono all'esterno delle nubi solforose della vetta.

Imitatala, John se la tenne al collo e mormorò infastidito: “Ho avuto la malsana idea di andargli dietro in discoteca... ed è stato un incubo. Dio, quell'uomo ha bisogno di bromuro con effetto immediato! Penso sia andato in bagno a scoparsi mezzo corpo di ballo.”

Sghignazzando,  la donna esalò: “E aveva ancora la forza di lavorare, il giorno dopo? Ha energia da vendere!”

“Bah, non è che fosse granché in forma, a dirla tutta” sbottò J.C., fissandola bieco e con un sogghigno maligno stampato sul volto.

“Non ho detto che voglio sperimentare di persona, John” ironizzò Summer, dandogli una pacca sul torace per calmarne i bollenti spiriti.

“Diciamo che mi deluderesti molto, se lo facessi. Dimostreresti di non avere buon gusto, e so benissimo che ce l'hai” precisò lui, sperando di non andare a cacciarsi nuovamente nei guai.

“Oh... quindi Mike non merita? E perché? Ora sono curiosa” celiò la donna, ammiccando maliziosa.

Aggrottando la fronte, John mugugnò: “E' una domanda trabocchetto, o devo rispondere?”

Picchiettandosi un dito sul mento con fare pensoso, Summ alla fine dichiarò: “Allora, partendo dal presupposto che non ci andrei a letto perché è un borioso figlio di puttana, … ci sono altri motivi per cui dovrei evitarlo?”

“Beh, tolto il carattere di merda...” iniziò col dire John, trovando assurdo doversi muovere su un terreno così accidentato come il sesso, e con lei, per giunta. “... ce l'ha piccolo.”

Lei si fermò di botto, bloccandosi a metà di un passo prima di fissare apertamente scioccata l'amico, sgranando i suoi begli occhioni da gatta.

Un attimo dopo, le guance della donna si gonfiarono, il viso divenne paonazzo e, come un vulcano esplosivo, la risata della donna sgusciò fuori con violenza.

J.C. la fissò a metà tra il sorpreso e il divertito, lei piegata in due per il gran ridere e, poggiata una mano sul fianco, chiosò: “Ho detto troppo?”

Summ si fece aria con una mano mentre, a fatica, cercava di riprendere fiato.

Qualche secondo dopo, però, crollò a terra e si sedette di peso su un masso arrotondato, continuando a ridere a crepapelle.

John a quel punto cominciò a preoccuparsi e, accosciatosi accanto a lei, le domandò premuroso: “Ehi, tutto bene?”

L’amica annuì, non sentendosi ancora sicura a parlare e, mentre i suoi occhi lacrimavano per il troppo ridere, J.C. cominciò a battere una mano sulla sua schiena per farla riprendere.

Dopo un minuto buono di risata sguaiata, Summer riuscì infine a trovare abbastanza forza per esalare: “Non pensavo... avresti spifferato... una cosa... simile!”

“Troppo?” mugugnò l'amico.

“Già!” annuì ancora lei, tergendosi il viso dalle lacrime.

Quando infine si fu calmata del tutto, Summ prese un gran respiro, lanciò un'occhiata al cielo terso e al sole scintillante che già reclinava verso il pomeriggio inoltrato e, con un mezzo sorriso, mormorò: “Questa davvero non me l'aspettavo.”

“Sarà meglio cambiare argomento. Quest'isola mi fa davvero un brutto effetto” borbottò John, rimettendosi in piedi.

L’amica lo seguì a ruota e, nel posizionarsi innanzi a lui nella discesa, celiò: “Chissà, forse ti rende solo più sincero.”

“Non direi. Ti ho dato praticamente della poco di buono, quando siamo arrivati, e di sicuro non lo penso” replicò piccato lui, accigliandosi.

“E di questo ti sono grata. Ma non pensarci più, J.C., davvero. Sei perdonato. Anch'io dico scemenze di cui mi pento, sai?” ci tenne a dire Summer, sorridendo allegra da sopra una spalla.

“Non lo metto in dubbio, ma la mia uscita è stata certamente infelice.”
“Concesso, ma io non ne farei un dramma, perché...” cominciò col dire lei,  interrompendosi di botto quando il suo cellulare
trillò.

Sorpresa, la donna lo afferrò dalla sua custodia da cintura e, quando vide il numero sullo schermo, si accigliò.

Torva in viso, accettò la chiamata e mormorò: “Dia dhuit1, nonna. Come mai questa chiamata all'improvviso?”

“Non posso sentire mia nipote, per caso?” replicò la donna, con il solito tono sarcastico.

Due Dominatrici del Fuoco non avrebbero mai potuto andare d'accordo, e con Nonna Shaina l'odio era sempre stato a dir poco palese.

John la guardò preoccupato ma Summer non se ne accorse e, accigliata, domandò alla parente: “Diciamo solo che, quando chiami, bisogna pregare anche i santi in Paradiso per scongiurare l'Apocalisse, perciò... che c'è?”

“Sei sempre stata la più indisponente dei quattro, e vedo che il tempo non ti ha cambiata. Ed io che volevo essere carina con te e avvertirti che Sean sta venendo a trovarti!” brontolò la donna, prima di esibirsi in quel proclama eccitato.

Summ sgranò lentamente gli occhi, la gioia fino a poco prima provata dilavata di colpo dalla notizia dell'arrivo di Sean.
Con tono lapidario, la giovane ringhiò: “Richiama il tuo cucciolo, se non vuoi che lo butti nel Kilauea non appena metterà
piede qui.”

J.C. strabuzzò gli occhi a quell'uscita, ma Shaina non vi fece neppure caso e replicò candida: “Tesoro, e dire che i tuoi genitori dovrebbero averti insegnato l'educazione. Noi irlandesi siamo notoriamente gentili con gli ospiti, e Sean sarebbe un tuo ospite, a onor del vero.”

“Sono qui per lavoro, nonna, non sono a casa, perciò Sean non sarebbe ospite che del suo albergatore” precisò Summer, sempre più scura in volto.

Immagini di sacrifici umani, di tributi, di nozze svoltesi nella coercizione si affastellarono nella sua mente. Con un ringhio, le scacciò con violenza.

“Sottigliezze” tagliò corto l'anziana, tornando al suo solito modo di fare autoritario.

La giovane imprecò a denti stretti e dichiarò gelida: “Per me, può anche passarci la vita, alle Hawaii, ma se speri che io sia gentile con lui, scordatelo fin da adesso.”

“Non mi bastava Spring, che si è lasciata ingravidare da un impuro. No, ora fai le bizze anche tu! Dovete capire che noi sappiamo cosa  è meglio per voi! Il tempo è ormai agli sgoccioli! Non possiamo più aspettare… per il vostro bene!” sbottò a quel punto Shaina, perdendo la sua proverbiale calma.

E così pure fece Summer.

Divenendo di ghiaccio in viso, sibilò: “Spring non si è lasciata ingravidare. Non è una mucca, ma una donna innamorata del suo futuro marito che, farai bene a ficcartelo in testa, è e sarà sempre Max. Se solo proverai a far cambiare questo stato di cose, giuro che scatenerò sulla tua testa, e quella degli altri, un tale inferno che rimpiangerete di essere nati! Non avete ancora capito chi state sfidando.”

“Non è il caso che tu lanci tante minacce a vuoto, cara” la rabberciò la nonna, con tono querulo.

“E chi ha parlato di minacce a vuoto?” mormorò glaciale Summer, ora del tutto calma, immobile come una statua.

John si sentì raggelare. Quando l'amica assumeva quel tono, poteva voler dire solo guai.

“Non oseresti mai!” ansò Shaina, con un nodo in gola.

“Tu non sfidarmi, nonna. Se a Max viene anche solo un raffreddore fuori stagione, saprò a chi dare la colpa... e la mia vendetta sarà tremenda. Nessuno mi fermerà. Vi ucciderò tutti. E al diavolo le conseguenze. Mia nipote ha bisogno di suo padre, e voi non vi metterete in mezzo!”

Detto ciò, chiuse la comunicazione e, prima di poterselo impedire, gettò a terra il telefonino e ci saltò sopra con un piede, rompendolo definitivamente.

John fu veloce a bloccarla prima che decidesse di ridurre in briciole qualcos'altro e, afferratala per un braccio, se la attirò vicino esclamando: “Summ, calmati! Smettila!”

Gli occhi verdi che sprizzavano scintille, la donna si divincolò per alcuni attimi prima di crollare tra le sue braccia e ringhiare furiosa: “Non permetterò loro di rovinare la vita a Spring, o a me... li odio, li odio, li odio!”

Carezzandole la schiena percorsa da violenti tremori, J.C. mormorò contro il suo orecchio: “Summy, prendi un bel respiro e dimmi che sta succedendo. Spero non dicessi sul serio, prima, quando hai minacciato di morte la tua famiglia.”

Scostatasi di botto da lui, la donna sibilò: “Certo che dicevo sul serio!”

John allora scosse il capo e replicò gentilmente: “Per quanto ti abbiano fatto infuriare, non penso meritino di morire, ti pare?
E che c'entra Spring in tutto questo?”

Un pesante sospiro scaturì dalle labbra della donna che, senza più forze, tornò a sedersi a terra, subito imitata dall'amico.
Intrecciate le mani per non mostrare appieno il suo nervosismo, mugugnò: “Sarà il caso che ti dica per bene quanti casini ci sono in casa mia. Sennò non ci capirai nulla.”

John conosceva solo a grandi linee la storia della famiglia Hamilton, ma molte cose erano ancora oscure, per lui.

Beh, era giunto il momento che sapesse almeno in parte da che mondo stava fuggendo.

L'uomo annuì silenzioso e Summer, ombrosa, gli raccontò una parte del suo passato.

Lo mise al corrente della fuga dei genitori dall'Irlanda, della loro decisione di non far conoscere alla famiglia ove si
trovassero, dei loro strenui tentativi di tenere i figli nascosti dai loro nonni e zii.

J.C. parve confuso da quel genere di scelta ma, quando venne a sapere che Erin era stata scelta per Winter fin dalla sua nascita, cominciò a subodorare guai seri.

Si fece scuro in volto e, non appena la donna accennò a Spring e all'uomo che la famiglia aveva scelto per lei, i suoi occhi sprizzarono fiamme.

Summ sospirò infastidita e aggiunse: “La scocciano tutt'ora adesso, dicendole che Max non è l'uomo giusto per lei, e che Colin si prenderebbe cura della bambina pur non essendone il padre.”

Omise di dire che, per il verificarsi di un simile evento, Max avrebbe dovuto morire. Il solo pensiero la fece rabbrividire.

“Colin?” ripeté confuso John, strabuzzando gli occhi.

Sbuffando, la donna asserì querula: “Un nostro cugino di non mi ricordo quale grado. Stando alla nonna, è l'uomo giusto per Spry. Che idiozie!”

Bloccatala con un gesto della mano, J.C. esalò: “Ma... i tuoi nonni lo sanno che siamo nel ventunesimo secolo?”

“Credo non gliene freghi un accidente di niente. Anche i miei genitori si sono sposati su indicazione delle famiglie. Pur amandosi, questo genere di imposizioni non piacque loro, così fuggirono assieme a noi non appena trovarono un modo per nasconderci adeguatamente” gli spiegò succintamente l’amica, dando un calcio ad un ciottolo di terra.

“Non potete semplicemente mandarli a quel paese?”

“E'... difficile” asserì dopo alcuni istanti Summer, reclinando il viso.

Come fargli capire che il loro sangue ancestrale era la causa prima dei loro dissapori con la famiglia natia? E della nascita di quelle maledette leggi restrittive?

“Beh, non penso che Max si farà mettere i piedi in testa da questo Colin, e...” Bloccandosi a metà della frase, John si oscurò tremendamente in viso e sibilò: “Chi è Sean?”

“Indovina un po'?” ironizzò Summer, ma senza alcuna allegria nella voce.

¤¤¤
 
Fidanzato.

La sola parola lo fece fremere mentre, con forti bracciate, si allontanò da riva per nuotare al largo.

Quando Summer gli aveva spiegato, per sommi capi, il perché di tanto livore nei confronti della famiglia, John si era sentito morire dentro.

E, al tempo stesso, avrebbe voluto gridare al mondo tutta la sua rabbia.

Non poteva sopportare che qualcuno cercasse di limitare la libertà della sua più cara amica, né che tentasse di rovinare la felicità di Spring e Max.

Adorava quei due, e faceva fatica persino a credere che esistesse qualcuno di così meschino da volerli dividere.

E per cosa, poi? Per una maledetta eredità?

Chi se ne importava se la famiglia Hamilton, in Irlanda, aveva più possedimenti della regina, e che questi dovessero rimanere interni al clan?! Che andassero a farsi benedire tutti quanti!

Lui non lo accettava!

E lì si fermò, smise di nuotare e si lasciò andare alla corrente gentile della sera.

Lui non poteva vantare alcun diritto su Summer, né avrebbe potuto prendere a pugni questo fantomatico Sean, una volta che se lo fosse trovato davanti.

Sospirando afflitto, John si chiese cosa avrebbe potuto fare per togliere dai guai l'amica e, ad ogni nuova idea, la prima a cui aveva pensato tornò a galla per infastidirlo.

L'unica cosa che poteva fare per aiutarla era ammettere con lei, con tutti, che il sentimento che lo legava alla donna era amore... e con la A maiuscola.

Questo gli avrebbe forse dato la possibilità di parlare a pieno titolo, ma avrebbe potuto disintegrare qualsiasi tipo di rapporto tra loro, perché sapeva che Summer gli voleva bene, ma solo come amico.

“Stanco?” mormorò a poca distanza da lui la donna dei suoi sogni.

J.C. si volse a mezzo con un fluido movimento di braccia e gambe.

Nel ritrovarsela vicino, bagnata e abbracciata solo da un bikini mozzafiato color corallo, quasi desiderò imprecare contro il cielo e contro il Fato.

Con il fiato corto e un mezzo sorriso sul viso angelico e diabolico al tempo stesso, Summer domandò ancora: “Non proseguiamo a nuotare ancora un po'?”

Lui annuì ma non si mosse e l’amica, a quel punto, sussurrò: “John, che c'è?”

“Non è giusto” si lasciò sfuggire lui, i denti stretti come morse.

“Cosa?”

Una mano sul viso seguì quella semplice parola e John, rabbrividendo sotto il suo tocco, afferrò quelle dita sottili e aggraziate e se le portò al petto, ringhiando: “Perché devono farti questo?!”

Summer allora sorrise generosamente e, avvicinatasi a lui fin quasi a sfiorarlo, asserì: “Non mi faranno nulla, J.C. Rispedirò al mittente Sean, e dirò alla nonna che le sue idee antidiluviane può chiuderle in un cassetto e dimenticarle per sempre.”

E, nel frattempo, si sarebbe imbarcata sul primo missile diretto alla Stazione Spaziale. Chissà che lì non lasciassero in pace?!

“E se Sean fosse più di un semplice cucciolo nelle mani di tua nonna? Se fosse innamorato di te, e ti volesse realmente per sé?” brontolò lui, ancora poco convinto.

Lei lo fissò scettica e replicò: “L'ho conosciuto, ed è tutto tranne che un uomo di polso. Me lo mangerei a colazione senza problemi. Inoltre, a reggere il coltello dalla parte del manico sono io. Pur se mi spiace ammetterlo, sono io ad avere il sangue più puro, ad essere l'ereditiera, perciò posso fare le bizze come i cavalli finché voglio. Anche se esiste un contratto scritto che mi lega a lui, è mia nonna preme per impormi chi vuole, non hanno ancora capito con chi hanno a che fare.”

Sapeva di non dire la verità, ma non poteva accennare altro, con John.

“Neppure Winter mi sembra una persona debole, eppure lui sposò Erin su ordine della famiglia” replicò veemente John.

Summer reclinò il capo e, con un sospiro triste, ammise: “Successe perché Win  era ancora troppo giovane, e fresco della morte dei nostri genitori. Si affidò a zia Brigidh come noi tutti, e lei lo tradì. Certo, eravamo in una situazione tragica, e lei si sarà sicuramente fatta prendere dal panico, ma... non glielo perdono. Win l'ha fatto e, per l'amor di dio, Erin è stata una moglie dolcissima, e insieme hanno avuto Malcolm, ma è il sistema che è stato sbagliato fin dall’inizio. Loro non si sono mai amati!”

“Erin lo sapeva?” si informò delicatamente J.C.

“Oh, sì, Win ed Erin furono onesti l'un l'altra fin da subito. Divennero grandi amici. Sapevano l’uno dell'altro praticamente tutto. Kimmy compresa” gli spiegò Summer, sorprendendolo.

“Deve essere stato un inferno,… per entrambi” mormorò spiacente John.

“Ne ricavarono il meglio possibile, e Mal è stato il dono per il loro sacrificio. Ma io non farò la stessa fine, e Spring ha già minacciato nonna di strangolare chiunque della famiglia si avvicinerà a più di cento iarde da casa. E non scherzava” dichiarò con un mezzo sorriso la donna, orgogliosa della sorella.

Sapeva che questo non sarebbe bastato, il giorno dell’Apice, ma era bello crederlo.

Quel giorno, non sarebbero stati in grado di muovere una foglia con un dito, figurarsi difendere la propria libertà.

Annuendo pensieroso, J.C. la strappò ai suoi lugubri pensieri asserendo: “Da quando sa di essere incinta, è diventata molto più forte, e Max le da equilibrio. Insieme sono bellissimi.”

“Sì” assentì lei.

“Perciò... quando arriverà Sean, non dovrò riempirlo di pugni per te?” ironizzò John, ammiccando al suo indirizzo.

“Oh, beh, se volessi farlo, di certo non piangerei” ridacchiò Summer. “Ma penso di potermela cavare anche da sola.”

Scostandosi per riprendere a nuotare, la donna venne trattenuta ad un braccio dall'amico che, torvo in viso, replicò: “Ma io voglio difenderti.”

E fu in quel momento che la maschera dell'uomo si sgretolò, mostrando a Summer tutto ciò che, fino a quell'istante, le era rimasto celato per anni.

Il suo potere divinatorio, i loa che lo proteggevano senza che lui ne fosse consapevole, … i suoi sentimenti per lei.

Sgranando gli occhi di fronte a quella marea di informazioni, la donna ansò stentatamente, quasi perdendo tutto il fiato che aveva in corpo e, quasi come una stella fagocitata da un buco nero, si gettò su di lui.

Gli afferrò il viso con le mani attirandolo a sé e, con un movimento repentino, si appropriò della sua bocca, sorprendendolo
oltre ogni ragionevole dubbio.

Con un ansito disperato, John la avvolse con le braccia, stentando a rimanere a galla al pari di lei che, impegnata a fare sue quelle labbra che sapevano di tabacco e vino, quasi non si rese conto del pericolo che stavano correndo.

Fu solo quando un'onda li mandò sotto che si staccarono di colpo, sputacchiando acqua e ridendo della loro stupidità.

Tenendosi a galla mentre i residui della risata andavano scemando, Summer esalò: “Scusa... sono irruente come mio solito.”

“Rifallo pure, non mi offendo” replicò lui, andandole vicino per stringerla a sé, stavolta con maggiore attenzione. “Perché l'hai fatto, comunque?”

“E' da un anno e più che volevo farlo” ammise lei, sorridendo contrita e sorprendendolo oltremodo.

“Cosa?” esalò John, facendo tanto d'occhi.

“Temevo di rovinare tutto ma quando ho guardato nei tuoi occhi, prima, ho capito che... che forse...” tentennò, non sapendo bene quanto dirgli, quanto ammettere con lui.

“Che forse avresti trovato terreno fertile per i tuoi baci?” ironizzò lui, cercando nuovamente la sua bocca.

Stavolta il bacio fu più dolce, meno violento, e le onde non furono un problema, quanto un corroborante per la loro passione.

Tenendo a freno l'impulso di avvolgergli la vita con le gambe, rischiando così di mandare a fondo entrambi, Summer lasciò che lui guidasse il gioco.

Permise a quelle labbra di seguire il contorno del suo volto, del suo collo, che sbirciassero l'attaccatura dei seni e, quando anche le sue mani iniziarono un percorso iniziatico sul suo corpo, lei esplose.

Lo spinse via con forza ed esalò: “Ti prego, non qui! O affogheremo! Sono ben lungi dall'essere calma perciò, o smetti, o ti prenderò qui e adesso, quindi moriremo affogati.”

Lui rise di gusto, sentendo il cuore esplodergli nel petto per la gioia e, annuendo a quella donna che sapeva infiammarlo e calmarlo al tempo stesso, assentì con gaiezza.

“No, non è proprio il caso di morire per una cosa del genere. Torniamo a riva, è meglio.”

“Concordo in pieno” annuì l’amica, sorridendo vagamente divertita.

In breve, raggiunsero la riva e, non appena toccarono terra, la donna afferrò la mano dell'amico. Senza dirgli nulla, lo condusse direttamente nella sua stanza, passando per il giardino dell'albergo.

John la lasciò fare, sapendo bene che, in quel momento, la donna era al di là di ogni controllo.

Riconosceva quello sguardo volitivo e, se solo avesse provato a rifiutarsi per mettere un po' di sale in zucca a entrambi, probabilmente l'avrebbe malmenato.

Avrebbe cercato di chetarla non appena fossero stati soli.

Forse.

Aperta la porta-finestra con un gesto repentino, Summer lo attirò dentro e stese le tende di fronte ai vetri, escludendo di fatto il mondo esterno.

Avvolti così dalla penombra della stanza, i due si fissarono per un istante negli occhi, e fu a quel punto che la donna lo sorprese nuovamente.

Sorrise dolcissima e vulnerabile e, più docile di un gattino, si incuneò nel suo abbraccio, poggiando il capo bagnato contro il suo torace e chiudendo gli occhi, fiduciosa e protetta.

J.C. perse del tutto qualsiasi desiderio di prenderla e, limitandosi a stringerla tra le braccia, le baciò il capo e sussurrò: “Summ, va tutto bene?”

Lei annuì contro il suo petto, godendosi il suono del suo cuore che, lentamente, stava tornando alla normalità.

Era così, avere un Fulcro?

Non appena aveva varcato la soglia della sua stanza, tutto si era fatto silenzioso, anche il mondo di sensazioni che solitamente la punzecchiava in continuazione. Aveva potuto avvertire solo John.

Solo il suo cuore, solo le sue emozioni, solo il suo amore per lei.

Ora comprendeva cosa volesse dire avere un Fulcro Primario, e dubitava fortemente che chiunque altro, a parte J.C., avrebbe potuto farle un simile effetto.

Lui escludeva ogni cosa, lui era il Tutto, per lei. Il suo principio e la sua fine.

“Sei il mio centro di gravità” sussurrò Summer, levando il capo per baciarlo con tenerezza squisita.

“Sono lieto tu lo pensi” replicò lui, sfiorando con dita leggere i suoi fianchi.

Lei sorrise e, muovendosi su quei muscoli poderosi con mani lievemente tremanti, mormorò: “Voglio sentirti dentro di me. Voglio che il tuo fuoco si fonda con il mio. Tu lo vuoi?”

“Lo voglio, ma non desidero che sia solo una reazione violenta alla telefonata di tua nonna. Desidero che tu ti calmi, ci pensi sopra e che, a mente fredda, decida sul da farsi.”

Dolcemente, le baciò la fronte e aggiunse: “Ho aspettato con pazienza per un sacco di tempo. Posso attendere ancora un po',
Summ.”

La donna sospirò, ammettendo candidamente quanto, la telefonata di Nonna Shaina, avesse cospirato contro di lei e, annuendo con calma, asserì: “Hai ragione. Prometto che mi calmerò e, quando sarò pronta, ti assalirò alla prima occasione.”

John ridacchiò a quell'ultimo commento e, nello stringerla forte a sé, mormorò: “Succederà il contrario, temo. Ho bisogno di sentirti mia, dentro e fuori, ma non voglio che succeda per la rabbia che ti hanno scatenato nell'animo. Ti voglio con la mente sgombra da ombre.”

“Sicuro?” mugugnò lei, deponendo un casto bacio sul suo torace stillante d'acqua mentre una mano, molto meno casta e tanto più subdola, indugiava sull'elastico del costume da bagno.

J.C. si tirò indietro alla svelta e, ridacchiando, schiaffeggiò delicatamente quella mano pestifera. “Non mi rendi la vita facile, Summ, se ti comporti da birbante.”

Lei si limitò a ridacchiare e, reclinando un poco il capo, arrossì suo malgrado e chiosò: “Doccia fredda. Subito.”

“Già” brontolò John, andandosene a grandi passi dalla sua stanza per raggiungere la propria.

Aveva bisogno immediatamente di acqua fredda. Gelida.
 

 
 
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1 Dia Dhuit: (gaelico irlandese) buongiorno.
  
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